Quelli di prima del riscaldamento globale! Quelli di prima dei cambiamenti climatici! Quelli di prima di questa spaventosa emergenza climatica che nel giro di dodici anni, no undici, no ormai sono nove scarsi, ci porteranno alla distruzione del Pianeta e alla fine della vita sulla Terra. Quei begli inverni di una volta, di quando eravamo bambini, in cui la neve cadeva e cadeva e cadeva… Ve li ricordate? Ah, che tristezza non averli più!
Quando la tua casa brucia per il riscaldamento globale e i ghiacci si sciolgono e le città rivierasche vengono sommerse e intere regioni entreranno nel mito e nella leggenda come Atlantide
dietro i palazzoni in fondo, anche se non si vede, c’è il mare
E questa praticamente sarei io. Che non è un selfie perché non ho lo smartphone: ho semplicemente girato la macchina fotografica e scattato, sperando di beccarmi, e quindi eccomi qua, con la faccia deformata dalla vicinanza non temperata dalla regolazione, oltre che col naso storto dall’incidente di quattro anni fa e rosso per il freddo.
Dovevo andare a scuola, ed ero in ritardo (mi capita spesso di sognare di dover andare a scuola, e quando succede sono sempre in ritardo, a volte anche di ore. Anche quando sogno di dover prendere il treno o l’aereo sono sempre in ritardo, manca mezz’ora alla partenza e io devo ancora fare la valigia e poi arrivare lì e poi fare i biglietti e naturalmente non trovo le cose da mettere in valigia e poi la strada è intasata e poi non trovo l’ingresso…). Dovevo essere a scuola alle dieci e i tre orologi che avevo davanti segnavano tre orari diversi, ma tutti intorno alle dieci, e io dovevo ancora finire di vestirmi. Ero a Padova, a casa dei miei genitori, e quando sono entrata in camera ho visto che si era fulminata la lampadina. Era una lampadina particolare, di vetro zigrinato, così,
e con due ali aperte, e mentre la toglievo mi sono chiesta se ne avrei trovata una uguale qui (per una di quelle bilocazioni tipiche dei sogni ero a Padova ma ero anche qui). Poi sono tornata con un’altra lampadina, una normale, ma nel lampadario c’era già una lampadina accesa, senza le ali ma un po’ zigrinata.
Poi finalmente sono stata pronta e sono uscita e mi sono diretta verso il garage dei padroni di casa, molto grande, dove anche mio padre teneva la macchina, e mia madre dice: “ma non l’hai sempre lasciata fuori, la macchina?” e io rifletto che sì, l’ho sempre parcheggiata vicino al muro, ma vado lo stesso al garage per vedere se per caso non sia lì, ma quando ci arrivo mi rendo conto che io non ne ho la chiave, non l’ho mai avuta, e quindi sicuramente non ho messo lì la macchina, per cui il fatto che non sia lì fuori significa che me l’hanno rubata (anche questo ritorna spesso nei miei sogni). Allora telefono a scuola per avvertire che arriverò in ritardo, perché mi hanno rubato la macchina e devo andare in questura a fare la denuncia; anzi, non sono neanche sicura di arrivare prima della fine delle lezioni. Curiosamente, la persona che mi risponde è un uomo, mentre come segretarie ho avuto sempre donne, tranne il lurido vecchio maiale schifoso della prima scuola in cui ho insegnato. E dunque mi avvio per andare in centro in autobus e strada facendo mi fermo a salutare un’amica – o collega, o compagna di scuola, probabilmente erano più persone insieme – e già che ci sono mi faccio anche una doccia. Mentre sto per andarmene vedo la piscina e non riesco a resistere, mi spoglio e mi tuffo per fare qualche bracciata, anche se so che poi dovrò perdere altro tempo per asciugarmi e rivestirmi, e quando sono uscita dalla piscina ho guardato dalla finestra ed era tutto coperto di neve, mentre un momento prima era piena estate. Poi mi sono svegliata, e come sempre il primo pensiero è stato: “Ah, era un sogno, allora non mi hanno rubato la macchina”. E per non uscire di tema
Di cui non vi mostrerò le solite cose che si vedono dappertutto e che in parte avete già visto anche da me. Vi faccio vedere invece questa immagine di una via qualunque, in pieno centro,
perché in Israele è così, il colore ti viene incontro anche quando proprio non te lo aspetti.
