PROVATE A IMMAGINARE

che un bel giorno io mi metta davanti a una telecamera per denunciare al mondo, con voce rotta dall’angoscia e occhi sbarrati dall’orrore, che ho fatto delle indagini sull’impasto del pane e ho scoperto che ci mettono dentro – tenetevi forte – il lievito! Che cosa pensereste? Che sono una burlona, suppongo, oltre che un’ottima attrice, oppure psicopatica con forte tendenza alla mitomania. E immaginate che qualche giorno dopo avere denunciato al mondo la presenza del lievito nell’impasto del pane io muoia  e l’intero mondo dei social si sollevi gridando all’assassinio per chiudermi la bocca, per impedirmi di rivelare al mondo la terribile verità che ho scoperto, quella verità che i poteri forti non vogliono che veniate a sapere: roba dell’altro mondo? Romanzo distopico? Fantasia malata? Niente di tutto questo: pura e semplice realtà quotidiana. Un giorno sì e l’altro pure c’è qualcuno che si mette davanti a una telecamera per denunciare al mondo, con voce rotta dall’angoscia e occhi sbarrati dall’orrore, che ha fatto delle indagini sui vaccini e ha scoperto che c’è dentro – tenetevi forte – il grafene! Ebbene sì, è la stessa identica cosa: il grafene nei vaccini è l’esatto omologo del lievito nel pane, altrettanto utile e altrettanto innocuo. L’unica differenza è che tutti sanno che cos’è il lievito mentre il grafene la stragrande maggioranza delle persone non solo non sa che cosa sia, ma non si prende neppure il disturbo di perdere dieci secondi per informarsi. E così, di computer in computer, di cellulare in cellulare, la leggenda nera del grafene si diffonde e semina il terrore, ho addirittura letto – tutto maiuscolo e grassettato e accompagnato da decine di punti esclamativi ed emoticon con diavoli e simboli dell’orrore, per non rischiare che a qualcuno possa sfuggire – che col grafene vi entra nel sangue Satana che poi vi ruba l’anima e voi non siete più creature umane bensì servi del demonio, alè. L’altra parola magica del vocabolario del terrore, è “nanoparticelle”, le terribili, famigerate, micidiali nanoparticelle, sparate anch’esse – sottovoce e in atteggiamento da carbonari (“un ricercatore ha scoperto che ci sono delle nanoparticelle, lo ha divulgato e adesso teme per la sua vita. Se dovessero trovarlo morto sapete qual è il vostro dovere”) – su tutti i social per terrorizzare tutti i babbei in circolazione e convincerli che vaccinarsi è pericolosissimo. Senza, beninteso, avere la più pallida idea di che cosa siano e come vengano utilizzate queste famigerate nanoparticelle. L’importante è sparare parole grosse che facciano impressione.

E adesso state a sentire questa, fresca fresca. In una clinica privata della città in cui vivo, non chiedono a nessuno né green pass, né tamponi, però alle persone che non conoscono chiedono se siano vaccinate; se non lo sono ovviamente le ricevono e le curano lo stesso, però prendono qualche precauzione in più. Qualche giorno fa arriva uno, che dice di essere vaccinato. Passa qualche giorno e uno dei medici della clinica, che lavora anche all’ospedale, se lo vede arrivare, malato di covid a uno stadio così avanzato da avere i polmoni praticamente distrutti. Naturalmente non era vero che era vaccinato, però lui era convinto di avere detto la verità: infatti si era fatto fare, da un medico di una città vicina, un vaccino omeopatico. Per la modesta cifra di 400 euro. Perché loro sono furbi, eh, mica come noi pecoroni che ci facciamo in(o)culare in massa.

E, a proposito: la donna di Sassari che non è stata ricevuta all’ospedale perché non aveva il tampone: ovviamente NON ha perso il bambino a causa del mancato accoglimento: se l’aborto è avvenuto pochissimi minuti dopo, quando ancora era nel parcheggio dell’ospedale, significa che quando è arrivata era già in corso. Chiarito questo, una donna incinta che si presenta all’ospedale con dolori e perdite è una persona bisognosa di soccorso immediato, e l’omissione di soccorso è un reato penale punibile con la reclusione: mi auguro che ciò avvenga, e in tempi rapidi.
Quanto agli sciacalli che ipotizzano, quando addirittura non si dichiarano certi, che la causa dell’aborto sia stato il vaccino: no, pezzi di merda, se fosse stata vaccinata avrebbe avuto il green pass e non le avrebbero chiesto il tampone. Ma voi proprio non vi smentite mai, eh?

