SARÒ MALIGNA IO

ma di fronte al coro unanime di esultanza per la splendida velocità e serietà ed efficienza della giustizia marocchina, senza i ridicoli orpelli di avvocati e affini che deturpano la nostra, e le invocazioni ad assumere il re del Marocco come nostro ministro della giustizia, a me invece una sentenza pronunciata in cinque minuti – una sentenza di morte, in particolare, e con esecuzione immediata – suscita sempre il sospetto che si voglia chiudere il più velocemente possibile la bocca a qualcuno che potrebbe dire cose scomode. Insieme a qualche consistente sospetto sulla reale identità dei giustiziati e sul loro reale rapporto coi fatti per i quali sono stati condannati. Quanto a quelli che reclamano di vedere il video della decapitazione, augurandosi che la lama sia arrugginita e poco affilata e che il boia abbia la mano malferma, mi fanno quasi altrettanto orrore degli assassini. E il quasi è puramente decorativo.

barbara

QUANDO UN CRIMINE È COSÌ CRIMINALMENTE CRIMINALE

da meritare la morte. È il caso del giornalista iraniano Pouyan Khoshal,
Pouyan Khoshal
reo di avere insultato il Profeta Maometto, che come tutti sappiamo è il più orrendo crimine che mente umana possa concepire, peggio, molto peggio, molto più peggissimo assai che pedofilia stupro assassinio messi insieme – senza contare che nella Religione di Pace fondata dall’illustrissimo signor Maometto il primo non è affatto un reato e gli altri due dipende. E in che modo lo ha insultato? Scrivendo, in un articolo, questa frase: “ogni anno, i pellegrini si recano presso la città di Karbala per celebrare il 40° giorno dell’anniversario del decesso dell’Imam Hossein”. Come dite? Dov’è l’insulto? Ma come è possibile che non lo vediate! L’insulto, l’eresia, la blasfemia – di una gravità pari solo a quella della famigerata cristiana Asia Bibi che ha osato bere allo stesso pozzo delle donne musulmane – è la parola decesso: martirio, doveva scrivere, quello dell’imam Hossein è stato un martirio, non un banale decesso! E dunque è stato immediatamente licenziato dal giornale e arrestato e ora rischia una condanna a morte (qui ulteriori dettagli). Con buona pace della nostra ineffabile vispateresa mogherina.
Mogherini Iran
barbara

PRIMA DI PASSARE AD ALTRO

Ripropongo tre miei vecchi post.

E BELLA ANCHE CUBA

Intervista a Oliviero Diliberto accompagnata dai commenti dell’esule cubano portavoce per l’unione delle libertà a cuba Joel Rodriguez.

Intervista a Oliviero Diliberto Segretario Nazionale del Partito dei Comunisti Italiani Realizzata da Marco Papacci Segretario circolo di Roma Ass.ne Naz.le di Amicizia Italia-Cuba Roma 14 dicembre 2005

D): Con le dovute differenze culturali, storiche, geografiche e politiche, cosa prenderebbe del sistema cubano per adottarlo in Italia?

R): Sicuramente il sistema di protezione sociale, che è il più avanzato non soltanto di tutta l’America Latina, il che non è molto difficile visto lo stato degli altri paesi, ma anche rispetto a molti paesi occidentali, o cosiddetti occidentali. Penso al sistema sanitario, al sistema della protezione del lavoro, che sono avanzatissimi. Non è un caso che Cuba venga attaccata parlando di Diritti Umani, dimenticandosi, naturalmente sono in malafede quelli che l’attaccano, che il grande tema dei Diritti Umani inizia dal diritto alla vita, ad una vita decente, ad una vita dignitosa per tutti e non soltanto per ristretti gruppi di privilegiati come nel resto del mondo.
Joel Rodriguez commenta:

Appunto, On. Diliberto, “vita decente, ad una vita dignitosa” e soltanto questo quello che vuole il popolo cubano, il non doversi prostituire e vendere per sopravvivere; a Cuba il ristretto gruppo di privilegiati si riduce a Fidel Castro e i suoi colonnelli e generali, il resto della popolazione vive in una miseria totale. Di quale sistema di protezione sociale mi parla On. Diliberto, di quale sanità? quella cosa allo sfascio la vuole chiamare sanità? Vorrei vedere se in Italia ci fosse un sistema sanitario come quello cubano, in quale ospedale andrebbe lei e i suoi compagni caro On? Lei per caso non sa che a Cuba manca il personale medico e infermieristico negli ospedali, perché sono in “missione” umanitaria in Venezuela, costretti ad andare in Venezuela in cambio di pretodollari e per fare indottrinamento politico alla popolazione?

