COVID: PERCHÉ AUMENTANO I RICOVERI

Mettetevi comodi che adesso ve lo faccio spiegare per bene.

Niente cure, balzo dei ricoveri: «Ci sono altre priorità»

I dati generali di ieri parlano di un aumento sensibile dei ricoveri. Il commissario lombardo Guido Bertolaso parla già di una terza ondata, il governatore Luca Zaia ha rimarcato come per la prima volta dal 31 dicembre ci sia un aumento dei ricoveri che «fa preoccupare». Aumenti di posti letto occupati anche in Piemonte. 

Sembra di ritornare nel solito corto circuito: una gestione della pandemia ospedalocentrica, e ora anche vaccinocentrica. Ma di mettere al centro della strategia sanitaria nazionale le cure contro il covid non se ne parla. È un bug di sistema inquietante, o se vogliamo un cane che si morde la coda mentre tutto continua come è da oltre un anno: con la vigile attesa alla quale sono condannati i pazienti sintomatici che devono accontentarsi delle scarne raccomandazioni del medico a base di paracetamolo. E poi, se va male, si aprono le porte degli ospedali, come sta accadendo in queste ore.

Nessuno si interroga però sul perché i ricoveri stiano aumentando: scoprirebbe che la colpa non è dei ragazzini che escono al pomeriggio, ma ancora una volta della sbagliata gestione terapeutica. 

Il tema del covid at home non ha conosciuto evoluzioni positive negli ultimi tempi. Anzi. La consapevolezza che incentivare la cura precoce del virus sia inversamente proporzionale ai ricoveri in ospedale aleggia nell’aria, ma senza iniziative. La conseguenza è che tutto è affidato alla buona volontà dei medici che credono nel primato della cura su tutto il resto, anche sulla vaccinodipendenza che non è una cura, è un’altra cosa.

Sempre meno sono i media che ne parlano, meritorio in questo senso quanto ha fatto la redazione di Fuori dal coro di Mario Giordano, che sta battendo il tasto da settimane sullo scandalo delle cure a domicilio assenti intervistando medici, pazienti guariti e cercando di stanare i decisori, ma ricevendo in cambio le solite e italiche promesse vaghe e negligenti.

«Speriamo ancora che Aifa possa modificare qualcosa». A parlare alla Bussola è il dottor Andrea Mangiagalli, creatore con una chat di medici di una rete di cure domiciliari spontanea che in questo anno ha curato senza mai mandare i pazienti in ospedale. Ormai è diventato un simbolo del covid at home.

Lo avevamo incontrato in autunno e ci aveva raccontato di come stesse crescendo a dismisura la platea dei medici interessati a curare e a non temporeggiare. Con lui abbiamo seguito la vicenda del ricorso vinto in Consiglio di Stato per l’utilizzo dell’idrossiclorochina, proprio mentre a fine novembre il ministero emanava attraverso una circolare il primo protocollo di cura domiciliare.

Che fu insufficiente, una presa in giro, con la sola Tachipirina in vigile attesa come unico presidio e tutto il resto (cortisonici, farmaci alternativi, eparina e antibiotici) visti di malocchio.

Ma nei mesi successivi si è continuato a chiedere la revisione di quei protocolli di cura a disposizione dei medici. Perché la Tachipirina può falsare il decorso della malattia e perché, se preso per tempo, aggredito adeguatamente fin da subito, il covid si sconfigge facilmente. Il contrario della vigile attesa raccomandata dal ministero guidato ancora da Roberto Speranza. Ma in tutti questi mesi non si è arrivati a una revisione dei protocolli di cura.

Mangiagalli quindi, dice di sperare nell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco che potrebbe rivedere i protocolli nell’ottica della cura e non della vigile attesa.

«Ho sollecitato da tempo il ministro Speranza sulla revisione dei protocolli di cura domiciliare – spiega il presidente Aifa Giorgio Palù alla Bussola -, da quello che so ha incaricato l’Agenas di occuparsene». Chiediamo se conosce le tempistiche e gli esiti: «Guardi – allarga le braccia sconsolato -, mi è stato riferito che ci sono altre priorità. Deve sentire direttamente all’Agenas». 

Altre priorità? Quali sono le altre priorità se di fronte abbiamo un virus da curare? Forse il vaccino? Probabile, ma da qui all’immunità di gregge tanto sperata del 65% della popolazione – se mai ci arriveremo – passeranno anni, ormai si è capito. Nel frattempo, non si cura? Non si può apparecchiare un piano di cura rigoroso per fermare il covid fuori dagli ospedali e consentire così politiche di lockdown meno umilianti e stringenti?

No, evidentemente non si cura. Si sta in vigile attesa, sperando che la cosa non sfugga a molti e non ci si debba presentare in massa davanti all’ospedale per quella che qualche esperto si sta azzardando a chiamare già la “terza ondata”.

Parlare con il direttore dell’Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, non è semplice. Lui, Domenico Mantoan, è stato il capo della sanità in Veneto e da qualche tempo guida l’ente che dipende dal Ministero della Salute.

È a lui che ci rivolgiamo per chiedere a che punto è la revisione del protocollo di cure domiciliari che sono, a detta di tutti, sempre più insufficienti. La risposta lascia di sasso: ci viene fornito il protocollo del 30 novembre. Facciamo notare che stiamo parlando proprio della revisione di quel protocollo che il ministro ha affidato all’Agenas. E qui, un altro muro di gomma ci si para davanti: «Non abbiamo avuto ancora incarico dal Ministero della Salute di lavorare su protocolli di cure domiciliari Covid. Abbiamo appena concluso linee giuda su setting assistenziali sui ricoveri ospedalieri e strutture intermedie covid».

Capito l’antifona? Il Ministero non si è ancora peritato di incaricare una revisione delle cure domiciliari, ma nel compenso ci ha messo quattro mesi per mettere a punto quello ospedaliero.

È evidente che si tratta di una decisione politica: il covid non si vuole curare subito, non si vuole curare precocemente. Roberto Speranza, ministro riconfermato anche nel governo Draghi porta anche questa enorme responsabilità: l’Italia non vuole curare precocemente il covid. Bisogna pensare al vaccino e per tutto il resto c’è l’ospedale e quindi l’aumento dei ricoveri che determina i lockdown.

Lo scaricabarile degli enti regolatori e delle agenzie statali certifica che effettivamente ci sono altre priorità. Quali? Di sicuro non la cura dei pazienti. Ma Speranza deve sapere che ogni morto oggi in ospedale era un malato che ieri poteva essere curato con successo a casa.
Andrea Zambrano, qui.

Domenico Mantoan. Non so se sia più adatto Cicciobello o Vispo Tereso.

Quindi abbiamo praticamente tutto: il crimine, gli esecutori – altrimenti detti assassini – e i mandanti. Manca il movente, ma magari con un po’ di fantasia riusciamo a indovinare anche quello. E chi sperava che col cambio di governo potesse cambiare qualcosa di sostanziale, non ci ha messo molto a doversi ricredere. Qualcuno ha detto che Draghi è un Conte coi congiuntivi giusti, e mi sembra una buona definizione.
E adesso state a sentire quest’altra bella storiella.

Censure su YouTube, il braccio violento dell’Oms

Dopo 11 mesi e mezzo di lockdown e restrizioni della libertà, sono ancora poche le iniziative di protesta da parte di numerosi settori colpiti e di comuni cittadini. Ma non possono essere pubblicizzate sul social network più diffuso per la condivisione dei video, YouTube, se sono considerate contrarie alle disposizioni dell’Oms e delle autorità sanitarie nazionali.
La protesta più gettonata dai media è stata quella dei teatri, che il 22 febbraio hanno riacceso le luci per manifestare contro il prolungarsi delle chiusure forzate e nessuna certezza sulla data di riapertura. Il 15 gennaio, in tutte le città italiane, era stata invece la volta dei ristoranti che con l’iniziativa Io Apro avevano forzato il blocco della nuova zona rossa. Avendo meno influenza politica e meno amici fra i giornalisti, i ristoratori hanno ricevuto tantissima pubblicità negativa. Ha fatto particolarmente scalpore un’iniziativa dell’editore Leonardo Facco (il cui libro Coronavirus: stato di paura è stato recentemente rimosso dal catalogo Amazon): con una cinquantina di amici e sostenitori del suo Movimento libertario, è andato a cena in un ristorante di Modena il 30 gennaio. Una cena è ormai considerata un atto di grave insubordinazione e, benché l’iniziativa abbia ottenuto il plauso anche su siti d’oltre oceano (di orientamento libertario e conservatore), in Italia ha attirato le ire di giornalisti e commentatori, con accuse di diffusione deliberata della pandemia e sollecitazione di interventi delle forze dell’ordine. Per dimostrare che non c’è stata alcuna diffusione, deliberata e non, della pandemia, l’editore lombardo ha ripetuto l’iniziativa il 22 febbraio, dimostrando che tutti i partecipanti fossero vivi e in buona salute, così come i loro amici, parenti e conoscenti. A questo punto è scattata la censura di YouTube, che ha rimosso video e commenti.

Sono significative le motivazioni scritte della rimozione. Non solo il video viola gli standard della community, ma proprio: “YouTube non tollera contenuti che mettano in discussione l’efficacia delle linee guida fornite dalle autorità sanitarie locali o dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) in relazione alle misure di distanziamento sociale e autoisolamento e che possano portare le persone ad agire in contrasto con tali linee guida”. Le parole sono importanti. YouTube “non tollera” contenuti che “mettono in discussione” un’autorità statale ed una sovranazionale. Può anche darsi che una linea sia sbagliata: l’Oms inizialmente non approvava l’uso delle mascherine e fino a marzo 2020 si opponeva alla strategia di test a tappeto con i tamponi. Ma l’utente deve comunque obbedire [com’era quella cosa? Ah sì: credere obbedire combattere. E per Benito Mussolini eia eia alalà]. Nel caso specifico, in Italia è permesso pranzare in un ristorante, ma una cena, come quella organizzata dall’editore Facco, nelle stesse condizioni e con uguale numero di persone, è considerata sovversiva. Non si può affermare (e dimostrare) che le linee guida siano contraddittorie.

Suonavano già ambigue le parole di Susan Wojcicki, amministratrice delegata di YouTube, quando, il 23 aprile annunciava che la piattaforma avrebbe eliminato notizie “prive di fondamento scientifico” e faceva alcuni esempi: “C’è gente che consiglia di prendere la vitamina C o la curcuma, perché ‘ti cureranno’”.* Abbiamo dunque l’amministratrice di un social che si erge già a medico e giudice pronta a tracciare una riga su ciò che (al momento) è ritenuto disinformazione su una malattia che, allora, conoscevamo da appena tre mesi. Si poteva ben immaginare come questo criterio si sarebbe poi esteso, senza freni, dalla medicina alla politica di contenimento della pandemia. Quindi non solo a una materia empiricamente verificabile, ma anche ad una serie di scelte politiche.

Il problema di fondo, poi, è che, non solo a causa della pandemia di Covid, ma anche a seguito delle elezioni presidenziali americane, la censura è stata completamente sdoganata. Viene accettato come “fatto privato” ed apprezzabile l’oscuramento dell’account Twitter di un ex presidente e la censura online di tutti i suoi post quando era ancora in carica e competeva per la rielezione. Ormai limitare la libertà di opinione, anche quando non viene violata alcuna legge, è diventato possibile e i giornalisti sono fra i primi a chiedere ancora più censura. Basta invocare la minaccia dell’argomento “privo di fondamento scientifico” o, nel caso delle elezioni “privo di prove” per far scattare l’oscuramento.

