SOTTO IL GOVERNO DELLA CHIESA SI CHIAMAVA INDICE

Per il bene dei fedeli, beninteso, che da soli non sarebbero mai stati in grado di discernere il bene dal male, e avrebbero facilmente potuto lasciarsi traviare.
Sotto il governo di Stalin (e dei successori, anche se in misura leggermente minore) si chiamava censura. Per il bene del popolo, beninteso, che da solo non sarebbe mai stato in grado di discernere la verità dalla subdola propaganda borghese.
Adesso si chiama progresso, e se consideriamo che i danni, anche in questo ambito, del comunismo, sono stati incomparabilmente maggiori di quelli provocati dalla Chiesa, non oso neppure immaginare la portata dei danni che riuscirà a produrre il terzo atto della saga.

Dopo falce e martello, razza e genere. E l’ideologia conquista anche la scienza

Non basta essere esperti di Dna, ora fanno fuori i biologi che non giurano fedeltà al “nuovo lysenkoismo”. Inchieste illuminanti e da brivido. Una propaganda che sta penetrando anche in Italia

Solo il nome incuteva paura: Trofim Lysenko, il “biologo di Stalin”. Mistificatore, sicofante e inquisitore, Lysenko negava l’ereditarietà e le “cosiddette leggi di natura”, che accusò di essere una “scienza borghese e malvagia”, sostenendo l’adattamento dei vegetali all’ambiente. “I sabotatori non si trovano solo fra i kulaki, ma anche nella scienza”, gridò Lysenko a un congresso. Stalin, in prima fila, applaudì. Gli avversari di Lysenko finirono in carcere o, nel migliore dei casi, emarginati. Il “lysenkoismo” divenne sinonimo di dittatura ideologica. Voleva modificare la natura con la forza di volontà per far trionfare il marxismo. Prometteva di far nascere cento spighe là dove a stento ne cresceva una. Ovviamente le steppe sovietiche non si trasformarono in giardini rigogliosi, ma in cimiteri dove seppellire l’uomo nuovo. E gli avversari di Lysenko.
Fra le fonti di ispirazione di George Orwell per 1984 ci fu proprio Lysenko, come testimonia una lettera di Orwell a C. D. Darlington, biologo inglese, datata 19 marzo 1947: “Dottor Darlington, non sono uno scienziato, ma la persecuzione degli scienziati e la falsificazione dei risultati per me segue naturalmente la persecuzione degli scrittori”. E ancora: “Cercherò una copia del suo scritto su Vavilov”. Orwell era ossessionato da questo nome: Nikolai Vavilov, il grande scienziato accusato da Lysenko di difendere le leggi di Mendel e deportato nel gulag di Saratov, dove morirà di fame, sepolto in una fossa comune.
Assunto il controllo delle humanities, dove censurano e manipolano i capolavori della letteratura e dell’arte, e dichiarata la nuova guerra della storia con l’estromissione di chi non si adegua alla doxa, due inchieste sensazionali raccontano che l’ideologia progressista sta ora conquistando anche le scienze. E come scrive il giornalista scientifico del New York Times Nicholas Wade, è nato un “nuovo lysenkoismo”.
Alla Texas Tech University un ricercatore in lizza per un incarico nel dipartimento di biologica è stato segnalato dal comitato per non saper distinguere tra “uguaglianza” ed “equità”. Un altro per il suo uso del pronome “he” quando si riferiva ai colleghi, anziché il neutro “they”. Il dipartimento di biologia del Texas Tech ha deciso di “richiedere una dichiarazione sulla diversità da parte di tutti i candidati”. Lo rivela il Wall Street Journal. Il comitato ha penalizzato un candidato per aver sposato la “neutralità razziale”, ovvero non essere abbastanza antirazzista. Un candidato di immunologia è elogiato per la consapevolezza dei problemi di “pregiudizio inconscio”. La fatidica “inclusività in laboratorio” è il punto di forza di un candidato di virologia: “Il suo tema sarà la diversità…”. 
Il fisico americano Lawrence Krauss sul Wall Street Journal racconta: “Negli anni ’80, quando ero un giovane professore di fisica a Yale, il decostruzionismo era in voga nel dipartimento di inglese. Noi dei dipartimenti di scienze deridevamo la mancanza di standard intellettuali nelle discipline umanistiche, incarnata da un movimento che si opponeva all’esistenza della stessa verità oggettiva, sostenendo che tutte queste pretese di conoscenza erano contaminate da pregiudizi ideologici dovuti a razza e sesso. ‘Non potrebbe mai accadere nelle scienze, pensavamo, tranne sotto le dittature, come la condanna nazista della scienza ‘ebraica’ o la campagna stalinista contro la genetica guidata da Lysenko’, pensavamo…”. Krauss ovviamente si sbagliava.
Per rabbrividire ancora di più c’è l’ultimo numero dell’Economist. “Le università americane assumono sulla base della devozione all’ideologia”, il titolo del grande settimanale inglese. Si legge: “L’Università della California, Berkeley, sta facendo pubblicità per un ‘direttore della coltura cellulare…’. I candidati hanno bisogno di una laurea avanzata e di un decennio di esperienza nella ricerca e devono presentare un CV, una lettera di accompagnamento e una dichiarazione di ricerca, nonché una sui loro contributi alla promozione della diversità, dell’equità e dell’inclusione. Apparentemente tutti devono presentare una dichiarazione che illustri la loro comprensione della diversità, i loro contributi passati ad essa e i loro piani ‘per promuovere l’equità e l’inclusione’ se assunti. Non molto tempo fa, tali affermazioni erano esotiche e di importanza marginale. Ora sono di rigore nella maggior parte delle decisioni di assunzione. Studi affermano che almeno uno su cinque lavori di facoltà in tutta l’America li richiedono. E le agenzie governative che finanziano la ricerca scientifica stanno iniziando a concedere sovvenzioni ai laboratori in base ai loro piani di diversità. ‘Ci sono molte somiglianze tra queste affermazioni sulla diversità e come funzionavano i giuramenti di lealtà che una volta richiedevano ai docenti di attestare che non erano comunisti’, afferma Keith Whittington, politologo alla Princeton University. Berkeley ha lanciato un bando per cinque docenti per insegnare scienze biologiche. Su 894 domande, ha creato una lista basata solo sulle dichiarazioni di diversità, eliminando 680 candidati senza esaminare le loro ricerche o altre credenziali. A partire da questo anno, il Dipartimento dell’Energia, che finanzia la ricerca sulla fisica nucleare e del plasma, richiederà a tutte le domande di sovvenzione di presentare piani sulla ‘promozione della ricerca inclusiva ed equa’. ‘Le persone non sono disposte a respingere questo sistema perché hanno paura di perdere i fondi e nessuno vuole diventare un martire per difendere la ragione’, afferma Anna Krylov, professoressa di chimica all’Università della California, che ha studiato nell’ex Unione Sovietica e vede dei parallelismi ‘un po’ troppo vicini’. Piuttosto che il marxismo-leninismo, ‘devi davvero impegnarti per la giustizia sociale critica’. L’Harvard Law Review incoraggia i potenziali redattori a presentare, insieme alla loro domanda, una dichiarazione di 200 parole ‘per identificare e descrivere aspetti della tua identità’”.
Chi segue la mia newsletter forse ricorderà che di Anna Krylov avevo parlato già due anni fa, quando la scienziata scrisse un saggio illuminante.
Il geofisico dell’Università di Chicago, Dorian Abbot, su Newsweek descrive così il clima in America: “Il nuovo regime è intitolato ‘Diversità, equità e inclusione’ ed è imposto da una burocrazia di amministratori. Ogni decisione presa nei campus, dalle ammissioni all’assunzione, dai contenuti dei corsi ai metodi di insegnamento, passa attraverso la lente del regime. Nel clima attuale non si può discutere: l’autocensura è totale”. Al premiato scienziato canadese Patanjali Kambhampati sono stati negati fondi di ricerca perché si rifiuta di assumere in base al colore della pelle e si concentra solo sul merito. Kambhampati, chimico della McGill University, ha detto: “Non mi interessa il colore della pelle. Sono interessato ad assumere qualcuno che voglia lavorare al progetto ed è bravo a farlo”.
Luana Maroja, biologa al Williams College, sulla newsletter della giornalista Bari Weiss ha raccontato cosa sta succedendo anche nel mondo scientifico: “In alcune classi di biologia, gli insegnanti dicono agli studenti che i sessi, non il genere, sono su un continuum. Almeno un college che conosco insegna che è bigotto pensare che gli esseri umani siano in due sessi distinti”. Anche le scuole di medicina e la Society for the Study of Evolution hanno rilasciato dichiarazioni che suggeriscono che i sessi sono su un “continuum”. “Se ciò fosse vero, l’intero campo della selezione sessuale sarebbe privo di fondamento. In psicologia e salute pubblica, molti insegnanti non dicono più maschio e femmina, ma usano invece la contorta ‘persona con un utero’. Ho avuto un collega che, durante una conferenza, è stato criticato per aver studiato la selezione sessuale femminile negli insetti perché era un maschio”.
Basta andare sui siti delle facoltà di medicina d’America per leggere che ogni dipendente deve sottoporsi a quattro ore di “corsi sulla diversità e l’inclusione”. Il 20 per cento di tutti gli incarichi accademici negli Stati Uniti richiedono una dichiarazione di fedeltà al regime. Una professoressa alla Brown University, Lisa Littman, ha criticato il transgender, ipotizzando una sorta di contagio sociale. La scienziata, la rivista che l’ha pubblicata e la Brown University sono stati accusati di transfobia. Il saggio è stato cancellato e la carriera di Littman è stata distrutta.
Ma questa assurda ideologia sta penetrando rapidamente anche in Italia. Basta andare sul sito dell’Università di Bologna, dell’Università di Venezia, della Bocconi, dell’Università di Ferrara, della Sapienza e altri atenei. Si trova già tutto nero su bianco e in linea. In America si chiama “DEI” (Diversità, equità e inclusione), in Italia “EDI” (Equità, diversità e inclusione). Un giorno (sempre se avremo una stampa libera a informarci) leggeremo anche da noi di scienziati e ricercatori esclusi per non aver dimostrato abbastanza fervore ideologico. Non potremo meravigliarci. Perché sapevamo.
Nazionalista anticomunista e studioso del più grande degli imperatori tedeschi, Federico II di Svevia, lo storico Ernst Kantorowicz non ebbe altra scelta che lasciare la Germania nel 1939. Non bastava che la sua biografia dell’imperatore fosse piaciuta al ministro Goebbels. Kantorowicz era ebreo. Arrivò negli Stati Uniti, dove ottenne la cattedra di Storia medievale a Berkeley. Dieci anni dopo iniziò il maccartismo e l’amministrazione universitaria impose ai docenti giuramento di anticomunismo. Kantorowicz si rifiutò di sottoscriverlo, non perché non fosse anticomunista, ma perché aveva in orrore il giogo intellettuale. Fu licenziato e trovò lavoro a Princeton grazie all’intercessione del grande fisico Robert Oppenheimer, quello della bomba atomica. Settant’anni dopo, i docenti di Berkeley si trovano alle prese con un altro tipo di giuramento. Per spiegare il suo rifiuto di firmare a costo di perdere il lavoro, lo storico Kantorowicz disse: “Ci sono tre professioni che hanno il diritto di portare la toga e sono il giudice, il prete e il professore. Quest’abito attesta la maturità mentale di chi lo porta, la sua indipendenza di giudizio e la sua diretta responsabilità verso la sua coscienza e il suo dio. Sono le ultime professioni che dovrebbero accettare di agire sotto costrizione”.
A Berkeley oggi un gruppo di 894 candidati è ridotto a 214 in base unicamente a quanto siano stati convincenti nella propria domanda di lavoro sulla “diversità”. In pratica, se chi fa domanda di un posto non fa cenno alla diversità viene automaticamente scartato, per quanto brillante possa essere il suo curriculum. “Berkeley ha respinto il 76 per cento dei candidati qualificati senza nemmeno considerare le loro capacità, le loro pubblicazioni, il loro potenziale accademico”, scrive Reason. “Questi candidati avrebbero potuto essere il prossimo Albert Einstein o Jonas Salk, oppure educatori eccezionali e innovativi”. Non importa, “diversità” prima di tutto.
Nel 1981, quando tutto questo ancora non c’era, apparve un piccolo libro di filosofia, Dopo la virtù. L’autore, Alasdair MacIntyre, osservava l’Occidente e non vedeva nient’altro che confusione. La moralità in quanto tale era svanita e il crollo del discorso razionale aveva segnato una grave “degenerazione” e “perdita culturale”. Una “nuova èra oscura” era davanti a noi. Il libro iniziava immaginando il crollo della cultura occidentale: “Immaginate che le scienze naturali debbano subire le conseguenze di una catastrofe. L’opinione pubblica incolpa gli scienziati di una serie di disastri ambientali. Accadono sommosse su vasta scala. Laboratori vengono incendiati, fisici linciati, libri e strumenti distrutti. Un movimento politico a favore dell’Ignoranza prende il potere, e riesce ad abolire l’insegnamento scientifico nelle scuole e nelle università, imprigionando e giustiziando gli scienziati superstiti”. Si tenta una ripresa culturale, ma si possiedono solo dei frammenti, “parti di teorie senza legami né con gli altri pezzetti di teoria, mezzi capitoli di libri, singole pagine di articoli, non sempre del tutto leggibili perché stracciate e bruciacchiate”. I bambini imparano a memoria le parti superstiti. Ma i filosofi non riescono più a comprendere di essere affondati in un caos culturale. “L’ipotesi che voglio sostenere è che nel mondo in cui viviamo il linguaggio della morale si trova nel mondo immaginario che ho descritto”.
MacIntyre concludeva che soltanto “un nuovo Benedetto” avrebbe potuto salvare l’Occidente. Prima la scienza è stata conquistata dall’ideologia, poi la scienza è diventata essa stessa ideologia. Hanno così abolito la realtà e infine si è suicidata la civiltà. E il Benedetto che ha denunciato il crollo della ragione è stato appena sepolto.
Giulio Meotti

