AVARIZIA

I due monsignori cominciano a parlare subito dopo che il cameriere ha portato il carpaccio di tonno e il battuto di gamberi rossi. Prima se n’erano stati zitti. Scorrendo la lista dei vini bianchi per cercare quello giusto da abbinare alle pietanze, sbocconcellando il pane alle noci, guardandosi annoiati in giro, alla ricerca di un volto noto da salutare nel giardino del ristorante ai Parioli.
Inforchettato il primo gambero, il sacerdote più anziano, quello che non avevo mai incontrato prima, va al sodo. “Devi scrivere un libro. Devi scriverlo anche per Francesco. Che deve sapere. Deve sapere che la Fondazione del Bambin Gesù, nata per raccogliere le offerte per i piccoli malati, ha pagato parte dei lavori fatti nella nuova casa del cardinale Tarcisio Bertone. Deve sapere che il Vaticano possiede case, a Roma, che valgono quattro miliardi di euro. Ecco. Dentro non ci sono rifugiati, come vorrebbe il papa, ma un sacco di raccomandati e vip che pagano affitti ridicoli.
“Francesco deve sapere che le fondazioni intitolate a Ratzinger e a Wojtyla hanno incassato talmente tanti soldi che ormai conservano in banca oltre 15 milioni. Deve sapere che le offerte che i suoi fedeli gli regalano ogni anno attraverso l’Obolo di San Pietro non vengono spese per i più poveri, ma ammucchiate su conti e investimenti che oggi valgono quasi 400 milioni di euro. Deve sapere che quando prendono qualcosa dall’Obolo, i monsignori lo fanno per le esigenze della curia romana.
“Deve sapere che lo lor ha quattro fondi di beneficenza avari come Arpagone: nonostante l’istituto vaticano produca utili per decine di milioni, il fondo per opere missionarie ha regalato quest’anno la miseria di 17 mila euro. Per tutto il mondo! Deve sapere che lo Ior non è stato ancora ripulito e che dentro il torrione si nascondono ancora clienti abusivi, gentaglia indagata in Italia per reati gravi. Deve sapere che il Vaticano non ha mai dato ai vostri investigatori della Banca d’Italia la lista di chi è scappato con il bottino all’estero. Nonostante noi l’avessimo promesso. Deve sapere che per fare un santo, per diventare beati, bisogna pagare. Già, sborsare denaro. I cacciatori di miracoli sono costosi, sono avvocati, vogliono centinaia di migliaia di euro. Ho le prove.
“Deve sapere che l’uomo che lui stesso ha scelto per rimettere a posto le nostre finanze, il cardinale George Pell, in Australia è finito in un’inchiesta del governo sulla pedofilia, alcuni testimoni lo definiscono ‘sociopatico’, in Italia nessuno scrive niente. Deve sapere che Pell ha speso per lui e i suoi amici, tra stipendi e vestiti su misura, mezzo milione di euro in sei mesi.
“Francesco deve sapere che la società di revisione americana che qualcuno di noi ha chiamato per controllare i conti vaticani ha pagato a settembre 2015 una multa da 15 milioni per aver ammorbidito i report di una banca inglese che faceva transazioni illegali in Iran. Deve sapere che la Santa Sede per guadagnare più soldi ha distribuito tesserini speciali a mezza Roma: oggi vendiamo benzina, sigarette e vestiti tax free, incassando 60 milioni l’anno.
“Deve sapere che non è solo Bertone che vive in trecento metri quadrati, ma ci sono un mucchio di cardinali che vivono in appartamenti da quattrocento, cinquecento, seicento metri quadrati. Più attico e terrazzo panoramico. Deve sapere che il presidente dell’Apsa, Domenico Calcagno, si è fatto un buen retiro in una tenuta della Santa Sede in mezzo al verde, facendo aprire una società di comodo a suoi lontani parenti. Deve sapere che il moralizzatore Carlo Maria Viganò, l’eroe protagonista dello scandalo Vatileaks, è in causa con il fratello sacerdote che lo accusa di avergli fregato milioni dell’eredità. Deve sapere che Bertone ha preso un elicottero costato 24 mila euro per andare da Roma in Basilicata. Deve sapere che il Bambin Gesù controlla allo Ior un patrimonio pazzesco da 427 milioni di euro, e che il Vaticano ha investito pure in azioni della Exxon e della Dow Chemical, multinazionali che inquinano e avvelenano. Deve sapere che l’ospedale di Padre Pio ha trentasette tra palazzi e immobili, e che oggi hanno un valore stimato in 190 milioni di euro. Deve sapere che i salesiani investono in società in Lussemburgo, i francescani in Svizzera, che diocesi all’estero hanno comprato società proprietarie di televisioni porno. Deve sapere che un vescovo in Germania ha scialacquato 31 milioni per restaurare la sua residenza, e che una volta beccato è stato promosso con un incarico a Roma. Francesco deve sapere un sacco di cose. Cose che non sa, perché nessuno gliele dice.”
Il monsignore posa la forchetta e si pulisce la bocca con il tovagliolo. Il prete che conosco bene gli versa un po’ di vino nel bicchiere, un Sacrisassi Le Due Terre. Il canuto reverendo alza il calice, strizza un occhio per osservare con attenzione il colore giallo paglierino attraverso il cristallo, beve due lunghi sorsi, poi sorride. “Qui fuori c’è parcheggiata una macchina piena di documenti. Dello Ior, dell’Apsa, dei dicasteri, dei revisori dei conti chiamati dalla commissione referente, la Cosea. È per questo che ho chiesto che lei venisse in auto. Non ce la farebbe a portarli via in motorino.” Si alza di scatto. “A proposito, noi non abbiamo contanti. Stavolta il ristorante lo paga lei?” (pp. 9-11)