Un’altra ossessione è diventata quella dei contenuti “razzisti”. Gli algoritmi che permettono di individuare e rimuovere un video giudicato offensivo per qualche minoranza sono talmente onnicomprensivi che, questa settimana hanno portato alla rimozione di un video di scacchi. Perché “il bianco attacca il nero”. Il verbo “attaccare” è comunque a rischio censura, figuriamoci se poi è accompagnato da termini ormai sensibili come il bianco e il nero. Ma queste cose avvenivano solitamente solo in Cina, almeno fino al decennio scorso, quando i locali algoritmi rimuovevano tutte le cifre e i termini che potessero ricondurre a informazioni sgradite sul massacro di Piazza Tienanmen. Ma era Cina, appunto, un regime totalitario. Se i social network iniziano a comportarsi così anche nel mondo libero?

Paradossalmente, si usano ancora i termini cattolici per descrivere la tendenza censoria, come “inquisizione” o “indice”. Però sono i cattolici fra le prime vittime di questa tendenza oscurantista. Basti pensare come il sito Life Site News, contrario all’aborto, sia stato improvvisamente privato del suo popolare canale YouTube, uno scherzetto che è costata loro la perdita improvvisa di più di 300mila followers. Ed è difficile, adesso, stabilire quali siano i nuovi limiti del censore. Tutti noi siamo a rischio.
Stefano Magni, qui.

* Qualche tempo fa ho visto su YT un video in cui veniva spiegato che mangiando tre o quattro teste d’aglio al giorno si guarisce dal cancro al cervello gola esofago stomaco intestino retto ano polmoni reni fegato vescica seno prostata ovaie pelle linfoghiandole – e se ne manca qualcuno è solo perché io l’ho dimenticato. E, per inciso, l’unica preoccupazione della stragrande maggioranza dei commenti era “Ma per l’alito come si fa?” Perché c’è in giro gente talmente scema che se gli dici che mangiando rane vive si diventa ricchi quelli lo fanno. E nessuna autorità contestava la mancanza di documentazione scientifica traendone motivo per rimuovere il video seduta stante.
Comunque mi sembra più che evidente che non è questione di mancanza di documentazione scientifica nelle critiche ai provvedimenti anti covid, o di mancanza di prove nelle accuse di brogli elettorali, e non si tratta di YT o FB o twitter o del conduttore televisivo che silenzia il proprio presidente della repubblica: si tratta dell’assassinio della libertà di pensiero, parola e stampa perpetrato di comune accordo da chiunque abbia il potere di farlo. Praticamente così:

barbara

E CONTINUA LO SCEMPIO

Continua l’immondo sciacallaggio, continua l’osceno vilipendio di cadaveri, continua l’appropriazione dei morti per continuare ancora e ancora e ancora l’opera di terrorismo mediatico, di lavaggio del cervello, di annichilimento della mente e della volontà.

Poi c’è questa storiaccia qui

È ricoverata all’ospedale Spallanzani di Roma con polmonite da Covid una ventenne della zona Nord della Capitale dopo essere stata per una settimana in Sardegna ed aver frequentato intensivamente con le amiche famosi locali di Porto Cervo come il Billionaire di Briatore, il Just Cavalli club, la discoteca The Temple, il Canteen di Poltu Quatu. [Non è interessante questo elenco dettagliato degli inferni da cui si irradia la peste?] In isolamento allo Spallanzani anche tre ragazzi che stavano trascorrendo le vacanze al Circeo (qui). 

Roma, 20 ago – Esiste un fronte mediatico – composto dalle principali testate – che sembra muoversi in una direzione precisa: dare il massimo risalto ad ogni possibile ipotesi di risalita del contagio, attraverso un uso strumentale delle statistiche e una drammatizzazione di alcuni singoli casi in grado di impressionare di più. E’ in quest’ottica che va letta la notizia riportata subito in pompa magna da Corriere della SeraFatto Quotidiano e compagnia, di una giovane “20enne ricoverata in terapia intensiva allo Spallanzani” a causa di una polmonite da Covid-19. Dunque non solo i giovani sono il nuovo veicolo del contagio, secondo la narrazione post chiusura delle discoteche, ma rischiano grosso anche sulla propria pelle.

La smentita dello Spallanzani 

Peccato però che il messaggio “allarmista” sia stato immediatamente smentito proprio dalla direzione sanitaria dell’ospedale Spallanzani. “Smentiamo categoricamente qualunque falsa notizia relativa alla presenza di una ventenne romana ricoverata in terapia intensiva”. Con una semplice nota l’ospedale romano ha messo a nudo la volontà di drammatizzare la situazione da parte del fronte che, con una iperbole, potremmo definire “catastrofista” (in opposizione all’accusa di “negazionismo” rifilata agli “ottimisti”). Tra questi figura anche il virologo Pierluigi Lopalco, che nei giorni scorsi aveva inventato di sana pianta il “ricovero in gravi condizioni di 5 ragazzi” causa Covid-19 (Lopalco ha poi rettificato spiegando che si trattava di un equivoco nato da una sbagliata interpretazione del termine “severo”).

“Condizioni cliniche buone”

“Tre sono provenienti dal cluster di contagi di Porto Rotondo, in Sardegna”, prosegue la nota diffusa dallo Spallanzani. “Sono ricoverati in regime di ricovero ordinario, tutti in condizioni cliniche buone, e non necessitano di alcun tipo di supporto respiratorio“. Insomma nessun giovane in gravi condizioni, come in un primo momento testate autorevoli, quelle dei “professionisti dell’informazione”, avevano riportato. Testate che, dopo essere state smentite, si sono limitate a togliere la parte relativa alla terapia intensiva lasciando in fondo al pezzo le dichiarazioni dello Spallanzani.

Davide Romano (qui)

E poi ancora questa

Napoli, Ospedale Cotugno: inchiesta sul falso comunicato che ha provocato allarme

20 Agosto 2020

Il documento prodotto su carta intestata aziendale

Bufera sull’ospedale Cotugno di Napoli per un falso comunicato scritto su carta intestata dell’azienda ospedaliera, con tanto di timbro e firma di un fantomatico medico del pronto soccorso e diffuso nelle ultime ore su Facebook. “Si comunica che al momento il Cotugno ha esaurito la disponibilità dei posti letto per pazienti Covid positivi e per pazienti sospetti sia nei reparti di degenza, subintensiva e intensiva” – si legge nel comunicato redatto sulla carta intestata dell’ospedale Cotugno. Il documento ha alimentato tensione e paura tra i cittadini partenopei. Un fatto di inaudita gravità. Un atto criminale.  Il comunicato è stato smentito ieri sera dal direttore generale del Cotugno Maurizio Di Mauro. E non solo. La direzione dell’azienda ospedaliera ha attivato un’indagine interna per individuare gli autori del documento. ”Si tratta di una fake – afferma Di Mauro – che ha generato panico. Noi dichiariamo tutte le mattine la nostra disponibilità di posti letto all’Unità di crisi della Regione Campania e – aggiunge – ribadiamo che al Cotugno, qualora dovesse sorgere la necessità di un’ulteriore implementazione di posti letto, siamo immediatamente a disposizione e pronti per poter affrontare qualsiasi tipo di emergenza che al momento non c’è perché la situazione è abbastanza sotto controllo visto che ci sono ancora posti disponibili nei Centri Covid di Ponticelli e di ScafatiIl piano A della Regione – prosegue – ha ancora capienza per poter supportare la richiesta”. Attualmente all’ospedale Cotugno  16 persone sono ricoverate in regime ordinario (di cui 13 positivi e 3 sospetti), 9 nel reparto di subintensiva, 2 in terapia intensiva di cui 1 è in fase di trasferimento. (qui)

E io mi pongo la stesa domanda che mi pongo ogni volta che vengono pubblicate le foto di “poveri bambini palestinesi” massacrati da Israele e poi viene regolarmente fuori che sono bambini siriani, irakeni, addirittura bambini israeliani ammazzati dai terroristi palestinesi e uno si chiede: ma se ci sono tutte queste centinaia di migliaia di milioni di miliardi di morti palestinesi fatti dagli israeliani, perché non mettete le foto di quelli invece che quelle tarocche?

Poi c’è la mia cuginetta, quella poverina che fa la psicologa, che scrive

Oggi riesco a fare un osservazione più ragionata. [Ragionata. Si noti che non sta sparpagliando parole in libertà, no no, sta proprio ragionando] I nuovi casi di contagio salgono ancora e la quantità è sempre maggiore. Ciò significa che si sta seguendo una curva esponenziale. […] Non sto a fare i conti, ma è facile intuirlo. [Ehm… no bimba, non è esattamente così che funziona. In questa faccenda non c’è assolutamente niente da intuire: qui bisogna proprio contare, alla lettera, così guarda, ti faccio vedere. 2, 3, 4, 5, 6: progressione aritmetica; 2, 4, 8, 16, 32: progressione geometrica; 2, 4, 16, 256, 65536 progressione esponenziale. Quindi i casi sono due: o oggi abbiamo 32768 volte i casi di quattro giorni fa, o tu sei una mastodontica testa di cazzo. E questa volta, sì, possiamo intuire la risposta giusta senza stare a fare i conti] Detto ciò, è possibile prevedere il futuro, cioè quanto questa seconda ondata, che effettivamente già c’è, si fermerà? No. Può fermarsi domani, come fra un mese e a 840 nuovi casi al giorno come a 3000. Non lo sappiamo. [Ribadisco la conclusione del commento precedente]

E vi ricordate le famose “foto” degli “assembramenti” sui Navigli? Ecco, ogni volta che per dimostrare che la colpa è nostra e che quindi si è costretti a imporci un ulteriore giro di vite vi mostreranno un’immagine così

ricordatevi sempre che la realtà potrebbe anche essere questa

(rubato qui) e che sarebbe bene porsi, e soprattutto porre a chi sta distruggendo il nostro presente e cancellando il nostro futuro, qualche domanda.

Aggiungo questa riflessione che mi sembra molto sensata

Domenico Guarino

13 agosto 

Nonostante , a ieri, in Italia ci fossero 750 ricoverati Covid (su 60 milioni di abitanti) e 45 terapie intensive Covid (su 60 milioni di abitanti) e nonostante questi dati siano l’effetto di un calo cominciato addirittura nel lontanissimo 4 aprile, e dipanatosi progressivamente nel corso dei mesi e delle settimane successive, i media main stram e la politica (con a capo l’ineffabile ministro della Salute che dimostra di avere quantomeno un cognome assolutamente inadeguato) continuano ad alimentare un clima di tensione permanente, se non di vero e proprio terrore, individuando progressivamente i nuovi ‘barbari’ da respingere alle frontiere: ora tocca ai vacanzieri di ritorno, ai discotecari, ai giovani che, ingrati, non cantano più l’inno nazionale dal divano di casa ma, orrore, hanno ripreso a vivere. E allora sapete che vi dico? Ha ragione il prof Matteo Bassetti: uno starnuto ci seppellirà! Mentre si aspettano i 2 milioni e mezzo di banchi ‘asociali’ che arriveranno a fine ottobre dunque un mese dopo l’inizio delle scuole (e allora nel frattempo che si fa?), il sistema è destinato a collassare. Ma non per il covid. No. Collasserà, perché al primo colpo di tosse, al primo soffiar di naso, alle prime linee di febbre, l’ipocondria di massa, sciaguratamente coltivata in questi mesi, fara’ scatenare il panico: gli ospedali verranno nuovamente presi d’assalto, la paranoia sociale farà svuotare il trasporto pubblico riversando nelle strade sempre più intasate milioni di auto, la cautela dei medici verrà travolta dal terrore dei cittadini coltivato in questi mesi, etc etc. Tutti si dimenticheranno che ogni anno nel mondo muoiono 650mila persone per complicazioni influenzali e 4 milioni per polmoniti varie. Conterà solo il Covid! Il Dio Covid che dispensa vita morte e contagi. E allora saranno dolori. Anche perché un nuovo lock down (questo lo sa anche Speranza) non si può fare anche meramente per economici e sociali. Auguri Italia.

a cui è stato messo questo interessante commento:

Andrea Macciò la scorsa settimana un tizio mi ha misurato la febbre col termoscanner portatile alla stazione di Falconara. Perché? Perché lì passa “un treno a alta velocità” ovvero il lentissimo Fb Ravenna-Roma che ferma anche a Campello sul Clitumno. Keep calm per chi legge, 35 e 3. Siamo alle comiche finali

Sono andata a controllare in google: pare che in quella località ci sia stato un caso di contagio.