Esattamente come in tutte le dittature: prima viene la fedeltà al partito, poi, eventualmente (molto eventualmente) i meriti. Sempre che i meriti non diventino essi stessi motivo di condanna e di perdita della propria posizione, quando non della libertà, quando non della vita. E quanto più si tace e ci si adegua, tanto più la belva diventa aggressiva e assetata di sangue. Il nostro.

barbara

QUALCHE VOCE RAGIONEVOLE

che vale la pena di ascoltare

LISTE DI PUTINIANI E VERI PROBLEMI

10 GIUGNO 2022

Chiedo scusa a tutti quelli coinvolti ma le varie e ormai famose “liste dei putiniani”, al netto delle miserie giornalistiche, sono una vera fregnaccia. Ci sono, per quanto riguarda l’informazione e la propaganda, problemi ben più seri di cui occuparsi. Faccio una premessa personale: ho scritto spesso, fino alla vigilia dell’invasione russa in Ucraina, che non ci sarebbe stata alcuna guerra. Era l’epoca in cui moltissimi, me appunto incluso, pensavano (io ancora lo penso) che una guerra sarebbe stata (anche) contro gli interessi della Russia e che per questo un leader razionale e cinico come Vladimir Putin non l’avrebbe intrapresa.  Lo scrivevo in settimane in cui a dirlo e ripeterlo, oltre a tantissimi ucraini e russi, c’erano anche osservatori più o meno insigni e, per fare solo un paio di nomi, leader politici come Macron (“Non ci sarà alcuna escalation militare”, disse il presidente francese dopo la visita a Mosca) e Volodymyr Zelensky. Previsione sbagliatissima, come si vede.
C’è però un’enorme differenza tra sbagliare una previsione e distorcere i fatti. Perché di questo dovremmo occuparci, altro che delle liste dei putiniani. Per tre mesi il sistema mediatico italiano ci ha raccontato una guerra in cui i russi, crudeli e imbecilli, non ne azzeccavano una e venivano ridicolizzati e massacrati sul campo dagli ucraini. Ci è stato detto e ripetuto che le armi occidentali avrebbero spezzato le reni ai russi. Che Putin sarebbe stato presto spodestato dalle contestazioni, da un golpe o da una malattia. Che Putin non sapeva più quale ministro (Shoigu, quello della Difesa) o comandante (quello di stato maggiore Gerasimov, quello delle operazioni sul campo Dvornikov) silurare. Che le sanzioni avrebbero ridotto la Russia a pezzi. Tutto può ancora succedere. Ma dopo tre mesi la realtà è una sola: la Russia, che PRIMA della guerra controllava (tra Crimea e Repubbliche del Donbass) il 7% del territorio ucraino, OGGI ne controlla più del 20%. Le armi occidentali stanno finendo e quelle russe no. Le sanzioni colpiranno ma per ora non bastano a fermare la Russia. Putin sembra saldo in sella. E per dirla tutta, Zelensky e i suoi sembrano invece sull’orlo della disperazione.
Altro che quattro veri o presunti putiniani. Truppa in cui peraltro ogni tanto gli zeloti in cerca di visibilità e collaborazioni provano ad arruolare a forza e a mettere nelle liste anche rispettabilissimi personaggi come Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, o Lucio Caracciolo, direttore di Limes, colpevoli solo di essere un poco più intelligenti della marmaglia. È di tutto il resto che dovremmo preoccuparci.
Ma se a pontificare su Ucraina e Russia ci sono gli stessi (e con gli stessi argomenti) che nel 2003 pontificavano su quanto fosse bella e buona l’invasione dell’Iraq, un problema ci sarà o no? Se il 95% di quelli che partecipano ai talk show non sono mai stati in Ucraina, un problema ci sarà o no? Se il 99% di quelli che ce la spiegano non sono mai stati in Ucraina negli anni Novanta, e non hanno quindi visto il nazionalismo montante a Ovest e l’eredità sovietica vivissima a Est, un problema ci sarà o no? Se il 90% di quelli che “raccontano” la Russia oggi non sono mai usciti da Mosca, e quando sono a Mosca parlano (quando va bene) solo con i circoli della borghesia liberale e occidentalizzata, è un problema o no? Se la stampa italiana per mesi ha riportato come se nulla fosse le notizie selezionate dalla stampa ucraina, cioè dai media di un Paese che già prima della guerra era al 106° posto (su 180) nella classifica della libertà di stampa, dove le Tv dell’opposizione venivano chiuse per decreto (7 in un anno e mezzo) e dove dall’inizio dell’invasione russa tutti i media (comprensibilmente) sono stati di fatto accorpati in un solo organismo alle dipendenze del Presidente e dei suoi collaboratori, un problema l’abbiamo o no? Se uno che va nel Donbass è ipso facto “putiniano” e uno che che ha passaporto americano, casa e incarichi retribuiti negli Usa è un osservatore obiettivo, un problema ce l’abbiamo o no?
Che il sistema mediatico abbia deciso di schierarsi per la vittima contro l’aggressore, per il piccolo contro il grande, insomma per l’Ucraina contro la Russia, peraltro in perfetta coincidenza con il mandato politico di un premier che fin dal primo discorso disse che l’ancoraggio agli Usa e alla Ue era per l’Italia fondamentale, ci sta pure. Ma che il risultato reale, a prescindere dagli schieramenti, sia un’inaffidabile pseudo-informazione è sotto gli occhi di tutti. Per cui, delle liste dei presunti “putiniani” bisogna altamente fregarsene. Al massimo considerarle per ciò che sotto sotto sono, cioè un modo per buttare la palla in tribuna, per parlar d’altro, per mimetizzare il clamoroso scollamento tra la realtà e la sua narrazione.
Fulvio Scaglione, qui.

Adatto a chi ama i paragoni.

L’Ucraina, la crisi globale e la propaganda di guerra

«La guerra [ucraina] sta portando a un’impennata globale dei costi alimentari ed energetici e a una massiccia distrazione dalla risoluzione dei problemi a lungo termine. Alcuni governi stanno aumentando la spesa militare e probabilmente spenderanno meno, nel breve periodo, per lo sviluppo sostenibile».
«Nel frattempo la guerra e le sanzioni potrebbero finire per provocare una stagflazione o una vera e propria crisi economica globale. Naturalmente, la distruzione in Ucraina è devastante e anche la contrazione dell’economia russa quest’ anno sarà molto dura. La chiave per superare questi costi è porre fine alla guerra attraverso negoziati in settimane, non mesi o anni». Così Jeffrey Sachs, autorevole economista della Columbia University in un’intervista a La Stampa.
Sulla guerra, un interessante osservazione di Jacob G. Hornberger pubblicato dalla Fondazione americana Future of Freedom: «Supponiamo che l’Ucraina fosse guidata da un regime filorusso. Dopo ripetuti tentativi falliti di assassinarne il leader da parte della CIA, il Pentagono decide finalmente di invadere l’Ucraina allo scopo di determinare un cambio di regime, cioè estromettere il regime filo-russo dal potere e sostituirlo con un regime filo-USA».
«Quale sarebbe la risposta dell’establishment americano, in particolare della stampa mainstream statunitense?».
«Non ci sono dubbi sulla risposta. Sarebbe tutto diverso da come oggi viene rappresentata l’invasione russa dell’Ucraina. I media avrebbero orgogliosamente supportato le forze d’invasione dell’esercito americano. I giornali più autorevoli avrebbero riferito e commentato il coraggio delle truppe statunitensi. Non si vedrebbero foto o video di civili ucraini uccisi e sarebbero tutti etichettati come “danni collaterali”».
«La Chiesa avrebbero esortato le sue congregazioni a pregare per le truppe. Gli esponenti dell’establishment [politici e media] di tutta la terra farebbero a gara per trovare qualche soldato da ringraziare per il servizio reso […] L’establishment condannerebbe i “cattivi”, cioè quegli ucraini che si permettono di sparare contro i soldati americani».
«Come sappiamo che l’establishment americano reagirebbe in questo modo a un’invasione dell’Ucraina da parte del Pentagono?».
«Due risposte: Afghanistan e Iraq. È così che hanno reagito quando è stato il Pentagono a invadere quei due paesi. Da questo sappiamo che è così che reagirebbero se fosse stato il Pentagono e non la Russia a invadere l’Ucraina».
A conferma di tale suggestione, una suggestione indiretta. L’eroina del momento in America è Liz Cheney: le sue foto campeggiano orgogliosamente su tutte le prime pagine dei giornali mainstream, i Tg inondano le case dei cittadini statunitensi con le sue immagini, le sue parole sono riferite con devoto ossequio.
L’eroina in questione è tale perché è l’esponente di punta di quel manipolo di repubblicani che da sempre fa guerra a Trump. Da quando poi ha accettato di far parte della Commissione d’inchiesta sull’assalto a Capitol Hill, conferendo a un’indagine politicamente orientata una artificiosa patina di terzietà, le sue azione solo volate alle stelle.
Liz è la figlia di Dick, che gestì la presidenza Bush in nome e per conto dei neoconservatori, organizzando l’invasione dell’Afghanistan prima e dell’Iraq poi, che autorizzò la tortura di presunti terroristi tramite waterboarding, spianando la strada gli orrori di Abu Ghraib etc etc.
Liz ha sempre difeso il padre, giustificando tutte le sue decisioni come legittime e necessarie, a iniziare dall’invasione dell’Iraq. Lei l’eroina del momento, ci ricorda appunto l’ipocrisia che si cela dietro certe rappresentazioni della realtà.
E a proposito di bizzarre rappresentazioni della realtà, ricordiamo come abbia fatto il giro del mondo, ma non sui media mainstream, la destituzione della commissaria parlamentare ucraina per i diritti umani Lyudmila Denisova da parte della Rada di Kiev.
Una decisione presa dal partito di Zelensky a motivo del suo strano attivismo, che l’aveva portata anche ad accusare i soldati russi di stuprare donne e bambini in quantità industriale. Accuse che il parlamento ucraino ha dichiarato non fondate dichiarando la suddetta inadeguata a ricoprire una carica tanto delicata (ma nonostante questo, le sue accuse sono state ugualmente rilanciate da tutti i media d’Occidente: nella propaganda di guerra non si butta niente, un po’ come si fa per il maiale).
In un’intervista a un giornale ucraino, la Denisova, pur difendendosi a spada tratta, ammette di aver “esagerato” le accuse contro la Russia. Interessante una specifica che ci riguarda da vicino: «Quando, per esempio, ho parlato alla commissione per gli affari esteri del parlamento italiano, ho sentito e visto tanta reticenza riguardo l’Ucraina, sai? Ho parlato di cose terribili per spingerli in qualche modo a prendere le decisioni di cui avevano bisogno l’Ucraina e il popolo ucraino. Lì  [in Italia – SK ] c’era un partito, i “Cinque Stelle”, che era contrario alla fornitura delle armi, ma dopo il mio intervento uno dei leader del partito ha espresso sostegno all’Ucraina e ha detto che ci avrebbe sostenuto, anche sul provvedimento riguardante le armi». Simpatico retroscena.

