ANCORA SUI VACCINI 2

Inizio con un po’ di numeri, quelli tutti interi, non quelli pescati selezionando quelli che fanno comodo a dimostrare la propria tesi precostituita. Perché per sapere se e quanto i vaccini funzionano, non vanno contati gli ammalati fra i vaccinati, bensì i vaccinati fra gli ammalati. E quando si opera in questo modo, i risultati sono questi:

E ora un po’ di numeri su Israele, che tutti i novax chiamano in causa per dire che Israele, pioniere e capofila della vaccinazione, è la prova che i vaccini non servono a niente, anzi, sono proprio i vaccini a provocare la malattia (il come, visto che nel vaccino a mRNA NON c’è il virus, rimane un mistero)

over 60, azzurro non vaccinati, verde chiaro vaccinati parziali, verde scuro vaccinati completi
under 60, azzurro non vaccinati, verde chiaro vaccinati parziali, verde scuro vaccinati completi

Aggiungo alcuni dati e una domanda, che mi sembra l’unica sensata, dell’amico Enrico Richetti, che ha famigliari in Israele e informazioni sempre di prima mano.

Enrico Richetti

Dal 27 luglio al 25 agosto in Israele, i malati gravi oltre i 60 anni sono:
triplicati tra i vaccinati
quadruplicati tra i vaccinati con una sola dose
moltiplicati per nove tra i non vaccinati.

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Chi non crede ai dati ufficiali, che alternative offre?

E infine due note significative dalla Russia

Passo ora a un importante e documentato articolo sul più allarmante degli effetti negativi dei vaccini a mRNA.

Indagine sui casi di miocarditi notificati in relazione ai vaccini a mRNA anti-COVID-19

Informazione per gli operatori sanitari

04.06.2021

In tutto il mondo vengono al momento esaminati i rarissimi casi notificati di sospette miocarditi che possono avere una correlazione con l’uso dei vaccini a mRNA anti-COVID-19. Finora Swissmedic ha ricevuto solo un numero relativamente esiguo di notifiche di reazioni avverse riguardanti le miocarditi. Swissmedic ritiene comunque utile fornire agli operatori sanitari un’informazione sullo stato attuale delle conoscenze.

La miocardite è una malattia cardiaca infiammatoria causata principalmente da virus. I fattori scatenanti possono però essere anche altri agenti patogeni infettivi, sostanze tossiche, medicamenti o malattie immunomediate.

L’incidenza delle miocarditi è di circa 22 su 100 000 (per fare un confronto: in Svizzera l’incidenza dell’infarto miocardico acuto è dieci volte superiore con 227 su 100 000). I tipici sintomi di una miocardite acuta includono dolore toracico, dispnea, spossatezza e palpitazioni, fino a sincope e shock cardiogeno nei casi gravi.

I sintomi clinici di una miocardite possono essere molto variabili e persino assomigliare a quelli di un infarto miocardico acuto. Una miocardite dovrebbe essere presa sempre in considerazione nei pazienti che presentano un aumento dei biomarcatori cardiaci come la troponina o alterazioni dell’ECG che sono compatibili con un danno miocardico o che documentano un’aritmia cardiaca finora non nota.

Anche le alterazioni della morfologia e della funzione del ventricolo sinistro riscontrate tramite ecocardiogramma o RM cardiaca (tomografia a risonanza magnetica) possono essere dovute a una miocardite. Le misurazioni della reazione infiammatoria e del suo profilo di distribuzione nel cuore tramite RM cardiaca consentono di diagnosticare una miocardite con elevata sicurezza. In sintesi, la diagnosi clinica di una sospetta miocardite si basa su una combinazione di parametri e risultati clinici.

Notifiche spontanee dalla Svizzera

Alla luce dei quasi 5 milioni di dosi di vaccino somministrate (stato: inizio giugno 2021), fino al 27.05.2021 a Swissmedic sono stati notificati i seguenti casi: miocardite (n=2), perimiocardite (n=4) e pericardite (n=6), con sovrapposizioni tra queste patologie. Pertanto, il tasso di notifica delle reazioni menzionate è stato finora di circa 1 notifica per 400 000 dosi di vaccino. Le notifiche riguardano 3 donne e 8 uomini, in un caso il sesso non è stato specificato. L’età media è di 47 anni (fascia d’età: 18-70). Quattro notifiche riguardano Comirnaty e sette il vaccino di Moderna, in un caso manca questa indicazione.

In nove casi i disturbi si sono verificati dopo la prima dose e in tre casi dopo la seconda dose. Il tempo intercorso tra la somministrazione della seconda dose e la reazione è stato in media di 8,75 giorni (periodo: da 1 a 28 giorni). Cinque pazienti su 12 erano affetti da patologie pregresse rilevanti, tra cui insufficienza renale cronica, condizione post-trapianto renale, sindrome mielodisplastica, pericardite recidivante (per la pericardite ora notificata dopo la vaccinazione). Un paziente (di 67 anni) con una patologia cardiaca pregressa e insufficienza renale dialisi-dipendente ha sviluppato uno shock cardiogeno ed è deceduto. La maggior parte degli altri casi, da quanto si evince dai documenti, ha mostrato un decorso piuttosto blando o non sono ancora disponibili informazioni definitive sulle conseguenze della malattia.

Notifiche internazionali di casi sospetti

Anche a livello internazionale vengono attualmente esaminati i rarissimi casi di sospette miocarditi/pericarditi verificatisi dopo le vaccinazioni con vaccini a mRNA anti-COVID-19. Una commissione per la sicurezza dei vaccini del Center for Disease Control and Prevention (CDC) statunitense ha recentemente sottolineato che i casi di miocarditi notificati finora sono relativamente pochi. I casi notificati di sospette miocarditi sembrano verificarsi principalmente negli adolescenti e nei giovani adulti, più frequentemente nelle persone di sesso maschile vaccinate e dopo la seconda dose. In genere, i disturbi iniziano nei primi quattro giorni dopo la vaccinazione e nella maggior parte dei casi notificati hanno mostrato un decorso blando.

Conclusioni preliminari e raccomandazioni per gli operatori sanitari

In considerazione del basso tasso di notifica generale, della bassa incidenza di fondo della malattia e della complessità clinica dei casi notificati, al momento a livello internazionale non è ritenuto chiaro se sussista effettivamente una relazione causale tra i vaccini a mRNA e queste reazioni.

Gli operatori sanitari dovrebbero in ogni caso prendere in considerazione questo sospetto di diagnosi se, in stretta relazione temporale con la vaccinazione, si verificano nelle persone disturbi che sono compatibili con una miocardite/pericardite e che non sono stati causati da altre malattie cardiache.

I casi sospetti dovrebbero essere notificati a Swissmedic con i relativi risultati degli esami. Il rapporto rischi-benefici positivo dei vaccini a mRNA utilizzati in Svizzera non è attualmente influenzato da queste notifiche di casi sospetti.

Swissmedic continuerà a monitorare con attenzione questo argomento in cooperazione con i centri regionali di farmacovigilanza e in stretta collaborazione con le autorità estere e, se dovessero emergere nuovi aspetti, immediatamente fornirà informazioni al riguardo o avvierà misure volte a ridurre i rischi. (qui)

Sembrerebbe dunque che le voci che corrono in merito siano quanto meno esagerate, e i numeri gonfiati, tanto più che le “notizie” sono regolarmente prive di fonte, o dotate di fonti inattendibili, quando non del tutto farlocche.
Aggiungo ancora questa riflessione, che condivido totalmente.

