Che si terrà oggi, 15 marzo, con migliaia di partecipanti. Questo è il percorso
che copre l’intera città. Fra il 1948 e il 1967 non sarebbe stato possibile, per via di questo
il muro che separava la Gerusalemme libera da quella illegalmente occupata dalla Giordania (occupazione illegale ripetutamente trattata in questo blog) nel corso della guerra scatenata dagli arabi nel tentativo di annientare Israele. Quel muro che gli amanti dei popoli oppressi e della pace e della giustizia e dell’amore universale e soprattutto del meraviglioso slogan “non muri ma ponti” vorrebbero al più presto vedere ricostruito. E neppure vi si sarebbero potuti avvicinare, per via dei cecchini giordani sempre pronti a fare il tiro al piccione.
In compenso è arrivato anche a Tel Aviv qualcosa a cui noi siamo disabituati da settantaquattro anni, e che in Israele è invece più o meno pane quotidiano.
Quelle che le anime belle, gli amanti della pace, i difensori degli oppressi, i combattenti per la giustizia sono pronti a ricreare anche domani. Con un bel muro in mezzo, beninteso.
“Sembrava come se fosse venuto il Messia,” dice Avigail Shlesinger, 81 anni, a proposito del giorno in cui Gerusalemme venne liberata dal dominio della Legione Giordana, 46 anni fa.
Schlesinger, gerosolimitana di sesta generazione, ricorda com’era la vita nella città Santa durante il periodo in cui i giordani controllavano Gerusalemme est, dal 1949 al 1967. “Era un periodo pericoloso”, dice a Tazpit News Agency. “C’erano aree della città, come King George Street, in cui si sono dovute costruire delle barriere per fermare i proiettili che i soldati giordani ci sparavano addosso.”
“Ci sentivamo come se vivessimo sotto assedio. Era pericoloso viaggiare su autobus e automobili perché proiettili vaganti potevano colpire in qualunque momento”, continua Schlesinger.
“Quando Gerusalemme è stata riunita, ricordo la sensazione che una città molto piccola fosse improvvisamente diventata grande.”
Durante il dominio giordano, agli ebrei era negato l’accesso alla città vecchia e ai siti sacri ebraici come il Monte del tempio e il muro del pianto, mentre ai cristiani era consentito solo un accesso limitato ai loro siti. I giordani hanno espulso tutti gli ebrei residenti nel quartiere ebraico della città vecchia e hanno distrutto 58 sinagoghe e yeshivot [scuole religiose]. Sul Monte degli Ulivi, 38.000 lapidi ebraiche sono state distrutte e utilizzate per lastricare strade, costruire recinti e installare latrine per l’esercito giordano.
Shlesinger ricorda che la yeshiva di suo nonno, Torat Chaim, fondata nel 1886 da Rabbi Yitzchak Winograd, è stata l’unica yeshiva della città vecchia a non essere bruciata dai Giordani. Un guardiano arabo ha protetto la yeshiva e salvaguardato 3.000 libri sacri e l’Arca della Torah fino a quando gli studenti di yeshiva sono ritornati, quando la città è stata riunificata.
Per tre millenni, fin dai tempi del re Davide, Gerusalemme è rimasta il centro della fede ebraica. E dopo la guerra dei sei giorni, per la prima volta dopo duemila anni, Gerusalemme è tornata sotto sovranità ebraica. In quel momento il governo israeliano ha stabilito che chiunque, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, ha il diritto di visitare tutti i luoghi santi all’interno di Israele.
Il giorno di Gerusalemme, o Yom Yerushalayim in ebraico, celebra l’anniversario della riunificazione di Gerusalemme e si celebra il 28 di Iyar, che quest’anno cade l’8 maggio.
“Siamo andati dalle tenebre alla luce,” conclude Schlesinger. “Oggi apprezzo così tanto Gerusalemme – non fosse altro che per il fatto di poter camminare tranquillamente per le strade e pregare al Kotel tutte le volte che voglio. I miei nipoti portano bandiere israeliane e marciano nelle parate del giorno di Gerusalemme. Il giorno di Gerusalemme, celebriamo il fatto che questa città è stata la sede di otto generazioni della nostra famiglia.” (qui, traduzione mia)
Avevo lì questo articolo da quattro anni e mezzo, in attesa che mi venisse l’ispirazione per tradurlo. Adesso è venuta. E ascoltiamo ancora una volta questo piccolo gioiello, scritta al tempo del “filo spinato”.
