ROMANZO TRISTE

Ovvero la lunga e dolorosa storia dei miei occhi.
La storia è cominciata quando avevo tre anni, e in seguito a una febbre – stando almeno a quanto mi è stato raccontato – sono diventata strabica (febbre. All’epoca non c’erano le vaccinazioni infantili, quindi nessuno tenti di incolparne qualche vaccino come hanno fatto per l’autismo e mille altre cose). Un lunga serie di esercizi di ginnastica oculare mi hanno trasformato uno strabismo unilaterale in strabismo bilaterale alternato; il perché mi è stato spiegato solo recentissimamente: lo strabico in genere usa un occhio solo; io, grazie al risultato della ginnastica, uso un solo occhio per volta, però alternati, e quindi ho evitato di perderne uno, come succede quando uno non viene mai usato. A dieci anni sono stata operata; un oculista specializzato in strabismo, che non operava ma programmava dettagliatamente gli interventi degli altri, aveva programmato tre interventi: due, a distanza di qualche mese uno dall’altro, un occhio per volta, tagliando un po’ meno del necessario, poi aspettare un anno per l’accomodamento e infine dare l’ultimo piccolo ritocco per portare tutto alla perfezione, e non avrei mai più dovuto portare gli occhiali. Poi lui si è trasferito, mi hanno operata in due (Moro e Chinaglia, che siano stramaledetti) contemporaneamente, un occhio per ciascuno, e hanno tagliato più del dovuto, trasformando uno strabismo convergente in strabismo divergente e non più rimediabile. E dunque sono rimasta strabica per sempre, e sempre di più col passare degli anni e dei decenni.
Lo strabismo non è solo un problema estetico: è anche un problema relazionale, tanto per cominciare (tipo: scolaro che fa casino, io lo guardo con aria feroce, lui continua a fare i fatti suoi mentre quello due banchi più in là schizza su strillando “Beh, cosa ho fatto adesso?!”); è poi un problema tecnico, perché usando un solo occhio per volta il campo visivo è ridotto, e perché senza l’aggiustamento dato dalla visione bioculare non ho la capacità di calcolare le distanze (per parcheggiare per esempio devo sempre fare almeno una manovra in più per la paura di andare a toccare, perché fra 5 e 50 centimetri non percepisco alcuna differenza, per cui, per non rischiare disastri, devo necessariamente fare conto che siano 5. Tranne la volta che in garage mi sono detta dai basta con questa storia, lo sai benissimo che c’è almeno mezzo me-SBAM!)
Qualche anno fa sono arrivate le cataratte, quasi sicuramente di origine traumatica per via del mio famoso incontro intimo con una Ford Focus (nota per i lettori recenti: centrata in pieno sulle righe senza neanche toccare i freni, volo di diversi metri e infine scaraventata di faccia sull’asfalto). Insieme alla visione offuscata è comparsa, ed è andata via via aumentando, questa cosa qui

quando avevo davanti una fonte di luce (solo, con i raggi più filiformi). Quando l’ho spiegato all’oculista, ha confermato che era una conseguenza della frantumazione del cristallino, che ovviamente sarebbe sparita con l’intervento e la sostituzione del cristallino frantumato e difettato con quello artificiale nuovo di zecca. Sono stata operata lo scorso gennaio, e la mia visione in presenza di una fonte di luce è diventata questa

Col passare dei mesi quel raggio centrale di uno o due gradi in cui era concentrata la maggior parte della luminosità si è andato aprendo come un ventaglio e ha aumentato l’ampiezza dell’angolo e il raggio del cerchio fino a tornare alla stessa situazione di prima dell’intervento. Sia lui che un’altra oculista che ho consultato hanno detto che la cosa migliore era un trattamento laser (rigorosamente privato, e abbastanza costoso) per “pulire”. Vabbè, martedì scorso l’ho fatto e adesso, in presenza di una fonte di luce, il mio occhio destro vede questo

Non così totalmente coprente, ma la distribuzione dei raggi luminosi è sostanzialmente questa. I singoli raggi, essendo meno numerosi, sono più luminosi, perché la luminosità totale è sempre la stessa. E mentre prima i raggi di luce erano bianchi, ora sono iridati. Si tenga presente che in questa zona le luci stradali sono dei piatti con quattro basi costituite ognuna da 20 lucine led, vale a dire 80 per ogni lampione, moltiplicate per alcune decine che arrivo a vedere in un rettilineo, moltiplicate per due per i due lati della strada, più le luci delle molte decine di auto che mi vengono incontro (doppie quando le luci di posizione sono separate), più i fanalini di quelle che vanno nella mia direzione, più le luci esterne delle case più le insegne e le vetrine dei negozi più i semafori e più, fra poco, le luminarie di Natale. Il tutto moltiplicato per due in caso di pioggia. E per ogni singola luce io vedo questa cosa qui.
Fine.