D): A Cuba, alcune tipologie di cittadini (tra cui, ad esempio i lavoratori di zuccherifici dimessi o in via di ristrutturazione), hanno la possibilità di scegliere tra un nuovo lavoro e frequentare l’università o corsi professionali, in questo secondo caso, ricevono comunque un salario. Sa di altri paesi nel mondo in cui si adotta questo stesso principio?

R): Ovviamente no. E’ un principio avanzatissimo. Se vogliamo è un principio che potrebbe tranquillamente trovarsi nella nostra Costituzione repubblicana che vogliono smantellare perché è il principio del diritto al lavoro, connesso con il diritto all’istruzione. In Italia ci fu negli anni ’70 dopo la grande vittoria dello Statuto dei lavoratori, un esperimento non così avanzato ovviamente, ma altrettanto interessante che era quello delle cosi dette 150 ore. Cioè 150 ore di lavoro retribuite come lavoro per quegli operai che andavano all’università o comunque volevano apprendere nelle istituzioni scolastiche italiane. Naturalmente è durato poco perché gli imprenditori non accettano l’idea che i lavoratori siano istruiti, per un motivo molto semplice che alcuni si dimenticano, che la cultura è lo strumento più formidabile per avere conoscenza, per avere consapevolezza dei propri diritti, quindi andava abolito.
Joel Rodriguez commenta:

On. Diliberto, se in Italia -o in qualunque altro posto- i lavoratori guadagnassero 15 dollari al mese e lo Stato più di mille dollari per ogni lavoratore (come nel caso delle compagnie straniere che hanno affari nell’isola), sicuramente qualunque stato si potrebbe permettere di mandare a “studiare” i lavoratori per un periodo. Se non altro, Diliberto, questo si chiama sfruttamento dei lavoratori. Oltretutto, lo studio nelle mani del regime non è altro che un continuo indottrinamento, è l’arma che usa per mantenere la popolazione schiava. Chiama lei insegnamento quello del regime cubano, dove è vietato leggere libri di Gandhi?

D): In Italia, il PDCI è l’unico partito che sostiene con coerenza il sistema di governo cubano, cos’è che vi fa mantenere questa posizione (sicuramente non troppo comoda nello scenario politico italiano) di costante rispetto nei confronti della Rivoluzione Cubana, cos’è che vi porta a non unirvi a tutti gli altri partiti- nessuno escluso- schierati contro i “sistemi” di Fidel Castro, “il dittatore che mangia i bambini”?

R): Basterebbe quello che ho detto sino adesso per giustificare la difesa di Cuba. In realtà aggiungo un’altra cosa. Noi siamo coerentemente antimperialisti, parola che non si usa più, neanche tra quelli che si dichiarano comunisti in altri partiti. E’ il punto chiave. Cuba non viene attaccata perché c’è una presunta “dittatura”, perché se fosse questo il motivo, gli Stati Uniti dovrebbero attaccare mezzo mondo. Cuba viene attaccata proprio perché è un simbolo per tutti coloro che nel mondo non si sono arresi. E quindi va difesa, vorrei dire quasi a prescindere, perché è la garanzia che si può sconfiggere l’imperialismo. Per altro il simbolo è particolarmente rilevante proprio perché è una piccola isola, a 90 miglia marine dagli Stati Uniti d’America e questi non sono riusciti a eliminarla in tutti questi anni ed è straordinario tutto quello che è successo.
Joel Rodriguez commenta:

On. Diliberto capisco, l’antimperialismo può essere la scusa di qualunque dittatore per mantenersi al potere, con la patente di antimperialista si possono violare tutti i diritti di questo mondo, incluso quelli che lei sostiene di difendere, dei lavoratori. Forse lei ha ragione Cuba e un simbolo, un simbolo per dimostrare al mondo dove porterebbe un sistema governato con le vostre idee. Diliberto non ci prendiamo per il culo, gli americani non hanno voluto eliminare il dittatore Fidel Castro, cosa trova di straordinario, tutte le fucilazioni, tutti gli intellettuali in esilio, la popolazione che preferisce perdere la vita in mare per arrivare negli USA piuttosto che continuare a vivere nel “paradiso socialista comunista o castrista”?

D): Alla luce della sentenza del tribunale di Atlanta che dichiara nullo il giudizio tenutosi a Miami contro i Cinque cubani con cui li si condannava a più ergastoli senza alcuna prova a sostegno delle accuse, lei crede nel sistema giudiziario statunitense? Crede che questo possa andare oltre le fortissime pressioni politiche, tutte assolutamente contro i Cinque cubani, restituendogli finalmente la libertà?

R): Io ho una scarsa fiducia nel sistema giudiziario statunitense, anche perché avendolo visto da vicino, nella vicenda della liberazione di Silvia Baraldini, come dire ho scarsa fiducia. Tuttavia è comunque un successo l’annullamento di quella sentenza. Io lessi a suo tempo le motivazioni delle condanne, erano aberranti, anche dal punto di vista della giustizia degli Stati Uniti d’America che si proclama “garantista”. Per avere un processo equo, dovrebbe tenersi lontano dalla Florida, e se fosse possibile con degli osservatori internazionali. Per quanto ci riguarda, come Partito dei Comunisti Italiani, continueremo a sostenere la causa dei Cinque patrioti, che tra l’altro avevano ricevuto delle sentenze con delle pene accessorie di cui non parla nessuno, come per esempio il divieto di incontrare i propri familiari, cosa che dovrebbe urtare la coscienza democratica di qualunque persona perbene. Adesso lasciamo stare la categoria destra o sinistra, qualunque persona perbene. Occorre che l’opinione pubblica stia bene attenta a quello che succede appunto nel prossimo processo che si farà negli Stati Uniti, in modo tale da far sentire a quel tribunale, che non sappiamo ancora quale sarà, che comunque non possono fare quello che gli pare.
Joel Rodriguez commenta:

On. Diliberto, lei ha poca fiducia nel sistema giudiziario statunitense, però è un po’ contraddittorio quando poi dice della “liberazione di Silvia Baraldini”. Come mai un sistema giudiziario così poco affidabile libera un presunta terrorista? Mi dica, crede che a Cuba l’avrebbero liberata una Baraldini? Le prigioni cubane sono piene di persone per il solo fatto di pensare liberamente, o di esprimere le loro idee in maniera pacifica. E non vengono liberate anche se non ci è mai stato un processo. Ma lei difende il regime castrista è ha poca fiducia nel sistema giudiziario americano. Non ce dubbio, mi devo impegnare di più a far capire agli italiani chi è realmente lei.

On. Diliberto, perché non ha mai chiesto degli osservatori internazionali per il processo contro i dissidenti cubani? Sono esseri umani i dissidenti cubani, non meritano pure loro un processo equo?