La libertà non è un pranzo di gala: la disobbedienza “incivile” nel tempo dei social media

In un’epoca contraddistinta dalla caotica cassa di risonanza dei social media, così immediati, così oleografici e sdrucciolevoli nella percezione della realtà del messaggio veicolato, e dall’infuriare della crisi pandemica, la quale dopo un anno e mezzo ha polarizzato il dibattito pubblico ben oltre il punto di non ritorno, c’è una locuzione che sembra affiorare all’aria, come se tornasse a pelo d’acqua dopo una lunga, immota apnea.
È la disobbedienza civile. Ne leggiamo, ne sentiamo parlare, la vediamo dipinta sui cartelli che si affastellano nelle piazze o sulle bacheche virtuali di cittadini che tra un buongiornissimo kaffè e un post su qualche complotto segretissimo ci tengono a comunicarci, e a comunicare al governo chiaramente, il loro essere dei ribelli, dei descamisados alla Pancho Villa.
Una delle caratteristiche più turpi della contemporaneità è senza dubbio quella di aver ingenerato l’illusione che tutto sia facile, semplice, lineare e tendenzialmente a costo zero. Persino la rivoluzione. Persino la ribellione.
Basta imbracciare il computer, dopo aver trangugiato una fetta di ciambellone e bevuto un cappuccino, aprire il proprio profilo Facebook e scriverci sopra una qualche chiamata alle armi, e ci si sentirà meglio, in pace col mondo. Forse anche più furbi.
L’atto di dissonanza e di dissidenza rispetto al potere costituito diventa un baudrillardiano ologramma, una copia originante da nessun originale. Ed è per questo che si reclama la libertà, si rivendicano i diritti, ma poi si rifluisce nell’italico ‘armiamoci e partite’, lasciando che sia immancabilmente sempre il famigerato ‘altro’ a escogitare il come e a porre in essere qualche condotta, subendone spesso le conseguenze che in genere sono anche spiacevoli.
Il rivoluzionario social timorato delle autorità inveisce contro i complotti, contro l’abuso del potere, contro la illegittimità delle leggi, evocando la giusnaturalistica forza della legge naturale (senza sapere cosa sia, chiaro), ma poi davanti alla forza reale del potere pubblico chinerà la testa e lascerà che ad andare davanti al metaforico plotone d’esecuzione siano gli altri.
Quando Henry David Thoureau scrisse, all’inizio del suo “Disobbedienza civile”, che “il migliore dei governi è quello che governa di meno”, lo poteva ben sostenere, avendo sperimentato l’interno di una galera e avendo soprattutto edificato una sua propria, coerente ed organica visione sulla ingiustizia strutturale del potere pubblico.
E d’altronde sarà sempre Thoureau, qualche pagina più avanti, parlando dei suoi confronti e scontri con la persona del suo vicino di casa esattore delle tasse a scrivere come in uno Stato che incarcera chiunque ingiustamente, il posto dei giusti sia la prigione.
Un tempo, prima di affermare la disobbedienza si decostruiva il problema con cui ci si doveva confrontare; in altri termini, l’oggetto della disobbedienza.
Oggi al contrario, nella narcisistica cacofonia di voci, idee sminuzzate, progetti abborracciati, complottismo d’accatto, si antepone la virtualità edonistica di un atto di rifiuto indirizzato contro il nulla o sparato ad alzo zero contro l’obiettivo sbagliato tanto per mostrarsi in pubblico e soltanto perché nella chat Telegram o nel gruppo Facebook il leader di turno così proponeva e allora si deve seguire, ci si deve conformare, e si sostituisce il Pifferaio statale con un altro genere di Pifferaio.
Si cessa di essere individui autodeterminati e si cade preda di uno psicotico collettivismo digitale che urla, strepita, minaccia, si autoconferma nelle convinzioni apodittiche.
Un tempo, il disobbediente era spirito critico, dai sensi allertati e attenti, e muovendosi sul delicato crinale, friabile, del confine tra legalità e illegalità, doveva nutrirsi di sapienti previsioni e di capaci analisi. Oggi invece si condivide un meme e si pensa di aver fatto la rivoluzione.
Ma c’è poi un altro aspetto che rende inqualificabile e pernicioso lo pseudo-ribellismo contemporaneo: la mancanza di volontà di accettare rischi sulla propria pelle per azioni o omissioni, di disobbedienza, diventa inversamente proporzionale alla idea, gretta, sudicia e meschina, di doverli riversare sulle spalle di quelli che sembrano essere i propri antagonisti.
Prendiamo la questione del Green Pass: mute idrofobe di no-vax dal senso strategico di una lontra se la prendono con gli esercenti che lo richiedono, visto che la legge a questo obbliga. Li accusano di essere dei collaborazionisti, di mancare di coraggio. E così facendo proiettano la loro vigliaccheria strutturale, la loro mancanza di coraggio, sulle spalle di altri.
Perché quel che contestano, ovvero l’aderire e ossequiare un precetto di legge asseritamente ingiusto, lo riversano integralmente sulle spalle di un altro, di un padre di famiglia, di un proprietario di un’attività che ancora oggi sta a leccarsi le ferite economiche.
È chiaro: un sessantenne la cui unica ragione di vita sia ormai condividere panzane online, dall’alto della sua pensione statale, senza dover sopportare i costi economici e sociali delle sue posizioni, può certo permettersi di fare la morale a un ristoratore sfiancato da un anno e mezzo di lockdown, limitazioni, chiusure selettive, riduzione della capienza, costi di sanificazione, merce pagata e buttata.
Queste azioni di boicottaggio sono delle aggressioni alla autodeterminazione dei commercianti e degli esercenti che scelgono, secondo loro decisione e convenienza, di aderire o meno al precetto di legge, sono assalti alla loro libertà commerciale e individuale e alla loro proprietà.
Se si ritiene ingiusto dover mostrare il Green Pass o se si pensa che il dato ristoratore stia sbagliando, si cambi ristorante senza dover fare collettive chiamate alle armi o scenate da prima donna.
Il sessantenne rivoluzionario pensionato deve anche sentirsi discretamente trasgressivo e maudit nell’aderire ai progetti di boicottaggio telefonico: si chiama il ristoratore ‘collaborazionista’, si prenota e non ci si presenta.
Tanto al pensionato che si sente Jesse James che gli frega, lui cenerà con i bastoncini Findus guardandosi un film dei Vanzina, non prima però di aver salutato i suoi compagni di lotta digitale sui peggiori canali social, compiacendosi di aver rovinato la serata al ristoratore non sufficientemente rebelde.
Per carità, ci sono anche quei commercianti che consapevolmente sono rimasti aperti durante le chiusure imposte per legge e hanno affrontato le sanzioni, loro autenticamente disobbedienti, ma in genere questi diventano sempre i paladini e lo scudo morale e l’alibi di tutta quella massa di altri ignavi che preferiscono trasgredire per interposta persona. Il loro gesto viene sdilinquito e svilito dalla interpretazione collettiva della fumisteria complottista.
Quando Lysander Spooner, nel 1844, creò la American Mail Letter Company per contrastare il monopolio pubblico delle spedizioni postali era ben consapevole di quali sarebbero state le conseguenze dell’incrociare la spada contro il Golia statale, eppure la consapevolezza piena che la questione non sarebbe finita bene non lo indusse a desistere.
Il governo americano impiegò sette anni per piegarlo, ricorrendo chiaramente alla legislazione e alla imposizione ex lege del monopolio, dopo che i giudici avevano riconosciuto le ragioni concorrenziali di Spooner.
Non appare casuale quindi che Spooner, in “Legge di natura”, definisca la legislazione come presa di possesso del controllo da parte di un individuo o di un gruppo su tutti gli altri: sapeva quel che diceva, essendoci passato e portando sulle sue carni ancora le cicatrici della verità empiricamente dimostrata di quella asserzione.
Ma Spooner non faceva fallire con trucchetti gli altri uffici postali e sapeva che i problemi, una volta insorti, li avrebbe dovuti affrontare lui, offrendo (in metafora) il petto allo sparo dei fucili statali. Non si sottrasse, con qualche escamotage, né cercò comodi capri espiatori.
La tragicità del tempo presente, la illusione grondante ignominia, è che tutto sia semplice e indolore. Al massimo, il costo drammatico di certe scelte verrà sopportato da altri. Così ragionano i rivoluzionari da salotto che si danno convegno seguendo hashtag e personaggi da operetta.
E invece il concetto stesso di disobbedienza civile implica la autoresponsabilizzazione totale, fino alle estreme conseguenze: se si ritiene ingiusta una legge, stando a principi di ragione o di legge naturale, non si fanno pagare i danni dell’atto di rivolta individuale a soggetti innocenti, esternalizzandone il peso. Non si boicottano gli altri, perché li si ritiene ‘collaborazionisti’. Cosa che concilia un inciso sulla barbarie semantica in cui siamo caduti, posto che certi paragoni hanno davvero sfiancato.
Non siete Agamben, non siete Cacciari, e il discorso che loro fanno, condivisibile o meno, non è che i medici vaccinatori siano le Einsatzgruppen hitleriane, o che dietro la fisionomia dei centri vaccinali si celi il nuovo campo di sterminio, per l’amor di Dio. Cerchiamo di mantenere un minimo di decoro intellettuale e di senso delle proporzioni e della storia.
Agamben e Cacciari parlano di critica alle scelte di governo nel generale quadro di una torsione potenzialmente autoritaria del vivere civile e dell’ordinamento, sulla impossibilità di rendere permanente l’emergenza, postulando lo spettro sulla linea d’orizzonte di uno schmittiano stato di eccezione che finisce per inocularsi nell’ordinamento e nella coscienza sociale passo dopo passo, provvedimento dopo provvedimento.
Anche la tragica banalizzazione del pensiero critico diventa altra esternalità negativa dei simulacri digitali di disobbedienza. Disobbedienza incivile, va detto.
Perché ingrigisce e rende materia inerte e complottista tutto, anche le argomentazioni più serie e ponderate. L’ermeneutica complottista da Facebook delle posizioni di Cacciari è la migliore alleata del potere costituito che si possa immaginare, esattamente come le telefonate collettive di false prenotazioni sono una attività indegna e da guerra di tutti contro tutti, per la somma gioia del potere statale che assiste in sollucchero.
D’altronde come scriveva R. Vaneigem, trasgredire i tabù, così comanda il progresso economico.
Il ribelle invece, come il pioniere, è quello con le frecce nella schiena. Nella sua schiena. Non in quella del vicino di casa o del barista o del ristoratore.
La disobbedienza, come la libertà, non è un pranzo di gala, e se uno vuol praticarla seriamente deve essere pronto a pagarne le conseguenze, sulla propria pelle.
Andrea Venanzoni, 25 Ago 2021, qui.