Molto interessanti mi sembrano anche queste considerazioni di Giancarlo Marcotti sul micidiale clima di terrore che il governo sta continuando a diffondere, con tanto di identikit degli untori

E infine, forse ricorderete la vicenda di Taiwan (se non la ricordate la trovate qui). Ecco, se ne volete sapere di più chiedete all’OMS, quello che governa la nostra salute in tutto il mondo e ci dice che cosa dobbiamo o non dobbiamo fare.

E fra qualche anno…

di Donatella Lo giudice, qui.

barbara

POI TI VENGONO A DIRE CHE NON È VERO CHE SIAMO IN UNO STATO DI POLIZIA

Innanzitutto un articolo che esamina la drammatica situazione in cui, con il pretesto dell’emergenza sanitaria, siamo stati infilati.

Dalla pandemia allo Stato di Polizia

di Vitalba Azzollini

C’è sempre un momento in cui ci si chiede: come si è arrivati a questo punto? Il momento per molti è stato quando, durante un programma su una tv Mediaset, sono andate in onda le immagini di un elicottero della Guardia di Finanza, con un’inviata a bordo, all’inseguimento di un runner solitario su una spiaggia deserta. Ma anche la Tv di Stato, cosiddetto servizio pubblico, non è stata da meno, mostrando un drone che braccava un runner, anch’egli in solitudine totale, con un tutore delle forze dell’ordine alle calcagna e la Cavalcata delle valkirie in sottofondo. Ci si era lamentati del sistema di delazione implementato sul portale di Roma Capitale per eventuali violazioni delle regole in tema di Covid-19, ma evidentemente non c’è limite al peggio.
Qual è il punto cui si è arrivati? Uno Stato di polizia a ogni effetto. Come ci si è arrivati? I fattori sono diversi. Innanzitutto, si è arrivati facendo sì che la gente restasse nell’ignoranza. Il metodo è, per dirlo in modo forbito: «Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare». Tacere e adeguarsi, da sudditi. Tale metodo è stato realizzato, innanzitutto, inculcando nelle persone l’idea che, in nome della tutela della salute, tutto fosse possibile e lecito.
Pertanto, come più volte detto, in nome della salute sono stati conferiti poteri molto ampi – “pieni poteri”, almeno fino al d.l. 19/2020 – al presidente del Consiglio, che li ha esercitati con forti restrizioni a diritti e libertà, non sempre mostrando di rispettare principi generali dell’ordinamento giuridico e dell’Unione europea o di valutare costi e benefici di opzioni alternative al lockdown del Paese. Tutto ciò mentre il Parlamento – che (dovrebbe) rappresenta(re) i cittadini – si è come dissolto.
L’altra idea, conseguenza della prima, inculcata nella gente è che ogni scelta spettasse agli scienziati, in particolare a quelli del Comitato tecnico scientifico, e che la politica – in primis il presidente del Consiglio – dovesse fideisticamente adeguarsi, anziché assumersi la responsabilità di decidere contemperando tutti gli interessi coinvolti, oltre alla salute. Questo “fideismo”, da un lato, ha rafforzato l’ignoranza di cui si è detto, rappresentando la rinuncia a far capire alla gente le motivazioni di certe scelte, con l’alibi che la scienza non è da tutti e che la politica vi si deve solo conformare.
E l’ignoranza è amplificata dall’opacità dei pareri del Comitato, non pubblicati nella sezione Amministrazione Trasparente di siti istituzionali né resi accessibili per la sospensione del diritto alla trasparenza ex Foia.
Dall’altro lato, lo scudo del fideistico affidamento alla scienza ha comportato la deresponsabilizzazione politica più completa: se è la scienza che decide, comunque vada la politica può dire “non abbiamo assolutamente sbagliato niente“. Chissà se questo è lo scopo per cui i decisori governativi hanno istituito, oltre a quel Comitato, molti gruppi di esperti (15 a livello nazionale e 30 locale, circa 450 persone in tutto), ai quali hanno delegato valutazioni rilevanti, senza rendere trasparentemente noti criteri di scelta dei componenti, obiettivi prefissati e misurabili, disponibilità di mezzi e risorse e molto altro.
Ma lo Stato di polizia è anche il risultato del protagonismo di amministratori locali i quali, non osservando i limiti di legge ai loro poteri – in particolare, di sancire misure più restrittive di quelle nazionali solo per «specifiche  situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario» – hanno continuato ad alzare l’asticella delle restrizioni a libertà e diritti: dal “tassametro sul carrello” del supermarket, alla puntuale fissazione degli importi della spesa, alla sanzione della “quarantena” anche a non infetti, al divieto consegne a domicilio ecc., fino ad arrivare alla ipotesi di chiusura dei confini regionali, in spregio alla norma costituzionale (art. 120, c. 1) in base a cui la regione non può ostacolare «la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni».
E le forze dell’ordine si sono adeguate allo stile da “sceriffo” degli amministratori locali, facendo perquisizioni nelle buste della spesa per verificare la necessità degli acquisti o, al contrario, irrogando multe senza nemmeno considerare la necessità dello spostamento. Allo Stato di polizia hanno pure contribuito quei Tar che, anziché stroncare iniziative “sceriffesche”, frutto di incursioni di presidenti di regione e sindaci in ambiti non di loro pertinenza, ne hanno spesso confermato le ordinanze in sede di azione giurisdizionale da parte di cittadini (talora con una sorta di copia-incolla di decisioni precedenti, anche a fronte di un quadro normativo mutato dopo il d.l. n. 19/2020).
Lo Stato di polizia è pure l’effetto di un Governo che ha drammaticamente abdicato non solo al ruolo di cui è investito per la gestione dell’emergenza sanitaria ma anche alla tutela dello Stato di diritto, rinunciando a impugnare ordinanze regionali (o ad annullare ordinanze sindacali) emesse – come detto – in violazione della legge. Eppure, il Governo era partito lancia in resta con l’impugnativa al TAR dell’ordinanza delle Marche che a fine febbraio aveva chiuso le scuole della regione. Parimenti apprezzabile era stato l’annullamento dell’ordinanza del sindaco di Messina, che prevedeva apposite autorizzazioni e altro per poter attraversare lo Stretto.
Lo Stato ha abdicato anche ai poteri di cui dispone per espressa previsione costituzionale. A questo riguardo, è utile un inciso, dedicato a chi dice che sarebbe servita la “clausola di supremazia” prevista dalla riforma costituzionale del 2016, bocciata con referendum, poiché tramite essa lo Stato sarebbe potuto «intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva», a «tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero …dell’interesse nazionale».
Ebbene, a fronte dell’emergenza sanitaria, lo Stato “comanda” anche a Costituzione vigente: ha legislazione esclusiva in tema di «profilassi internazionale» (art. 117, lett. q, Cost.), nonché di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni … su tutto il territorio nazionale», tra cui rientra la «predisposizione di sistemi di risposta a emergenze di origine infettiva» (art. 117, lett. m, Cost.), per non dire delle materie inerenti a «ordine pubblico e sicurezza» (art. 117, lett. h, Cost.).
Inoltre, il Governo (art. 120, c. 2, Cost.) potrebbe sostituirsi a Regioni e Comuni «nel caso di mancato rispetto di norme (…) oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali». Il Governo finora ha rinunciato anche a questo potere sostitutivo, nonostante ne ricorressero gli estremi.
Infine, lo Stato di polizia si è radicato pure mediante il terrorismo psicologico fatto sulla gente, come dimostrano le immagini televisive degli inseguimenti “polizieschi” da cui si sono prese le mosse: a volte è sembrato che tale terrorismo fosse anche volto a sviare l’attenzione della gente stessa dall’assenza di una strategia per affrontare la fase 1, prima, la fase 2, adesso. Se, anziché spiegare i motivi per cui le regole (distanziamento, dispositivi di protezione e altro) vanno rispettate, si ricorre a certi metodi che trattano i cittadini come sudditi o minus habens, allora lo stato di emergenza diventa stato di Polizia e travolge lo Stato di diritto. Una foto rende più chiaro il concetto:
lockdown I-D (qui)
E rendono più chiaro il concetto un paio di fatti di cronaca, in aggiunta a quelli già precedentemente denunciati.

Anziano multato per avere comprato un barattolo di vernice.

Va a fare la spesa con la moglie disabile: multa da 900 euro.

Fino a questo incredibile commento che ho trovato, a proposito dei deliranti controlli polizieschi ingiustificatamente perpetrati ai nostri danni

Michela Rocco

Ho sentito da persone amiche che sono state fermate dalle forze dell”ordine e benché non avessero motivi validi per spostarsi non sono stati multati ma lasciati andare tranquillamente. Francamente la cosa mi ha lasciata molto delusa. Prima per la leggerezza di questi amici, poi per queste forze dell’ordine che vengono definiti eroi e che poi svolgono così il loro compito. Spero che si tratti di fatti isolati e sporadici

E non ho avuto l’impressione che si trattasse di un commento ironico.

Proseguo con questa dettagliata cronaca di Dagospia.