On. Diliberto, vedo che lei segue di pari passo il regime cubano, non perde una virgola del longevo dittatore cubano (c’era qualche dubbio?) Però la differenza tra lei e il dittatore e che lui a Cuba se lo può permettere, ha il controllo sull’informazione, e al popolo cubano non è permesso di conoscere la realtà. Qui in Italia è diverso, nonostante i comunisti come lei controllino ancora l’informazione (perché così è e lo dimostra il caso cubano), la gente ha la libertà di usare internet (a Cuba no) informarsi, cercare la verità. E proprio cercando questa verità si renderanno conto delle sue bugie prese dal regime: non sono 5 gli arrestati nella Red Avispa, bensì 14, On. Diliberto e lei lo sa bene. Sa bene che il regime parla solo di 5 perché gli altri hanno confessato, hanno riconosciuto che il loro lavoro non era solo di spiare (poi mi dica del polverone che lei stesso alzerebbe in Italia se venisse a sapere che ci sono spie americane dentro al suo paese), il loro lavoro consisteva nell’attentare contro membri dei diversi gruppi oppositori al regime di Fidel Castro radicati a Miami, erano implicati anche nell’abbattimento da parte del regime castro-comunista di un piccolo aereo civile in acque internazionali. “Signor” Diliberto, se vuole le fornisco le identità degli altri arrestati e condannati dal sistema giudiziario americano; penso che anche loro siano innocenti, vista la sua poca fiducia in quel sistema giudiziario. Oltre ai 5 (Gerardo Hernandez; Ramon Labañino; Antonio Guerrero; Fernando Gonzalez; Rene Gonzalez), lei puo trovare anche Joseph Santos; Amarilys Silverio; Alejandro Alonso; Nilo Hernandez; Linda Hernandez. Erano anche questi parte della stessa rete. Poi non si dimentichi anche Juan Pablo Roque, pure lui spia della stessa rete, ma è riuscito a scappare a Cuba cosi come José Rafael Brenes. La saluto On. Diliberto, augurandomi che questa mia arrivi a quanti più italiani possibile, così potranno rendersi conto delle bugie del paladino delle libertà e dei diritti dei lavoratori, nonché sostenitore di chi i lavoratori li schiavizza e non permette un sindacato indipendente.

Joel Rodriguez


ANCORA SU CUBA

Radicali.it – sito ufficiale di Radicali Italiani

Cuba: D¹Elia, per certi difensori dei diritti umani è un’isola felice

Roma, 16 marzo 2005

Alla lettera-petizione in difesa del regime cubano sottoscritta da 200 intellettuali di fama mondiale Nessuno tocchi Caino risponde con una nota in cui sono riportati alcuni fatti che provano le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime di Castro.

I firmatari della lettera, tra cui figurano i premi nobel Josè Saramago, Rigoberta Menchù, Adolfo Perez Esquivel, Nadine Gordimer e gli italiani Claudio Abbado, Luciana Castellina e Gianni Minà, affermano tra l’altro che a Cuba “non esiste un singolo caso di scomparsa, tortura o esecuzione extra-giudiziaria” e che la rivoluzione ha consentito il “raggiungimento di livelli di salute, educazione e cultura riconosciuti internazionalmente.”

Secondo il Segretario di Nessuno tocchi Caino, Sergio D¹Elia, “la lettera non tiene conto minimamente della realtà cubana e dei misfatti compiuti dal dittatore di più lungo corso al mondo”. “Cuba ha due facce, una sotto i riflettori, l’altra nascosta. Per certi difensori dei diritti umani, esiste solo la prima: quella della base americana di Guantanamo dove sono detenuti i talebani.” “Ma Cuba non è solo Guantanamo ­ prosegue D’Elia -, è anche Combinado del Este, Canaleta, La Pendiente, Ceramica Roja, Kilo 8…” “La Perla dei Caraibi non è tutta sole, mare e sabbia. E’ anche galera e centri di “rieducazione”.

Quanto all’isola felice dove “non esiste un singolo caso di scomparsa, tortura o esecuzione extra-giudiziaria,” Nessuno tocchi Caino invita i firmatari della petizione pro-Castro a riflettere su quanto accaduto nel 2003 e che tutti hanno potuto leggere sui giornali di tutto il mondo e a quanto denunciato da importanti organizzazioni umanitarie.