Ho visto le foto dei no green pass in Francia: decine di gruppi di decine di ragazzotti ciascuno seduti per terra a fare provocatoriamente picnic di fronte ai ristoranti che, per non vedersi chiudere il locale, devono chiedere il green pass. Posso dire che sono delle merde? Vabbè, mi autorizzo da sola: sono delle merde.

Continua (ma il prossimo è divertente, vedrete)

barbara

FACCIAMO IL PUNTO DELLA SITUAZIONE, PARTE QUINTA E STAVOLTA DAVVERO (CREDO) PENULTIMA

Per non allontanarmi troppo dal post precedente, comincio coi numeri, per la precisione quelli di quella pagliacciata che è il quotidiano bollettino del coronavirus. Quello in questione è quello del 2 settembre, pubblicato su La Repubblica.

Sale a 109 (+2 rispetto a ieri) il numero dei malati ricoverati in terapia intensiva. Si sta tornando quindi ai livelli della seconda metà del luglio scorso. Secondo il bollettino sono 1.437 i ricoverati con sintomi (+57 rispetto a ieri) e 26.271 i pazienti in isolamento domiciliare. In tutto, le infezioni attualmente in corso riguardano 27.817 persone (+1.063).
Sono 257 i nuovi guariti/dimessi segnalati nelle ultime 24 ore dal ministero, in calo rispetto a ieri, quando erano stati 291. Il totale dei guariti/dimessi sale così a 208.201.

Vediamo una per una le boiate contenute in queste poche righe.

  1. Sale (di 2 unità!) il numero dei ricoverati in terapia intensiva. Sappiamo – è documentato – che viene considerato covid chiunque abbia un tampone positivo (e qualche volta anche con tampone negativo), anche se è entrato a causa di un incidente stradale e di sintomi di covid non ne ha neanche mezzo, per cui queste cifre non hanno alcun valore, ma per perpetuare il terrorismo mediatico le citano, precisando che “sono aumentate”, anche se in misura talmente irrisoria da rendere ridicola la precisazione.
  2. Il confronto coi livelli della seconda metà di luglio: ha un senso? No. Ha un significato? No. Ha uno scopo? Sì, chiaro come il sole: suggerire che “stiamo tornando indietro” e perpetuare il terrorismo psicologico.
  3. In tutto, le infezioni attualmente in corso riguardano 27.817 persone (+1.063). Siccome i numeri sono ridicolmente bassi, decisamente troppo bassi per poter terrorizzare con quelli, per dare un effetto volume, come millantato da certi shampo, fanno un bel mucchio schiaffando insieme ricoverati in terapia intensiva, ricoverati in corsia e i pazienti (“pazienti”?!) in isolamento domiciliare, ossia tutti quelli che sono risultati positivi a un tampone, buona parte dei quali sono quelli, di cui già si è parlato, non più malati e non più contagiosi da mesi ma costretti all’isolamento da un’assurda norma applicata – sarà un caso? – unicamente in Italia.
  4. E questa è veramente spettacolare: i ricoverati con sintomi sono 57 più del giorno prima; poi, ben distanziato, mettendoci in mezzo, per distrarre l’attenzione, come i prestigiatori che fanno venti movimenti apparentemente inutili ma utilissimi allo scopo di distrarre la nostra attenzione da là dove stanno facendo il trucco, i pazienti (pazienti!!) in isolamento domiciliare, il totale delle “infezioni” in corso, l’aumento del numero totale delle “infezioni” in corso, ci dice che i nuovi guariti sono 257, con la speranza che non ci accorgiamo – e contando sul fatto che non tutti hanno tale dimestichezza coi numeri da notare i nessi a colpo d’occhio – che i nuovi guariti sono esattamente quattro volte e mezza i nuovi malati. E per meglio focalizzare il concetto che “stiamo andando male, molto male, sempre più male”, aggiunge “in calo rispetto a ieri, quando erano stati 291”. Il giorno in cui tutti quelli che dovevano morire saranno morti e tutti quelli che dovevano ammalarsi si saranno ammalati e tutti quelli che dovevano guarire saranno guariti e avremo 0 malati e 0 morti, ci comunicheranno sconsolati e in tono drammatico: “Non accenna a diminuire il numero dei malati e quello dei morti”.

Pennivendoli marchettari al servizio della strategia del terrore, criminali quanto i loro mandanti e pagatori. E a chi si beve le cifre senza metterle in discussione e senza verificarle, propongo questo

E mi sa che è giusta la seconda: non lo capiranno mai.

Proseguo con lo smascheramento (già fatto da me, ma se lo fa un giornalista coi fiocchi e controfiocchi è decisamente meglio) dell’ennesimo guru passato armi e bagagli al nemico, ossia al terrorismo sanitario perpetrato dal governo e dalle veline di regime.

Crisanti si converte al terrorismo virale

Dottor Crisanti è un genetista e microbiologo di Padova, assai stimato e con ragione: è principalmente lui l’artefice del metodo che ha salvato il Veneto, e il suo governatore, da guai peggiori conseguenti al coronavirus; disattendendo i confusi, velleitari orientamenti governativi per concentrarsi subito su uno screening a tappeto fatto di tamponi tamponi tamponi. Salvato il Veneto, evviva dottor Crisanti, diventato il simbolo gentile, mitemente sfinito, dell’attendibilità scientifica, della sagacia tempistica, di un decisionismo magari eretico, pure contro l’Oms, ma, come nelle più belle favole, capace di raggiungere un lieto fine, seppur relativo. Senonché, a un certo punto, dottor Crisanti si è trasformato in Mr Hyde: quando tutti si aspettavano identica prudenza, il solito tratto rassicurante, bonario, sdrammatizzante circa la fantomatica seconda ondata, il medico ha preso via via ad assumere un contegno sempre più preoccupato, ansioso, ansiogeno spiazzando tutti a cominciare da Zaia, che difatti ci ha attaccato quasi subito baruffa chiozzotta.
Crisanti muta in Cassandra, ogni giorno la sua pena in forma di allarme: occhio, i contagi risalgono, attenti, i numeri dimostrano, pericolo, c’è la sottostima della realtà, dannazione, siamo ai livelli di marzo, anatema, i comportamenti non vanno bene, mamma mia, la movida è scriteriata, sapevatelo, la chiusura è una possibilità. Ma che è successo? A pensar male si fa peccato ma ci si indovina, diceva Andreotti che era malevolo ma saggio; noi non siamo Andreotti, non pensiamo male e ci limitiamo a mettere in fila gli eventi. Che sono i seguenti: Dr Crisanti ha cambiato registro, sicuramente per fondate ragioni scientifiche; ha cominciato ad avallare letture preoccupanti; è stato arruolato nel team di governo come consulente; e che a questo punto Mr Hyde è diventato uno dei più ortodossi difensori del catastrofismo virale.
Il fatto, in prospettiva squisitamente tecnica, è che Crisanti tende, comprensibilmente, ad allargare la strategia dei tamponi, vincente in Veneto a suo tempo, a tutto il paese e ad ogni situazione. Quindi insiste, più tamponi per tutti: “I contagi sono gli stessi di marzo, ma allora erano solo la punta dell’iceberg. Dobbiamo portare i test a 400 mila al giorno. Più persone si incontrano e più aumenta la probabilità di infettarsi”. E ancora: “Ogni bambino positivo genera la necessità di fare 100-150 tamponi”. Di più, ultima esternazione fresca fresca: “Le mascherine vanno portate anche al banco”, perché i ragazzini parlano, quindi potenzialmente infettano. Ma non tutti la pensano come lui, e anche questo è normale. Il più possibilista, e rilassante, Matteo Bassetti, infettivologo, direttore di Malattie Infettive al San Martino di Genova, non si stanca di placare le fobie. E osserva che un uso indiscriminato di tamponi non solo non serve, ma sarebbe persino impossibile. “Al ritmo di 300 mila tamponi al giorno, in 6 mesi avremmo testato l’intera popolazione italiana. Non serve, sia perché l’esito potrebbe mutare nell’arco di pochi giorni o ore, in caso di contatto con un infetto, sia perché ci pone di fronte a un dilemma: se fossimo tutti positivi, anche gli asintomatici, dovremmo chiudere tutto? Se avessimo il 3-4% della popolazione italiana positiva cosa faremmo? Non ha senso: con questo virus si deve convivere, non esserne terrorizzati”. Rincara Bassetti, dritto al punto: Il modello di Vo’ Euganeo non è estendibile all’intero Paese. In quel caso si è isolato e testato un paese di 3 mila anime, meno di coloro che lavorano all’ospedale San Martino di Genova. Senza contare le ricadute in termini di costi immediati per eseguire i tamponi e di lungo periodo su un’economia già in ginocchio”.
A questo punto, liberi tutti. Di dividersi, di tifare, di sospettare, di preoccuparsi, di incazzarsi. E, alla fine della storia, è proprio questo il problema: che, a distanza di sette mesi da un virus inafferrabile, mutante, tuttora ignoto quanto alle origini, generatore di dietrologie, insomma di una incertezza di fondo che ha scatenato una destabilizzazione globale, gli scienziati non sembrano riuscire a trovare un accordo, un punto fermo da cui partire, una base per lavorare insieme. Il virus ha diviso i morti dai vivi, i sani dai malati, la destra dalla sinistra (ancor di più), i virologi dai microbiologi, i cittadini dai cittadini. Amicizie profonde s’incrinano per una mascherina, un parere su un social. Clientele storiche vanno a ramengo, la diffidenza di noi contro di noi ci scava ed è peggio del contagio, è contagio a sua volta, sfibrante, devastante
La scienza, la divulgazione scientifica non ne escono, ne risultano frammentarie e dissociate, la confusione avvolge tutto, l’insofferenza cresce, incrociata dei paranoici verso i lassisti, di questi ultimi contro i primi. Pare “dotti medici e sapienti”, la canzone di Bennato coi luminari che, al cospetto del paziente, non si mettono d’accordo: dovremmo, come quello, alzarci e scappare? Tutti quanti? E dove? Speriamo almeno che anche dottor Bassetti, domani, non si trasformi in Mr Hyde.

