ANNA

Anna, il personaggio biblico raccontato nel libro di Samuele e madre dello stesso profeta e guida di Israele, era depressa: non aveva figli, era una seconda moglie emarginata dalla prima che era, invece, feconda e madre. Secondo i canoni di quello che si racconta oggi in Europa Anna avrebbe dovuto uccidere il marito, che pur l’amava, sterminare la rivale ed i suoi figli ed accoltellare tutti quelli che incontrava per strada. Stranamente questo non accadde e il libro biblico di Samuele testimonia in 1 Samuele 1:10: “Ella (Anna) aveva l’anima piena di amarezza, e pregò il Signore dirottamente.” Da credente Anna pregò. Così semplicemente. Senza machete, asce, coltelli, spade, scimitarre. Che strana cultura questa nostra.
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
(29 luglio 2016)

Per dimostrare la vanità di queste teorie basta una semplicissima considerazione comparativa. Grandissima parte della recente drammatica ondata di immigrazione proviene da paesi dell’Africa a sud del Sahara e dalla regione del Corno d’Africa, e coinvolge persone di fede musulmana, cristiana e animista. Eppure i casi di violenza assassina nei confronti della società civile europea da parte di africani non musulmani sono rarissimi o quasi inesistenti. Tutta la drammatica sequela di stragi, eccidi, sparatorie e accoltellamenti degli ultimi anni è invece attribuibile quasi senza eccezione a membri espliciti o nominali della fede islamica, nati in Nord Africa e Medio Oriente, o nati in Europa da famiglie di tali provenienze.
Sergio Della Pergola
(28 luglio 2016)

Già: un pazzo francese si mette uno scolapasta in testa e dice di essere Napoleone, un pazzo scandinavo chiede alla madre di dargli il sole, un pazzo musulmano entra in chiesa e sgozza il prete. Una depressa ebrea prega, un depresso musulmano prende un camion e si butta là dove la folla è più fitta affinché il bottino di cadaveri sia il più ricco possibile. Quanto alle vittime di bullismo, riporto qui una mia considerazione scritta qualche giorno fa nei commenti. Ho insegnato per 36 anni. In tutte le classi, ripeto TUTTE, ribadisco TUTTE, senza eccezione, c’è una vittima di bullismo. Calcoliamo quante classi ci sono in una scuola, quante scuole ci sono al mondo, e avremo un numero approssimato per difetto (perché a volte le vittime sono due) delle vittime di bullismo a scuola nel mondo. A cui vanno aggiunte le vittime di bullismo nelle squadre sportive, nelle scuole di danza, di musica, di teatro ecc. E poi andiamo a vedere quante di queste vittime vanno a fare carneficine. Fra il mezzo centinaio da me incontrato personalmente, il totale è zero. Strano mondo davvero, quello di noi infedeli.

barbara

DOSSIER HITLER

Non è un libro su Hitler, bensì sulla storiografia su Hitler, su come gli storici che se ne sono occupati ne hanno parlato, come lo hanno rappresentato, con quali fonti, con quali – eventuali – pregiudizi, favorevoli o negativi, con quanta attendibilità, e quale immagine di Hitler emerge da tutto questo. Detto così potrebbe far pensare a uno di quei mattoni intellettualoidi che a uno viene la tentazione di mollare a metà e invece no, è un libro agevole che si legge piuttosto in fretta (precisando comunque che non ho letto le note, che rappresentano circa la metà del libro. Non lo faccio mai; so che faccio male, ma leggere le note mi annoia a morte). È fatto bene, e secondo me vale la pena di leggerlo. Qui ne riporto una pagina, che prende in considerazione un tema che mi sta molto a cuore, e quando scritto dall’autore rispecchia al cento per cento il mio pensiero.

Ma prima di tornare agli storici e ai loro – ai nostri – problemi, debbo dedicare qualche parola a un grave malinteso che riguarda tanto gli storici quanto il pubblico in generale. Si tratta dell’idea popolare che Hitler fosse pazzo. Affermando – e pensando – che era pazzo, noi falliamo due volte. Facciamo sparire il problema di Hitler sotto il tappeto. Se era pazzo, allora l’intero periodo hitleriano non fu nient’altro che un episodio di follia; esso perde ogni importanza per noi, e non occorre stare a pensarci sopra più di tanto. Contemporaneamente, qualificandolo come «pazzo» solleviamo Hitler da ogni responsabilità (specialmente in questo secolo, quando un certificato attestante una malattia mentale vale ad annullare una condanna pronunciata dai tribunali). Ma Hitler non era pazzo; era responsabile per ciò che fece e disse e pensò. E, prescindendo dalla questione morale, abbiamo prove sufficienti (accumulate da ricercatori, storici e biografi, inclusi resoconti clinici) del fatto che, tenuto il debito conto delle malcerte e fluttuanti frontiere tra malattia e salute in campo mentale, egli era un essere umano normale. Questo mi conduce all’aggettivo «malvagio» (e alla questione del «male»). (Di nuovo, esistono persone che si interessano a Hitler perché sono interessate al male: la sindrome di Jack lo Squartatore, se non peggio.) Sì, nei desideri e nei pensieri espressi di Hitler, nelle sue dichiarazioni e decisioni, il male abbonda. (Insisto su espressi, perche il nostro esame deve restare nei limiti dei documenti.) Ma bisogna tenere a mente che non solo il bene, ma anche il male è parte della natura umana. Le nostre inclinazioni al male (che si concretizzino in atti oppure no) sono reprensibili, ma normali. E bisogna negare che la condizione umana conduca ad asserire l’anormalità di Hitler; d’altro canto, appiccicargli l’etichetta di «anormale» lo solleva, di nuovo, da ogni responsabilità (lo fa anzi in maniera categorica). Il punto non è soltanto che aveva notevolissimi talenti intellettuali. Era anche un uomo coraggioso, sicuro di sé, in molte occasioni risoluto, leale verso gli amici e coloro che lavoravano per lui, capace di autodisciplina e morigerato nei bisogni fisici. Ciò che questo suggerisce non va equivocato, o frainteso, o male interpretato. Non significa: guarda guarda! Hitler era cattivo solo al 50 per cento. La natura umana non funziona così. Una mezza verità è peggiore di una menzogna, perché una mezza verità non è un 50 per cento di verità: è un 100 per cento di verità e un 100 per cento di falsità mescolate insieme. In matematica, con i suoi numeri rigidamente fissi e immobili, 100 più 100 fa 200; nella vita degli uomini 100 più 100 fa un’altra specie di 100. La vita non è costante; è piena di 100 neri e di 100 bianchi, di 100 caldi e di 100 freddi, di 100 che crescono e di 100 che si contraggono. Ciò vale non soltanto per le cellule dei nostri corpi, ma per tutti gli attributi umani, inclusi quelli mentali. In conclusione, Dio dette a Hitler molti talenti e molte risorse; e proprio per questo egli porta la responsabilità di averne fatto un cattivo uso.

Aggiungo che la pazzia è una patologia specifica con una sintomatologia specifica, che non è riscontrabile in Hitler. Confondere clinica e morale è un’operazione pericolosa che, come prima conseguenza, impedisce di affrontare i problemi nella loro specifica realtà. Con conseguenze disastrose. Il libro comunque, se vi capita in mano, leggetelo: ne vale la pena.

John Lukacs, Dossier Hitler, Longanesi
Dossier Hitler
barbara