Il massacro del 1929, si diceva. Avente come promotore, tramite la diffusione di notizie false fabbricate allo scopo di surriscaldare gli animi (l’uccisione di due arabi ad opera di ebrei) il Gran Mufti di Gerusalemme Haji Amin al Husseini, così come quello di Nabi Musa del 1920, il pogrom Farhud di Baghdad del 1941 e numerosi altri, senza dimenticare che non fu estraneo neppure alla Shoah.
Nel corso della visita siamo stati anche al museo.
Originariamente era stato un ospedale, aperto dall’organizzazione Hadassah, come riportato dalla targa che si trova sulla facciata (Beit Hadassah: Casa Hadassah).
Qui la guida, la signora Tzipi Raanana Schissel, oltre a spiegare le immagini che illustrano momenti del massacro, ha narrato anche due vicende che la toccano personalmente. La sorella di sua nonna, nell’agosto del 1929, aveva appena partorito, e non era in condizione di muoversi per nascondersi, e il nonno era rimasto accanto a lei. Davanti alla loro casa si mise un arabo, per proteggerli (molti di coloro che si sono salvati, sono sopravvissuti grazie ad alcuni Giusti arabi che a rischio della propria vita si sono opposti alla barbarie). Essendosi rifiutato di lasciare la sua postazione per permettere agli assassini di entrare, è stato decapitato davanti alla porta che aveva continuato fino all’ultimo a difendere.
Passano gli anni, giunge il 1948, proclamazione dello stato di Israele, guerra scatenata dagli arabi per distruggerlo, occupazione (ILLEGALE!) di Giudea e Samaria da parte della Giordania, che provvede immediatamente a rendere le due regioni judenrein, così come era istantaneamente diventato judenrein l’emirato di Transgiordania dopo la sua installazione sul territorio rubato agli ebrei (il 78% del totale, per la precisione). Nel 1967 gli arabi preparano una nuova guerra per “ributtare a mare gli ebrei”, Israele li previene attaccando con qualche ora di anticipo e incredibilmente, nonostante le forze enormemente inferiori, vince (come hanno fatto? Semplice: non avevano alternative) e libera le terre occupate (ILLEGALMENTE!) dalla Giordania e dall’Egitto (striscia di Gaza). Alcuni ebrei ritornano a vivere a Hebron, arrivando a formare una piccola comunità. E arriviamo al febbraio del 1994. Baruch Goldstein, medico, che regolarmente curava, oltre ai malati, anche le vittime dei continui attacchi terroristici palestinesi, e non di rado anche i terroristi palestinesi rimasti feriti nelle reazioni israeliane ai loro attacchi, un giorno sente che non ne può più (spero che sia chiaro: non sto giustificando, sto SPIEGANDO), si arma, piomba alla tomba dei Patriarchi e mette in atto una strage (in seguito alla quale Israele non gli ha dedicato vie e piazze e scuole e impianti sportivi, bensì ha messo fuori legge il movimento estremista a cui Goldstein apparteneva, NOTA PER CHI AVESSE VOGLIA DI STABILIRE PARALLELISMI). Per porre fine alle crescenti tensioni fra le due comunità, il governo israeliano decide di dividere la città, e nel 1997 Netanyahu mette in atto la divisione. Il giorno stesso in cui la decisione viene comunicata, ossia all’ultimo momento prima che le due comunità vengano separate, un arabo accoltella a morte il padre di Tzipi. Così, senza una sola ragione al mondo, unicamente per non perdere l’ultima occasione comoda che gli si offre per far fuori un ebreo.
