Mi è sempre rimasto sullo stomaco, nel corso degli anni e dei decenni, quell’osceno, spietato linciaggio morale nei confronti di un uomo onesto, la cui coscienza, ad un certo momento, non aveva più retto al peso dell’omertoso silenzio sui crimini, spacciati per giustizia popolare, perpetrati nel cosiddetto triangolo rosso. Finalmente, dopo ventisei lunghissimi anni, si è avuto il coraggio di riconoscere che Otello Montanari non è un infame, un traditore, una spia, un delatore ma, semplicemente, un uomo con una coscienza.
Le storie del 25 aprile – Il “delatore” Montanari riabilitato dall’Anpi. Ma solo dopo 26 anni
Nel 1990 aveva cercato di alzare il velo sui delitti delle bande emiliane contro gli ex fascisti
FRANCO GIUBILEI
REGGIO EMILIA
Ci sono voluti 26 anni. Anni difficili, fatti di accuse di tradimento durissime da mandar giù per un ex partigiano comunista gravemente ferito in battaglia contro i nazifascisti, ma alla fine Otello Montanari si è visto riconoscere tutte le sue ragioni, con tanto di scuse dall’Anpi di Reggio Emilia. Parliamo del periodo successivo al 25 aprile 1945, quando nel cosiddetto «triangolo rosso» c’erano bande clandestine che facevano giustizia sommaria di persone ritenute legate al fascismo. Dopo l’uccisione del parroco di Correggio, don Umberto Pessina, nell’estate del ’46, si mosse anche Togliatti per porre fine alle spedizioni punitive e mettere ordine nella federazione Pci di Reggio.
Quarantaquattro anni dopo, Otello Montanari alzò il velo delle ipocrisie sul sangue versato nel Dopoguerra con una lettera al Resto del Carlino che si concludeva con l’appello «chi sa, parli», in relazione a un altro delitto eccellente: quello del direttore tecnico delle Officine Reggiane, Armando Vischi, ucciso il 31 agosto del ’45 da una formazione paramilitare. «Dopo la pubblicazione scoppiò l’ira di Dio, in poco più di un mese uscirono più di 1200 articoli su tutti i giornali italiani», ricorda oggi Montanari, 90 anni il prossimo maggio, una vita spesa fra Pci, di cui è stato deputato per una legislatura, Anpi e Istituto Cervi. La direzione del partito allora spedì a Reggio Piero Fassino per vederci chiaro: «Mi disse che avevo ragione e che avevo fatto bene – racconta Montanari -. Mi invitò a tener duro con la sola avvertenza di stare attento alle strumentalizzazioni fasciste, perché il Msi voleva fare una manifestazione».
La tempesta vera, però, con tutto il corredo di minacce telefoniche a casa, accuse di essere un delatore e l’ostracismo di Anpi e Istituto Cervi, si scatena a partire dal ’91, quando l’ex partigiano rivela prove decisive sulle responsabilità dell’omicidio Pessina, per cui nel frattempo erano finiti in galera due innocenti, Germano Nicolini ed Egidio Baraldi: «L’ex archivista del Pci Rangoni ritrovò la registrazione di una conversazione con l’allora responsabile della federazione Pci di Reggio, Nizzoli, in cui risultava che si era deciso di tacere sui veri colpevoli, così ci siamo rivolti al magistrato ed è stato possibile avviare il processo di revisione». Per Montanari cominciano i problemi veri, soprattutto dopo che «Diavolo», nome di battaglia di Nicolini durante la Resistenza, nel ’94 viene assolto: «Sono stati anni duri, amari, in cui ho sofferto io e ha sofferto molto anche la mia famiglia: non sono stato più chiamato a parlare a cerimonie pubbliche né dall’Anpi né dal partito».
L’ultimo colpo velenoso arriva nel 2011, con l’accusa del presidente provinciale dell’associazione partigiana, Giacomo Notari, di non aver raccontato tutto quel che sapeva sulla morte di don Pessina «qualche decennio prima, quando c’era Nicolini in galera. Se avesse parlato apertamente, forse Diavolo non avrebbe fatto tutta la galera che ha fatto ingiustamente. Così anche per Baraldi». «Per queste frasi l’ho querelato – spiega Montanari -. Di certo non potevo sapere cos’era successo, perché fino al ’46 sono rimasto in ospedale per le ferite riportate a inizio ‘45, quando le SS italiane mi spararono addosso 8 proiettili (colpi che lo avrebbero azzoppato per il resto della sua vita, ndr). Seppi della registrazione solo nel ‘91». Stavolta però, la retromarcia del presidente Anpi sono piene e incondizionate: «Riconosco che Otello, appena saputo di prove utili per ottenere giustizia, agì con tempestività, fornendo un decisivo contributo a svelare la verità. Chiedo scusa di avergli procurato sofferenze, amarezze e preclusioni». Per Montanari, un risarcimento morale: «È un fatto straordinario che dopo 26 anni vissuti in croce ci sia stata questa dichiarazione». (qui)
Ed è di qualche conforto il fatto che, pur con tanto vergognoso ritardo, il riconoscimento della sua onestà lo abbia raggiunto ancora vivo.
barbara