NOTA: A) L’11 aprile 2003, Fidel Castro ha fatto giustiziare tre componenti un gruppo di cubani che una settimana prima si era impadronito di un traghetto con l’intento di raggiungere la Florida. Enrique Copello Castillo, Barbaro Leodan Sevillan Garcia e Jorge Luis Martinez Isaac sono stati fucilati all’alba. Quattro loro compagni sono stati condannati all’ergastolo, uno a 30 anni di prigione e altri tre a pene detentive comprese fra 2 e 5 anni. L’imbarcazione, rimasta a secco a 45 chilometri dalle coste cubane, era andata alla deriva per 24 ore e i sequestratori si erano arresi alle autorità cubane, senza che ai 50 ostaggi fosse stato torto un capello. I dirottatori erano stati processati per direttissima e condannati per atti di terrorismo l’8 aprile. Nel giro di tre giorni, gli appelli sono stati respinti sia dalla Corte Suprema che dal Consiglio di Stato, il più alto organo esecutivo di Cuba presieduto da Fidel Castro, quindi giustiziati. La Commissione Inter-Americana sui Diritti Umani (IACHR) ha condannato il carattere sommario del processo celebrato in spregio delle regole minime di giustizia internazionalmente riconosciute e ha stabilito essere il fatto ³”una privazione arbitraria della vita.”

  1. B) Quanto alla rivoluzione cubana che ha permesso il “raggiungimento di livelli di salute, educazione e cultura riconosciuti internazionalmente,” basta leggere i rapporti sui diritti umani, sulle condizioni nelle prigioni cubane e il trattamento dei detenuti politici. Sia la Commissione Inter-Americana sui Diritti Umani (IACHR) che l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani hanno denunciato nel 2004 la presenza nelle carceri di casi diffusi di scabbia, tubercolosi, epatite, infezioni varie e malnutrizione. Una ventina di detenuti sarebbero morti nel corso dell’anno a causa di mancata assistenza medica. Detenuti per ragioni politiche o di coscienza sono stati rinchiusi in celle di isolamento umidissime, infestate dai topi, con un buco come gabinetto e un letto di cemento, senza acqua e senza il conforto della Bibbia che gli era stata sequestrata. Quelli non in isolamento sono stati costretti a indossare le uniformi del carcere, a mettersi sull’attenti all’entrata delle guardie nelle celle, messi insieme a detenuti comuni, violenti, intimiditi pesantemente e picchiati dalle guardie e sessualmente aggrediti da altri detenuti. Nel 2004, il regime ha messo agli arresti domiciliari 14 dei 75 dissidenti arrestati nella primavera del 2003, per lo più anziani e ammalati. Il numero è stato ampiamente compensato da altri trenta dissidenti incarcerati nel corso dell’anno, ha denunciato la Fondazione Cubana dei Diritti Umani.
  2. C) D’altro canto va anche detto che chi fornisce informazioni sulla situazione di diritti umani a Cuba rischia pene severissime. Marcelo Lopez, membro del Consiglio Direttivo di Nessuno tocchi Caino e già portavoce e segretario della Commissione diritti umani e riconciliazione nazionale, è stato condannato nel 2003 a una pena di 15 anni di carcere per aver trasmesso informazioni ad organizzazioni internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch su casi di condannati a morte nel suo paese. Marcelo è stato condannato anche per essersi fatto inviare copia della risoluzione di condanna emessa dalla Commissione diritti umani dell’ONU di Ginevra.

CUBA ULTIMO ATTO

E scende infine in campo il nostro Red Ronnie, portando nuovi e originali argomenti a favore della giustezza del manifesto da lui e da altri firmato:

«E’ venuto con me Jovanotti – racconta – è impazzito»

Confesso che è dura rinunciare alla valanga di battute ad effetto che questa affermazione sollecita, ma sono forte, e resisterò. Anche per un senso di doveroso rispetto nei confronti della serietà dell’argomentazione portata. Dite di no? Che non vi basta? Niente paura, ne abbiamo delle altre:

«Il flautista Andrea Griminelli ha scoperto nei musicisti un entusiasmo incredibile».

Ecco: avete ancora il coraggio di dire che a Cuba vengono violati i diritti umani? Che hanno fatto male a firmare quel manifesto? Queste prove ancora non vi bastano? Ma siete proprio insaziabili, siete! Comunque non illudetevi che il nostro cappello a cilindro si sia svuotato: ne abbiamo ancora, di sorprese!