Immagino che racconti queste due storie a tutti i visitatori; ciononostante, evidentemente, non ci ha “fatto il callo”, non è diventato puro mestiere, e arriva il momento in cui la voce trema e la gola si strozza. (continua)
E lo so che parlare male dei morti non sta bene. Meno che mai quando si tratta di un eroe nazionale, di una leggenda, di un mito; ma quando si parla di storia servono i fatti, non le buone maniere, e i fatti parlano chiaro: Moshe Dayan ha commesso il più catastrofico errore che mai si potesse fare, dando il via a un disastro che continua a provocare sciagure e che difficilmente potrà diventare reversibile – a meno di una guerra, che naturalmente nessuno vuole. Ma torniamo indietro, a quel giugno del 1967 in cui la cosiddetta Gerusalemme est fu finalmente liberata, dopo 19 anni, dall’illegale occupazione giordana, che aveva provocato l’espulsione di tutti gli ebrei che lì vivevano, distruzione di sinagoghe, devastazione di cimiteri, divieto di accesso a tutti i luoghi santi ebraici per tutti gli ebrei del mondo e pesanti limitazioni a quelli cristiani. E qual è la geniale idea di Moshe Dayan? Sicuramente grandissimo genio militare ma, come molti militari, col deprecabile vizio di essere un inguaribile pacifista e tanto tanto comprensivo nei confronti dei palestinesi, la prima cosa che fa, è di rassicurare i musulmani e affidare loro la sovranità sul Monte del Tempio. Quella cosa su cui Salomone aveva costruito il Primo Tempio. Quella cosa su cui Erode aveva costruito il secondo Tempio. Quella cosa su cui dopo la distruzione di Gerusalemme da parte dei romani era sorta una chiesa cristiana. E poi, buoni ultimi, sono arrivati i musulmani e hanno detto che quella è roba loro, e Moshe Dayan gli ha dato ragione e gli ha consegnato su un piatto d’argento il più prezioso luogo sacro ebraico, affinché provvedessero a devastarlo per cancellare il più possibile le tracce della presenza ebraica, e infatti adesso anche l’Unione Nazisti Esperti in Stravolgimenti Ciclopicamente Obbrobriosi ha stabilito che quella è tutta roba musulmana da cui gli invasori ebrei devono togliere il disturbo.
Ecco, questo devastante disastro messo in atto da Moshe Dayan si chiama status quo: cioè le cose devono rimanere nello stato in cui sono, senza apportare alcun cambiamento. E gli arabi musulmani lo stanno rispettando alla grande:
il primo status si chiamava Kamil Shnaan e aveva ventidue anni
il secondo si chiamava Ha’il Satawi: aveva trent’anni e un bambino di tre settimane, il suo primo figlio.
barbara
ha fatto una mossa filoisraeliana?
Tutti in festa per l’annuncio di Putin sul riconoscimento di Gerusalemme Ovest capitale di Israele, acchebbello, la Russia ha anticipato l’America, Putin ha fregato Trump e blablabla e blablabla e blablabla. Gente, ma siamo impazziti?! Con questa mossa Putin ha stabilito che Gerusalemme non è UNA città come è stata per tremila anni, bensì due, come imposto dall’illegale occupazione giordana durata dal 1948 al 1967. Con questa mossa Putin ha stabilito che quella parte della città che contiene una cosa chiamata “Quartiere ebraico” non è ebraica bensì araba, palestinese e musulmana. Con questa mossa Putin ha stabilito che il Kotel (muro del pianto) resterà per sempre in mano islamica – e naturalmente la prima conseguenza sarà che a nessun ebreo al mondo sarà più consentito avvicinarvisi, come è stato nei diciannove anni di illegale (non dimentichiamolo, per favore, ILLEGALE, anche se contro quella occupazione ILLEGALE nessuno al mondo si è mai sognato di protestare) occupazione giordana. Sveglia gente! Quella lurida faina, con la sua subdola mossa, sta tentando di mettere le sue luride zampe sul futuro di Gerusalemme e di Israele!
Ne sentite parlare spesso, vero? Si tratta della “Gerusalemme araba”, quella che Israele sta “illegalmente occupando”, da cui “deve ritirarsi” perché la sua occupazione “viola le norme di diritto internazionale”. Eccetera. Ecco. Sarà allora il caso di fare due chiacchiere su questa fantomatica “Gerusalemme est”, per passare dalle favole al mondo reale.
L’espressione “Gerusalemme est” è nata nel 1948, quando la Giordania ha illegalmente occupato una parte di quella che per tremila anni era stata una città tutta intera (esattamente come l’espressione “Berlino est” è nata in un brutto giorno del 1961 quando i russi, non so se legalmente o no, piazzarono un muro a dividere in due quella che per 724 anni era stata un’unica città). Per essere precisi, ad essere occupata fu la parte più antica della città, quella più specificamente EBRAICA. All’occupazione seguirono immediatamente l’espulsione di tutti gli ebrei che ci vivevano, la devastazione di sinagoghe e cimiteri, il divieto di accesso ai luoghi santi ebraici per tutti gli ebrei del mondo. Notizie più dettagliate potete trovarle qui e qui (e mi raccomando, leggete il documento inserito in entrambi i post). Adesso, come piccola aggiunta, vorrei invitarvi a vedere queste due immagini di un angolo di questa parte di Gerusalemme prima
e dopo
il passaggio dei vicini giordani (qui).
barbara
AGGIORNAMENTO: visto che sono riuscita a beccare il cannocchiale in uno dei suoi ormai sempre più rari momenti di veglia, sono corsa a ripescare questo vecchio post: se anche voi avrete la fortuna di beccarne un momento di veglia, non mancate di leggerlo.