CRONACA DI UNA PANDEMIA ANNUNCIATA – GLI ALLARMI INASCOLTATI DEI MEDICI CHE SEGNALAVANO STRANE POLMONITI DA INIZIO GENNAIO, LE CIRCOLARI DEL MINISTERO CHE SI CONTRADDICONO, LE DIVISIONI POLITICHE E #MILANONONSIFERMA: TUTTI GLI ERRORI CHE HANNO FATTO DELL’ITALIA IL FOCOLAIO D’EUROPA – IL 15 FEBBRAIO IL MINISTERO DEGLI ESTERI MANDA DUE TONNELLATE DI MATERIALE SANITARIO IN CINA COME REGALO. POCHI GIORNI DOPO, IN LOMBARDIA ERANO INTROVABILI…

Monica Guerzoni, Marco Imarisio, Simona Ravizza e Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”

Alle dieci del mattino di martedì 7 gennaio, Pietro Poidomani riapre il suo ambulatorio in via Trieste. Le vacanze di Natale sono appena finite, ma il numero di persone in fila è inusuale. Lui le conosce tutte. È l’unico medico di base a Cividate al Piano, cinquemila abitanti sulla riva destra del fiume Oglio, 25 chilometri da Bergamo. I primi 5 pazienti hanno lo stesso problema. Sono anziani che lui ha già vaccinato per l’influenza di stagione, però hanno ancora febbre e una strana tosse. Faticano a respirare. A ognuno prescrive una radiografia al torace e il responso è sempre uguale.
Complicazione da polmonite, con marcati addensamenti interstiziali. Quel giorno, su 50 visite, dodici sono per gli stessi sintomi. Il giorno dopo, ancora. E poi ancora.
Nelle settimane seguenti, il dottor Poidomani chiama alcuni suoi colleghi dei paesi vicini. «Anche voi…». Anche loro. A metà febbraio decidono di scrivere all’Azienda di tutela della salute della provincia di Bergamo. Non sarebbe il caso di dare un’occhiata a tutte le radiografie toraciche fatte dal 25 dicembre in poi?
Non otterranno mai risposta.«Già verificando i dati, avremmo potuto salvare qualche vita», racconta Poidomani. «Ma nessuno si è posto la domanda giusta. E così siamo arrivati al momento cruciale a mani nude, senza attrezzature, senza bombole ad ossigeno».
La grande paura era cominciata in ritardo. La prima convocazione della task force creata al ministero della Salute risale al 22 gennaio 2020, quando viene promulgata una circolare che prescrive il tampone in caso di polmoniti insolite. «Senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un’altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica». Cinque giorni dopo, nuova circolare, dalla quale questa frase sparisce. Controlli solo su chi arriva da Wuhan o ha avuto contatti recenti con la Cina. Ma la sera del 30 gennaio i tg aprono tutti con la stessa notizia.
«Virus, colpita l’Italia». «L’allarme dell’Oms». Sui quotidiani vengono anticipati i provvedimenti che il governo si appresta a prendere: dichiarazione dello stato d’emergenza e blocco dei voli con la Cina. Il decreto che cambia tutto arriva il giorno seguente, 31 gennaio. «Si ritiene necessario provvedere tempestivamente a porre in essere tutte le iniziative di carattere straordinario…». Mancano però le istruzioni per l’uso. C’è uno stato d’emergenza, ma non un piano d’emergenza. Come si devono comportare gli ospedali, le regioni? Il primo febbraio, un noto primario milanese scrive nella chat dei suoi medici. «Con quel provvedimento hanno costruito una bella casa. Peccato che si siano dimenticati di farci il tetto». Si rivelerà una profezia.
A due mesi dall’inizio di questa tragedia, che per noi è cominciata alle 00.45 del 21 febbraio, quando l’Ansa ha battuto la notizia del primo paziente positivo al coronavirus dopo il ricovero all’ospedale di Codogno, il famoso Mattia, che non veniva dalla Cina e quindi per giorni non fu sottoposto a tampone, è il caso di riavvolgere il nastro.
Per raccontare quella che, al netto di colpe e responsabilità individuali, è la storia di una sottovalutazione collettiva, istituzionale e anche mediatica. Il decreto del 31 gennaio contiene una falla logica. La scelta di bloccare i voli da e per la Cina non produce alcun risultato sulla tracciabilità del virus, perché chi doveva tornare dalle zone contagiate lo farà comunque attraverso altri scali, senza essere sottoposto a ulteriori controlli. Il primo passo è comunque meglio del niente, o quasi, che seguirà a livello decisionale, tra sottovalutazione e discutibili slanci di generosità.
Alle 14.50 del 15 febbraio decolla dalla base di pronto intervento Unhrd delle Nazioni unite di Brindisi un volo diretto a Pechino, organizzato dal ministero degli Esteri. A bordo ci sono anche due tonnellate di materiale sanitario, regalo della Farnesina alla Cina. Pochi giorni dopo, mascherine e tute di protezione per gli operatori sanitari si riveleranno introvabili nelle zone più colpite della Lombardia.
Il decreto sull’emergenza, che segue le indicazioni dell’Oms, diventa una sorta di ombrello sotto al quale si può riparare qualunque amministratore che decida di non agire. I medici di tre grandi ospedali lombardi, Niguarda di Milano, Papa Giovanni XXIII di Bergamo, Sant’Anna di Como, scrivono alle Ats di riferimento chiedendo di verificare il numero di posti nelle terapie intensive della regione. La sera del 21 febbraio a Bergamo si tiene una riunione dei medici ospedalieri della provincia. All’ordine del giorno c’è un’altra lettera da mandare all’Ats, per fare presente che «date le attuali condizioni», non sono in grado di fare fronte all’epidemia, se mai arriverà. È già arrivata, purtroppo.
Il primo documento governativo che spiega come muoversi e cosa fare è del primo marzo, un mese dopo. Lo firma il direttore generale della Salute Andrea Urbani. Accoglie le richieste del Comitato tecnico-scientifico (Cts) secondo cui è «necessario che nel minor tempo possibile» sia attivato nelle strutture pubbliche e private un modello di cooperazione «coordinato a livello nazionale per un incremento delle disponibilità di posti letto del 50% nelle unità di terapia intensiva e del 100% in quelle di pneumologia e malattie infettive». Sei giorni dopo il commissario Angelo Borrelli firma l’accordo con la società Siare per la fornitura di ventilatori meccanici, fondamentali per le terapie intensive. Cosa è successo in questo mese di limbo, tra il primo e l’ultimo weekend di febbraio?
Nel governo convivono opinioni discordanti. Roberto Speranza è da subito per la linea dura. Il 2 febbraio, quando in Italia gli unici malati sono i due cittadini cinesi ricoverati allo Spallanzani, in tv da Fabio Fazio il virologo Roberto Burioni afferma che da noi il rischio «è pari a zero». Il ministro della Salute invece drammatizza: «Abbiamo fatto scelte molto prudenziali, il Paese deve essere pronto». Per Speranza, «chiudere tutto» sarà il mantra ripetuto in ogni Consiglio dei ministri, Conte invece non è convinto. A marzo, quando la curva dei contagi si impenna, resiste per giorni alle pressioni dei governatori del Nord. Salvini, che in questa crisi cambierà diverse volte rotta, chiede più coraggio.
Ma Conte non vuole cedere al «ricatto» del centrodestra. La linea di Palazzo Chigi è chiudere il Paese un passo alla volta, decreto dopo decreto. La strategia della gradualità si basa sulla convinzione che solo un sentimento profondo di paura diffusa potrà rendere tollerabile una forma così severa di reclusione sociale.
Nei momenti decisivi, mentre si invoca l’unità nazionale, le istituzioni avanzano in ordine sparso. Il 23 febbraio il governatore Fontana e Speranza firmano l’ordinanza che istituisce misure restrittive per la Lombardia. Lo stesso giorno alle 18.30 nell’Aula Biagi di Palazzo Lombardia 500 sindaci della Regione chiedono deroghe per mercati, centri commerciali e attività sportive. La Lombardia cede dopo 72 ore, con una deroga: i bar restano aperti anche dopo le 18 «se con il servizio al tavolo».
Il 27 febbraio il sindaco Giuseppe Sala lancia la campagna #Milanononsiferma, seguito a Bergamo da Giorgio Gori. Salvini in un video chiede di «riaprire tutto», invitando i turisti stranieri a visitare il Paese più bello del mondo, mentre il segretario del Pd Nicola Zingaretti fa un aperitivo pubblico sui Navigli, che forse gli costa il contagio. Il 28, gli esperti della Regione mostrano per la prima volta a Fontana le stime della curva epidemica che in quei giorni presenta un indice R0 di contagio superiore a 2: «Se la situazione dovesse allargarsi, il rischio è di default dell’intero sistema ospedaliero». Oggi sembra surreale, ma l’Emilia-Romagna chiede di tenere aperti cinema e teatri e il Veneto vuole una deroga sulle terme.
L’8 marzo è una domenica di sole, bar e ristoranti aperti, tanta gente in giro. Lunedì 9 marzo, dopo l’incontro con i capi delle opposizioni, Conte annuncia che l’Italia intera diventa zona rossa. Sono passati 38 giorni da quel 31 gennaio nel quale era stata dichiarata l’emergenza sanitaria. Il dottor Poidomani si è ammalato di Covid-19. Ricoverato il 2 marzo in terapia intensiva, ne è uscito il 13. Venerdì scorso, il doppio tampone ha dato esito negativo. Oggi tornerà al lavoro nel suo ambulatorio. (qui)

Nel frattempo, come segnala questo commento trovato in rete:

honhil ‘Niente fughe in avanti da parte delle regioni’, è l’ordine categorico che viene da palazzo Chigi. Di contra in una regione, la Sicilia, una delle due o tre dichiarate sicure, tuttavia il governo continua a stivare migranti. I cittadini italiani (rossi, gialli, neri, bianchi e di colore cirricaca) vengono controllati per cielo, per mare e per terra e sanzionati anche diverse volte al giorno se vengono trovati lì dove non dovevano essere. Invece, chi illegalmente mette piede nello Stivale, può fare tutto quello che gli passa per la testa e lo fa sia che gode già della protezione delle istituzioni sia che è ancora uccel di bosco. Domanda. Ma queste istituzioni che bacchettano i cittadini (la maggioranza dei quali in grossissime difficoltà economiche o perché già di suo o a causa del Coronavirus) che mettono il naso fuori da questo immenso campo di concentramento che è diventato il territorio italiano e lasciano liberi di fare ciò che passa loro per la testa gli extracomunitari, fino a quando ancora possono durare? Siculiana e Porto Empedocle, a un tiro di schioppo di distanza, insomma, volente o nolente, possono essere considerati, data la contiguità, il laboratorio (per tacere sulle tante, troppe, situazioni analoghe) che ha già acceso la miccia… che, per quando lunga possa essere, … arriverà prima o poi alla santabarbara: ed esplosione sarà. Eppure le istituzioni, a tutti i livelli, continuano a menare il can per l’aia. Per ottusa ideologia.

E non solo i clandestini partono e arrivano, ma addirittura

I clandestini partono dalla Libia con in tasca il numero degli avvocati da contattare.

E infine uno straordinario intervento di Alberto Bagnai, tanto intenso quanto spietato, un atto d’accusa senza sconti nei confronti del primo responsabile del disastro attuale, un’invettiva che assurge ai vertici dell’epica:

E meriterebbe di essere guardato anche solo per la faccia e la postura del signor Conte.
POST SCRIPTUM: della famigerata App parlerò domani, perché altrimenti questo diventa troppo lungo.

barbara

SI ALLUNGA LA LISTA DEI CRIMINI DELL’OMS

E non solo.

Coronavirus in Kurdistan: l’OMS mette in grave pericolo migliaia di sfollati

L’OMS ci ricasca. Per “non inimicarsi” un regime nasconde i dati in suo possesso e rischia di trasformare un caso isolato di Coronavirus in una epidemia. La lezione cinese non è servita?

Un comunicato ufficiale della Autorità di autogestione della regione del Kurdistan siriano accusa l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) di aver nascosto il primo caso di Coronavirus nella regione.

Le autorità curde accusano l’OMS di «irresponsabilità per aver messo gravemente in pericolo la popolazione omettendo di comunicare all’autorità di autogestione il primo caso di Coronavirus e quindi impedendo alla stessa autorità di assumere decisioni volte all’isolamento delle persone infette e di coloro venute in contatto con esse».

Il comunicato della autorità curda si riferisce al caso di un uomo di 53 anni con sintomi di COVID-19 ricoverato presso l’ospedale di Hasaka il 22 marzo. Cinque giorni dopo, il 27 marzo, l’uomo viene giudicato positivo al Coronavirus a seguito di un tampone inviato a Damasco. Il 2 aprile l’uomo muore dopo essere stato trasferito in un ospedale governativo nella città di Qamishli.

Le autorità curde accusa l’OMS di aver taciuto su questo che è il primo caso di Coronavirus nella regione e così facendo di aver messo in grave pericolo la popolazione in quanto le autorità non hanno potuto isolare tempestivamente le persone venute in contatto con l’uomo infetto. [continua]

E dunque OMS DELENDA EST.