«Cuba me l’ hanno fatta conoscere I Nomadi. E continuo ad andarci»

Su, avanti, provate ancora a fare gli spiritosi, adesso! Provate a dire che voi, se ve l’avessero fatta conoscere I Nomadi, non ci tornereste più! Provate a dire che là vengono violati i diritti umani!

Ma l’intervistatrice, Virginia Piccolillo, non è di quelle (ne conosciamo, oh se ne conosciamo!) che stanno in ginocchio davanti all’intervistato, e incalza:

Ma i dissidenti?

Qualcuno forse si immagina che una simile, banale, squallida domanda possa mettere in difficoltà il Nostro? Ma neanche per sogno!

«Quando uccisero tre persone – dice Ronnie – fu solo perchè c’erano in programma 70 dirottamenti pagati dagli Stati Uniti, allora dovevano dare un segnale.

NOI, forse, avevamo dimenticato il famigerato “colpirne uno per educarne cento”; LORO no! Anche se qui in realtà ne hanno colpiti tre per educarne settanta, ma la matematica, come già abbiamo visto in un altro post, è solo un’opinione. Poi, magari, qualcuno potrebbe anche chiedere – sconsideratamente – perché mai non abbiano colpito anche quei settanta organizzatori di altrettanti dirottamenti, visto che sapevano con TANTA certezza chi e che cosa e come e quando, ma la risposta è estremamente semplice: non li hanno colpiti perché il regime cubano è buono e rispetta i diritti umani, ecco perché! Intendiamoci, comunque:

Sono contro la pena di morte. Sono un pacifista totale.

Di quelli senza se e senza ma. Quando si tratta degli Stati Uniti. Se si tratta di qualcun altro, beh, allora, ecco, cioè, praticamente, al limite …

Però non possiamo essere ipocriti: dimenticare che in una parte di Cuba c’è Guantanamo»

Ecco, cioè praticamente al limite, se in una parte di Cuba c’è Guantanamo dove gli americani tengono i terroristi e non sempre rispettano tutte le garanzie legali, che saranno mai le galere dell’altra parte di Cuba, che saranno mai le celle di un metro cubo per reati di opinione, che saranno mai un po’ di fucilazioni, anche se i fucilati in realtà non avevano torto un capello a nessuno! Mica ci verrete a dire che questa è violazione dei diritti umani, spero!

E per concludere ancora un paio di pensierini utili, qui, qui e qui.

barbara

 

AMBÈ, MENO MALE

Ma se l’apostasia è vietata ovunque in terra d’Islam, sono pochi gli stati in cui è prevista la pena di morte: oltre al Sudan e all’Arabia Saudita, il Qatar, l’Iran, l’Afghanistan, lo Yemen e la Mauritania.
Cecilia Zecchinelli, Corriere della Sera, 16/05/14

E anche noi, insieme alla signora Zecchinelli, ci sentiamo tanto ma tanto confortati al pensiero che sono solo poco più di 200 milioni le persone che, se avessero l’insana idea di lasciare l’Islam, andrebbero incontro a una condanna capitale, mentre l’altro miliardo e rotti rischia solo galera, frustate e altre analoghe trascurabili bazzecole.
(Che tra l’altro nel caso in questione, ossia della sudanese Meriam Yehia Ibrahim, secondo ogni logica normale l’apostasia non dovrebbe esserci proprio, dal momento che è sempre stata cristiana, cresciuta dalla madre cristiana mentre il padre musulmano non si è mai occupato di lei. Ma secondo la logica islamica invece c’è, perché la religione dei figli, qualunque sia la situazione “sul terreno”, è quella del padre (e questo è il motivo per cui un uomo musulmano può sposare una donna cristiana o ebrea – non di altre religioni – ma una donna musulmana non può sposare un non musulmano), e quindi Meriam, le piaccia o no, è musulmana, e in quanto praticante la religione cristiana diventa automaticamente apostata e meritevole di morte. Non solo: in quanto musulmana honoris causa, il suo matrimonio con un cristiano non è valido, e di conseguenza il figlio di cui è incinta è un bastardo, e lei una meretrice, il che la rende doppiamente meritevole di morte. Ma mi raccomando, non azzardatevi a mettere in dubbio che tutte le religioni e tutte le culture siano uguali e ugualmente degne di rispetto. Altrimenti dimostrate di essere islamofobi. E pertanto meritevoli di morte)
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barbara