Max Del Papa, 4 settembre 2020, qui.

Aggiungo un commento lasciato sotto l’articolo, che ritengo particolarmente interessante in quanto viene da un medico.

Serafo

Io francamente non capisco e da medico dico che a questo punto siamo in una situazione normale in una epidemia, passata la fase critica in cui al contagio corrisponde la malattia con conseguente intasamento del sistema sanitario si entra nella fase in cui non è il contagio a mutare ma la manifestazione clinica. Attualmente i dati sono questi: 1) una buona parte degli italiani ha già incontrato il virus; 2) i sintomatici sono pochi e con quadri clinici tali da non condizionare il sistema assistenziale che invece per la paura sta trascurando altre patologie con danni elevatissimi. Conseguentemente non c’è alcun senso nel proporre le limitazioni e restrizioni attuali, anzi andrebbero eliminati verificando che comunque i dati relativi alle manifestazioni cliniche non cambierebbero. Sicuramente però nella situazione attuale c’è già un business che spera di continuare a fare affari d’oro con tamponi, reagenti, mascherine, banchi a rotelle e sopratutto comitati scientifici e commissari straordinari.

A proposito del dottor Crisanti e affini, ritengo non inutile ricordare che per i cristiani il Messia è già venuto; per gli ebrei invece ancora no, ma non risulta che colui che deve venire si trovi fra i già nati – meno che mai fra i già nati non ebrei – anche se in passato hanno fatto cose eccellenti. Di conseguenza sono dell’opinione che non sia il caso di trattarli da “Io sono la Via, La Verità e la Vita”.

Concludo questa forse penultima parte con una interessante lettura da parte di Enrico Montesano

e con un fervido auspicio

barbara

DATEMI UN NUMERO DA TAROCCARE E VI SCARDINERÒ IL MONDO

La cialtronaggine dei nostri media mainstream: il pregiudizio anti-Trump gioca brutti scherzi

di Atlantico Quotidiano, 3 Set 2020, qui

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Mariano Bella, direttore del Centro studi di Confcommercio

Zapping
Verso le undici di sera di qualche giorno fa un “giornalista” di una rete italiana all news annunciava, senza celare una certa soddisfazione – almeno così mi è parso – che il prodotto lordo americano era crollato nel secondo trimestre del 31,7 per cento. Poco dopo la mezzanotte, sulla stessa rete, un suo collega, evidentemente stremato da una dura giornata di lavoro, si fumava l’uno virgola di cui sopra e sintetizzava la variazione del Pil Usa in -37 per cento. A quel punto, seppure sotto l’influsso dello Chardonnay, rapidamente calcolavo il trend. Di conseguenza, decidevo di andare a dormire onde evitare l’imminente notizia della scomparsa del continente americano.

Tweet
Su Twitter, contrariamente alle consuetudini, si approfondiva, spiegando: “La terra del libero mercato, dell’auto-determinazione anche sanitaria, dell’individualismo. Eccola: Usa -31,7 per cento”. E il dato era dentro una tabella che presentava anche le variazioni per diversi Paesi europei, tutte di entità molto più contenuta. Dimostrare è un’arte, e farlo con i numeri conferisce autorevolezza.

Pazienza e noia
Essere anti-trumpiani o antiamericani – direi la seconda più della prima – può andare anche bene (non a me). Essere contro l’aritmetica no, in nessun caso. Vale giusto la pena ribadire che i dati Usa sono annualizzati, cioè le variazioni di un trimestre rispetto al trimestre precedente (variazioni congiunturali) sono calcolate trasformando il dato puntuale nella variazione tendenziale che si osserverebbe fra tre trimestri se le tre prossime variazioni congiunturali fossero uguali all’ultima osservata (cioè il Pil Usa risulterebbe inferiore del 31,7 per cento nel primo quarto del 2021 rispetto al primo quarto del 2020, se nel terzo e quarto trimestre del 2020 e nel primo trimestre del 2021 la variazione congiunturale fosse uguale a quella registrata nel secondo quarto dell’anno 2020).
Perché persone serie e pragmatiche come gli economisti del Bureau of Economic Analysis siano fissati con calcoli così astrusi non saprei dirlo. Probabilmente odiano l’idea di variazione congiunturale e sentono il dovere di trasformarla, sempre e comunque, in una metrica tendenziale. Possiamo pregare perché si ravvedano, ma non imbrogliare sui numeri.

Risultati e classifiche
In ogni caso, bisogna riconoscere e accettare che si possono fare correttamente solo due confronti: tutti i dati calcolati all’europea o tutti i dati calcolati all’americana. Nel primo caso si ha (variazioni percentuali congiunturali): secondo trimestre 2020 Usa -9,1 per cento, Italia -12,8, euroarea -12,1, dopo un primo quarto rispettivamente pari a -1,3 per cento degli Usa contro -5,5 dell’Italia e -3,6 dell’euroarea. Nel secondo caso, all’americana, si ha, per il secondo trimestre del 2020, Usa -31,7 per cento, Italia -42,2 e zona euro -40,3, sempre dopo un primo trimestre 2020 molto più negativo in Italia e in Europa rispetto all’America. Per il futuro c’è poco da prevedere: se si torna ai pregressi tassi di crescita il vecchio continente e la vecchissima Italia recupereranno molto dopo. Alle stesse conclusioni si arriverebbe utilizzando parametri strutturali come l’elasticità dell’occupazione al Pil nei vari Paesi.

Elezioni
Se l’opinione pubblica americana si beve i numeri come li raccontano in Italia allora il presidente Trump ha un’altra freccia al suo arco. I prossimi dati, quelli relativi al terzo trimestre, verranno forniti il 29 ottobre (il 30 in Europa), qualche giorno prima delle elezioni. Il rimbalzo sarà ovunque fortissimo (sebbene non comporterà un pieno recupero). A capitalizzazione composta, cioè all’americana, la crescita Usa potrebbe essere del 20-25 per cento. Se venduta bene – cioè soprattutto negli Stati giusti – può valere moltissimo.