barbara

A MARGINE DELL’INTERVENTO

Tutti convocati alle sette e mezza; io sono stata operata all’una, e non ero neanche l’ultima: questo è un genere di cose che non capisco.
In compenso in tutte queste ore mi sono piacevolmente intrattenuta con una simpatica signora madre di sei figli, la più grande di vent’anni. Poi ad un certo momento l’ho vista per un attimo di spalle in slip (che tra l’altro avevano questo

meraviglioso colore) e giuro che se mi avessero detto che era una modella ventenne senza figli non avrei battuto ciglio. E neanche un filo di cellulite, oltretutto.
Quando è stato il momento, vedendo un’infermiera trafficare con cose spaventevoli, ho chiesto: “È lei che deve inserirmi la cannula?” “Sì” “Allora buona fortuna. E comunque si prepari allo strillo” Lo strillo è arrivato, e la vena presa si è rivelata non pervia, al che un’altra infermierona grande e grossa mi ha messo in mano la sua manona enorme e mi ha detto stringa forte, me la stritoli pure, così non deve gridare. In effetti non ho proprio gridato, ma qualche lamento sonoro è uscito lo stesso, dopodiché, sfinita, le  ho appoggiato la testa all’incavo del braccio, e lei è rimasta lì, paziente, fino a quando non sono riuscita a ritirarmi su. Comunque è stata brava, e di entrambi i buchi è rimasto solo un puntino, senza una briciola di ematoma.
L’intervento poi è durato poco, meno di dieci minuti, ma non è stata una passeggiata, anche se di dolore vero e proprio non ne ho provato molto. Nel caso qualcuno fosse interessato, l’intervento si svolge così

Oggi sono andata a togliere la benda e fare il controllo, e adesso devo aspettare l’aggiustamento, che impiegherà diverse settimane, e nelle prime ore mi mancava talmente l‘equilibrio che quasi non riuscivo a camminare, ma adesso va meglio. E comunque è bellissimo rivedere di nuovo l’occhio limpido senza quella placca opaca.

barbara

E VOI NEANCHE VE LO IMMAGINATE

che razza di impresa sia mettersi le mutande senza chinarsi neanche di un millimetro (e lo so, non c’è niente da fare: ogni volta che ho un incidente si finisce inevitabilmente a parlare di mutande). Nel frattempo comunque sto diventando un’autentica specialista nell’arte di raccogliere oggetti caduti per terra e aprire sportelli bassi con i piedi (qualcuno ha fatto invereconde illazioni su cos’altro potrò imparare a fare con i piedi, se mi esercito a sufficienza). Poi ho un bel po’ rivoluzionato la sistemazione della casa per rendere accessibili cose che al loro posto consueto non lo erano e ho contattato un’associazione privata per avere un po’ di aiuto (dalle istituzioni pubbliche non ne ho diritto, cioè nel senso che non esiste questo tipo di offerta). Certo che sputtanarmi l’intera stagione balneare, guardare il mare dalla finestra e fargli ciao ciao da lontano (sì lo so, è la canzone più cretina della storia dell’umanità, e cantata con quei due sedanini imbraghettati di rosa e quella vocettina della misericordia fa ancora più pena. E tanto peggio per voi, così imparate a farmi fracassare la spina dorsale), è di un deprimente, ma di un deprimente… Vabbè, proviamo a consolarci con questa:

Mi viene in mente la volta che in barella, mentre mi portavano in sala operatoria, digiuna da un giorno intero continuavo a strepitare “Voglio una fiorentina! Con le patate al forno!” Adesso ho una voglia di ballare, ma una voglia di ballare, ma una voglia di ballare (periodico fisso).

barbara

A CUORE APERTO

Per fortuna non tutti, invecchiando, rimbambiscono: ne è la prova quest’ultimo minuscolo ma prezioso libro di Elie Wiesel, che raccoglie pensieri, emozioni, ricordi, affetti rivissuti in quelli che, temeva, potevano essere gli ultimi giorni, gli ultimi istanti della sua vita – al punto che, al momento di essere anestetizzato, chiede ancora un minuto, per poter recitare lo shemà, perché non è molto sicuro di risvegliarsi da un intervento così impegnativo – a cuore aperto, appunto, come a cuore aperto sono le confidenze che sgorgano in questo particolare frangente.
Poi si è risvegliato, per (anche nostra) fortuna, il che gli ha permesso, oltre che di regalare ancora amore e saggezza alla moglie, al figlio e ai nipotini, anche di offrire a noi questo piccolo gioiello che ci regala intense emozioni.