E si allunga la lista dei crimini dei trafficanti di carne umana.

ONG TEDESCA SCARICA 146 CLANDESTINI SU NAVE ITALIANA, POI LO SBARCO

Una nave della Compagnia Italiana di Navigazione pronta ad ospitare i 146 clandestini prelevati su appuntamento con gli scafisti dalla nave Alan Kurdi della Ong tedesca Sea Eye.
Il trasferimento viene effettuato “nell’ambito della Convenzione del 18 luglio 2012” tra lo stesso ministero e la compagnia, “per finalità di interesse pubblico nel contesto emergenziale accertato dal provvedimento adottato dal Capo della Protezione civile e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti”. Così la delirante nota del governo.
Di fornire assistenza ai clandestini si occuperà Protezione civile. Gli immigrati resteranno nella nave messa per almeno due settimane, per un costo di circa 1 milione di euro. Poi, ovviamente, scenderanno a terra in Sicilia dove saranno ospitati per una vacanza lunga una vita in qualche resort con piscina aperto apposta per loro, come già accaduto in questi giorni.
E’ quello che avevano chiesto i parlamentari scafisti della sinistra.
Il sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti, Salvatore Margiotta, rispondendo ad un’interrogazione alla Camera, ha sottolineato “la determinazione del ministro De Micheli che, sulla base dei nostri principi di solidarietà, obbligo di soccorso e salvaguardia della vita umana, si è adoperata con impegno nel trovare una soluzione per assicurare la sorveglianza sanitaria delle persone soccorse in mare dalla nave Alan Kurdi”.
Il capo missione Jan Ribbeck, da qualche giorno è in contatto diretto con il sindaco, Leoluca Orlando, che ha sentito anche l’ambasciatore tedesco in Italia. Ieri gli attivisti della Ong avevano chiesto di accelerare le pratiche per lo sbarco. (qui)

E i nostri medici e infermieri muoiono a centinaia perché non ci sono soldi per dispositivi di protezione. E i nostri cittadini muoiono a decine di migliaia perché non ci sono abbastanza posti in rianimazione. E noi siamo agli arresti domiciliari perché se andiamo in giro saremo responsabili di genocidio.

E si allunga la lista delle “task force” nominate dal nostro ineffabile Grande Timoniere, Conducator, Piccolo Padre, Líder Máximo eccetera, che sono arrivate a quindici, mentre noi il 18 aprile abbiamo avuto 3491 nuovi infetti e 482 morti. E si allunga contemporaneamente la lista delle violazioni della costituzione da parte del suddetto signore. Prima lo dice, così tra amici, Giovanni Bernardini

ARTICOLO 16

Costituzione, articolo 16 comma 1.

Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.
L’articolo parla di possibili limitazioni al diritto dei cittadini di CIRCOLARE e SOGGIORNARE in qualsiasi parte del territorio nazionale. E’ evidente, direi, che portare a spasso il cane, far due passi nel paese o nel quartiere in cui si vive, fare una corsa non significa SPOSTARSI o SOGGIORNARE.
In ogni caso deve essere LA LEGGE a porre limiti alla libertà di spostarsi, anche ammettendo che tali limiti comprendano il portare a spasso il cane ad oltre 200 metri dalla propria abitazione o farsi una corsa. La LEGGE, non un DPCM, non un regolamento attuativo, non un atto amministrativo.
Anche a prescindere da ogni valutazione sulla efficacia, ormai abbastanza dubbia, delle misure adottate dal governo è chiaro che stiamo vivendo in una situazione di illegalità e di violazione di articoli fondamentali della Costituzione. (qui)

E poi ve lo faccio dire dal presidente emerito della Corte Costituzionale.

“Non si eluda il Parlamento”. Il monito di Gaetano Silvestri

Il presidente emerito della Corte Costituzionale lancia un allarme: “Sento parlare di sospensione delle garanzie costituzionali. Persino in vista di una guerra, l’articolo 78 della Costituzione non mette da parte la democrazia parlamentare”

di Fabio Greco

La fase 2, quella della ripartenza dopo la chiusura totale per l’epidemia da coronavirus, deve prevedere “senza dubbio” il passaggio in Parlamento e fondarsi, nel rapporto con i governatori, sul “regionalismo cooperativo”, senza mai dimenticare che il quadro in cui agire è quello costituzionale. Su quest’ultimo punto Gaetano Silvestri, presidente emerito della Corte Costituzionale, è nettissimo.
Ma anche da preoccupato, tanto da aver messo a punto qualche giorno fa una riflessione sul sito di Unicost in cui sottolinea che “persino in vista della situazione eccezionale per antonomasia, la guerra, l’articolo 78 della Costituzione non mette da parte la democrazia parlamentare, giacché lo stato di guerra può essere dichiarato solo dal Parlamento e prevede che quest’ultimo possa delegare al Governo i ‘poteri necessari’, non i pieni poteri”.
“Quando ho sentito parlare di ‘sospensione’ delle garanzie personali e istituzionali, è scattato in me un allarme”, spiega Silvestri in questa intervista all’AGI. Si tratta, aggiunge, di “una affermazione pericolosa: i diritti vengono esercitati in forma diversa, ma mai sospesi” “Il vuoto non può esistere”, poiché sarebbe riempito, ragiona, “dalla volontà del sovrano, inteso come potere pubblico liberato da ogni vincolo giuridico e capace di trasformare istantaneamente la propria forza in diritto”.
Nel caso della libertà di circolazione e soggiorno, le limitazioni sono avvenute se non in un vuoto normativo, in una sorta di caos per colpa di “errori che arrivano da lontano”.
“Nessuna legge autorizzativa – scrive Silvestri nella sua riflessione – potrà mai consentire ad una Regione (a fortiori ad un ente locale) di emanare norme che impediscano o ostacolino la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, in palese dispregio del primo comma del citato articolo 120 della Costituzione, come purtroppo in qualche caso si sta verificando. Un blocco di transito da una Regione ad un’altra ha una rilevanza nazionale per diretto dettato costituzionale”.
“In mancanza di una legge quadro sull’emergenza – afferma all’AGI il giurista – abbiamo assistito a una corsa ad arrivare primi” da parte di enti, governo e governatori “in cui appariva preminente la necessità di conquistare ‘like’ sui social”. Il risultato è stata una “ridda di atti normativi” che ha generato confusione. “E’ il problema dei problemi”, questo, per Silvestri: “La corsa al mezzo punto nei sondaggi”.
I cittadini, invece, “si sono dimostrati più responsabili di una classe politica che non si è fatta mancare dispetti e polemiche di corto respiro. Lo dico con grande amarezza. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dal canto suo, sta facendo un lavoro eccezionale, intervenendo con l’unica arma che ha, il potere di persuasione, nel richiamare i partiti alla coesione”.
Non solo i partiti litigano; lo fanno anche i governatori, con lo Stato centrale e tra loro. Verranno ripetuti gli stessi errori, come quelli da lei sottolineati quando afferma nella sua riflessione che “La Repubblica ‘una e indivisibile’ (articolo 5 della Costituzione) non può tollerare che parti del territorio e della popolazione nazionali si pongano in contrapposizione tra loro”?
“Sono sempre stato favorevole – risponde Silvestri, oggi presidente dell’Associazione italiana dei costituzionalisti – a un regionalismo cooperativo, e non dualistico. Bisognerebbe, oltre alla Conferenza Stato-Regioni, andare a incontri informali per definire una griglia normativa. Potrebbe rivelarsi utile che il presidente del Consiglio si riunisca, anche in teleconferenza, con tutti i presidenti di Regioni per concordare atti normativi” e dare vita a un “patto nazionale, a quel minimo denominatore comune” che permetta di “riaprire tutti insieme oppure definire parametri condivisi: io, cittadino di una regione, se voglio interagire con cittadini di altre regioni devo sapere di poterlo fare in sicurezza”.
Poi, però, come si vara un decreto legge senza ledere la Costituzione, che prevede un passaggio parlamentare? La Costituzione, spiega, “non include la conversione in legge dei decreti legge tra i casi in cui è obbligatorio il procedimento ordinario. Di conseguenza, esclude il procedimento decentrato in commissione. A prevedere il procedimento ordinario sono i regolamenti della Camera e del Senato. Bisognerebbe modificare quelli, attraverso una convocazione del Parlamento, e consentire così alle capigruppo di poter decidere. Ma, ancora una volta, servono la disponibilità e la responsabilità della classe politica”. (qui)

E il divieto di praticare sport all’aperto non è un crimine solo contro la costituzione, ma anche contro le leggi di natura:

E si allunga la lista degli abusi – che in qualche caso si configurano in veri e propri crimini – sui cittadini, dal medico che sta andando in clinica per un’emergenza alla famiglia che porta la bambina leucemica al controllo.

E si allunga, naturalmente, la nostra prigionia, mentre apprendiamo che la Svezia, che non ha messo in atto nessuna limitazione, ha un sesto dei nostri abitanti e un quattordicesimo dei nostri morti, che la Svizzera, che non ha messo in atto nessuna limitazione, ha poco più di un ottavo dei nostri abitanti e poco più di un ventesimo dei nostri morti. E sicuramente, anche se non sarà mai registrato da nessuna parte, entrambe avranno molti meno morti futuri per conseguenza della povertà. DISOBBEDIENZA CIVILE!

barbara

L’ASSASSINO E I SUOI COMPLICI

Una volta in Cina – così come in Unione Sovietica e in tutto quel paradiso in terra che è il mondo comunista – si usavano le sedute di autocritica, in cui per mostrare la propria buona volontà, il proprio attaccamento al partito e al Suo Sovrano, la propria consapevolezza di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato – anche se ciò che è sbagliato oggi è, orwellianamente, ciò che era giusto ieri, ci si autoaccusava di ogni sorta di nefandezze (dall’essersi distratti per ben sei secondi e mezzo dal lavoro all’avere distolto la mente per due secondi e un quarto dalla bellezza del partito); naturalmente questo riguardava il popolo, ancora e sempre troppo impregnato di spirito borghese, ma non certo i capi. E siccome è bene conservare fedelmente le tradizioni, anche oggi i capi si guardano bene dal fare autocritica. E tanto più se ne guardano quanto più grandi sono i crimini.
risposta Cina
E passiamo ai complici.