INNOCENTE

Nota dell’autore

Mentre sfogliavo il “New York Times” due giorni dopo i funerali di Ron Williamson, mi cadde l’occhio su un articolo dedicato alla sua vicenda. Mi colpì il titolo: Muore a 51 anni Ronald Williamson, ingiustamente condannato a morte, e lo lessi. Era di Jim Dwyer e mostrava una foto di Ron in aula il giorno del proscioglimento, con l’espressione a metà fra l’incredulo e il sollevato.
Non avevo mai sentito parlare né di lui né di Dennis Fritz. Rilessi l’articolo una seconda volta. Neppure al massimo della mia creatività sarei riuscito a concepire una storia così complessa e articolata come quella realmente vissuta da Ron. E non sapevo ancora tutto! Contattai le sorelle di Ron, Annette e Renee, e decisi di scrivere un libro sulla vicenda.
Non avevo mai preso seriamente in considerazione l’idea di scrivere non fiction – mi diverto troppo a costruire romanzi – e non sapevo a che cosa sarei andato incontro. Per condurre le ricerche e scrivere il libro ho impiegato diciotto mesi. Sono andato a Ada diverse volte – nel palazzo di giustizia, nel carcere e in diversi locali -, ho visitato la vecchia e la nuova sede del braccio della morte del McAlester, sono stato due ore a parlare di baseball con Murl Bowen ad Asher, mi sono recato negli uffici di Innocence Project a New York, ho pranzato con il giudice Frank Seay in un ristorante di Seminole, ho fatto il giro dello Yankee Stadium, ho incontrato Tommy Ward nel carcere di Lexington e a Norman, dove facevo base, ho discusso per ore con Mark Barrett. Ho incontrato anche Dennis Fritz a Kansas City, Annette e Renee a Tulsa e, quando sono riuscito a convincere Greg Wilhoit a raggiungermi in Oklahoma dalla California, mi sono fatto accompagnare da lui al Big Mac, dove Greg ha rivisto la sua vecchia cella per la prima volta dopo quindici anni.
A ogni incontro la storia prendeva una piega diversa. Avrei potuto scrivere un libro di cinquemila pagine. Questa avventura mi ha fatto scoprire il mondo degli errori giudiziari, cui non avevo mai prestato troppa attenzione, neppure quando facevo l’avvocato. Vicende di questo genere non sono prerogativa dell’Oklahoma, tutt’altro. Ne avvengono ogni mese in tutti gli Stati del Nordamerica, per motivi sempre diversi e al tempo stesso sempre uguali: indagini approssimative, analisi che hanno poco di scientifico, identificazioni fallaci, difensori incapaci e pubblici ministeri troppo pigri o troppo arroganti.

E tu apri il libro, ed entri in un incubo. Un incubo fatto di confessioni estorte con ogni sorta di violenza da inquirenti che hanno bisogno di un assassino da dare in pasto alla pubblica opinione, prove manomesse od occultate, impronte e reperti biologici controllati a tutti gli uomini che avessero avuto a che fare, direttamente o indirettamente, con la vittima – tranne che a quello di cui lei aveva confidato di avere paura e che quella sera era stato visto importunarla e litigare con lei -, testimoni comprati, legalità violata, abusi a non finire, diritti negati… e alla fine del tunnel c’è la cella per l’iniezione letale. E in questo tritacarne sono molti ad essere scaraventati, e a uscirne stritolati, ridotti a rottami umani, anche quando finalmente spunta qualcuno che crede all’innocenza del condannato e si prende a cuore la sua vicenda.
Chi mi conosce lo sa: considero la pena di morte la cosa più obbrobriosa, infame, degradante che una società sedicente civile possa produrre. La considero tale, senza giustificazioni né attenuanti, anche quando la colpevolezza è assolutamente certa, il crimine particolarmente efferato, il reo profondamente ripugnante, la possibilità di recupero totalmente inesistente. Ma se la denuncia dei frequentissimi casi di errori giudiziari – o, come nel caso in questione, qualcosa di ben peggiore di un errore – può servire a smuovere qualche coscienza non ancora del tutto atrofizzata, ben vengano queste denunce.