Elie Wiesel, A cuore aperto, Bompiani
A cuore aperto
barbara

RIECCOMI

Con qualche pezzetto in meno, semidissanguata, leggermente sfinita, ma più bella, più forte, più simpatica, e soprattutto più spietata che prìa.

GUAI A VOI, ANIME PRAVE!

Piesse: la bellezza ineffabile, sublime, paradisiaca di quel “Ecco signora, tutto finito” che ti arriva all’orecchio (le prime volte no, la formula non era questa, perché ero bambina, e poi ragazzina, e poi ragazza, e poi giovane donna, troppo giovane per essere chiamata signora, ma l’effetto è sempre lo stesso.
Pipiesse: pare che il guaio per cui mi sono dovuta operare non sia capitato da solo, ma sia l’ennesima conseguenza dell’incidente di gennaio.

barbara

UN RICORDO

Durante le vacanze fra la quarta e la quinta elementare sono stata operata agli occhi – operazione in cui chi ha operato ha deciso di propria iniziativa di fare diversamente da quanto era stato programmato, commettendo errori irreversibili e irreparabili, di cui tuttora porto le conseguenze, ma questa è un’altra storia.
Il primo giorno di scuola, in quinta elementare, mio padre va dalla maestra e le spiega che sono appena stata operata, che in questo momento i miei occhi sono molto delicati, che non devo in alcun modo affaticarli, che potrebbe succedere che qualche volta non riesca a fare tutto (a quel tempo la scuola dell’obbligo si concludeva con la quinta elementare; a quel tempo in quinta elementare era normale che fra compiti scritti e studio si avessero almeno due-tre ore di lavoro al giorno), che, se dovesse succedere, la signora maestra è cortesemente pregata di avere pazienza. La maestra dice che sì, certo, sono sempre stata molto diligente, se non riuscirò a fare tutto lei sa per certo che non è per cattiva volontà.
Un giorno, non molto tempo dopo, interroga sui fiumi della Russia, che avevamo da studiare per quel giorno.

– Paola.
– Volga, Danubio, Ural, Dnepr, Don.
– Al posto. Quattro. Maria Grazia.
– Volga, Danubio, Ural, Dnepr, Don.
– Al posto. Quattro. Daniela.
– Volga, Danubio, Ural, Dnepr, Don.
– Al posto. Quattro. Margherita.
– Volga, Danubio, Ural, Dnepr, Don.
– Al posto. Quattro. Raffaella.
– Volga, Danubio, Ural, Dnepr, Don.
– Al posto. Quattro. Barbara.
– Volga, Danubio, Ural, Dnepr, Don.
– Al posto. Quattro. …

Ha interrogato tutta la classe. Tutte abbiamo detto Volga Danubio Ural Dnepr Don, perché quelli erano in fiumi della Russia scritti nel sussidiario, quelli avevamo studiato e quelli sapevamo. E tutte abbiamo preso quattro perché lei, a quanto pare, voleva qualcos’altro, che non abbiamo mai saputo cosa fosse.
Il giorno dopo mio padre è andato da lei: “Signora maestra… Le avevo spiegato… Le avevo cortesemente chiesto… Ha pianto tutto il pomeriggio, ha gli occhi gonfi che fanno spavento, i suoi occhi non possono sopportare queste cose in questo momento…”
All’uscita di scuola l’ho trovato che mi aspettava, con un sorriso da un orecchio all’altro, impaziente di darmi la lieta novella: “Ha detto che si ricorda benissimo che tu non puoi fare tutto, che il tuo quattro lo ha scritto solo per non far venire fuori storie con le altre bambine, ma poi lo cancella e non ne tiene mica conto!”
Nessuno ha mai capito perché quel giorno abbia pianto ancora più a lungo e più rabbiosamente del giorno prima.
Puttana puttana puttana la maestra.

barbara