barbara

I VINI (11/3)

Direi che è la cosa giusta da cui partire, dato che la denominazione di questo viaggio era “Tour enogastronomico”, e gli israeliani, che ne sanno sempre una in più, ci hanno accolti con questo cartello, perché sapevano quale astronomica quantità di grassi avremmo ingurgitato.
cartello
Ma torniamo ai vini. Abbiamo visitato quattro cantine. La prima è stata la cantina Yatir, dove alle quattro del pomeriggio ci ha accolti una stressantissima ma non per questo meno entusiasta addetta all’accoglienza che, come ci ha spiegato, era al lavoro dalle quattro di mattina e alle cinque aveva un matrimonio. Ha trovato comunque il tempo e la forza e la pazienza di dare spiegazioni mentre io fotografavo i dintorni: il prato,
yatir
una parte dei vigneti (non si vedono, ma garantisco che ci sono) con sullo sfondo, in cima alla collina, i resti di un villaggio ebraico del periodo bizantino che ha resistito fino all’arrivo dei musulmani, nel VII secolo, che hanno cancellato anche quella minuscola minoranza, come troppe altre cose sul pianeta Terra,
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e le vinacce.
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In un momento successivo ho avuto modo di apprezzare anche la simpatica targhetta delle toilette, comprensiva di istruzioni per l’uso.
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Dentro la cantina abbiamo goduto dei consueti assaggi, che invece dei soliti tre sono stati sei, uno più squisito dell’altro.

Alla cantina Mony, che prende il nome dal figlio del proprietario morto in giovane età, non ho fatto foto, però in compenso ho comprato una discreta quantità di squisitezze, antipasti e marmellate. I proprietari sono arabi cristiani, che hanno preso in affitto la terra da un vicino monastero, ma producono vino rigorosamente kasher. Qui gli assaggi erano tre, ma sono riuscita a farne quattro. Prima di bere, per non rischiare di introdurre alcol a stomaco vuoto, c’erano a disposizione una ciotola di olive (fra le migliori in assoluto tra quante mi è capitato di assaggiare), un cestino di pane, una ciotola di olio in cui intingere il pane, e una di za’atar in cui insaporirlo (di tutte queste cose ho fatto fuori una quantità stratosferica).

La terza cantina è stata quella del Golan. Attraversando questo splendido patio
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si esce e si vedono i contenitori, che variano da 500 a 200.000 litri, per i vini che vanno messi in commercio giovani,
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mentre quelli da invecchiare stanno nelle botti.
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Ci ha fatto da guida una tizia piccolina con due mastodontiche latterie, molto spumeggiante e simpatica, che ci ha fatto poi da guida anche nei tre assaggi, da effettuare con tutti i cinque sensi.

L’ultima è stata quella di Galil Mountain, in cui eravamo già stati l’anno scorso. L’anno scorso non avevo capito niente delle spiegazioni perché stavo malissimo, e per la stessa ragione non avevo neppure potuto fare gli assaggi, ed ero rimasta tutto il tempo fuori in poltrona, in stato semicomatoso. Quest’anno in tutto il viaggio non ho avuto neppure un malore, ma quella mattina si era verificato un piccolo incidente, non grave ma che, non so perché, mi ha provocato uno stato di shock (cosa che non mi era accaduta neanche quando sono stata investita sulle strisce), con forte tremito e tutto l’armamentario degli stati di shock (ma lo racconterò in altra occasione, perché è stato divertente), e insomma non me la sentivo di fare tutto il giro della visita, e sono rimasta in poltrona all’ingresso. Mi ha fatto compagnia Luciana, anche lei veterana della cantina e poco desiderosa di fare di nuovo il giro, e lì mi è preso un incontenibile attacco di logorrea e le ho rovesciato addosso tutti i miei guai fisici dell’ultimo anno (poi, dopo qualche ora, sono tornata in me e sono andata a chiederle scusa). Gli assaggi comunque, visto che fisicamente stavo benissimo, me li sono fatti, eccome se me li sono fatti.

Abbiamo visitato anche un’azienda che produce olio di altissima qualità. L’olio (50€ al litro) non l’ho comprato, però mi sono comprata un bel po’ di cremine fantastiche che la guida, una biondina piccolina molto carina, ci ha fatto provare direttamente sulla pelle.

barbara