Perché se qualcuno si immagina che il voto più disatteso in Vaticano e dintorni sia quello della castità, si sbaglia, eccome se si sbaglia.
Il libro è il dettagliato resoconto di quel pacco di documenti che è dovuto andare a prendere con la macchina, perché col motorino non ce l’avrebbe fatta.
Se poi sia vero che il papa non lo sa, e che sarebbe interessato a saperlo, questa, ovviamente, è un’altra storia. Il libro, comunque, merita di essere letto.
Poi, se si trova ancora in circolazione, andrebbe letto anche “In nome di Dio, di David Yellop, edizione Tullio Pironti, sull’assassinio di papa Luciani, proprio la notte che precedeva il giorno in cui aveva programmato, dopo avere raccolto tutta la documentazione necessaria, di fare piazza pulita di tutta quella cloaca, a partire dal cardinale Marcinkus.

Emiliano Fittipaldi, Avarizia, Feltrinelli
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OGGI SI VA PER COMPLOTTI

Che sarebbero quella faccenda per cui la realtà non è mai quella che sembra, la verità non è mai quella “ufficiale” (anzi, ne è mille miglia lontana), e “dietro” c’è sempre qualcosa o qualcuno. Meglio qualcuno. Meglio ancora se con una identità, diciamo così, “particolare”. Non so se ho già avuto occasione di dire – ma non è un problema: se non l’ho ancora detto provvedo adesso, se l’ho già detto non morirete di sicuro per una ripetizione – che sono discretamente allergica ai complottismi: il solo sentire o leggere la parola “complotto” mi provoca di quegli attacchi di orticaria che neanche ve li immaginate. Però ogni tanto ci metto le mani, perché le teorie complottiste si dividono in due categorie: quelle solo cretine (TUTTE le teorie complottiste, senza eccezione, sono la quintessenza della cretinitudine) e quelle che oltre ad essere cretine fanno anche scompisciare dalle risate. Una di queste l’ho incontrata giusto un paio di giorni fa. Si parlava di papa Luciani e del fatto che nessuno, credo, può avere dubbi sul fatto che sia stato assassinato (nel caso qualcun ne avesse, suggerisco la lettura di In nome di Dio di David Yellop, ed. Pironti). Lui* però sapeva una cosa in più: a Roma, mi ha spiegato, lo sapevano tutti che sarebbe stato ammazzato, anzi facevano scommesse su quando sarebbe avvenuto. Perché i giornali non ne hanno mai parlato, ma a Roma un prete gli ha detto [notare la precisione, l’identificabilità e soprattutto la verificabilità delle fonti] che una settimana prima il papa era andato a prendere un caffè [perché – questo lo sapete tutti, vero? – quando un papa ha voglia di un caffè, prende e va al bar] e il barista ha messo il caffè sul banco e un monsignore che era lì ha creduto che fosse il suo e lo ha bevuto ed è caduto a terra morto stecchito [ovvio: se c’è da far fuori un papa si dà l’incarico a un barista di mettere del veleno nel caffè la prima volta che capita che il papa passi di lì] [almeno a Pisciotta hanno provveduto a portarlo di persona, il caffè, per non rischiare di sbagliare il bersaglio] [no, non tiratemi fuori Licio Gelli, Gelli non c’entra niente: a) non è stata trovata traccia di cianuro nel caffè, né nella tazzina, né nel thermos; b) se ingerisci cianuro non hai il tempo di alzarti, correre alla porta e gridare mi hanno avvelenato mi hanno avvelenato, e meno che mai di capire che cosa ti sta succedendo; c) da anni, nell’eventualità di essere processato e condannato, Gelli portava con sé