Ps. Riguardo il blocco del grano dai porti ucraini, questione alla quale abbiamo dedicato una nota e che rischia di affamare il mondo, una novità importante: la Francia si è detta pronta a partecipare all’operazione che potrebbe consentire lo sblocco della situazione. (Qui)

Quest’altro articolo lo dedico a quelli che sghignazzano su Putin “che si aspettava che la popolazione accogliesse i russi a braccia aperte” (testo in russo letto col traduttore automatico).

La più grande bandiera russa nella storia della città è spiegata a Mariupol

Mariupol, 12 giugno – DAN. Il tricolore russo di 2400 m² viene schierato oggi in occasione della Giornata della Russia a Mariupol, riporta il corr. Agenzia di stampa di Donetsk da una città di mare.
L’azione si è svolta in piazza Leninsky Komsomol nel distretto di Primorsky. È stato organizzato dagli attivisti della Young Guard of United Russia e dalla Volunteer Company. All’evento hanno partecipato anche i cittadini.
“Con questa azione, non solo ci siamo congratulati con i residenti per la Giornata della Russia, ma abbiamo anche sostenuto i nostri militari, che stanno partecipando a un’operazione militare speciale per proteggere il Donbass”, ha affermato Ivan Dziuban, vicepresidente della MGER.
Secondo DAN, non c’è mai stata una bandiera russa così grande in città. 

La festa è iniziata da pochi giorni nel Donbass: concerti di artisti russi si sono svolti in città e regioni, anche nel territorio liberato . In particolare, Grigory Leps, Alexander Marshal, Denis Maidanov, Olga Kormukhina, Dmitry Dyuzhev, Aglaya Shilovskaya, Viktor Rybin, Natalya Senchukova e molti altri sono venuti a congratularsi con i residenti della DPR.
Il Russia Day è un giorno festivo della DPR e della Federazione Russa. È stato celebrato nella Repubblica popolare di Donetsk dal 2019 .

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Altre notizie nel  canale DAN Telegram

Nel frattempo quell’oscena associazione a delinquere di stampo mafioso che è l’Unione Europea prosegue imperterrita coi suoi infami ricatti
Noi invece dilettiamoci con le cose meravigliose che la Russia ci regala.

barbara

DI VATICANO, DI ZAN, DI ZANINI E DI ALTRI INCOMPARABILI IDIOTI

(È un po’ lungo, portate pazienza. Poi domani se non capita qualche imprevisto importante vi porterò via pochissimo tempo, quindi magari leggetelo a rate, se è troppo)

Dato che i crociati contro l’omofobia rappresentano la crema della crema della sinistra, inizio con questa deliziosa carrellata

e proseguo con questo quadro che illustra quanto sia effettivamente grave e bisognosa di interventi la situazione da noi orrendevolissimi occidentali.

E una riflessione sulla famigerata legge Zan.

Niram Ferretti

SULL’AVANZAMENTO DEL PROGRESSO

Siamo arrivati a questo. Lo spartiacque tra luce e tenebra, progresso e regresso, civiltà e barbarie è il DDL Zan.
Alessandro Zan, parlamentare PD e militante LGBT, ha l’onore e l’onere di avere dato il proprio nome a questa legge fondamentale. Il futuro dirà di lui, per il momento accontentiamoci del presente. Un presente derelitto in cui un disegno di legge marcatamente ideologico e lobbista frutto di una organizzazione che è una Chiesa a sé, con i suoi dogmi, le sue scomuniche, il suo clero variopinto (e implacabile è soprattutto nei confronti di quegli omosessuali, uomini o donne che non si allineano alle sue direttive), è stato abilmente trasformato in un vessillo di libertà.
Se non verrà approvato, dicono i suoi sostenitori, Fedez, Elodie, Paola Turci, Vladimir Luxuria e altri pensosi intellettuali, l’Italia sprofonderà nel buio. Infatti, il DDL Zan fornirà, con il pretesto della difesa dei diritti umani e la lotta alle discriminazioni, una protezione impareggiabile a omosessuali, transgender, trans, e a coloro che, nonostante, l’inequivocabilità dei loro attributi sessuali e del loro aspetto fisico si percepiscono all’opposto di come appaiono. Lo farà facendo in modo che chi ritiene che l’eterosessualità è la norma e la famiglia naturale è quella composta da un uomo e una donna, non possa avanzare critiche o anche opposizione alle famiglie arcobaleno, all’acquisizione di figli da parte di coppie omosessuali tramite la maternità surrogata o la fecondazione eterologa, e altro ancora.
Non è vero che il DDL Zan, come dice il suo promulgatore e insieme a lui i suoi sostenitore, garantisca la liberà di opinione, che, diciamolo, non ha bisogno di Alessandro Zan per essere garantita, essendo già fermamente salvaguardata dall’Articolo 21. Basterebbe leggersi l’Articolo 4 del disegno di legge, il cosiddetto “salva idee” dove è scritto che “ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atto discriminatori o violenti”.
Tutto sta nella congiunzione “purché”. Il diavolo, si sa, è nei dettagli.
Come ha sottolineato Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, “Non si può usare il concetto di ‘idoneità’ nella valutazione di un’idea, chissà quando, come e per quale finalità espressa, e trasformare quella idea in un reato penale”.
O meglio, sì, si può. Si può in un regime autoritario o totalitario, dove il pensiero è irreggimentato rigorosamente, e insieme ad esso, ovviamente il linguaggio.
Non sono più i tempi, fortunatamente, dell'”amore che non osa dire il proprio nome” tempi che costarono a Oscar Wilde i lavori forzati, da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, ma non vorremmo che si inaugurassero i tempi in cui ci possano essere dei giudici i quali condannassero un cittadino per avere osato dire che l’omossesualità è una inclinazione statisticamente deviante rispetto all’eterosessualità o che affermi che l’unico matrimonio degno di questo nome è quello tra un maschio e una femmina.
Se si dicesse con franchezza e limpidezza che questo disegno di legge è il frutto di una ben precisa ideologia, che ha trasformato l’omosessualità da inclinazione sessuale a strumento politico, si renderebbe solo un servizio alla verità. E se al posto di Fedez ci fosse Pier Paolo Pasolini, avremmo la certezza che vedrebbe in esso l’estensione omologante, coartante e fascistizzante di un brand. Purtroppo ogni epoca ha i testimonial che si merita.

E veniamo alla odierna pietra dello scandalo: l’intervento del Vaticano

Gerardo Verolino

Non dicono una parola (anzi sono propensi a giustificare i loro carnefici) se gli omosessuali sono perseguitati, torturati ed impiccati alle gru negli Stati e nelle teocrazie islamiche ma, adesso, i nuovi maître à penser della sinistra (da Fedez a Elodie) si inalberano e protestano indignati se la Chiesa cattolica (per essere più precisi: la Cei) dice una cosa giusta quando ricorda allo Stato italiano che non bisogna discriminare gli omosessuali, ma neppure il prete che seguita a dire che il matrimonio religioso è solo fra un uomo e una donna. Ma andate a fanzan

D’altra parte, quando abbiamo a che fare con la sinistra, si sa cosa ci si deve aspettare

Qui.

Cioè la sinistra praticamente è come l’AIDS: se la conosci la eviti. Aggiungo ancora questo

“La Chiesa non contesta il Ddl Zan ne’ sul piano teologico ne’ nel merito” – Monsignor Filippo Di Giacomo, canonista: “Il confronto verte sulla difesa di quegli spazi di libertà religiosa che riguardano non solo i cattolici ma anche ebrei, musulmani e seguaci di altre confessioni” – “Si tratta di una “nota verbale”, il modo usuale con cui le diplomazie si parlano. Enfatizzarlo come una ‘lettera ufficiale’ è pura idiozia” – “Chi ha dato alla stampa la “nota” puntava a fare uno sgarbo al Papa” – Gli attacchi di Fedez sulla tasse del Vaticano? Notizia mezza tarocca. Evidentemente si considera uno specchio di virtu’…“

https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/zan-zan-quot-chiesa-non-contesta-nbsp-ddl-zan-ne-39-piano-274375.htm

Il machiavellismo della Curia mi ha sempre affascinato.
Comunque godo.