Poi succede che esci dall’albergo, percorri un isolato, imbocchi un sentiero
e ti ritrovi in mezzo a un parco, interamente irrigato con acqua riciclata, naturalmente, come si può riconoscere dalle tubature viola.
E di sentiero in sentiero
si arriva a questo bellissimo monumento agli eroi che hanno difeso Gerusalemme nella guerra di indipendenza.
Il tutto a due passi dal mulino Montefiore,
che tre anni fa avevo fotografato così.
barbara
Oggi sono andata al pronto soccorso qui, che ritengo decisamente più affidabile. Ci sono dovuta andare in taxi, perché ieri quando, arrivando, mi ero fatta portare dal taxi al parcheggio della stazione dove avevo lasciato la macchina, l’avevo trovata murata da mezzo metro di neve, e quindi avevo dovuto lasciarla lì.
Il medico che mi ha vista è leggermente inorridito alla vista di come erano state trattate le mie ginocchia, e ha provveduto a rimuovermi pezzi di pelle necrotizzata lavorando sulla carne viva (grrrrrr!), e mi ha fissato un appuntamento per domani mattina dal dermatologo, che con maggiore competenza potrà completare il lavoro. Ho avuto la consolazione di apprendere che nelle gambe non c’è trombosi, come avevo temuto e come anche lui, al primo momento, aveva ipotizzato, ma solo – sì, vabbè… – dei mostruosi ematomi (avete presenti quei cocomeri bislunghi? Ecco, tagliatene uno a metà per il lungo e appoggiatevi quella metà sulla gamba: la mia gamba destra è così, oltre ad essere già di suo grossa circa il doppio del normale. La sinistra invece è sì grossa il doppio, ma con ematomi più umani. Non posso neppure portare gambaletti o calzettoni perché me le segano, mentre i collant non li posso portare per via della pressione sulle ginocchia).
Quando sono uscita ho richiamato il taxi, ed è ricapitato quello di prima, che mi ha portata alla stazione e hanno lavorato un buon quarto d’ora, lui e la moglie, per liberarmi la macchina, senza volere un centesimo di più della tariffa fissata per i tragitti urbani. Disponendo della macchina, poi, ho anche potuto fare la spesa, cosa che altrimenti mi sarebbe stata impossibile.
Nota per gli amici personali: i miei telefoni sono ancora staccati. Sono ancora parecchio frastornata, ho difficoltà di concentrazione, spesso nausea, e sto quasi tutto il tempo a letto, dove mi assopisco a orari strani mentre non dormo affatto in quelli normali, e quindi non posso rischiare di perdere quei momenti, di cui ho estremamente bisogno.
Non so se anche a quella di Israele nel duemilatredici verrà dedicata una canzone (e se per caso qualcuno la dovesse fare, spero che ne farà una un po’ meno bruttina e sciapa di quell’altra), ma sicuramente resterà nella storia del Paese. E tanto per cominciare, ve ne do alcune immagini, sicuramente suggestive. (foto non mia) (foto non mia) (foto non mia) (foto non mia) (foto non mia) (foto di D. O., una settimana dopo che aveva smesso di nevicare)
E anche a Gaza, sì, dove a togliere i residenti dai guai sono dovuti andare, come sempre, i soliti perfidi giudei:
Purtroppo, però, non c’è stata solo la suggestione del manto bianco: ci sono state intere zone totalmente isolate, strade impraticabili e chiuse al traffico, aree senza acqua e senza corrente (per la cena di shabbat sono stata dall’amica Ester, da cui ho trovato due amiche di famiglia ospiti, profughe dai Territori Innevati) e, soprattutto, la distruzione di migliaia di alberi, spaccati o sradicati dal peso di quella smisurata quantità di neve.
E a Yad Vashem non ha avuto riguardo neanche per gli alberi dedicati ai Giusti
Poi volevo andare alla Valle delle Comunità. Di questo non mi sono data pensiero,
questo l’ho ignorato,
questo l’ho scavalcato,
ma poi mi sono trovata di fronte questo:
il sentiero era, semplicemente, sparito, e mi sono dovuta arrendere.
Sì, la ricorderanno in molti, la nevicata del duemilatredici (qui un paio di altre belle immagini, e qui delle spettacolari statue di neve).