una fialetta di cianuro perché non riconosceva ad alcuna autorità, né umana né divina, il diritto di giudicarlo – e ricordo ancora che quando hanno dato la notizia della condanna mio padre mi ha telefonato per commentare il fatto e io ho detto: scommettiamo che entro pochi giorni muore avvelenato col cianuro?] Il papa ha capito subito che quel veleno era destinato a lui, e che ci avrebbero riprovato e che quindi aveva i giorni contati [e naturalmente non ha fatto niente di niente, non ha preso alcuna precauzione, è stato semplicemente lì con le mani in mano ad aspettare che lo facessero fuori. E nel frattempo nessun parente o amico del monsignore – di cui non conosciamo l’identità dal momento che, come vi ho già detto prima, nessun giornale ha parlato della vicenda – ha pensato di denunciarne l’assassinio, nessuno ha pensato di aprire un’inchiesta, nessuno ha incriminato il barista per avere messo del veleno nel caffè di un avventore] E tutti i romani, che sapevano la storia del caffè avvelenato e del monsignore morto per sbaglio perché sarebbe dovuto toccare al papa [tutti i romani tranne i giornalisti, evidentemente, perché è un po’ difficile immaginare che tutti i giornalisti romani siano immuni dalla tentazione di uno scoop del tipo “ASSASSINIO AL BAR: TENTANO DI AVVELENARE IL PAPA MA MUORE PER SBAGLIO UN MONSIGNORE”. Resterebbe da capire come lo abbiano saputo tutti i romani, visto che nessun giornale ne aveva parlato. Forse è stato proprio il barista che, a costo di rischiare l’ergastolo per omicidio volontario premeditato, per vantarsi della sua bravata ha battuto tutta Roma, quartiere per quartiere, strada per strada, palazzo per palazzo, piano per piano, appartamento per appartamento, per informare i concittadini del fattaccio] e quando si incontravano per strada facevano scommesse sulla data in cui sarebbe stato ammazzato il papa.
Forte, eh? Sempre da lui viene quell’altra grande verità che “la cura per il cancro esiste da tanto tempo, ma le case farmaceutiche non vogliono che si sappia per non perdere i soldi”. E noi possiamo facilmente – moooolto facilmente – immaginare tutte quelle persone (docenti universitari medici biologi microbiologi farmacologi anatomo-patologi assistenti tecnici borsisti laureandi: quanti saranno nel mondo? Milioni? Decine di milioni?) che sanno, ma tacciono. Tutti, dal primo all’ultimo. E intanto fanno finta di continuare a lavorare alla ricerca della cura del cancro e le case farmaceutiche li pagano per fare finta di continuare a lavorare alla ricerca della cura del cancro. E col passare del tempo, mese dopo mese, anno dopo anno, decennio dopo decennio, si ammalano le loro mamme, si ammalano le loro mogli (o mariti), si ammalano i loro figli, e loro guardano stoicamente morire mamme mogli e figli, ma non parlano. Si ammalano loro, e stoicamente muoiono, ma non parlano. Perché il Grande Complotto è più forte perfino della paura della morte. Tutto chiaro, tutto logico. Solo una cosa mi è un pelino oscura: che soldi è che perderebbero le case farmaceutiche se avessero (LORO!) in mano la cura del cancro? Ma sicuramente dipenderà dalla mia pochezza, e dal fatto che non sono sufficientemente illuminata.
Il resto alla prossima puntata; nel frattempo, sempre in tema di complotti e dintorni, vai a leggere qui.

* Chi sia “lui” non lo rivelerò neanche sotto tortura.
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