“Giornalisti” (italiani; certo, non tutti)
La sera dopo. Telegiornale rete nazionale pubblica prime time: “La perdita del Pil italiano nel secondo trimestre è stata pari al 12,8 per cento, un crollo che non si vedeva dal 1995”. Provo pulsioni autolesionistiche per non pensare a quello che ho sentito. In italiano, se ancora lo capisco, vorrebbe dire che un dato peggiore di quello appena registrato era stato osservato nel 1995 e non successivamente (fino a oggi). Anche i più giovani, magari per sentito dire, ricorderebbero un evento di tale gravità, se fosse veramente accaduto. Però non lo ricorda nessuno. Perché non è accaduto (il 1995 è stato un anno buono, anzi ottimo, se confrontato con i periodi più recenti).
Ma chi può pensare una cosa del genere? Solo quelli che possono pensare, appunto, che il Pil Usa sia potuto scendere di oltre 30 punti percentuali nella metrica usuale. Cioè solo quelli che non conoscono neppure lontanamente le dimensioni e il funzionamento delle moderne economie.
Però sia nel caso Usa sia nel caso del “dato italiano peggiore dal 1995”, l’assoluzione va accordata. “I giornalisti danno le notizie”, così mi dissero quando ero giovane e protestavo per gli errori che diffondevano. Non devono verificarle, né capirne il senso.
Così, vuoi per idiosincrasia nei confronti dell’inglese o delle statistiche internazionali, in un caso, vuoi, nell’altro, per l’impossibilità di leggere l’intero comunicato Istat – che pure poteva scrivere già in prima pagina “… peggiore dal 1995, anno di inizio delle serie storiche trimestrali” – dobbiamo sentire e prendere quello che viene. E se abbiamo specifiche consuetudini culturali e sufficiente discernimento, proveremo a difenderci: riconoscendo, per esempio, che una caduta come quella del secondo trimestre di quest’anno l’Italia, verosimilmente, non la sperimentava dal secondo o terzo trimestre del 1944. Se non abbiamo, invece, specifiche conoscenze, allora ripeteremo ai nostri congiunti – resto sul vago, sì – e ai nostri amici le fesserie che ci sono state raccontate.
Nel frattempo, fantasiose e strumentali ricostruzioni della nuova strategia della Fed si abbattono sull’opinione pubblica italiana. Siamo un popolo indifeso.

Giornalisti cialtroni incompetenti deficienti o giornalisti intenzionalmente mistificatori? Difficile dirlo. D’altra parte siamo la patria di giornalisti come questo

e qui siamo sicuramente nella prima categoria (magari, va’ a sapere, è uno che ha letto il non immortale “Porci con le ali”, e pensando che i cinghiali appartengono alla stessa famiglia ha pensato che l’angelica dotazione spettasse anche ai cinghiali).

barbara

LA MATEMATICA, QUESTA SCONOSCIUTA

A proposito di religioni e di chiese e di incendi e altre simili amenità.

Il mistero delle chiese bruciate in Francia: 21 in due anni e oltre mille atti anti-cristiani nel solo 2019

 di Marco Cesario, 20 Lug 2020

Continua la misteriosa e persistente ecpirosi degli edifici cristiani in Francia. Dopo Nôtre-Dame e Saint Sulpice a Parigi, dopo Saint Denis, Grenoble, Tolosa, Rennes, Nancy, Pontoise, è la volta della splendida cattedrale gotica dei Santi Pietro e Paolo a Nantes, edificata tra il 1434 ed il 1891. Un violento incendio è scoppiato a livello del grande organo. Soltanto dopo circa tre ore i vigili del fuoco sono riusciti a domare le fiamme ma l’organo è andato completamente distrutto. L’organo dominava maestosamente la navata centrale dalla sua alta galleria eretta nel 1620, a cui si accede da una scalinata di ben 66 gradini, ed era opera del maestro Girardet. Un’inchiesta criminale è stata avviata in quanto l’incendio potrebbe essere doloso, come ha ribadito Pierre Sennes, procuratore di Nantes, menzionando una probabile origine dolosa, avendo i pompieri individuato tre diversi focolai [e certo, con tre diversi focolai “potrebbe”]. Interrogato sui primi elementi dell’indagine, il procuratore ha confermato l’arrivo, già sabato pomeriggio, di periti antincendio del laboratorio forense, incaricati di esaminare l’innesco dell’incendio e la configurazione dell’impianto elettrico della cattedrale.

La cattedrale di Nantes è l’ennesimo edificio religioso cristiano andato in fiamme per cause quasi sempre dolose. Checché [checché?] si siano additati di volta in volta i sistemi anti-incendio, il corto circuito, la vetustà degli impianti elettrici, la sbadataggine dei dipendenti o la lentezza dell’intervento dei vigili del fuoco, le cause sono nella maggior parte dei casi criminali. Lo dice un rapporto stilato dall’Osservatorio del Patrimonio Religioso (OPR) che in Francia ha elencato ben 21 chiese colpite da incendi e tentativi di incendio nell’arco di due anni, di cui almeno 15 di origine dolosa come dimostrato dalle inchieste effettuate dalla magistratura (solo in 6 casi dunque si presume l’origine accidentale [ecco, dici bene: si presume]). Di questi 15 incendi dolosi, 11 hanno causato danni considerati minori – che vanno da libri e documenti inceneriti, a tele d’altare bruciate o sagrestie danneggiate dalle fiamme, fino ad alcuni preziosi lavori di falegnameria perduti per sempre. Alcuni incendi sono stati accompagnati anche da atti di vandalismo su reliquie, statue, quadri, candelabri.

Quattro incendi dolosi hanno invece causato danni molto gravi: abbiamo già detto dell’organo della cattedrale di Nantes, che si aggiunge alla distruzione parziale di Nôtre-Dame – con il suo tetto composto da querce secolari e vecchio di oltre mille anni (la cosiddetta Forêt) andato in fumo e la Flêche di Viollet-le-Duc crollata – al portale del Settecento della chiesa di Saint Sulpice a Parigi completamente distrutto, all’interno devastato della chiesa Santa Brigida a Plappeville, e alla chiesa di San Giacomo di Grenoble, andata interamente distrutta da un incendio, tranne il campanile e la sua croce che rimangono ancora in piedi. Difficile oggi stabilire un’origine univoca di questi atti criminali [eh sì, moooolto difficile], che sembrano comunque inquadrarsi in una generale e diffusa ostilità verso tutto ciò che è cattolico o cristiano [gli atei nutrono una grande ostilità nei confronti di tutto ciò che è cattolico o cristiano, ma non ho mai sentito che abbiano l’abitudine di andare a incendiare le chiese].

A suffragare questa tesi un rapporto del Ministero degli interni, pubblicato nel gennaio scorso, che recensisce tutti gli atti antireligiosi, antisemiti, razzisti e xenofobi commessi su suolo francese. Le cifre del ministero sono impressionanti: nel solo 2019 sono stati recensiti ben 1.052 atti anti-cristiani, contro 687 atti antisemiti e 154 atti islamofobi. Leggendo i media in Francia sembra che gli atti antisemiti ed islamofobi siano di gran lunga superiori, dato che ricevono una copertura vasta e capillare e a volte anche sproporzionata, ma è chiaramente una percezione deformata della realtà, in quanto sono gli edifici religiosi cattolici a subire devastazioni e saccheggi maggiori (se guardiamo alle cifre annue del ministero), senza che per altro ciò sia veicolato dai media mainstream e senza che vi sia una presa di coscienza a livello civile. [La matematica non è il tuo forte, vero ragazzo? Ma non preoccuparti, ti aiuto io. I cristiani – quelli che si dichiarano cristiani, non semplicemente i cristiani per caso in quanto battezzati alla nascita e nient’altro – rappresentano il 60% della popolazione e, in base alle cifre che hai riportato, hanno subito il 56% di tutti gli attacchi di matrice religiosa (un quindicesimo in meno della loro proporzione); i musulmani sono il 9% della popolazione e hanno subito il 7,9% di tutti gli attacchi di matrice religiosa (un ottavo in meno della loro proporzione); gli ebrei sono lo 0,6% della popolazione e hanno subito il 35% degli attacchi di matrice religiosa (sessanta volte, ossia il 6000% in più della loro proporzione): sono un centesimo dei cristiani e gli attacchi che hanno subito sono i 5/8 di quelli dei cristiani. Vedi un po’ tu. Non è che il fatto che la cristianità è pesantemente sotto attacco sia una buona ragione per raccontare le balle sul resto. In ogni caso, come sempre, i dati dimostrano che i soliti musulmani chiagni e fotti sono quelli che frignano più a vanvera di tutti] Anche la politica si disinteressa completamente del problema ed anzi in un eccesso di politicamente corretto crea scompensi anche nella cosiddetta laicità alla francese: l’esempio del presidente Macron che rompe il digiuno per il Ramadan con responsabili della comunità musulmana francese (nel 2017) ed invece non fa neppure un augurio ai cristiani per il Natale la dice lunga sulla sproporzione nel trattamento.