John Grisham, Innocente, Oscar Mondadori
Innocente

barbara

RISPONDI AL QUIZ, VINCI UN NEONATO

PakGameShow
Durante il mese di ramadan, il numero di spettatori delle trasmissioni televisive raggiunge il suo massimo. Per aumentare sempre più il numero di spettatori, Aamir Liaquat Hussain, presentatore di un programma in cui di solito si vincono confezioni di olio alimentare, computer portatili, lavatrici o moto, questa volta ha messo in palio… dei neonati abbandonati, come riportato dalla CNN. Due volte nel giro di una settimana, il presentatore ha infatti offerto degli orfani in carne e ossa a due coppie di candidati che hanno risposto bene alle domande sul Corano.
«Questa graziosa bambina è stata abbandonata su un mucchio di spazzatura. Guardate quanto è bella e innocente», ha detto al pubblico, prima di consegnare il primo bambino ai suoi commossi nuovi genitori. Visto l’entusiasmo suscitato, Aamir Liaquat Hussain ha ripetuto l’esperienza qualche giorno più tardi con un’altra coppia e dunque un altro bambino.
Dopo l’entusiasmo, è venuto il tempo della polemica, dato che molte persone e associazioni sono insorte di fronte a questa mercificazione dell’adozione: «Tutto è oggi commercializzato, compresa la religione. Ma regalare un bambino in televisione è di gran lunga la peggiore violazione dell’etica dei media che si possa immaginare» ha detto al Mirror Bina Shah, scrittrice e giornalista a Karachi.
Resta il fatto che tutto è perfettamente legale, dal momento che il controverso presentatore passa per l’associazione Chhipa Welfare, un organismo caritatevole che salva gli orfani per queste adozioni altamente mediatiche. E che se ne apprezzi o no il modo, «il programma aiuta gli orfani a trovare dei genitori» si difendono i produttori. Centinaia di bambini vengono infatti abbandonati ogni mese in Pakistan, dove una nascita fuori dal matrimonio è condannata e l’adulterio può essere punito con la morte. Il rischio per le bambine è ancora maggiore, avendo talvolta il divieto di lavorare e rappresentando di conseguenza un peso finanziario difficile da sopportare per alcune famiglie. (qui, traduzione mia)

Devo aggiungere commenti? No, vero?

barbara

IRAN: SI RESISTE COME SI PUÒ

(e ci si rischia la pelle…)

barbara

AGGIORNAMENTO: lui è riuscito a trovare il testo originale e lo ha messo in google translate che ha fornito una traduzione, come al solito, parecchio approssimativa, ma sufficiente a darci un’idea.

After you
Shahin Najafi
Arrangement: Babak Khzayy
Poetry: Mehdi Mousavi
Director. Shervin the intellectual
Melody: Shahin Najafi

I got the night off Lyvant God hugged you, my gay
A small rainbow on my finger and I killed my first kiss
Hey man I knew it was a sad night when I was Dracula
And I had a mental illness alone Khyn bad I was a convicted sex
The heart of the wine-flavored cigarettes with amnesia amnesia amnesia
After I eat I drink alcohol, sleeping
After I slept with everyone that there was
Lay my bones sore after you’ve
With everything that was tried was
Alone in the blood and you’re all alone crying and soap and masturbating
I tired of the sparrows and the pool to painting on canvas sprayed Sfydt
Dissolved in the glass of poison pills do not believe I’m not afraid of any other
My world was black dark and you’re back and I’ll Mshvghh
After I eat I drink alcohol, sleeping
After I slept with everyone that there was
Lay my bones sore after you’ve
Nothing I tried was with what was