Fantastica la gente con il cartello con scritto “L’odio non è un diritto”… Che di solito, se togli l’odio a quei dementi col cartello arcobaleno, si sgonfiano come palloncini.
Nota: L’Odio è un diritto (qui)

Perché se lo stato ha il diritto di sindacare sui sentimenti e addirittura farne materia di diritto, chi ci metterà al riparo da futuri ghiribizzi statali di sindacare su qualunque altro sentimento umano, dall’invidia alla gelosia all’antipatia e magari – perché no? – alla simpatia, alla riconoscenza, all’affetto, all’amore?
Poi ci sono quelli che, dopo essersi spellati le mani a forza di applaudire i papali interventi pro clandestini, pro le deliranti teorie gretiane sull’ambiente eccetera, chiedono a gran voce di “denunciare” il concordato, ai quali faccio dire due parole da

Giovanni Bernardini

CONCORDATO

I patti lateranensi regolano ancora oggi i rapporti fra lo stato italiano e la Santa Sede.
Firmati nel 1929 fra il governo Mussolini e la Santa sede sono stati inseriti nella costituzione nel 1948, col voto favorevole di Togliatti.
Sono stati modificati nel 1984 dopo una lunga trattativa fra rappresentanti del Vaticano ed il governo Craxi.
Il fatto che i patti siano inseriti nella costituzione ha una conseguenza ben precisa che sfugge a coltissimi personaggi come Fico e Fedez: lo stato italiano NON può denunciare unilateralmente i patti, come avviene per gli altri accordi internazionali, meglio, può farlo ma SOLO tramite una legge COSTITUZIONALE. Si rassegnino i pasdaran del gender.
Questi i fatti
Quanto al resto, non val la pena di sprecare ancora una volta molte parole sul DDL Zan.
Telegraficamente: NON si tratta di una legge in difesa di diritti. Già ora non è possibile aggredire, insultare, picchiare, discriminare ingiustamente nessuno, per nessun motivo. Volendo si può essere più chiari in proposito, ma non è questo il punto.
Il DDL Zan equipara il sesso “biologico” con il sesso “sentito”, pretende che nelle scuole si propagandi la filosofia gender e, cosa più grave di tutte, trasforma in reato penale la critica del gender. E’ vero che la legge concede, bontà sua, la libertà di esprimere opinioni diverse, ma subordina questa libertà graziosamente concessa alla assenza del “pericolo” che questa possa provocare azioni violente e discriminanti. Per capirci: un prete afferma che per la Chiesa l’omosessualità è un peccato, un magistrato ritiene che questa affermazione possa indurre qualcuno ad atti violenti ed il prete finisce in galera. Degno di Goebbels.
La Chiesa può condannare chi insulta, aggredisce o discrimina qualcuno per motivi legati alle preferenze sessuali, NON PUO’, se non vuole rinnegare completamente se stessa, accettare che nelle scuole cattoliche venga propagandata la filosofia gender né può accettare che interi passi della Bibbia vengano censurati perché ritenuti “omofobi”.
Staremo a vedere come evolverà la situazione, penso che le carte siano molto intricate. Per ora mi limito a ridere pensando a coloro che esaltano papa Bergoglio quando si tratta di migranti salvo poi strapparsi i capelli quando il Vaticano ribadisce cose che sono da tempo immemorabile parte della dottrina cattolica.
Personalmente detesto ogni tipo di argomento “ad personam”. Non credo che X sia giusto se lo dice Tizio salvo diventare sbagliato se lo afferma Caio. Sono contrario alla immigrazione clandestina anche se il papa la difende e sono contrario al DDL Zan quale che sia la posizione in proposito del Vaticano.
E tanto basta.

Perché non c’è niente da fare: più sono ignoranti e più salgono in cattedra. E, come dice giustamente – e documenta – Giulio Meotti, quella con cui stiamo  avendo a che fare è una vera e propria inquisizione, altro che Vaticano che interferisce!

La nuova Inquisizione non viene dal Vaticano, ma dai Buoni

Ecco il catalogo dei perseguitati (scrittori, politici, pasticcieri, insegnanti, informatici, vescovi, giuristi). Nel liberissimo Occidente è in nome dell’Amore che si censura, licenzia e reprime

“I benpensanti sono diventati come una religione”, ha scritto Nicolas Beytout sul quotidiano liberale francese L’Opinion. “Impone le sue regole, la sua liturgia, le sue messe. Scomunica coloro che non rispettano questo nuovo catechismo progressista. Il pensiero dominante e travolgente è seguace della teoria del gender”. George Orwell aveva capito che la “neolingua” non sarebbe stata radicalmente nuova, ma la manipolazione di quella esistente. Così l’aggettivo “libero” non si sarebbe più usato nel significato di “intellettualmente indipendente”, ma in frasi come “questo cane è libero dalle pulci” o “questo campo è libero da erbacce”.

In Occidente nessuno viene più licenziato perché omosessuale e la questione transgender è diventata egemonica. Al contrario, chi dissente, senza demonizzare nessuno, rischia molto. Si criminalizzano ormai non i comportamenti, ma i pensieri in sè. La nuova Inquisizione non viene dal Vaticano, ma dall’“Impero del Bene” di Philippe Muray. Le leggi contro l’odio in tutto l’Occidente, nate su intenzioni “inclusive”, oggi sono usate per censurare, licenziare e reprimere. Ecco il catalogo (parziale) dei perseguitati in nome dell’Amore…

  • L’ex ministro dell’Interno finlandese, Päivi Räsänenuna, che è anche un medico, aveva criticato la partecipazione della Chiesa luterana finlandese (di cui è membro) ai festival Lgbt e citato la Bibbia (Genesi, “maschio e femmina li creò”) nei suoi social. Ora deve andare a processo.
  • Ha scritto che è in atto una “dittatura gender”. Per questo Bob Eschliman, caporedattore del quotidiano dell’Iowa Newton Daily News, è stato licenziato. Aveva espresso le sue opinioni sul suo blog e fuori dall’orario di lavoro, ma non gli è servito a salvargli la carriera.
  • Germund Hesslow è professore di neurofisiologia a Lund, in Svezia, ed è finito sotto inchiesta per avere affermato che esistono differenze biologiche tra maschi e femmine.
  • Sasha White ha perso il lavoro alla Tobias Literary Agency dopo avere espresso solidarietà all’autrice di Harry Potter. La sua bio sui social diceva già tutto: “Il gender non conformista è meraviglioso; negare il sesso biologico no”. Poi il rifiuto di usare pronomi neutri gender fluid.
  • Jack Phillips è il pasticciere più famoso d’America. Ed è di nuovo stato trascinato in tribunale perché non vuole realizzare dolci contrari alla sua fede cristiana. Se nel 2012 una coppia omosessuale gli aveva chiesto una torta per celebrare il proprio matrimonio gay, al tempo della richiesta illegale nello stato, questa volta un avvocato ha preteso da Phillips una torta per festeggiare la propria “transizione di genere”. Nello storico processo Masterpiece Cakeshop v. Colorado Civil Rights Commission, la Corte Suprema stabilì che rientra a pieno titolo nel Primo emendamento il diritto a non creare con le proprie capacità artistiche qualcosa che vada contro le proprie convinzioni religiose. “Oggi tocca a Jack, domani potrebbe toccare a voi”, ha detto la sua legale, Kristen Waggoner.
  • Brendan Eich, programmatore creatore della lingua del web (il JavaScript), amministratore delegato di Mozilla solo per undici giorni, è stato licenziato a causa di mille dollari donati alla campagna in favore del “sì” al referendum della California per vietare i matrimoni gay. A difenderlo ci ha pensato Andrew Sullivan, icona gay, giornalista inglese trapiantato in America e che fu uno dei primi a dichiararsi omosessuale, secondo cui Eich è stato “scotennato da attivisti gay, trattato da eretico. Brendan è vittima dell’intolleranza della sinistra liberal e della mafia gay. Adesso sarà costretto a sfilare per le strade nella vergogna? Perché non metterlo ai ceppi? Se l’attivismo omosex è diventato questo, mi dimetto subito dal movimento. Se si tratta di minacciare la libertà di parola degli altri, allora non siamo meglio dei prepotenti anti gay che ci hanno preceduto”.
  • Il vicedirettore di una rivista universitaria è stato licenziato per “transfobia”, dopo aver twittato che “le donne non hanno il pene”. Angelos Sofocleous è stato cacciato da Critique, la rivista di filosofia dell’Università di Durham e come direttore da The Bubble, la rivista online dell’università.
  • When Harry became Sally, il libro di Ryan Anderson critico del gender, è stato bandito da Amazon. E non importa che non ci sia alcuna fobia o odio nel libro di Anderson, basta mettere in discussione l’identità di genere per finire all’indice e perdere proventi e reputazione.
  • Maya Forstater, ricercatrice licenziata da un think tank di Londra per aver scritto sui social che “le donne trans non sono donne”, ha cercato giustizia per tre anni dopo il licenziamento.
  • L’American Humanist Association ha cancellato venticinque anni dopo il “Premio Umanista dell’Anno” a Richard Dawkins, sulla base del fatto che non è sufficientemente devoto al “culto del transgenderismo”, come il famoso biologo lo ha definito sul Times, dicendo che da biologo non può ignorare i cromosomi XX e XY.
  • Sarah Honeychurch dell’Universià di Glasgow è stata licenziata come redattrice della rivista accademica Hybrid Pedagogy, dopo aver firmato una lettera di femministe che metteva in dubbio il rapporto delle università con l’ente Lgbt Stonewall.
  • L’ex cappellano del Trinity College di Cambridge, Bernard Randall, è stato cacciato dal Trent College per le critiche al programma Lgbt introdotto nella sua scuola. Aveva detto Randall agli studenti: “Dobbiamo trattarci l’un l’altro con rispetto, non attacchi personali: questo è ciò che significa amare il prossimo come se stessi. Discuti con tutti i mezzi, fai un dibattito ragionato sulle convinzioni, ma mentre va bene cercare di persuadersi a vicenda, a nessuno dovrebbe essere detto che deve accettare un’ideologia. Ama la persona, anche quando non ti piacciono le sue idee. Non denigrare una persona semplicemente per avere opinioni e convinzioni che non condividi”.
  • Uno degli autori della serie Doctor WhoGareth Roberts, è stato estromesso da una nuova antologia a causa di quello che la Bbc Books (di proprietà della Penguin Random House e dell’emittente pubblica inglese) ha descritto come “linguaggio offensivo sulla comunità transgender”. Roberts, che è gay, aveva solo detto di non credere nell’identità di genere: “E’ impossibile per una persona cambiare il proprio sesso biologico”.
  • Un vescovo spagnolo, nominato cardinale da Papa Francesco, di cui è anche amico personale, è stato incriminato per “omofobia”. Si tratta dell’arcivescovo di Pamplona, Fernando Sebastián Aguilar, che in un’intervista a Diario Sur aveva spiegato: “La sessualità ha una struttura e un fine, che è quello della procreazione. L’omosessualità, in quanto non può raggiungere questo fine, sbaglia”. Per queste parole si è ritrovato nel registro degli indagati.
  • All’Università di Bordeaux, in Francia, è stata eliminata la conferenza di Sylviane Agacinski, celebre femminista e psicoanalista, per aver attaccato il gender nel libro Femmes entre sexe et genre.
  • La procura di Parigi ha aperto una inchiesta sul giurista di origine armena della Sorbona, Aram Mardirossian, per “incitamento all’omofobia e alla transfobia” (sei mesi di carcere e 22.500 euro di ammenda) perché ha difeso il matrimonio naturale.
  • Un professore di filosofia, Philippe Soual, membro della società internazionale di studi su Hegel e del centro Cartesio della Sorbona, si sia visto cancellare un corso all’ateneo Jean Jaurès di Tolosa, dopo che è stato accusato da un’associazione di studenti di essere un “portavoce della Manif pour tous”, il movimento che ha riempito le piazze per manifestare contro le nozze gay.
  • Per non parlare di quei famosi odiatori gay di Dolce & Gabbana, quelli che “la famiglia è solo quella tradizionale e non ci convincono bambini sintetici e uteri in affitto”.

Nell’Occidente dove si scrive per asterischi e il relativismo è assolutistico, l’opinione è diventata legge e siamo tutti un po’ “omotransofobi”. Fino a prova contraria.
Giulio Meotti

E vedrete che prima o poi arriveranno anche a questo:

Concludo con le preziose intellettuali che irraggiano sapienza su tutti noi. Inizio con l’inevitabile immaginifica signorina Murgia

Qui

per passare alla nostra Oca preferita, che esige di essere riconosciuta come intellettuale, pretende di essere chiamata dottoressa, si atteggia a italianista e scrive libri per insegnare, appunto, a parlare e scrivere in un italiano impeccabile, e soprattutto a storica, profondissima conoscitrice e grandissima esperta da non restare indietro a nessuno. Per il caso in questione, grazie appunto alla vastissima conoscenza di tutte le vicende storiche occorse dalla notte dei tempi a oggi, ha trovato il paragone giusto che dia la misura esatta del misfatto compiuto oggi dal Vaticano, e ha scritto un post che inizia così:

Galatea Vaglio

Storie di bambini rapiti e ingerenze vaticane.
Il 23 giugno del 1858 il seienne Edgardo Mortara, nato in una famiglia ebrea [ebraica, cara, ebraica: per descrivere un sostantivo serve un aggettivo, e “ebrea” non lo è] di Bologna, veniva allontanato con la forza dai genitori dalle autorità dello Stato Pontificio e trasferito a Roma in un convento.