Ma torniamo agli incendi dolosi e non accidentali. Mentre sulla cattedrale di Nantes la polizia ha già individuato un probabile sospetto, l’inchiesta sull’incendio di Nôtre-Dame sembra sia ad un punto morto. Nonostante la pista più accreditata al momento sia quella di un corto circuito elettrico nel dispositivo che azionava gli ascensori dell’impalcatura [posso fare una grassa risata?], altri elementi potrebbero invece far pendere la bilancia verso l’atto criminale. “L’indagine in corso è complessa, colossale”, ha ammesso il pubblico ministero parigino Rémy Heitz in un’intervista ad Europe 1. Nel corso delle indagini preliminari, concluse in poco più di due mesi, la procura di Parigi ha tenuto circa 100 udienze di testimoni e ha redatto 1.125 atti processuali. Quando a giugno aveva trasmesso gli atti a tre giudici istruttori, con più ampie prerogative, il procuratore aveva indicato di aver favorito la pista della sigaretta mal spenta o un malfunzionamento elettrico. Ma potrebbero esserci nuove prove a sostegno dell’ipotesi criminale. In un rapporto presentato il 22 ottobre 2019, il Laboratorio Centrale della Prefettura di Polizia (LCPP) ha raccomandato, secondo una fonte giudiziaria, di effettuare ulteriori indagini sull’area in cui è scoppiato l’incendio. Ma molte zone restano tutt’ora inaccessibili e l’inchiesta sembra ad un punto morto. Ad oggi, la causa precisa dell’incendio rimane sconosciuta.

Altri incendi invece, che inizialmente i media avevano liquidato come accidentali, si sono poi rivelati dolosi dopo le inchieste della magistratura. I numeri dunque certificano una situazione ben peggiore di quanto i media raccontino o di quanto si possa immaginare anche a livello di percezione di pericolo. Oltre mille atti ostili in un solo anno e 21 chiese bruciate in due anni sono cifre che ci aspetteremmo in Paesi come l’Egitto, o dove i cristiani vengono normalmente perseguitati, ma non ce li aspetteremmo certo in Francia, nel cuore dell’Europa e in uno dei Paesi che per primo abbracciò la religione cristiana. Ma forse è pur vero che oramai la Francia – cattolica per quasi 1.300 anni (dalla conversione di Clodoveo nel 496 d.C. alla presa della Bastiglia nel 1789) – non è più un Paese per cattolici. (qui)

Intendiamoci, l’ho scelto perché è un articolo sostanzialmente fatto bene, con le cose giuste al posto giusto, ma i numeri sparati come freccette al luna park proprio non si possono sentire, anche perché la cavolata degli attacchi agli ebrei che “sembrerebbero di più” perché ricevono maggiore copertura dai media mainstream è talmente mastodontica che dovrebbe saltare agli occhi anche di chi non mastica matematica come pane quotidiano.

Degli attacchi ai luoghi e ai simboli di culto cristiani in Francia si è già parlato in questo blog qui e qui. Probabilmente anche da altre parti, che però non ho voglia di andare a cercare.

barbara

SICCOME HO SEMPRE AMATO I NUMERI

Quando ho sentito degli 11 miliardi di tonnellate di ghiaccio sciolto in Groenlandia, proprio perché è una cifra così terrificante, e come al solito è stata data senza termini di riferimento, mi è venuto da chiedermi: sì, ma in concreto quanto è? Quale percentuale di ghiaccio si è sciolta? Quanto ghiaccio si è sciolto rispetto a tutto quello che c’è? Perché se non prendi i numeri e mi fai due conti, io non posso sapere se è tanto o poco, se è grave o no, se ci dobbiamo preoccupare o possiamo stare tranquilli, se ci dobbiamo suicidare istantaneamente in massa come vorrebbe santa Greta del Ciodue o possiamo almeno fumarci l’ultima sigaretta. Per fortuna qualcuno i conti si è preso la briga di farli. Ascoltiamolo.

Panico per i ghiacciai sciolti in Groenlandia. Ma è tutto normale

di  Franco Battaglia

Non so chi di voi rammenti Il Dentone, esilarante cortometraggio del 1965 con attori di primo piano, e con Alberto Sordi protagonista nella parte di aspirante lettore del telegiornale in qualità di concorrente in un concorso ove tutti gli altri sono raccomandati eccetto lui, il Dentone, che però sbaraglia gli avversari grazie ad una preparazione di ferro e malgrado il difettuccio fisico. Ne consiglio la visione perché fa ridere di cuore, e la cosa non guasta.
Tutta un’altra forza i presentatori dei Tg d’oggi. Col Dentone, nulla in comune: tutti molto fotogenici, questo sì, ma cosa ci sia dietro quel volto, cioè dentro la testa, non è dato sapere.
Ordunque la notizia diffusa da tutti i Tg, locali e nazionali, del 3 agosto è la seguente: «11 miliardi di tonnellate di ghiacci della Groenlandia si erano sciolti il giorno precedente». La notizia farebbe notizia (tanto da meritare di essere letta in tutte le edizioni dei Tg) perché sarebbe mostruosamente preoccupante e come tale viene letta.
A differenza dei moderni colleghi, il Dentone avrebbe fatto l’aritmetica del caso, prima di fare la figura del fesso al cospetto di milioni d’italiani. Avrebbe egli calcolato: 11 miliardi di tonnellate d’acqua fanno 11 miliardi di metri cubi d’acqua; ma la superficie della Groenlandia coperta da ghiacci è 1.7 trilioni di metri quadrati, cosicché dividendo volume per area di base, cioè 11 miliardi per 1.7 trilioni, si ottengono 6 millimetri di altezza.
Allora i ghiacci della Groenlandia si sono assottigliati di 6 millimetri. La cosa è preoccupante? Il Dentone sa che i ghiacci della Groenlandia hanno una profondità media di 2 chilometri cosicché una riduzione di 6 millimetri su un’altezza di 2 chilometri sembra più irrilevante che preoccupante, tanto più che il Dentone sa anche che fra pochi mesi l’estate sarà passata e tutto tornerà come prima.
Ma se non è preoccupante, la cosa è almeno una notizia? Cioè è qualcosa di cui meravigliarsi, tanto da essere declamata in tutti i Tg? Il Dentone conosce anche il calore latente di fusione del ghiaccio, nonché il suo calore specifico, e avrebbe calcolato che la quantità d’energia che il Sole fa pervenire alla superficie della Groenlandia è appunto a quella richiesta per far passare allo stato liquido 11 miliardi di tonnellate di ghiaccio con temperatura di 35 gradi sotto lo zero. Insomma, è accaduto ciò che ci si attende accada, l’evento non desta più meraviglia di quello d’un gelato che si scioglie al sole, e non è una notizia. Il Dentone sarebbe andato dal direttore del suo Tg e avrebbe detto, lui romanaccio doc: io ‘sta fregnaccia non la leggo.
Peccato non ci siano Dentoni in giro. (qui)

Vale poi la pena di ricordare che Groenlandia significa “terra verde”. Vale a dire che quando è stata scoperta e le è stato dato il nome, i ghiacci non c’erano. Vale a dire che quando non c’erano fabbriche e auto e aerei e riscaldamento domestico e sette miliardi e mezzo di persone che inquinano, da quelle parti faceva molto più caldo di adesso.

barbara

SU AQUARIUS E DINTORNI 1

Cominciamo coi numeri

Quelli veri. Perché di balle io mi sono rotta.