E poi ho visto Sderot,
dove nei quindici secondi tra la sirena d’allarme e la caduta del razzo per una madre di tre o quattro bambini è materialmente impossibile portarli in salvo tutti, e deve quindi decidere chi salvare e chi condannare al rischio di essere ucciso – e lo deve decidere all’istante, perché se perde anche solo un paio di secondi non ne salva neppure uno.
E poi ho visto Sarona. Che avevo visto anche la volta prima, a dire la verità, ma proprio solo vista, dato che il signor S. C. non ci ha detto mezza parola di spiegazione, e adesso invece lo so che cos’è. Questa sorta di oasi nel cuore della supermoderna Tel Aviv,
che deriva il suo nome dalla Valle dello Sharon – anche se in realtà si tratta di una pianura – era originariamente un insediamento di Templari tedeschi,
che nel 1871 avevano acquistato da un monastero greco 60 ettari di terreno e ne avevano fatto un insediamento agricolo modello, dotato di attrezzature e metodi di coltivazione all’avanguardia. All’avvento del nazismo, una discreta percentuale di loro aderì al partito, e allo scoppio della guerra, insieme a italiani e ungheresi, furono internati dalle autorità britanniche. Nel 1962 lo stato di Israele ha nazionalizzato l’area, pagando 54 milioni di marchi agli antichi proprietari, e nel 2003 è iniziato il restauro di Sarona,
in alcuni casi spostando gli edifici
per permettere la costruzione di più ampie strade di passaggio. E lì dentro c’è anche il prato della musica: tu ti siedi su una panchina, e la panchina comincia a suonare, ogni panchina una musica diversa.
E poi ho visto Giv’ot Bar, insediamento nel cuore del deserto del Negev,
costruito da coraggiosi pionieri
nell’ambito di un progetto che tenta almeno di limitare, se non di fermare, il progressivo furto di terra da parte di gruppi di beduini che, insediandosi ovunque nel deserto (e inquinandolo pesantemente, dato che i loro insediamenti non vengono dotati di fognature, né di altre strutture indispensabili alla difesa dell’ambiente), mettono il governo israeliano di fronte al fatto compiuto (con ricca presenza dei mass media e alti lai da parte delle anime belle se il governo tenta poi di sfrattarli dalle aree illegalmente occupate).
E poi ho visto da vicino quello strafigo bestiale che è Benny Gantz.
Articolo gentilmente segnalatomi. Inserirò nel testo alcuni commenti in grassetto.
Gerusalemme, 29 agosto 2014, Nena News – La colonizzazione di Gerusalemme prosegue a ritmi serrati. Che sarebbe, per chi non lo sapesse, quella roba per cui un giorno da Marte sono arrivati degli ebrei e si sono messi a colonizzare Gerusalemme (Gerusalemme, 3000 anni di storia).
Mentre il mondo guarda a Gaza, ah, ecco perché Israele ha scelto di farsi tirare in testa in poche settimane più di quattromila missili: per distrarre l’attenzione! Vuoi vedere che sono stati loro anche a fornirgli aiuto per scavare i tunnel e riempirli di armi? Sai com’è, a pensare male…
le autorità israeliane continuano l’opera di occupazione e giudaizzazione della Città Santa. Ah già, la famosa terza città santa dell’islam…
Ancora una volta target è il quartiere palestinese di Sheikh Jarrah, “palestinese” in che senso?
dal 1967 soggetto a confische di terre e di case palestinesi e chissà quante terre ci saranno, in un quartiere che si trova nel cuore di una città…
a favore di organizzazioni e famiglie di coloni israeliani. Ieri il comune di Gerusalemme ha dato il via all’implementazione di un piano di costruzione di una yeshiva, una scuola religiosa ebraica, nel cuore del quartiere di Gerusalemme Est. Il piano, fanno sapere gli attivisti palestinesi di Sheikh Jarrah, era stato già approvato sei mesi fa. Ieri l’ok definitivo per l’apertura della scuola in un palazzo di nove piani e 10mila metri quadrati, cioè più di mille metri quadrati per ogni piano?! Cazzarola!