Dalla promozione del modello Cina all’esclusione di Taiwan, l’Oms si presta al gioco del regime di Pechino

Le misure di Taipei avrebbero potuto rappresentare un esempio da seguire contro il coronavirus, ma – per ragioni politiche – l’esperienza taiwanese è stata semplicemente ignorata dai vertici dell’OMS, impegnati invece a elogiare pubblicamente le strategie di risposta della Cina comunista

Mentre oltre un terzo della popolazione mondiale è costretto a una quarantena indefinita e un centinaio di Paesi è alle prese con una delle più gravi crisi della storia contemporanea, per Pechino l’emergenza coronavirus è già da qualche settimana un questione principalmente politica. L’offensiva propagandistica cinese svela giorno dopo giorno tutte le sue sfaccettature, dalle campagne di disinformazione a livello globale sulle responsabilità e i meriti del governo, ai numeri dell’epidemia domestica, alle forniture di macchinari e materiale medico camuffate da assistenza umanitaria. In questa strategia volta a promuovere l’influenza del Partito Comunista Cinese al di fuori dei confini nazionali, i gerarchi di Zhongnanhai possono contare su un alleato di prim’ordine, nientemeno che l’agenzia delle Nazioni Unite incaricata della protezione della salute pubblica nel pianeta.
Che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stesse prestandosi a un gioco poco trasparente era già emerso dalla conferenza stampa tenutasi il 24 febbraio scorso a Pechino, in cui uno dei suoi direttori esecutivi, il canadese Bruce Aylward, aveva esplicitamente lodato le misure adottate dalla Cina, invitando gli altri stati a prendere esempio dai “metodi vecchio stampo” del regime. Più che una valutazione scientifica, una vera e propria adesione ideologica al cosiddetto modello politico cinese che avrebbe trovato un’eco favorevole in Europa nel corso delle settimane successive. Ma Aylward è stato protagonista pochi giorni fa di un episodio ancora più emblematico dell’influenza cinese sull’organizzazione che rappresenta. Nel corso di un’intervista rilasciata a un programma televisivo di Hong Kong, interpellato dalla giornalista sulla possibilità di una riammissione di Taiwan nell’OMS, il canadese si è rifugiato in un imbarazzato silenzio, prima fingendo di non aver sentito la domanda e poi, incalzato, interrompendo la comunicazione via webcam. Richiamato dalla trasmissione, Aylward ha bruscamente congedato l’intervistatrice affermando di “aver già parlato della Cina“. Quest’ultima affermazione è specialmente significativa, in quanto riflette esattamente la politica ufficiale cinese, secondo cui Taiwan altro non è che una “provincia ribelle” appartenente alla Repubblica Popolare. Poche ore dopo l’intervista, curiosamente, il profilo di Aylward è stato rimosso dalla pagina web del comitato esecutivo dell’OMS.
Il caso Taiwan è tornato alla ribalta di recente in seguito ad alcune dichiarazioni del governo di Taipei, secondo cui i funzionari del Ministero della sanità dell’isola informarono l’OMS già a fine dicembre che il virus era trasmissibile tra persone. Nessuno fece caso a quell’avviso né si presero misure profilattiche al riguardo. Solo venti giorni dopo la Cina confermò la possibilità del contagio umano e da quel momento l’informazione fu condivisa con gli altri Paesi. E solo il 30 gennaio, per l’eccessivo riguardo nei confronti delle preoccupazioni cinesi, come ricostruito dal Wall Street Journal, l’OMS si decise a dichiarare l’emergenza sanitaria globale. L’esclusione di Taiwan dagli organismi internazionali è una condizione stringente imposta da Pechino: dal 2016 non può neppure partecipare alla riunione consultiva annuale dell’OMS o agli incontri tecnici tra specialisti e l’accesso a una gran mole di informazioni rilasciate dall’organizzazione le è preclusa. Già nel maggio 2019, il ministro degli esteri taiwanese, Joseph Wu, denunciava che il veto cinese, oltre ad essere moralmente ingiustificato, lasciava il Paese in condizioni di oggettiva inferiorità in materia di prevenzione di eventuali pandemie e, soprattutto, impediva la condivisione delle conoscenze e dell’esperienza degli operatori sanitari dell’isola con la comunità internazionale. Quest’ultimo aspetto si rivela particolarmente drammatico in piena espansione della pandemia originatasi a Wuhan, tenendo conto degli eccellenti risultati ottenuti da Taiwan nel suo contenimento. Grazie a una serie di interventi tempestivi e mirati, il contagio si è limitato a 67 casi e un solo decesso, nonostante la vicinanza geografica con l’epicentro dell’infezione: test a tutti i viaggiatori in entrata, chiusura immediata delle frontiere con la Cina, Hong Kong e Macao, ricerca attiva dei nuovi casi, quarantena dei sospetti, applicazioni informatiche per l’identificazione volontaria dei pazienti. Le misure descritte avrebbero potuto rappresentare un esempio da seguire in contesti simili, soprattutto nella fase iniziale dell’espansione del virus, ma – per ragioni politiche – l’esperienza taiwanese è stata semplicemente ignorata dai vertici dell’OMS, impegnati invece a elogiare pubblicamente le strategie di risposta della Cina comunista. Mentre Taiwan è di fatto oggi una zona libera dal virus, a livello economico e diplomatico continua a soffrire le conseguenze della sua assimilazione alla Cina continentale, dal momento che i suoi casi vengono ancora conteggiati insieme ai dati forniti da Pechino. Cinquanta milioni di persone passano ogni anno per Taiwan, uno dei principali hub di collegamento internazionali, ma l’OMS non comunica formalmente a Taipei informazioni aggiornate su questioni di salute pubblica, dovendo affidarsi le autorità locali alle comunicazioni filtrate dal regime cinese. Solo Stati Uniti, Giappone, Germania e Australia si sono espresse di recente a favore della riconsiderazione della situazione di Taiwan, anche se l’intervento più significativo al riguardo è arrivato dal ministro degli esteri della piccola isola caraibica di Saint Vincent and Grenadines (sic!), Luke Browne, che nel corso dell’ultima Assemblea Mondiale della Salute tenutasi a Ginevra l’anno scorso dichiarò davanti ai rappresentanti di tutti gli stati: “Non c’è nessuna ragione di principio per giustificare l’assenza di Taiwan, l’unico motivo è che il governo di Pechino non ne ammette la presenza“. Semplice, chiaro, e ovviamente destinato a cadere nel vuoto.
Se Pechino non vuole Taiwan, Taiwan per l’Organizzazione Mondiale della Sanità semplicemente non esiste. Il silenzio di Bruce Aylward davanti alla domanda della giornalista di Hong Kong è lo specchio dell’anima corrotta di un ente che, in linea con la tradizione Onu degli ultimi decenni, soccombe alle logiche dei regimi autoritari. Ma da cosa deriva la crescente influenza cinese sul massimo organismo mondiale a protezione della salute pubblica? Anche se come sempre le ragioni economiche hanno il loro peso, in realtà a contare sono in prevalenza fattori politici. Il budget dell’OMS negli ultimi anni dipende soprattutto dai contributi volontari dei suoi membri. Anche se quella degli Stati Uniti resta la quota principale, la Cina ha aumentato il suo apporto del 52 per cento nell’ultimo lustro. Ma il moltiplicatore in termini politici di questa partecipazione deriva dall’asserita percezione della Cina come partner di futuro rispetto a un progressivo disimpegno statunitense. Poco importa se quello che da più parti è indicato come il nuovo soft power cinese è in realtà è un’arma di ricatto decisiva in mano a Pechino. Infatti, se Bruce Aylward è un funzionario che può essere sacrificato all’occorrenza (forse è già successo), la voce della Cina dentro l’OMS è nientemeno che quella del suo direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus. Di nazionalità etiope, Paese con il quale Pechino intrattiene intense relazioni politiche e commerciali tanto da farne un tassello fondamentale della sua penetrazione in Africa, Tedros deve la sua elezione al vertice dell’organizzazione (2017) all’intervento cinese. Primo direttore generale senza background medico, sponsor dell’allora uomo forte dello Zimbabwe Mugabe come “ambasciatore di buona volontà” delle Nazioni Unite, pochi giorni dopo la vittoria sul suo contendente britannico dichiarò ai media statali cinesi che l’OMS avrebbe rispettato senza esitazioni la “One China policy” come principio cardine delle relazioni internazionali del Paese asiatico. Traduzione: Taiwan out.
Tre anni dopo il risultato è sotto gli occhi di tutti. Il 28 gennaio, in piena epidemia cinese, Tedros incontrava nella capitale Xi Jinping. Alla fine della riunione elogiava il regime comunista per aver “creato un nuovo standard di controllo delle emergenze sanitarie” e i vertici del partito per la loro “trasparenza nella condivisione delle informazioni“. Ricordiamo che l’annuncio ufficiale sull’espansione del coronavirus da parte delle autorità cinesi risaliva solo a due settimane prima, dopo circa due mesi di silenzio a partire dai primi casi accertati. Il 20 febbraio, con l’Italia già presa in pieno e l’Europa in procinto di essere investita dal coronavirus, Tedros affermava che “la Cina ha comprato tempo per il bene del mondo intero” e criticava gli stati che imponevano restrizioni all’entrata di cittadini cinesi. “Abbraccia un cinese” in versione Onu. “Non bisogna politicizzare l’epidemia“, ammoniva mentre faceva politica a favore di una dittatura dove da settimane stavano sparendo le voci scomode che denunciavano insabbiamenti e ritardi. Perfino all’interno dell’OMS la voce dissenziente di John Mackenzie, membro del comitato esecutivo, segnalava che l’azione internazionale avrebbe preso una piega differente se non fosse stato per la “riprovevole opera di occultamento dell’estensione dell’epidemia” da parte della Cina. Ma Tedros da quell’orecchio non ci ha mai sentito troppo bene, tanto che ha atteso fino all’11 marzo, quando ufficialmente Xi Jinping dava per controllata l’emergenza, per dichiarare ufficialmente la pandemia. I suoi padrini non avrebbero consentito un simile sgarbo.
L’immenso costo umano ed economico della diffusione su scala globale del Covid-19 dovrà condurre all’accertamento delle responsabilità del regime che l’ha provocata e allo smascheramento delle connivenze e delle complicità di cui gode sullo scenario internazionale. In gioco non c’è solo il nostro stato di salute fisico ma anche quello delle democrazie liberali, che stanno pagando con migliaia di bare il prezzo della menzogna di stato.
Enzo Reale, 31 Mar 2020, qui.

Ma per fortuna, tra tanti yes-men, c’è anche chi dice no.

Trump all’attacco dell’Oms “Cina-centrica”: sospenderemo i fondi, sapevano ma non hanno avvertito