Adesso per commentare come merita questo incredibile concentrato di ignoranza e cretinitudine servirebbe un’opera delle dimensioni dell’Enciclopedia Britannica, ma sono sicura che a dargli il suo giusto valore riuscirete anche da soli.
Concludo definitivamente, anche se non c’entra direttamente con zanismo e dintorni, ma c’entra in compenso col pensiero unico dominante, rendendo omaggio a sei Uomini che non si sono piegati.

barbara

TRE TESTIMONI

dell’inferno comunista, del pensiero unico obbligato, della guerra alle opinioni e della morte sociale – e a volte non solo quella – per le opinioni “sbagliate”. Fuggiti dall’inferno per ritrovarlo ricostruito nella nuova patria. Nessuno che si metta a fare piazza pulita di tutte queste malefiche erbe infestanti?

Dalla Cina.

Follia politically correct: “La razza bianca? Può infettare”

Il primo summit “in presenza” del presidente Joe Biden con i leader europei si è consumato in Cornovaglia, all’insegna del “pandemicamente corretto”. Provate a scorrere in velocità le immagini degli enfatici saluti col gomito (pratica bandita dall’Oms un anno fa, ma nessuno ne ha preso nota) tra i “potenti” del G7: assisterete a una pantomina da commedia dell’Arte. Un balletto stile comiche di Charlot. Boris Johnson e la moglie si danno di gomito, ripetutamente, col presidente Biden & la first lady Jill. Imitati, con triangolazioni ardite, dagli altri leader e capi di Stato. Troppo impauriti per darsi una stretta di mano, seppur tutti vaccinati e ripresi all’aperto per le foto di rito? Nemmeno per sogno. Solo un copione da seguire a favore delle telecamere. Un rituale grottesco, spazzato via dal gesto informale del presidente Emmanuel Macron. Che con la tipica nonchalance francese, ha rotto l’etichetta e trascinato sottobraccio il presidente americano. Mettendo in burletta, involontariamente, l’intero protocollo sul distanziamento sociale sfoggiato dagli altri.

Avanza il politicamente corretto

Guai a urtare il “politcamente corretto”, ancora più sacro ai tempi del Covid. I gesti, come le parole, hanno un loro peso specifico. E la parola più attuale, nel gergo politico anglosassone, è senza dubbio “wokeness”. In Italia, forse non tutti sanno a cosa questo termine faccia riferimento. Per fortuna, non è ancora entrato a regime nel vocabolario dei nostri governanti. Su Wikipedia, con wokeness si intende la “consapevolezza di temi riguardanti la giustizia sociale e razziale”. Così, la linea di Downing Street è stata prontamente ricalibrata sul messaggio che il vecchio e danaroso Zio Sam, ammantato dei triliardi appena stanziati in patria, gradisce ascoltare. “Joe Biden è il nuovo modello di woke”, lo aveva già elogiato il premier britannico tempo fa. Mentre nel suo discorso di apertura al G7, Jonhson ha fatto un passo ulteriore. Si è voltato verso il presidente Usa, seduto al suo fianco, tanto da sembrare quasi infantile nella sua ricerca di approvazione: “Il mondo post Covid avrà bisogno di essere più equo, più gender neutral e più femminile” ha pomposamente dichiarato, quasi avesse fornito la ricetta per estirpare la fame nel mondo.
Che senso hanno le parole del primo ministro britannico? Cosa significa costruire un mondo post pandemico “gender neutral” e quali saranno i benefici pratici per i cittadini? Johnson non lo ha spiegato. Ma il suo discorso, vuoto e enfatico, è il segno plastico del trionfo, nell’Agenda europea del G7, della “woke-obsession”, esportata oltreoceano con successo dalla Casa Bianca. La stessa ossessione che si è manifestata, di recente, con l’esposizione della bandiera del movimento Black Lives Matter e del vessillo Arcobaleno, in occasione del Pride, fuori dalle ambasciate americane, inclusa quella presso la Santa Sede.

I bianchi sono “parassiti”

La woke culture è ossessionata dal linguaggio. E uno dei termini più stigmatizzati in assoluto è “white”, contro il quale ha eretto una vera crociata. Appena insediato, Biden ha creato una Commissione dedicata all’estremismo dei bianchi, definito “white supremacy”, nell’esercito Usa. La testata Human Events ha scoperto e pubblicato, l’11 giugno, un archivio di tweet scioccanti provenienti da un account gestito, sotto lo pseudonimo “Dru”, dal comandante di un battaglione di fanteria, il capitano Andrew Rhodes. Questi alcuni dei tweet, poi maldestramente rimossi: “Se sei un maschio bianco, sei parte del problema”. Altri messaggi negavano completamente i valori dell’esercito Usa, ritenuti non sufficienti a incrementare “la diversità”.
Secondo lo psicanalista Donaldo Moss, docente al New York Psychoanalytic Institute, sarebbe invece evidente l’equivalenza tra i maschi bianchi e i parassiti. La razza bianca (“whitness”), a cui lui stesso appartiene, sarebbe una “condizione contagiosa”. Come il Covid, la “bianchezza” si può trasmettere ad altre persone e infettarle. E provoca nei suoi esponenti “desiderio di potere senza limiti”, “forza senza contenimento” e “violenza senza pietà” rivolti contro tutte le persone non bianche. “Whitness has no cure”, è una delle sue frasi pubblicate un mese fa sul prestigioso Journal of the American Psychoanalytic Association, come ha riportato il New York Post.

Il nuovo dizionario antirazzista

Dal gergo quotidiano rischiano di venire espulse anche parole innocenti come “apple pie” (torta di mele), “manmade” (manufatto), “manpower” (manodopera), e persino “mum”. Quest’ultimo termine è stato rimpiazzato dalla locuzione gender neutral “birthing people”. Una sostituzione giustificata con questa motivazione, da una consulente al Bilancio di Biden: “Ci sono persone che non vogliono riconoscersi in maschio/femmina. Così il nostro linguaggio sarà più inclusivo”. Documenti interni alla Federal Reserve hanno svelato l’esistenza di un manuale, diffuso tra i dipendenti, che vieta l’uso di altri termini ritenuti offensivi. Nell’elenco figurano “fouding fathers” (ridotto a “founders”, fondatori, eliminando il termine “padri”) e i pronomi maschili e femminili. Il tentativo, neanche velato, è di estirpare ogni riferimento collegato alla fertilità e alla riproduzione biologica. Una vera psicosi, portata alle conseguenze più radicali dalla deputata di sinistra Alexandria Ocasio-Cortez, che ha dichiarato di non volere figli a causa del cambiamento climatico.
Se il conservatore Johnson, per mero calcolo politico, si è inginocchiato davanti all’altare della filosofia “woke”, a strappare il velo sull’ipocrisia del nuovo mantra progressista è stata proprio una sconosciuta mamma cinese. Che ha rivolto un discorso toccante davanti al consiglio d’istituto della scuola di suo figlio, in Virginia. Nelle aule americane, dalle classi materne fino al college, hanno preso piede controversi programmi di indottrinamento (critical race theory). Accusati di creare divisioni tra gli alunni e un disagio crescente nelle famiglie. “Quello che sta accadendo nelle scuole americane è una replica della Rivoluzione culturale cinese”, ha spiegato Xi-Van Fleet, che aveva 6 anni quando la rivoluzione maoista scoppiò in Cina. Per vent’anni ha vissuto sotto la cappa di uno dei regimi più oppressivi: “Il partito comunista usava le stesse tecniche della “cancel culture”. Tutta la civiltà cinese precomunista è stata azzerata: abbiamo cambiato i nomi delle persone, delle strade, delle scuole e persino i nomi propri delle persone. Io stessa sono stata ribattezzata Xi-Van, perché Xi significa “west”, occidente, e poteva sembrare un richiamo all’imperialismo”.
Le somiglianze citate dalla combattiva Xi, scappata dalla provincia del Sichuan negli Stati Uniti, sono terrificanti: “Wokeness, in Cina, è declinato in “class wokeness”. È il tuo livello di aderenza a questa ideologia che determina la tua aspettativa di carriera e di ottenere benefici. A scuola e in società noi venivamo divisi in due gruppi: oppressi e oppressori. In America usano la razza, in Cina la classe sociale. Qui chi ha vedute diverse è etichettato come razzista, in Cina chi dissentiva era definito controrivoluzionario”.
Il suo appello, rivolto a genitori, allievi e insegnanti, ha fatto il giro del web: “Voglio solo dire agli americani che la libertà è fragile e che si può perdere in ogni momento se non siamo pronti a difenderla. Vorrei dire al popolo americano che chi spinge per la predicazione di teorie razziste ha un unico obiettivo: far rinascere il razzismo. Il razzismo è usato dai governi per dividere, è distruttivo e pericoloso”. Parole da leader, in un Occidente in cui i leader hanno ormai smarrito il senso stesso delle parole.
Beatrice Nencha, 14 giugno 2021, qui.

Dall’Unione Sovietica.

“Il paese dove sono nata non esiste più, ma la sua ideologia rivive in Occidente”

Straordinario saggio di una famosa scienziata americana. “In Unione Sovietica leggere Orwell e Solzhenitsyn era pericoloso e si cancellavano parole, statue e libri, come nel politicamente corretto”