Diamo un po’ di numeri (veri) sull’immigrazione, l’unico tema di cui può e vuole parlare il governo al momento, visto che se si mette a discutere di deficit, pensioni e bilancio, in mezz’ora arrivano la Troika, Mazinga e pure l’Ebola a sterminarci.
Partiamo da una certezza: le sparate di Salvini sono le stesse da dieci anni. Ma se dieci anni fa servivano solo a raccattare consensi ed erano perlopiù slegate dalla realtà, oggi le cose sono cambiate, e parecchio. E l’enorme problema della sinistra, quello che le ha fatto perdere rovinosamente le elezioni, è che ripete in modo automatico le risposte di dieci (e venti) anni fa, ignorando che nel frattempo c’è stata la più grande recessione delle nostre vite  – ci scusiamo con coloro che erano vivi e si sono presi pure quella del ’29 – e la più grande ondata migratoria DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE (Fonte: Alto Commissariato per i Rifugiati).
Dunque: Salvini dice le stesse cose, la sinistra risponde le stesse cose. Con la differenza che uno dei due, nel corso di dieci anni, è passato dalla parte del torto, ma non lo capisce, finge di non capire, non si vuole aggiornare, è terrorizzato dal sembrare uno schifoso razzista, teme che dando ragione a Salvini le pareti del casale in Umbria cominceranno a sanguinare e arriverà qualcuno a strappargli toppe dai gomiti della giacca di tweed.
E infatti i profili Facebook e Twitter delle persone più colte, progressiste e pigre d’Italia in questi giorni sono stati tappezzati da uno schemino molto semplice: quanto ”accogliamo” noi rispetto agli altri paesi europei, secondo l’Alto Commissariato per i Rifugiati (ancora lui)? Ebbene, si legge che l’Italia ha un numero di rifugiati rispetto alla popolazione totale (2,4 su 1000) molto più basso rispetto a Francia (4,6) e Germania (8,1), per non parlare della Svezia (23,4) e della piccola e vituperata Malta (18,3). Stiamo parlando di un’infografica, che trovate qui accanto, tratta dal settimanale Internazionale, cosa che rende la citazione ancora più chic.
diagramma-immigrazione
Qual è il problema della fotina tanto semplice e carina? È un modo rapido per dire ai nostri contatti “Ehi, io non mi faccio fregare dai leghisti!”, ma è pure un modo truffaldino di rispondere alle sparate di Salvini. Perché i rifugiati sono coloro che HANNO GIÀ OTTENUTO la cosiddetta ”protezione internazionale”, e non il totale degli immigrati giunti in Italia.
I rifugiati sono una parte minoritaria dei richiedenti asilo, visto che sempre l’Alto Commissariato ci fa sapere che meno del 40% delle domande ricevono una risposta positiva. Perciò parlare di 150mila rifugiati (il 2,4 per mille della popolazione) non esaurisce affatto il problema.
Andiamo avanti. Leggendo ”Vita” – periodico del Terzo Settore, delle Acli e delle Coop, non esattamente La Gazzetta di Marine Le Pen – i richiedenti asilo sono passati da 12mila nel 2010 a 84mila nel 2015 e poi 123mila nel 2016, il record storico. Applicando le medie dell’Alto Commissariato (circa il 40% delle richieste viene accettato), solo negli anni 2015-16 ci sono state 124mila persone che hanno visto la loro domanda RESPINTA e, pertanto, avrebbero dovuto lasciare immediatamente l’Italia e tornare a casa propria.
Ovviamente ciò non è avvenuto, e queste persone si sono trasformate in veri e propri FANTASMI che abitano le nostre città e non solo, facilmente sfruttati dalla criminalità e senza più nulla da perdere. Inutile parlare dei profughi in Svezia: l’Italia è il Paese di primo ”arrivo” e chi sbarca dal Mediterraneo può chiedere solo a noi il riconoscimento dello status di rifugiato. Se non ottiene qualche forma di protezione, muoversi per l’Europa senza documenti diventa difficilissimo e rischioso, e abbiamo già assistito all’atteggiamento dei nostri vicini austriaci e francesi, che nei momenti più caldi della crisi si sono limitati a chiudere le frontiere, smollando a noi la patatona bollente.
In Svezia, secondo la locale Agenzia per i Migranti, gli immigrati irregolari sono circa 50mila, e persino il governo di Stoccolma ha cambiato orientamento dopo brutti episodi di terrorismo e cronaca nera, attivando operazioni di ricerca, identificazione ed espulsione di chi non rispetta i requisiti per restare nel Paese.
Adesso arriviamo al punto: quanti sono in Italia gli immigrati irregolari, che tecnicamente stanno compiendo un crimine? Già, perché ci duole ricordare ai fan di Roberto Fico portatori di kefiah che il M5s non intende affatto abolire il “reato di ingresso e soggiorno illegale degli stranieri” (l. 94/2009), anzi, quando due parlamentari pentastellati proposero di cancellarlo, Beppe Grillo specificò che si trattava di una posizione ”del tutto personale”.
Beh, è difficile da credere, ma il numero arriva dall’ultima fonte che vi sareste immaginati: Laura Boldrini, già Presidente della Camera, già portavoce (oh yes) dell’Alto Commissariato per i Rifugiati. Ieri, per attaccare Salvini, gli ha fornito un’arma preziosissima. ”In Italia ci sono 600mila immigrati irregolari, che Salvini non riuscirà a espellere come promesso in campagna elettorale”.
Ohibò, 600mila ci risulta essere l’1% della popolazione, qualcuno direbbe il 10 per mille. Una percentuale che si avvicina molto a quei paesi bravi e virtuosi citati dalla fotina di Internazionale, una percentuale che addirittura supera in scioltezza nazioni di dimensioni e demografia simili come Francia (che ha tra i 2 e i 400mila irregolari stimati su una popolazione di 67 milioni) e Germania, dove le stime sono molto confuse dal milione di siriani entrato nell’arco di pochissimo tempo.
Per continuare a giocherellare coi numeri, avendo la Svezia 10 milioni di abitanti, i suoi 50mila immigrati irregolari sono solo lo 0,5% del totale, o il 5 per mille. Per quelli che amano le fotine piene di proporzioni, esattamente metà dell’Italia.
Che poi, MAGARI l’Italia avesse più profughi! I richiedenti asilo e protezione internazionale che Angela Merkel ha fatto entrare a braccia aperte nel 2015 venivano quasi tutti dalla Siria, e si trattava di persone con un livello di istruzione e professionalità altissimo rispetto alla media dei migranti africani. Accogliendo più siriani avremmo fatto un gesto umanitario e insieme accolto più medici, ingegneri, operai e artigiani specializzati.
Invece da queste parti, sempre citando ”Vita” e la fondazione ISMU, “Nel 2016 si conferma il primato della Nigeria come primo Paese di nazionalità dei richiedenti asilo, pari a 27mila, un quinto del totale e in continua crescita (+48% rispetto al 2015). Seguono Pakistan (11% del totale), Gambia (7,2%) e Senegal (6,2%). Solo al quinto posto l’Eritrea con 7.483 richiedenti asilo nel 2016, a fronte – seppur i dati non siano del tutto comparabili – degli oltre 20mila sbarcati”.
Ah, la Nigeria. Continuiamo a dare i numeri: attualmente ha 190 milioni di abitanti, una media di figli per donna pari a 5,6 e si prevede (tutti dati ONU!) che raddoppierà la sua popolazione da qui al 2050, diventando il terzo Stato più popoloso al mondo. Secondo ”Open Migration” (di nuovo, non stiamo parlando dell’Eco di Borghezio, ma del megafono ufficiale della fondazione di Soros), solo il 5% dei nigeriani che fa domanda in Europa riceve lo status di rifugiato e circa il 25% ottiene qualche forma di protezione internazionale.
Il che vuol dire un’altra montagna di fantasmi, e le cose difficilmente cambieranno. Secondo ”Open Migration” i nigeriani vanno considerati ”in guerra” perché negli ultimi 18 anni circa 50mila persone sono morte per cause legate all’attività terroristica di Boko Haram. Potremmo scomodare le statistiche di altri paesi, tipo quelle del Messico dove in 9 anni sono morte 80mila persone per la guerra dei cartelli del narcotraffico, o potremmo ricordare che Boko Haram nel frattempo è stata praticamente sconfitta. In realtà basta soffermarsi su un macroscopico dettaglio: la Nigeria NON È UNO STATO FALLITO.
L’immaginario della sinistra italiana è fermo alle crisi umanitarie degli anni ’80 e ’90, quando guerre e carestie hanno letteralmente devastato paesi come Somalia, Eritrea, Ruanda, Sudan. Alcuni di questi luoghi restano in condizioni tremende, ed è giustissimo concedere a chi ne ha il diritto la protezione delle democrazie europee.
Ma la Nigeria non è la Somalia: il suo pil pro capite è passato dai 171 dollari del 1994 ai 3.200 del 2014. Ha le più grandi riserve di petrolio di tutta l’Africa, di cui è l’ottavo esportatore al mondo. Ok, è piena di corrotti e ha un governo che funziona male, ma alzi la mano chi non pensa la stessa cosa dell’Italia.
C’è il concreto problema della tratta delle donne, portate in Europa a prostituirsi sotto minaccia di morte, ed è necessario colpire gli sfruttatori e aiutare queste ragazze a integrarsi o, se lo desiderano, a tornare a casa. Ma è lampante che nessuno in Europa può permettersi di considerare automaticamente rifugiato chi arriva dalla Nigeria. E in effetti, come ammette sempre ”Open Migration”, nessuno (o quasi) lo fa. Non lo fa la Francia, la Germania e manco l’idilliaca Svezia.
Per concludere, che si fa? Continuiamo a sorbirci i monologhi di Saviano che in tv, sul web, con le dirette Facebook e pure al citofono ci dice che non abbiamo capito niente, che l’immigrazione è un falso problema, anzi una risorsa sempre e comunque?
Oppure ammettiamo che l’immigrazione c’è da quando esiste l’umanità e ha arricchito la nostra storia, che noi italiani siamo stati emigrati e pure maltrattati, e però questo non toglie che quando il numero di immigrati schizza oltre ogni proporzione nell’arco di un decennio, ciò ha delle conseguenze concretissime e niente affatto solo ”percepite” sulla popolazione locale, magari già impoverita da una lunga recessione?
Sicuramente, se la sinistra di lotta e non più di governo continua a rispondere con numeri incompleti e auto-assolutori a problemi veri, altro che il 51%: Lega e M5S al prossimo giro prenderanno l’80% e su Internazionale ci saranno solo le ricette di Elisa Isoardi. (qui, continua)

