Avevo parlato, sei anni fa, di questo suo libro meraviglioso, e ne ha scritti altri, di meravigliosi. Adesso non ne scriverà più, grazie a un virus che un infame regime comunista ha lasciato crescere e proliferare ed espandersi fino a coprire l’intero pianeta. E che oltre a uccidere, uccide anche sempre le persone sbagliate. 83 anni non sono pochi, certo, ma neanche tantissimi, chissà quanti altri splendidi libri avrebbe ancora potuto regalarci: sicuramente perdendo lui abbiamo perso davvero molto.
L’esercito come metafora? Potrebbe essere. Così come potrebbe essere, anzi, sicuramente è, tantissime altre cose: un trattato di psicologia, un trattato di sociologia (entrambi con approfondimenti che i normali trattati neppure si sognano), un romanzo di formazione, una storia a volte vagamente onirica, a tratti con reminiscenze kafkiane (mi è venuto da pensare, in più di un’occasione, a Gespräch mit dem Betrunkenen, Conversazione con l’ubriaco).
In realtà, lo confesso, sto un po’ menando il can per l’aia, perché questo è uno di quei libri talmente belli, talmente ricchi, in tutti i sensi, che non sai da che parte cominciare a recensirli, come quando hai tante emozioni che vorrebbero uscire tutte insieme, che ti si ingorgano le parole in gola e non ti esce niente; o come quando, più prosaicamente, capovolgi di colpo una bottiglia piena ed è l’acqua stessa a fare da tappo, e almeno per un momento non riesce a uscire. Per fortuna ho trovato in rete una bella recensione, questa, e vi invito a leggerla: è sicuramente molto migliore di quanto riuscirei mai a dire io.
Aggiungo solo un’ultima cosa, in merito al titolo: è una frase che un superiore dice a un sottoposto, di cui è stato compagno di scuola: non temere (vendette) e non sperare (favoritismi). Titolo lontanissimo da quello originale (Hitganvut yehidim, Infiltrazione individuale – o dei singoli – titolo di una delle parti del libro), e tuttavia significativo perché anche questa, volendo, si potrebbe considerare come una metafora della vita stessa. Yehoshua Kenaz, Non temere e non sperare, Giuntina