“Sono cresciuta in una città che nella sua breve storia (poco più di 150 anni) ha cambiato nome tre volte. Fondata nel 1869 intorno alle miniere di carbone costruite dall’industriale gallese John Hughes, l’insediamento era chiamato Yuzovka. Quando i bolscevichi salirono al potere nella rivoluzione del 1917, il nuovo governo della classe operaia, i soviet, si mise a epurare il paese dalle influenze ideologicamente impure in nome del proletariato e della lotta mondiale delle masse soppresse. Città e punti di riferimento geografici furono rinominati, statue furono abbattute, libri furono bruciati e molti milioni di persone furono imprigionate e assassinate. A tempo debito, i commissari arrivarono a Yuzovka e la città fu privata del nome del suo fondatore, un rappresentante degli oppressori e un occidentale. In termini moderni, Hughes fu cancellato. Per alcuni mesi, la città fu chiamata Trotsk (da Leon Trotsky), finché Trotsky perse nella lotta per il potere e fu lui stesso cancellato. La città fu rinominata Stalino”.
Inizia così uno straordinario saggio di Anna Krylov sul Journal of Physical Chemistry Letters, scienziata nata in Unione Sovietica e che oggi insegna all’Università della California (è una delle principali ricercatrici di quantistica molecolare). E’ il testo più intellettualmente onesto e audace che abbia letto da parte di chi ha vissuto sotto il comunismo e vede gli stessi meccanismi ideologici oggi all’opera in Occidente.
“Dopo la morte di Stalin nel 1953, Stalino divenne Donetsk, dal fiume Severskii Donets” continua la professoressa Krylov. “La storia sovietica fu costantemente rivista per stare al passo con la linea del partito. I libri di testo riscritti per cancellare le cancellazioni. Sono diventata maggiorenne durante un periodo relativamente mite del governo sovietico, dopo Stalin. Eppure, l’ideologia permeava tutti gli aspetti della vita e la sopravvivenza richiedeva una stretta aderenza alla linea del partito ed entusiastiche dimostrazioni di comportamento ideologicamente corretto. Non aderire a una organizzazione comunista (Komsomol) sarebbe stato un suicidio di carriera. Praticare apertamente la religione poteva portare a conseguenze più gravi, fino al carcere. Così come leggere il libro sbagliato (Orwell, Solzhenitsyn, ecc.). Anche un libro di poesia che non era nella lista approvata dallo stato poteva metterti nei guai”.
Krylov stabilisce così un paragone fra la cappa ideologica che ha vissuto in Unione Sovietica e l’attuale politicizzazione della vita scientifica e culturale in Occidente.  
“Il semplice conformismo non era sufficiente: i comitati ideologici erano costantemente alla ricerca di individui il cui sostegno al regime non era sufficientemente entusiasta. Non era raro essere puniti per essere stati troppo silenziosi durante le assemblee politiche (politinformation o komsomolskoe sobranie) o per essersi presentati in ritardo alle celebrazioni di massa (come le manifestazioni di maggio o novembre). Una volta ho ricevuto un avviso per aver promosso un’agenda imperialista presentandomi in jeans a un evento scolastico. La scienza non fu risparmiata da questo rigido controllo ideologico. Le influenze occidentali erano considerate pericolose. I libri di testo e i documenti scientifici sottolineavano instancabilmente la priorità della scienza russa e sovietica. Intere discipline furono dichiarate ideologicamente impure, reazionarie e ostili alla causa del dominio della classe operaia e della rivoluzione mondiale. Notevoli esempi di ‘pseudoscienza borghese’ includevano la genetica e la cibernetica. Anche la meccanica quantistica e la relatività generale furono criticate per l’insufficiente allineamento al materialismo dialettico”. 
Avanti veloce fino al 2021, un altro secolo. “La Guerra fredda è un ricordo lontano e il paese indicato sul mio certificato di nascita e sui miei diplomi scolastici e universitari, l’URSS, non è più sulla mappa. Ma mi ritrovo a vivere la sua eredità a migliaia di chilometri a Occidente, come se vivessi in una zona d’ombra orwelliana. Sono testimone di tentativi sempre maggiori di sottoporre la scienza e l’educazione al controllo ideologico e alla censura. Proprio come ai tempi dell’Unione Sovietica, la censura è giustificata dal bene superiore. Mentre nel 1950, il bene superiore era la Rivoluzione Mondiale, nel 2021 il bene superiore è la ‘Giustizia Sociale’. Come in URSS, la censura è imposta con entusiasmo anche dal basso, dai membri della comunità scientifica, le cui motivazioni variano dall’idealismo ingenuo alla cinica presa di potere. Oggi ci viene detto che il razzismo, il patriarcato, la misoginia e altre idee riprovevoli sono codificate in termini scientifici, nei nomi delle equazioni e nelle semplici parole. Ci viene detto che per costruire un mondo migliore e per affrontare le disuguaglianze sociali, abbiamo bisogno di epurare la nostra letteratura dai nomi delle persone il cui curriculum non è all’altezza degli alti standard degli autoproclamati portatori della nuova verità, gli ‘Eletti’. Ci viene detto che dobbiamo riscrivere i nostri programmi e cambiare il modo in cui insegniamo e parliamo”. 
Krylov vede all’opera una “caccia ai fantasmi in stile sovietico” e che riguadagna terreno. “Nuove parole vengono cancellate ogni giorno e ho appena saputo che la parola ‘normale’ non sarà più usata sulle confezioni di sapone Dove perché ‘fa sentire la maggior parte delle persone esclusa’. E’ in gioco il nostro futuro. Come comunità, siamo di fronte a una scelta importante. Possiamo soccombere all’ideologia dell’estrema sinistra e passare il resto delle nostre vite a caccia di fantasmi e streghe, riscrivendo la storia, politicizzando la scienza, ridefinendo il linguaggio e trasformando l’istruzione in una farsa. Oppure possiamo sostenere un principio chiave della società democratica – il libero e incensurato scambio delle idee – e continuare la nostra missione principale, la ricerca della verità, concentrando l’attenzione sulla risoluzione di problemi reali e importanti dell’umanità”. 
Giulio Meotti

Dalla Corea del Nord.

“In America sono più matti che in Corea del Nord”

La disertrice del “paradiso” di Kim Jong-un: “Il politicamente corretto li ha così indottrinati che pensano di vivere in una dittatura. Insegnano a odiare l’Occidente come a noi bambini nordcoreani”

“Ti stanno costringendo a pensare nel modo in cui vogliono che tu pensi. Ho capito, wow, questo è folle. Pensavo che l’America fosse diversa, ma ho visto così tante somiglianze con quello che ho visto in Corea del Nord che ho iniziato a preoccuparmi”. La più famosa disertrice nordcoreana ha affermato di aver sempre visto gli Stati Uniti come un paese di libertà di pensiero e di parola, finché non è andata al college. Yeonmi Park ha frequentato la Columbia University ed è stata immediatamente scioccata da ciò che ha visto in classe, il sentimento anti-occidentale e il politicamente corretto, che le ha fatto pensare “che neanche la Corea del Nord è così matta”. Non poteva credere che le sarebbe stato chiesto di “censurarmi così tanto” in un’università negli Stati Uniti. “Ho letteralmente attraversato il deserto del Gobi per essere libera e ho capito che non sono libera, l’America non è libera”. 
Yeonmi Park è nata a Hyesan, in Corea del Nord. Quando era una bambina, il padre fu mandato in un campo di lavoro per aver venduto beni al mercato nero, zucchero e riso, e sfamare la famiglia. “Il regime non lo ha solo torturato, ma ha ucciso la sua anima”, ha raccontato Park alla giornalista Bari Weiss. A nove anni, Yeonmi fu portata ad assistere a una esecuzione di massa allo stadio. “Li hanno messi in fila e li hanno fucilati. Mi ricordo benissimo i loro cervelli fuoriuscire dalla testa”. Nel 2007, Yeonmi è fuggita dalla Corea del Nord con la madre. Prima in Cina, dove è stata venduta a un uomo per 260 dollari. “Quando ho lasciato la Corea del Nord, non conoscevo nemmeno parole come ‘libertà’“. Poi in Corea del Sud, “dove per me la libertà erano i film e i jeans. In Corea del Nord puoi essere giustiziato per aver visto il film sbagliato. Se indossi jeans puoi essere mandato in prigione. Quindi questo è quello che pensavo fosse la libertà. Ero disposta a rischiare la mia vita per i jeans e i film”. E’ fuggita di nuovo attraverso il deserto del Gobi, aiutata da una bussola che le era stata data dai missionari cristiani. 
“In Corea del Nord non puoi dire ‘io’. Puoi solo dire ‘noi’. Adoriamo il colore rosso. Conosci ogni risposta. In Corea del Nord, tutto è determinato per te prima della tua nascita, in base alla posizione della tua famiglia nel partito. Non pensi: cosa studierò? Dove vivrò? Chi sposerò? Loro decidono”. Per Yeonmi, adattarsi alla libertà è stato un processo molto graduale. La fattoria degli animali e 1984 di George Orwell l’hanno aiutata a capire. In Italia di Yeonmi è stato pubblicato il libro La mia lotta per la libertà. “Il comunismo ti cambia internamente in modi che non posso descrivere. La Corea del Nord è una dittatura fisica, ma è anche una dittatura delle emozioni, da cui è molto più difficile sfuggire”. 
E’ fonte di profonda tristezza per lei vedere l’indottrinamento in America. “Andando alla Columbia, la prima cosa che ho imparato è stata ‘spazio sicuro’. Ogni problema, ci hanno spiegato, è a causa degli uomini bianchi”. Discussioni che le hanno ricordato il sistema delle caste in Corea del Nord, dove le persone sono classificate in base ai propri antenati.
“Poiché ho visto l’oppressione, so che aspetto ha”, ha detto Yeonmi, che all’età di 13 anni aveva visto persone morire di fame proprio davanti ai suoi occhi. “Questi ragazzi continuano a dire quanto sono oppressi, quanta ingiustizia hanno vissuto. Non sanno quanto sia difficile essere liberi. In Corea del Nord credevo letteralmente che il mio caro leader (Kim Jong-un) stesse morendo di fame. E poi qualcuno mi ha mostrato una foto e ha detto ‘Guardalo, è il ragazzo più grasso. Gli altri sono tutti magri.’ E io ero tipo, ‘Oh mio Dio, perché non ho notato che era grasso?’ Perché non ho mai imparato a pensare in modo critico. Questo è ciò che sta accadendo in America. Le persone vedono ma hanno completamente perso la capacità di pensare in modo critico”.
Alla Columbia è stata persino rimproverata per aver detto che le piacevano gli scritti di Jane Austen. “Ho detto ‘amo quei libri’. Ho pensato che fosse una buona cosa”. Studenti e professori le hanno risposto: “Sapevi che quegli scrittori avevano una mentalità coloniale? Erano razzisti e bigotti”. Anche in Inghilterra la figura di Jane Austen sarà sottoposta a un “esame storico” per i suoi legami con la schiavitù, ha detto il museo dedicato alla grande scrittrice.
“Pensavo che i nordcoreani fossero le uniche persone che odiavano gli americani, ma ci sono molte persone che odiano questo paese in questo paese, si censurano a vicenda, si zittiscono a vicenda” ha detto Yeonmi. Anche nel “paradiso socialista” gli studenti erano abituati a tacere. “Mia madre mi aveva insegnato a non sussurrare neanche, gli uccelli e i topi potevano sentirmi. Mi disse che la cosa più pericolosa che avevo era la lingua. Quindi sapevo quanto fosse pericoloso dire cose sbagliate”. Incredibile che oggi un numero sempre più grande di americani si stia autocensurando per paura di dire o pensare la cosa sbagliata. “Questo è completamente folle, è incredibile” ha concluso Yeonmi. “Non so perché le persone stiano impazzendo collettivamente”. 
Come ha appena spiegato il classicista Victor Davis Hanson, l’America sta sprofondando nelle sabbie mobili che hanno sempre distrutto le civiltà.

E questa volontà di annientamento e auto annientamento, lasciatemelo dire, fa veramente paura.

barbara

VENGONO ANCHE LORO? NO LORO NO

Il gender non è più una teoria, ma una dittatura culturale che non tollera dissenso

Se 25 anni dopo i “liberi pensatori” tolgono un premio a Richard Dawkins significa che possono tutto. Libri al macero, scrittori estromessi, accademici licenziati, conferenze cancellate…

L’American Humanist Association ha deciso di cancellare retroattivamente 25 anni dopo il “Premio Umanista dell’Anno” a Richard Dawkins, sulla base del fatto che non è sufficientemente devoto al “culto del transgenderismo”, come il famoso biologo lo ha definito, dicendo che da biologo non può ignorare i cromosomi XX e XY. “Dato il suo disconoscimento di uno dei più famosi atei al mondo, è difficile evitare la conclusione che la parte ‘progressista’ stia vincendo e, per estensione, che i ‘valori progressisti’ non includano più alcun dissenso”, scrive la National Review

Anche a giudicare dalla lista lunghissima dei “caduti” di una ideologia criticata ormai anche da molti intellettuali di sinistra, come il filosofo spagnolo Fernando Savater su El País.