Su Atlantico Quotidiano, riprendendo una lunga e documentata analisi del Wall Street Journal, avevamo anticipato il tema già da metà febbraio: “Numeri di Pechino inaffidabili, sotto accusa finisce l’Oms”. In questi giorni i ritardi, le omissioni e gli errori dell’Organizzazione mondiale della sanità nella gestione della pandemia da coronavirus, e la sua deferenza verso Pechino, sono diventati motivo di attacchi da parte del governo degli Stati Uniti e di forti critiche anche in altri Paesi occidentali.
L’accusa principale che formulava già allora il WSJ era un ritardo di 7-10 giorni, dietro pressioni cinesi, nel dichiarare l’emergenza sanitaria globale: secondo le testimonianze raccolte dal quotidiano, per aver dato “troppo peso alle preoccupazioni di Pechino che la decisione avrebbe danneggiato la sua economia e l’immagine della sua leadership”. Divisioni all’interno del suo Comitato per le emergenze avrebbero impedito che una decisione fosse assunta già nella riunione del 22 e 23 gennaio, subito dopo l’intervento pubblico di Xi Jinping del 20 gennaio. Proprio il 23, Pechino adottava il blocco delle prime tre città (Wuhan, Huanggang e Ezhou), circa 20 milioni di persone, ma secondo una fonte citata dal WSJ avrebbe fatto “pressioni” sul Comitato perché non dichiarasse l’emergenza globale.
Ed erano i giorni in cui il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus lodava le “straordinarie misure” adottate dal governo cinese per combattere il virus, definendole addirittura un “nuovo standard”, mentre ha invitava gli altri Paesi a non adottare restrizioni dei viaggi.
“Gli esperti di salute pubblica si chiedono se l’Oms non sia stata troppo deferente nei riguardi della Cina nella sua gestione del nuovo virus”, scriveva il WSJ.
Una settimana fa, con un lungo e dettagliato articolo di Enzo Reale siamo tornati sulle responsabilità dell’Oms, che dalla promozione del modello Cina all’esclusione di Taiwan si è prestata al gioco del regime di Pechino.
Ieri il durissimo attacco, prima via Twitter, del presidente americano Trump, che ha minacciato di congelare i fondi Usa all’organizzazione (116 milioni di dollari l’anno, ma nel 2017 i contributi Usa per specifici progetti hanno superato i 400 milioni), accusandola di aver sbagliato veramente tutto e di essere “sino-centrica”:
The WHO really blew it. For some reason, funded largely by the United States, yet very China centric. We will be giving that a good look. Fortunately I rejected their advice on keeping our borders open to China early on. Why did they give us such a faulty recommendation?
Per fortuna, ricorda Trump, “non ho seguito il loro consiglio di tenere aperti i nostri confini alla Cina all’inizio” [farebbero bene a ricordarlo, le scimmiette addestrate che continuano a ripetere che Trump e Johnson non hanno fatto niente contro l’epidemia: loro, a differenza di noi, i propri confini li hanno chiusi subito]. Quindi, una inquietante domanda: “Perché ci hanno dato una raccomandazione così errata?”. Soluzioni che “interferiscono inutilmente con i viaggi e il commercio internazionale”, le aveva bollate il direttore dell’Oms.
Durante la conferenza stampa di ieri sera il presidente Usa ha affondato il colpo: si sono sbagliati su molte cose, sospenderemo i finanziamenti all’Oms.
“Hanno sbagliato la decisione. Hanno mancato di avvertire. Avrebbero potuto avvertire mesi prima. Avrebbe dovuto sapere, e proabilmente sapevano, ma non hanno avvertito… Sospenderemo i soldi spesi per l’Oms”.
“Sembrano essere molto sino-centrici. Ed è un modo cortese di dirlo”.
Per poi precisare, “non sto dicendo che lo faremo, ma considereremo la fine del finanziamento”.
Ancora il 14 gennaio, quando a Pechino erano ben note caratteristiche e virulenza del Covid-19, un tragico tweet sull’account ufficiale dell’Oms: “Indagini preliminari condotte dalle autorità cinesi non hanno trovato prove evidenti di trasmissibilità da persona a persona del nuovo coronavirus identificato a Wuhan” (con bandierina cinese). Peccato che Taiwan avesse avvertito l’Oms della trasmissibilità umana del nuovo virus già il 31 dicembre – ma Taiwan non esiste per l’Oms, in ossequio al principio di “una sola Cina”. E peccato che un primo caso fosse stato confermato il giorno prima, il 13, in Thailandia (difficile che un pipistrello o un pangolino fossero arrivati fin laggiù).
“L’Oms deve una spiegazione al mondo sul perché hanno preso per buone le parole della Cina. Tante sofferenze sono state causate dalla cattiva gestione delle informazioni e dalla mancanza di responsabilità da parte dei cinesi”, ha twittato l’ex ambasciatore alle Nazioni Unite Nikki Haley.
L’Oms, è lecito chiedersi, ha partecipato attivamente al cover-up da parte di Pechino, o ne è stata anch’essa vittima? In nessuno dei due casi ne potrà uscire bene, ma la sensazione è che almeno negli Stati Uniti vogliano vederci chiaro.
Non solo la Casa Bianca, anche il Congresso è sul piede di guerra contro l’Oms. Sia individualmente sia attraverso delle risoluzioni, molti senatori e deputati, in larga parte Repubblicani, chiedono le dimissioni del direttore generale Tedros Ghebreyesus.
Ieri alla Camera dei rappresentanti alcuni deputati repubblicani hanno presentato una risoluzione in cui si chiede al Congresso di tagliare i fondi all’Oms finché il suo direttore generale non si dimetterà e finché non verrà istituita una commissione internazionale per indagare su come l’organizzazione si è comportata con la Cina durante la pandemia. “L’America è il maggior contributore dell’Oms. Non è giusto che i dollari guadagnati con fatica dei contribuenti americani siano usati per propagare le bugie del Partito comunista cinese”, ha tuonato il deputato Guy Reschenthaler.
Il mese scorso, un’altra risoluzione, presentata alla Camera e al Senato, in cui si chiedeva al direttore dell’Oms di ritrattare le sue “dichiarazioni di supporto altamente fuorvianti sulla risposta del governo della Repubblica popolare cinese”.
Il senatore della Florida Rick Scott la scorsa settimana ha proposto una commissione d’inchiesta del Congresso, non internazionale, sul “ruolo dell’Oms nell’aiutare la Cina comunista a coprire le informazioni riguardanti la minaccia del coronavirus“. “Devono essere ritenuti responsabili per il loro ruolo nel promuovere la disinformazione e aiutare la Cina comunista a insabbiare una pandemia globale”, ha dichiarato. “Sappiamo che la Cina comunista sta mentendo su quanti casi e morti hanno, cosa sapevano e quando l’hanno saputo – e l’Oms non si è mai preoccupata di indagare ulteriormente”.
“Il marciume all’Oms in realtà va oltre le effusioni con Pechino, ma questo è un buon punto di partenza”, è la chiosa all’iniziativa del senatore da parte del Wall Street Journal, in un editoriale dal titolo eloquente: “World Health Coronavirus Disinformation”.
Lunedì scorso infatti il quotidiano Usa è tornato ad attaccare l’Oms, accusandola di disinformazione, di aver danneggiato, con i suoi “inchini” a Pechino, la riposta globale alla pandemia, e invitando il Congresso Usa a indagare sulla sua performance contro il coronavirus, ipotizzando che la sua capacità di giudizio sia stata “corrotta dall’influenza politica della Cina”.
Impietosa la ricostruzione del WSJ, la stessa che già avete letto in più articoli su Atlantico, da fonti in gran parte cinesi.
L’inizio dell’epidemia in Cina, a Wuhan, probabilmente a novembre, l’esplosione a dicembre.
Il genoma del nuovo coronavirus sequenziato dai laboratori cinesi entro la fine di dicembre, secondo Caixin Global, ma arrivò l’ordine dall’alto dei funzionari del partito di distruggere i campioni e non pubblicare nulla.
Il 30 dicembre l’allarme del dottor Li Wenliang, per questo arrestato con alcuni suoi colleghi e poi morto ufficialmente di Covid-19.
L’allarme sulla trasmissibilità da persona a persona arrivato il 31 dicembre direttamente all’Oms dalle autorità di Taiwan, ma ancora dopo due settimane lo sciagurato tweet del 14 gennaio, di cui abbiamo parlato poco sopra. Passerà un’altra settimana prima che la trasmissibilità umana venga ufficializzata.
Quindi la riunione del comitato emergenze dell’Oms del 22-23 gennaio, in cui si discute se dichiarare l’emergenza sanitaria globale. Una decisione apparentemente facile, ma non se ne fa niente, per le obiezioni e le pressioni di Pechino.
La dichiarazione arriva il 30, dopo la visita di Ghebreyesus a Pechino e le sue lodi alla risposta cinese: “Bisogna complimentarsi con il governo cinese per le straordinarie misure che ha adottato. Non mi ha lasciato assolutamente alcun dubbio sull’impegno della Cina per la trasparenza”. Comico. In realtà, si erano perse almeno 3-4 settimane preziosissime, durante le quali gli altri Paesi avrebbero potuto iniziare ad adottare le necessarie misure. Secondo uno studio dell’Università di Southampton, i casi nel mondo sarebbero stati ridotti del 95 per cento se la Cina avesse agito per contenere il virus solo tre settimane prima.
Secondo il Wall Street Journal, “gran parte della colpa dei fallimenti dell’Oms ricade sul Dr. Tedros, che è un politico, non un medico”, e di cui il giornale ricorda i trascorsi politici come ministro degli esteri e della salute del governo autocratico etiope, come membro del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè, di ispirazione marxista e socialista, nonché la sua proposta di nominare Mugabe ambasciatore dell’Oms.
Quindi, il WSJ chiede a Washington di riformare l’Oms, contrastando l’influenza cinese, o tagliarle i fondi.
“Di tutte le istituzioni internazionali, l’Oms dovrebbe essere quella meno politicizzata. La sua missione primaria è quella di coordinare gli sforzi internazionali contro le epidemie e fornire oneste linee guida di salute pubblica. Se invece è solamente una politicizzata Linea Maginot contro le pandemie, allora è più che inutile e non dovrebbe ricevere più finanziamenti dagli Stati Uniti”.
Un editoriale che Trump deve aver letto…
Una settimana fa aveva battuto un colpo anche l’intelligence Usa, facendo trapelare il contenuto di un rapporto riservato alla Casa Bianca secondo cui “la Cina ha nascosto la reale dimensione dell’epidemia di coronavirus, sottostimando deliberatamente sia il numero di casi di infezione rilevati che il numero dei decessi”. Senza poter fornire ulteriori dettagli, le fonti governative citate da Bloomberg hanno riferito che le conclusioni nel rapporto definiscono “falsi” i numeri forniti da Pechino.
Secondo i media britannici anche il primo ministro Boris Johnson sta ripensando ai legami tra Regno Unito e Cina alla luce della mancanza di trasparenza di Pechino sul coronavirus e, secondo fonti governative, Michael Gove, cancelliere del Ducato di Lancaster, avrebbe accusato la Cina di non aver condiviso dati accurati circa “la portata, la natura e la infettività” della malattia, anticipando che a Pechino verrà presentato il conto quando la pandemia sarà finita. Non escluso che il governo Johnson possa rivedere la sua decisione di consentire a Huawei di avere un ruolo nello sviluppo della rete 5G britannica.
La pandemia rischia di allontanare anche Cina e Russia (che è stata la prima a sigillare i suoi confini). Durante un meeting del presidente russo Putin con i suoi esperti, riferisce su Twitter Artyom Lukin (grazie a Luigi De Biase per la segnalazione), è emerso che Mosca ha ottenuto il suo primo campione biologico di Covid-19 dall’Australia, il 15 febbraio, non essendo riuscita ad assicurarsene dalla Cina.
Federico Punzi, 8 Apr 2020, qui.

E in quest’altro articolo, di Gian Micalessin, apprendiamo che

Per capire cosa intendeva dire l’inquilino della Casa Bianca bisogna tornare al maggio 2017 quando al Palazzo di Vetro si sceglie il nuovo direttore generale dell’Oms. Su indicazione della Cina 50 paesi africani totalmente allineati a Pechino votano per Tedros Adhanom Ghebreyesus, un ex-ministro della sanità e degli esteri etiope. Oltre a esser un microbiologo anziché un medico come tutti i suoi predecessori, Tedros Adhanom è anche sospettato d’aver insabbiato tre epidemie di colera scoppiate durante il suo mandato.

Se non fosse lo slogan di un famigerato gruppo terroristico, verrebbe voglia di riesumare il vecchio “Pagherete caro, pagherete tutto”. Spero comunque, con o senza slogan, che qualcuno faccia davvero pagare tutto a questi assassini.

PS: Qualche giorno fa un commentatore ha scritto:

Ancora un zic di sinofobia da 4 schèi (soldi) e chiedo la cittadinanza cinese, anche senza mangiare schifezze: o sono vegetariano. Ah, le identiche app le usa Israele.