In ogni caso…
porti
barbara

IN RICORDO DI MARGHERITA HACK

Per ricordare degnamente la Grande Scienziata recentemente scomparsa, ripropongo questa lettera aperta scritta nel dicembre del 2007.

Lettera aperta a Margherita Hack

Gentile Signora Hack conoscendo la sua formazione scientifica, constatiamo con stupore come, assieme a noti antisemiti, lei abbia firmato l’appello “Gaza vivrà”, si veda il sito “www.gazavive.com”, pubblicato su un dominio registrato a nome di un noto militante dell’estrema destra nazifascista. In quell’appello si afferma testualmente che lo Stato di Israele sta compiendo un supposto “genocidio” ai danni dei palestinesi della striscia di Gaza “come nei campi di concentramento nazisti” e si domanda al governo Prodi di rifiutare la definizione, riconosciuta universalmente, di organizzazione terrorista, per Hamas. Da anni ormai la propaganda antisemita dipinge il governo di Gerusalemme ed il suo popolo come genocida, tralasciando di specificare come questo Stato viva, dal momento della sua fondazione, sotto minaccia di costante distruzione mediante guerre, azioni terroristiche, lancio di missili Qassam, rapimenti ed uccisioni di militari e di civili, e senza considerare la fine che Israele avrebbe da lungo fatto, se non avesse saputo o potuto difendersi.
La compassione per il popolo ebraico che ha visto cessare la minaccia dello sterminio per mano nazista nel momento stesso in cui è cominciata quella dell’annientamento per mano araba non può che associarsi al biasimo per quei dittatori arabi che, dopo aver mandato al macello i palestinesi contro Israele, si sono rifiutati di accoglierli come esuli e li hanno costretti a vivere nell’ignoranza, nel sottosviluppo e nella miseria dei campi profughi. Per fare in modo che sia gli israeliani che gli arabi abbiano un’opportunità di vivere nella sicurezza e nella pace, il contributo della comunità internazionale è senz’altro auspicabile. Ma la pace non può essere in alcun modo raggiunta sostenendo un’organizzazione terrorista come Hamas, un gruppo che compie stragi di civili e che nel suo Statuto dichiara espressamente la sua volontà di distruggere uno Stato internazionalmente riconosciuto, che impone al suo stesso popolo una sottomissione forzata ai dettami del più bieco fondamentalismo religioso e che usa i fondi degli aiuti internazionali per acquistare armi e ricompensare le famiglie dei terroristi suicidi.  Il sostegno fattivo alla pace richiede perseveranza, mediazione, comprensione e rispetto per chi ha duramente lottato e lavorato per inverare il sogno sionista e realizzare il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico, per un popolo che dopo millenni di persecuzioni è riuscito a costruire l’unico Stato democratico del Medio Oriente, pagando con ingenti sacrifici la sua volontà di resistere all’annientamento, alla colonizzazione araba e al terrorismo. Le abbiamo scritto questa lettera aperta per domandarle come si possa firmare un documento di così dubbia provenienza e che contiene così orribili menzogne, arrivando a paragonare Israele – il paese edificato dai sopravvissuti all’Olocausto – alla bestialità infame del nazismo. Un regime d’ispirazione nazista che di certo non avrebbe aspettato più di mezzo secolo per risolvere i problemi coi paesi ostili che minacciano i suoi confini, né restituito gran parte dei territori occupati vincendo delle guerre di aggressione, né tanto meno sobbarcandosi per anni il rifornimento energetico di un nemico che invece di sedersi al tavolo delle trattative continua ad aggredire le località di confine con quotidiani lanci di missili Qassam. Restiamo in attesa di conoscere come abbia trovato il coraggio di sottoscrivere un appello tanto ingiusto e menzognero.

Distinti saluti

Abu Ibrahim Kalim

Seguono 3400 firme (qui un’altra presa di posizione)

Ecco,  a noi hanno sempre venduto la storia che la signora Hack sarebbe una scienziata, e noi sappiamo che  se c’è una cosa tipica dello scienziato, non dico di un grande scienziato, non dico di uno scienziato di medio calibro, dico anche dell’ultimo borsista neolaureato, è la VERIFICA. Lo scienziato, se mentre sta per uscire la mamma gli dice prendi l’ombrello che piove, guarda dalla finestra, verifica che sta effettivamente piovendo, e ALLORA prende l’ombrello. Non perché non si fidi della mamma, ma perché la verifica è nel suo DNA.  Ora, qui abbiamo una signora che secondo la vulgata dovrebbe essere una scienziata, addirittura una Grande Scienziata; qualcuno le racconta l’amena storiella del genocidio del popolo di Gaza,  le racconta che gli israeliani stanno facendo morire di fame i poveri innocenti palestinesi e lei che cosa fa? SE LA BEVE. Sarebbe bastato un semplice giro in internet per trovare documentazione dei mercati di Gaza pieni di ogni bendidio, centri commerciali con ogni sorta di merci, compresi beni di lusso, e strade piene di auto (= abbondanza di carburante) anche di grossa cilindrata, e giardini e ville e alberghi di lusso con giardini e terrazze e piscine, i parchi giochi per bambini che non hanno niente da invidiare ai nostri, le decine di camion che ogni giorno da Israele portano a Gaza cibo, medicinali e ogni genere di beni di prima e seconda necessità, le centinaia di persone che lasciano Gaza per andarsi a curare negli ospedali israeliani.  Sarebbe  bastato un quarto d’ora in internet per verificare (mentre è sufficiente un’occhiata ogni tanto ai quotidiani per sapere dei massacri perpetrati dai suoi amati palestinesi in ristoranti, pizzerie, autobus, discoteche, scuole, fino ai neonati sgozzati nella culla), ma la Grande Scienziata non lo ha fatto, non ha ritenuto opportuno farlo, non ha sentito la necessità di VERIFICARE. Quanto al “genocidio”, non posso fare altro che auto citarmi, riportando un mio pezzo di quattro anni e mezzo fa.

Gli armeni della Turchia hanno subito un genocidio: prima erano tre milioni, dopo breve tempo erano uno e mezzo. Gli ebrei d’Europa hanno subito un genocidio: prima erano 12 milioni, pochi anni dopo erano diventati 6. I cambogiani hanno subito un genocidio: prima erano quattro milioni e mezzo, dopo erano tre. I tutsi hanno subito un genocidio: erano un milione e mezzo e in brevissimo tempo si sono ridotti a mezzo milione. I palestinesi da sessant’anni stanno subendo un genocidio: nel 1947 erano un milione e duecentomila, oggi, dopo sessant’anni di ininterrotto genocidio, sono, a quanto pare, un po’ più di dieci milioni: due e mezzo in Cisgiordania, uno e mezzo a Gaza, uno e tre in Israele, e circa cinque milioni di cosiddetti profughi. Qualcuno, un giorno, ce la dovrà spiegare questa cosa.

Gli scienziati, in teoria, dovrebbero andare abbastanza d’accordo coi numeri, ma la signora Hack questi calcoletti semplici semplici da quinta elementare non li ha saputi fare. Non sarà che è stata così pronta a sposare la causa che le veniva proposta – quella di un feroce terrorismo genocida – perché così bene si sposava con quei sentimenti che l’avevano spinta, a suo tempo, a iscriversi al Partito Nazionale Fascista e a interrompere ogni rapporto con la sua insegnante ebrea cacciata dalla scuola con le leggi razziali?
(Poi, più o meno in tema, vai a dare un’occhiata anche qui e qui)

barbara