  • Qualche settimana fa, Amazon ha eliminato dalle vendite un best seller critico dell’ideologia trangender, When Harry became Sally di Ryan Anderson. Il suo editore ha poi spiegato sul Wall Street Journal che il volume sta scomparendo anche da altri colossi delle vendite online.
  • Uno degli autori della serie Doctor Who, Gareth Roberts, è stato estromesso da una nuova antologia a causa di quello che la Bbc Books (di proprietà della Penguin Random House e dell’emittente pubblica inglese) ha descritto come “linguaggio offensivo sulla comunità transgender”. Roberts, che è gay, aveva solo detto di non credere nell’identità di genere: “E’ impossibile per una persona cambiare il proprio sesso biologico”.
  • Allan M. Josephson, primario della scuola di Medicina pediatrica dell’Università di Louisville, Stati Uniti, aveva partecipato a una tavola rotonda del think tank Heritage sul gender, campo in cui è esperto. Josephson aveva affermato che il gender non ha basi scientifiche, perché “dovrebbe avere la meglio su cromosomi, ormoni e organi riproduttivi”. Il professore è stato licenziato dopo 43 anni di docenza. 
  • E’ stata licenziata un’autrice di bestseller per bambini, Gillian Philip, dopo che aveva espresso sostegno per la collega scrittrice J. K. Rowling.
  • Sasha White è stata licenziata dalla Tobias Literary Agency di New York dopo avere espresso solidarietà a J. K. Rowling e aver scritto: “Il gender non conformista è meraviglioso; negare il sesso biologico no”.
  • La Open University, la più grande del Regno Unito, ha cancellato un commento sul gender di Alistair Bonnington, insigne giurista ed ex consulente legale della Bbc, che ha avuto l’attuale premier scozzese Nicola Sturgeon fra i suoi allievi. Bonnington aveva criticato la legge sui crimini d’odio in Scozia, affermando che “renderebbe un crimine negare che una donna trans (cioè un uomo) sia una vera donna. Sembra che le femministe in Scozia possano aspettarsi l’incarcerazione”. Bonnington ha anche ricevuto una lettera disciplinare in cui l’università dichiarava che aveva violato le regole del forum. 
  • Sarah Honeychurch dell’Universià di Glasgow è stata licenziata come redattrice della rivista accademica Hybrid Pedagogy, dopo aver firmato una lettera di femministe critiche delle linee guida dell’università sul gender.
  • All’Università di Bordeaux, Francia, è stata eliminata la conferenza di Sylviane Agacinski, famosa femminista e psicoanalista rea di aver attaccato il gender nel libro Femmes entre sexe et genre
  • A Germaine Greer, icona femminista che si è schierata contro il gender, hanno impedito di parlare all’Università di Cardiff, Inghilterra.
  • La giornalista Suzanne Moore si è dovuta dimettere dal Guardian, per il quale ha lavorato per vent’anni, dopo mesi di accuse di “transfobia” interne al giornale. Era stata bullizzata da 338 colleghi.
  • Un rapporto inglese appena reso noto dal Telegraph dettaglia 21 casi di cancellazioni nelle università a causa del gender. Quando Kathleen Stock, docente di Filosofia all’Università del Sussex, ha criticato il transgender, le reazioni sono state molto tolleranti. Manifestazioni studentesche contro di lei, una condanna del sindacato, appelli a licenziarla e aggressioni online. Molti colleghi le hanno detto di essere d’accordo ma che non lo dicono pubblicamente per paura di rovinarsi.

“La maggior parte dei professori negli anni Settanta credeva che la nuova teoria gender fosse una mania che sarebbe stata spazzata via come le foglie d’autunno”, ha detto a Quillette Camille Paglia, femminista che hanno provato a cacciare dalla University of the Arts di Philadelphia. Si sbagliavano. Da teoria di una nicchia ultra ideologizzata, l’ideologia transgender è diventata una dittatura culturale in fieri da cui non è ammesso dissenso. Pena, la reputazione e la carriera.

Giulio Meotti

E ancora

200 persone cancellate per i nuovi reati d’opinione

Database stila l’elenco delle personalità licenziate per aver criticato il gender, Black Lives Matter o la Cina. Giornalisti, accademici, scrittori. Il nuovo maccartismo in nome della “tolleranza”

“Puoi essere cancellato per aver citato uno studio scientifico. Puoi essere cancellato per credere nel sesso biologico. Puoi essere cancellato per aver detto che il tuo paese non è razzista. Puoi essere cancellato per il tweet sbagliato. Puoi essere cancellato per aver criticato Black Lives Matter…”

E’ lo slogan che campeggia sul sito Canceled People, un nuovo database che raccoglie le vittime della cancel culture che da un paio di anni divampa nelle società occidentali. Sono già 186 e viene aggiornato ogni giorno. Nel database si spiega che non è stato incluso chi ha usato espressioni razziste contro persone specifiche o negato l’Olocausto, ad esempio. Si è considerati “cancellati” per aver espresso una opinione ragionevole ma considerata ormai “blasfema” dal mainstream.
Ci sono importanti giornalisti come Andrew Sullivan, che si è dovuto dimettere dal New York Magazine per le sue critiche a Black Lives Matter, Adam Rapoport editor di Bon Appétit solo per aver indossato un cappello portoricano a Halloween, la scrittrice Gillian Phillip per aver espresso solidarietà sul gender a J.K. Rowling, l’ingegnere di Google James Damore per aver criticato la cassa di risonanza ideologica” della propria azienda sul gender, il ricercatore Noah Carl per aver criticato le politiche sull’immigrazione, la saggista di origine somala Ayaan Hirsi Ali cui è stato impedito di parlare a una università, l’economista Herald Uhlig per aver criticato Black Lives Matter, il Premio Nobel inglese Tim Hunt la cui carriera è stata distrutta per aver fatto una battuta sessista, il filosofo inglese Roger Scruton per aver criticato la Cina e George Soros, la storica di Oxford Selina Todd per aver difeso la realtà del sesso biologico, il professore della New York University Michael Rechtenwald per aver criticato gli “spazi sicuri” che proliferano nelle università, l’intellettuale marxista afroamericano Adolph Reed per aver criticato le ossessioni della sinistra dell’antirazzismo, Ryan Anderson censurato da Amazon per un libro critico dell’ideologia gender e tanti altri. 
Come ha spiegato il celebre avvocato liberal Alan Dershowitz nel suo nuovo libro, è un nuovo maccartismo: “Qualsiasi associazione con la parola comunista era sufficiente per cancellare, distruggere, diffamare ed emarginare la persona associata a quel termine.  Lo stesso vale oggi per la cancel culture. Una semplice accusa di razzismo, sessismo, omofobia, pregiudizi anti-musulmani o incapacità di sostenere Black Lives Matter o il movimento #MeToo sono sufficienti per cancellare una persona innocente”.
Sono i nuovi reati d’opinione per i quali oggi si viene licenziati, esposti al pubblico ludibrio e bruciati in effigie. Sempre in nome della “tolleranza” e dell’“inclusione”.

Sempre il nome del “progresso”, e sempre a firma di Giulio Meotti.

Per combattere il razzismo in America si eliminano i corsi di matematica avanzata

Alcuni stati introducono la “matematica democratica”. Finanzia Bill Gates, il bianco diventato ricco con i computer. Ma ora è il tempo della mediocrità in nome della razza

In America il progressismo non conosce più freni inibitori. L’università di Yale elimina il suo famoso corso di storia dell’arte perché “problematico” (leggi troppo bianco) e si mandano al macero alcuni libri per bambini del Dr. Seuss. C’è una disciplina che era sempre stata al riparo da questa ideologia: la matematica. Finora, almeno. 
Due settimane fa, nella newsletter, avevo intervistato il celebre matematico di Princeton Sergiu Klainerman, che raccontava di come in America ora in nome dell’antirazzismo avanza una nuova disciplina, la “matematica democratica”. Klainerman ne aveva scritto anche qui.
Il Virginia Department of Education ha appena deciso di eliminare i corsi di “matematica accelerata” prima dell’undicesimo anno per “migliorare l’equità nelle opportunità di apprendimento”. A Seattle si incoraggiano gli studenti a pensare come la matematica sia stata “usurpata” dalla cultura occidentale e utilizzata nei sistemi di potere e oppressione. Lo stato dell’Oregon introduce corsi di “etno-matematica”. E un docente di matematica di New York, Paul Rossi, è stato appena licenziato dopo aver accusato la sua scuola di fare il lavaggio del cervello agli studenti, instillando loro l’“odio per i bianchi”. 
“E’ in corso un’acquisizione veramente allarmante dell’istruzione, che si basa sull’idea che non ci si dovrebbe aspettare che i bambini neri e i bambini latini ottengano dei risultati, che siano precisi, e che imporre loro la matematica è razzista” ha detto il linguista afroamericano John McWhorter. “I progressisti sono dei razzisti in una nuova veste, pensano a se stessi letteralmente come a Gesù”. 
L’idea si basa su un consorzio di 25 organizzazioni educative che ha offerto “A Pathway to Equitable Math Instruction”, che cerca di “smantellare il razzismo nell’insegnamento della matematica”. Il gruppo rileva suprematismo bianco in pratiche insidiose come concentrarsi sulla risposta giusta, cioè l’apprendimento. E’ finanziata dalla Bill & Melinda Gates Foundation. Sì, Bill Gates, l’uomo che ha fatto fortuna con i computer. Ma ora è il tempo della mediocrità in nome della razza! 

Cioè, in parole povere, hanno incontrovertibilmente stabilito che i negri sono una razza inferiore e non saranno mai in grado di fare le cose che facciamo noi. Ancora un po’ e li toglieranno dalle università e dalle scuole e li manderanno sui campi a raccogliere il cotone. Ma si sbagliano, fanno male a credere che i negri non sappiano fare niente; al contrario, sono stati addirittura capaci di inventare un nuovo comandamento: “Odia il prossimo tuo”. E riusciranno sicuramente a rispettarlo, dato che hanno invocato, a questo scopo, l’aiuto del Signore.

Il libro, “A Rhythm of Prayer”, è già in cima alla lista dei best seller di Amazon e del New York Times. Racconta Newsweek di oggi che all’interno della raccolta di interventi del libro c’è un brano di Chanequa Walker-Barnes, teologa e professoressa, intitolato “Prayer of a Weary Black Woman”. Inizia così:
“Caro Dio, per favore aiutami a odiare i bianchi… Voglio smetterla di preoccuparmi di loro, individualmente e collettivamente. Voglio smetterla di preoccuparmi delle loro anime fuorviate e razziste, smetterla di credere che possano essere migliori, che possano smettere di essere razzisti”.
Niente male per chi si definisce antirazzista.
Nelle stesse ore Roger Kimball, l’editore americano controcorrente di Encounter Books, sul Wall Street Journal raccontava come da Amazon a Bookshop i giganti delle vendite di libri hanno rimosso una serie di suoi titoli critici dell’ideologia transgender, come il best seller di Ryan Anderson “When Harry Became Sally”.
“In qualità di editore di quel bestseller del 2018, sono rimasto sorpreso dai rapporti secondo cui il libro di Anderson non era disponibile nella ‘libreria più grande del mondo’” scrive Kimball. “All’inizio, mi sono chiesto se ci fosse qualche errore. Ma no. È stato un atto deliberato di censura. Non hanno semplicemente smesso di vendere il libro. L’hanno inserito nell’oblio digitale, cancellandone ogni traccia dal sito di Amazon. Hanno fatto la stessa cosa presso Audible, che vende audiolibri, e AbeBooks, che vende libri di seconda mano. La decisione di schiacciare il libro di Anderson è l’avanguardia di uno sforzo più ampio per mettere a tacere il dibattito e imporre la conformità ideologica su qualsiasi questione controversa in cui i commissari della cultura hanno fatto un investimento. Non ha niente a che fare con i principi e tutto a che fare con il potere. Ci saranno più interdizioni, cancellazioni e soppressioni. Possono farlo, quindi lo faranno”.
Perché sono stati in grado di far passare anche l’idea che è in nome della tolleranza e dell’“inclusione”, ovvero nella spaventosa neolingua politicamente corretta, che si può pregare di odiare i bianchi.