Visto che qui di “sinofobia” ce n’è uno ziccone bello grosso, immagino che la Gloriosa Repubblica Popolare Cinese da oggi acquisterà uno schiavo in più, ben felice di esserlo, come tutti gli schiavi ideologici.

barbara

UN PO’ DI COSE SPARSE 1

Comincio con un po’ di figure, che quelle si capiscono meglio. Cominciamo con queste:
tagli 1
tagli 2
tagli 3
tagli 4
e proseguiamo con queste:
niente polemiche
Gori
nonabbiamopaura
Enrico Rossi
Fontana
Azzolina
Dice, “non dobbiamo fare polemiche” e “le polemiche sono sterili” e “non è questo il momento” eccetera. Vedete un po’ voi. Qualcuno invoca per questa gentaglia la pena di morte, o almeno la galera; io sono molto più mite: visto che per colpa loro gli ospedali e in particolare le rianimazioni sono al collasso e molti che ne avrebbero bisogno non possono essere accolti, mi accontento di condannarli ad accudire a domicilio quelle persone per le quali nelle rianimazioni non c’è più posto. Questi due allegri compagni di merenda invece
proteione civile
li manderei a pulire le stanze e i corridoi degli ospedali. Poi c’è la raffinata intellettuale, quella del fascistometro e di altre ineffabili amenità
murgiavirus
che manderei a occuparsi della rimozione del materiale ospedaliero infetto. E questa?
merlino_involtino
Visto che è un’espertissima virologa, molto più di Burioni, potrebbe fare le pulizie nei laboratori di ricerca e in quelli in cui si analizzano i tamponi. Tutti rigorosamente a mani nude e viso scoperto, beninteso, perché mascherine occhiali e guanti servono alla gente per bene: loro, in ogni caso, sicuramente non avranno obiezioni, dato che non c’è il minimo rischio. E per finire in gloria, guardate qua che spettacolo!
cirinnà
E ora guardiamo questa immagine, che sicuramente molti di voi avranno già visto:
SO2 Wuhan
carina, vero? Di che cosa si tratta ve lo spiega questo signore:

Lorenzo Capellini Mion

Febbraio 2020, immagini dal satellite che avevo pubblicato e che hanno fatto sparire alla chetichella, nemmeno un alert.
La fotografia evidenzia gli alti livelli di anidride solforosa all’epicentro dell’epidemia ora pandemia, per gli scienziati sarebbe la prova di cremazioni di massa.
In effetti le mappe satellitari in Febbraio avevano mostrato livelli allarmanti di SO2 intorno a Wuhan.
Inoltre, c’erano alti livelli di anidride solforosa nella città di Chongqing, anch’essa in quarantena.
I morti in tutta la Cina sarebbero poco più di 3000, report multipli parlano di numeri decisamente diversi e più credibili, basta guardare al nostro Paese.
Gli scienziati affermano che l’anidride solforosa viene prodotta quando i corpi vengono cremati e anche quando i rifiuti sanitari vengono inceneriti.
Ora l’informazione la levano, magari no, mi importa che chi legge rifletta usando la propria testa.
China lied, people died.

Già. Ci viene ammannita la rassicurante favoletta del Principe Partito Comunista cinese che fiero sul suo cavallo bianco uccide il drago-covid19 e libera la principessa Wuhan e con lei tutta la Cina e il mondo intero, e ci sono anche un sacco di imbecilli che se la bevono, che ci raccontano che “abbiamo superato la Cina per numero di contagiati e di morti”, che “col sistema cinese il contagio è stato fermato” e altre simili barzellette. Va naturalmente precisato che il numero reale di morti in Italia è parecchio lontano da quello ufficiale, perché ci sono gli ospiti delle case di riposo che stanno morendo come mosche e non rientrano in nessun conteggio, ci sono i vecchi che muoiono a casa perché – inutile raccontarci storie – se di posti negli ospedali non ce ne sono più, nessuno li può tirare fuori dal cilindro, e anche loro non rientrano in alcun conteggio. Stabilito questo, qualunque calcolo comparato è totalmente privo di fondamento. E la cronaca attuale dimostra che gli occultamenti non si sono limitati ai primi due mesi, ma continuano tuttora. Lo dimostra l’immagine lì sopra e lo dimostra la storia di Li Zehua.

Li Zehua aveva tutto per starsene tranquillo quando è scoppiata la pandemia a Wuhan. Dopo essersi laureato in una delle migliori università cinesi, Li ha iniziato a lavorare per la più importante stazione televisiva statale, la CCTV. Li era una stella nascente. Se fosse rimasto entro i confini tracciati dal regime, Li avrebbe potuto vivere una vita comoda e ricca. Solo che si è domandato cosa era andato storto nella pandemia. E ha raggiunto Wuhan. Li ha iniziato a pubblicare video. Ha intervistato residenti, operai e impiegati delle pompe funebri. Il 26 febbraio, quando stava tornando dall’Istituto di Virologia di Wuhan, Li ha pubblicato un breve video mentre veniva seguito da un veicolo della pubblica sicurezza. “Mi stanno inseguendo. . . . Sono sicuro che vogliono tenermi in isolamento. Aiutatemi per favore!”. Ha paura di fare la fine del dottor Li Weinlang. Li Zehua è tornato nel suo appartamento e si è messo in streaming per lasciare un messaggio. Appena sente bussare alla porta dice in video: “Oggi molti giovani cinesi probabilmente non hanno idea di cosa sia successo nel nostro passato e pensano che la storia che hanno ora sia quella che meritano”. Dopo queste ultime parole, Li apre la porta. La telecamera viene bruscamente spenta e il livestream si ferma. Nessuno ha avuto più notizie di Li da quel giorno. Questa è la Cina. (qui)

E sempre a proposito della Cina e delle sue balle e delle sue catastrofi, credo che in questo pezzo che ho trovato possiamo avere, se non le cifre reali, che nessuno saprà mai, almeno delle cifre realistiche.

Gianni Pellegrini

Ripubblico, così come l’ho ricevuta, questa riflessione che reputo interessante (nonostante l’uso a sproposito del termine “olocausto” che io avrei evitato).

“LE VERE CIFRE DI WUHAN

Fonte: dati pubblici sulla telefonia.
In Cina sono stati disattivati 14.500.000 account di telefonia mobile da inizio gennaio.
14.500.000.
Tenete a mente questo numero.
Ora cercate di seguirmi: in Cina il numero di telefono è collegato al tuo conto in banca (sto semplificando) ed a molti servizi di utilità nazionale.
E proprio per questo NON è facile cambiarlo.
Perché ci paghi il fruttivendolo, ma puoi attivare anche servizi di previdenza ed altro ancora.
Ora… è legale in cina che una persona abbia più di un account telefonico.
E, IMPORTANTE, per questi servizi si paga una fee mensile: una cosa attorno ai 5 dollari a mese.
SE NON PAGHI TI CANCELLANO L’ACCOUNT TELEFONICO.
Riuscite ad immaginare il MOTIVO per cui dall’inizio di GENNAIO sono stati cancellati in Cina 14.500.000 account telefonici?
O non ti serve.
Oppure non hai pagato perché SEI MORTO.
Un calcolo approssimativo [ossia calcolando tre account a testa, ndb], quindi porta ad una cifra: 4.800.000 che non hanno potuto pagare perché DEFUNTI.
Se si prende (è un calcolo grossolano) la provincia di Hubei, che ammonta 56.000.000 di persone e si suppone che siano tutte infettate la letalità è: dell’8,5%.
Corrisponde?
Molto verosimile. Sono cifre da olocausto.
Altro che 3000 morti e spicci per 80.000 contagiati.
Qui si parla di milioni di cadaveri da smaltire.

Ora viene il peggio.

Taiwan le cifre reali le conosceva.
Tanto è vero che ha preso subito le precauzioni giuste: i numeri parlano chiaro: 2 morti e solo 153 contagiati fino ad oggi, nonostante il traffico con la terraferma cinese sia costante.
E sapeva anche un’altra cosa: che il COVID19 si propagava da persona a persona già da dicembre.
E lo ha comunicato all’OMS.
Il quale non ha detto UN CAZZO per settimane, avallando il governo di Pechino.
Ora la domanda:
se i calcoli e le deduzioni sono esatte e i governi mondiali avessero saputo della reale dimensione dell’epidemia cinese e che era trasmissibile da umano ad umano, avrebbero sottovalutato la minaccia?
Io non credo.
CHIUNQUE sia grato ai Cinesi è solo un idiota affetto da sindrome di Stoccolma.”

Del resto lo sappiamo da sempre che i morti causati dalle proprie politiche, la Cina è abituata a contarli a milioni e a decine di milioni.

E a proposito dell’ultima frase: sono arrivati con la grancassa gli “aiuti” cinesi (il materiale in realtà è stato pagato fino all’ultima mascherina; i medici non so), e tutti a profondersi in sperticati ringraziamenti; sono arrivati con la grancassa gli aiuti cubani, e tutti a profondersi in sperticati ringraziamenti; sono arrivati gli aiuti americani senza grancassa e tutti a dire aha, cinesi e cubani corrono ad aiutarci e il biondone invece cosa aspetta?

Aggiungo ancora una cosa: non ne posso più del “morto per” e “morto con”. Se un ottantenne obeso iperteso e diabetico cade, batte la testa e ci resta secco, nel certificato di morte scrivono “causa della morte: trauma cranico”, non obesità ipertensione diabete. Se un ottantenne obeso iperteso e diabetico fa un infarto, nel certificato di morte scrivono “causa della morte: infarto”, non obesità ipertensione diabete. Perché diavolo lo stesso ottantenne obeso iperteso e diabetico che si becca il covid19 deve improvvisamente diventare morto “con” il covid19, precisando che era vecchio e con patologie pregresse? Perché è più rassicurante? Perché così i giovani si sentano legittimati ad andarsi ad ammassare nei pub a bere alla faccia del coronavirus? Credo che tutti noi conosciamo qualche settantenne diabetico o iperteso che prende i farmaci adatti e guida, viaggia, si occupa dei nipoti quando la figlia o la nuora ha qualche impegno extra, magari fa anche volontariato, e se non arriva il virus malefico fra dieci, quindici, magari venti anni è ancora qui. E se il virus malefico arriva, lui muore per il virus. PER PER PER PER PER.

Concludo questa prima parte con una bellissima notizia:

Agenzia Vista) – Milano, 21 Marzo 2020 – La nuova terapia intensiva dell’Ospedale San Raffaele costruita in tempo record, solo 8 giorni, per l’emergenza Coronavirus è ufficialmente pronta. Da lunedì 23 marzo accoglierà i malati gravi Covid19. La costruzione, realizzata nei campi sportivi dell’UniSR, è stata interamente finanziata con le donazioni ricevute e con la raccolta fondi lanciata dai Ferragnez su gofundme.com. Grazie ancora a Fedez e Chiara Ferragni e ai 200mila donatori che in Italia e all’estero hanno offerto il loro contributo. Grazie anche a chi ha lavorato senza sosta per trasformare una speranza in realtà. Entro le prossime settimane sarà pronto anche l‘ampliamento della struttura che metterà a disposizione ulteriori posti letto per le terapie intensive. / Fonte Facebook IRCCS Ospedale San Raffaele

Eh sì: ospedale privato, iniziativa privata, fondi privati, e un intero nuovo padiglione sorge come per incanto in otto giorni. Alla faccia di chi invoca più stato e più Europa

E con un appello:

In questo momento di emergenza stiamo organizzando una raccolta fondi rapida per l’acquisto di 1000 mascherine per l’ospedale di Lodi. Il gruppo sionistico piemontese ci sostiene e mette a disposizione iban e conto corrente per la gestione dei fondi che arriveranno. Qualunque donazione, anche minima, è importante. Per favore, è urgente.

conto intestato:

Gruppo Sionistico Piemontese

IBAN IT39Q08382 01000000130114627 causale: fondi mascherine di LODI.

Quando si effettua la donazione per favore inviare mail di conferma a:

segreamar@gmail.com

In tal modo la vostra donazione sarà subito utilizzata.

barbara