tra la pompa di benzina Nasif e il centro medico al-Hayat. I palestinesi residenti nel palazzo saranno cacciati: l’ordine di evacuazione è già stato spiccato. Proteste dalla sinistra israeliana: Yosef Alalu, consigliere comunale palestinese, “palestinese”? Un “palestinese” nel consiglio comunale di una città israeliana?
ha sottolineato come manchino 2mila classi nelle scuole arabe di Gerusalemme, cioè, ci sono le scuole e dentro le scuole mancano le classi? O come altro sarebbe?
ma il comune ha come solo obiettivo quello di incrementare servizi e spazi per gli studenti ebrei. La terra su cui è costruito l’edificio era stata confiscata ufficialmente negli anni Ottanta e dopo la confisca li hanno lasciati stare dentro per trent’anni? E ancora si lamentano?
secondo la legge degli Proprietari Assenti del 1950, uno dei più efficaci strumenti in mano israeliana per confiscare terre e proprietà palestinesi: la legge in questione prevede che tutte le proprietà di rifugiati, costretti con la forza ad abbandonare i propri villaggi e le proprie comunità dalle milizie sioniste nel 1948, perdono in automatico il diritto ad usufruire di terre e abitazioni che passano nelle mani del governo israeliano. No, un momento: stiamo parlando della cosiddetta “Gerusalemme est”, giusto? Quella in cui c’è una cosa che si chiama “quartiere ebraico”, giusto? Quella che fino al 1948 era la parte più caratteristicamente ebraica di Gerusalemme; quella che in quella data la Giordania ha occupato e in quel momento ne ha immediatamente espulso tutti gli ebrei che vi risiedevano, alcune famiglie addirittura ininterrottamente dai tempi della Bibbia, e ha distrutto le sinagoghe, devastato i cimiteri, costruito latrine a ridosso del muro occidentale (“muro del pianto”), impedito, per tutto il tempo dell’occupazione illegale, l’accesso ai luoghi santi ebraici a tutti gli ebrei del mondo, e, soprattutto, riempito le case degli ebrei espulsi con popolazione araba. E allora, ci si chiede, da dove salta fuori la storiella dei “rifugiati” palestinesi che sarebbero stati costretti ad abbandonare le loro case di cui adesso rivendicherebbero la proprietà?
Ciò significa che i palestinesi fuggiti in Cisgiordania, pur essendo considerati “presenti”, si sono visti confiscare le proprietà a Gerusalemme e in tutto l’attuale territorio israeliano. Potevano fare a meno di ascoltare gli inviti dei loro capi. Quelli che hanno invece ascoltato gli appelli a restare delle autorità israeliane sono quel milione e mezzo di arabi israeliani, che non hanno perso niente e che oggi sono cittadini israeliani con pari diritti, compreso quello di mandare in galera un presidente della repubblica ebreo israeliano.
Uno strumento che ha permesso negli anni alle autorità israeliane di appropriarsi di tutte le proprietà dei rifugiati palestinesi – durante la Nakba tre quarti della popolazione dell’epoca fu costretta all’esilio – beh, sì: contando i lavoratori stagionali che sono tornati a casa loro nei Paesi arabi circostanti, contando quelli che si sono spostati di una dozzina di chilometri, contando quelli che erano arrivati lì da un paio d’anni attirati dalle nuove condizioni di vita create dai pionieri ebrei, il numero di quelli che si sono spostati da lì nel ’48 potrebbe anche avvicinarsi ai tre quarti di tutti gli arabi che si trovavano lì in quel momento. Forse un 15-20% di loro (forse), erano residenti di antica data.
e che è stato in particolar modo utilizzato a Gerusalemme. Da anni i residenti combattono contro gli ordini di confisca regolarmente emessi dalle autorità israeliane, trascinandosi dietro a procedimenti legali e appelli alla corte che hanno sempre avuto scarso effetto. Nel 2010 una sentenza della Corte Suprema israeliana ha stabilito che decine di case di Sheikh Jarrah appartengono a israeliani ebrei che sarebbero vissuti nel quartiere prima del 1948. Eh certo, “sarebbero”: si sa che una narrativa vale l’altra, chi dice che la terra è tonda e chi dice che la terra è piatta, perché mai dovremmo discriminare una narrativa nei confronti dell’altra? Nena News
E già che ci siete, date anche un’occhiata all’incessante furto di terra perpetrato dagli ebrei.
barbara
Ossia il quarantasettesimo anniversario della liberazione di Gerusalemme dopo diciannove anni di atroce – E ILLEGALE – occupazione giordana.
Il resto lo trovate qui.