Una volta era di moda dire “Fermate il mondo, voglio scendere”; ecco, io no, non voglio scendere, e non lo voglio neanche fermare, però una bella ramazzata su tutta questa spazzatura, quanto volentieri la darei!

barbara

ALLA FACCIA DEGLI ALGORITMI

impersonali, asettici e imparziali, che governerebbero facebook.

Covid e presidenziali Usa, social sempre meno neutrali: Facebook scatenata nel censurare gli spot di Trump

I grandi social network, sempre più al centro dell’informazione e del dibattito pubblico, sono sempre meno neutrali e sempre più inclini alla censura (peraltro a sproposito), con inaccettabili ingerenze che casualmente si sono intensificate in periodo di Covid e di campagna elettorale americana. Da un lato, i vari FacebookYouTube (Google) e Twitter intervengono censurando dibattiti, opinioni e dichiarazioni, oltre che di utenti “scomodi”, persino di cariche istituzionali, ovviamente solo di una certa parte, per esempio i tweet di Trump sulla necessità di porre fine alle rivolte nelle città americane, ma non quelli della Guida Suprema iraniana Khamenei su Israele (“un tumore canceroso maligno che deve essere rimosso e debellato: è possibile e accadrà”). Dall’altro, non fanno nulla per contrastare i veri e gravissimi problemi della Rete (come la diffamazione incontrollata e i profili falsi utilizzati in maniera malevola) e per ragioni di profitto si prostrano volentieri agli appetiti dei peggiori regimi mondiali per quanto riguarda il rispetto del diritto all’informazione e della libertà di espressione.
Dopo aver fatto piazza pulita di ogni visione difforme da quella “giusta” sulla gestione della pandemia e di ogni idea diversa da quelle traballanti dell’Organizzazione mondiale della sanità (che, oltre a non averne azzeccata una, ha già cambiato innumerevoli volte le proprie infallibili posizioni, quindi a rigor di logica sarebbe la prima a dover essere censurata e silenziata), ora Big Tech, apertamente schierata, si sta “occupando” delle presidenziali americane.
Facebook ha iniziato a censurare gli annunci pubblicitari politici che vengono “bocciati” al fact checking. Ma non è tutto, perché, al di là dei fortissimi dubbi sulla legittimità della pratica e sull’imparzialità dei verificatori, in almeno due recenti casi gli annunci sono stati giudicati “perlopiù falsi” da PolitiFact e bloccati dal social network nonostante le affermazioni contenute fossero state riconosciute come vere. È accaduto a uno spot pro-Trump che cita direttamente Biden che dichiara “Se mi eleggerete, le vostre tasse saranno aumentate, non ridotte” e avverte che il suo piano aumenterà le tasse “per tutti i gruppi di reddito”. A parte il vulnus sotteso al silenziare il dibattito politico, lo spot che fa capo ad America First era davvero “perlopiù falso”? No, perché leggendo il report dello stesso fact checking si deduce che secondo alcuni esperti il piano di Biden si tradurrà effettivamente in tasse più elevate per tutti i gruppi di reddito. Dunque, quale sarebbe il problema dell’annuncio? Una fantomatica mancanza di “contesto” (peraltro facilissimo da fornire, ammesso e non concesso che sia ragionevole pretenderlo in una pubblicità di 30 secondi) e il rischio che possa dare una “impressione sbagliata” su ciò che Biden intendesse, visto che il piano colpirebbe maggiormente i redditi alti rispetto a quelli bassi. Insomma, dall’arrampicata sugli specchi (o meglio, sugli schermi) emerge che lo spot dice cose vere, ma è meglio che non si sappiano, altrimenti gli americani (il 70 per cento dei quali usa Facebook e il 40 per cento dei quali lo usa per informarsi) potrebbero confondersi e finire per votare il candidato sbagliato. 
America First – che al Daily Wire ha assicurato che continuerà a lottare contro i fact checker di parte e per difendere uno dei più fondamentali diritti costituzionalmente protetti durante un periodo cruciale come quello di un’elezione presidenziale – non è l’unica organizzazione conservatrice censurata dalla piattaforma. In un altro episodio recente, sempre con il giochino del “contesto mancante e potrebbe fuorviare le persone”, Facebook ha censurato un annuncio dell’American Principles Project che affermava che l’apertura agli atleti transgender prevista dall’Equality Act appoggiato dai Democratici “distruggerà gli sport femminili”.
In casi come questo la massima propinata dai ben (de)pensanti è sempre qualcosa come: “Sono compagnie private, possono fare quello che vogliono. Se non ti vanno bene le loro regole, puoi sempre andare altrove”. Chissà cosa direbbero gli stessi ben (de)pensanti se ipoteticamente una compagnia privata di trasporti, essendo libera di fare ciò che vuole in quanto compagnia privata, decidesse di escludere dal servizio, per esempio, i neri. E i social network, che pur essendo privati hanno un ruolo pubblico preminente, trasportano ormai le idee e a ben vedere le vite di molte più persone di quante non vengano prese in carico da tutte le compagnie di trasporti del globo messe assieme. Il piccolo dettaglio è che le stanno trasportando sempre più con metodi che poco hanno da invidiare a quelli orrendi dell’apartheid

Matteo Cassol, 21 Set 2020, qui.

E pensare che qualcuno crede ancora che il grande fratello sia un’opera di fantasia.

barbara

OGGI SOLO FIGURE

o quasi. Così fate prima e non vi stancate gli occhi (però anche domani, che sono troppe e tutte insieme mi fate indigestione)

 Comincio con la pagina culturale 1
Cairo 60-15
(delle magnifiche sorti e progressive si era già parlato qui e qui)
e la pagina culturale 2
bacia piedi
La kabylie

Amin Zaoui

In tutta franchezza: cosa sarebbe successo, sui social media, se una donna di casa nostra avesse baciato e in diretta il suo legittimo marito sulla bocca o anche sulle guance: sarebbe stata linciata. Tutti avrebbero chiesto la propria testa e quella del proprio legittimo marito. Sarebbe stata boicottata da tutte le vicine e i vicini. Sarebbe stata sassi dai bambini del quartiere, molestata dai giovani e dai meno giovani del quartiere. Il canale tv sarebbe stato processato. Le associazioni di beneficenza avrebbero sporto denuncia contro lei e il suo legittimo marito… Per contro, una donna di casa nostra, in diretta sul set di un canale tv, che abbraccia i piedi di suo marito, in un movimento di umiliazione, come a L’epoca della tratta negriera, l’era di El Ama, e in una posizione fisica vergognosa e spregevole, questo spettacolo disgustoso non ha provocato alcuna denuncia, nessuna indignazione da parte della società civile o intellettuale… tranne qualche voce..

Passo alle Grandi Domande dell’umanità
statue
perché
che ci conducono al Pensiero Unico dominante
free speech
polcorryy
e poi all’attualità:

Max Ferrari

Per Philippe Monguillot e Jessica Whitaker non si è inchinato nessuno. Il primo, ucciso sul bus che guidava a Bayonne da 4 “giovani francesi” (Mohammed, Moussa, Selim e Muhammad) cui aveva chiesto di mettere la mascherina (ma si sa che le limitazioni Covid valgono solo per alcuni…) la seconda ammazzata ad Indianapolis perché incrociando una manifestazione di Antifa e BLM aveva osato dire che “Tutte le vite valgono”. Le hanno sparato per dimostrare che si sbagliava. E infatti per lei, 24 anni, nessuno ha pianto. Funziona così il mondo petaloso della sinistra.
Jessica Doty Whitaker
Poi vi porto a Lampedusa
Lampedusa
e vi ci faccio fare un giro

e poi vi faccio ascoltare un signore intensamente colorato: ascoltate lui e guardate le facce dei buoni di professione

E chiudiamo, per oggi, con l’angolo dell’umorismo.

Angolo dell’umorismo 1

 

E angolo dell’umorismo 2
Di Maio Draghi
Che poi, a ben guardare

di-maio mussolini
D’altra parte dicono che tutti a questo mondo abbiamo un perfetto sosia
bestie gemelle
e qualcuno, come il signore coi piedini azzurri, ne ha addirittura due.
terzo
barbara

2084

Che prende chiaramente le mosse dall’antenato orwelliano nel dipingere l’incubo di un totalitarismo che incatena anche il pensiero. E se nel primo il modello era il comunismo staliniano, qui è chiaramente l’islam, con un dio che si chiama Yölah e il suo delegato che fabbrica le leggi man mano che servono e la Giusta Fraternità. Anche qui abbiamo una nuova lingua che ha cancellato la precedente, e abbiamo una guerra perenne, in cui “noi” siamo perennemente vincitori – ma se abbiamo vinto com’è che la guerra continua? Il popolo non se lo domanda, come non si domanda perché sia vietatissimo avvicinarsi al confine (quale confine, se il mondo è tutto nostro?), ma anche qui, come nell’altro, una mente che sfugge alla dittatura del pensiero unico obbligato e nota le crepe e si pone domande, c’è. È un libro bello e potente, tanto quanto il predecessore, con una forse ancora più accurata indagine psicologica nel seguire i pensieri di una mente semplice ma, grazie anche alle circostanze, non ottusa. Forse, chissà, a mantenere non del tutto inerte la sua mente ha giocato anche il fatto di essere stato di aspetto piacevole, con la conseguente necessità di ingegnarsi in tutti i modi per sfuggire alle grinfie di uomini vogliosi – senza peraltro grande successo.

Quando raddrizzava le spalle, chiudeva le labbra sui denti guasti e si concedeva un sorriso, poteva passare per un bell’uomo. Di sicuro lo era stato, ancora ricordava quanto ciò lo avvilisse perché la bellezza fisica è una tara, gradita al Rinnegato, attira irrisioni e violenze.
Nascoste dietro gli spessi veli e i burniqab, compresse dai bendaggi e sempre ben custodite nei loro spazi, le donne non soffrivano troppo, ma per gli uomini dotati di una certa avvenenza era un supplizio continuo. Una barba incolta imbruttisce, modi rozzi e un abito da spaventapasseri risultano sgradevoli, ma purtroppo per Ati quelli della sua razza erano glabri di pelle e gentili di modi, e lui lo era particolarmente, con in più una timidezza da giovincello che faceva venire l’acquolina in bocca ai tizi grandi, grossi e sanguigni. Ati rammentava la propria infanzia come un incubo. Non ci pensava più, la vergogna aveva innalzato un muro. Solo in sanatorio, dove gli ammalati abbandonati a se stessi davano libero sfogo agli istinti più bassi, gli era tornata in mente. Soffriva vedendo i poveri ragazzini scappare e divincolarsi, ma tale era la persecuzione che finivano per cedere, non potevano resistere alla brutalità degli aggressori e alle loro astuzie. Di notte li si sentiva gemere da spezzare il cuore. Ati aveva perso la speranza di capire come mai il vizio proliferi proporzionalmente alla perfezione del mondo.

Tuttavia una differenza rispetto al precedente c’è: se lì la cupezza disperata pervade tutto, senza una possibilità, neppure teorica, di sfuggire, senza un dove in cui sfuggire e alla fine il sistema riesce a saldare tutte le crepe e spegnere fino all’ultima scintilla di pensiero, qui, se non proprio una speranza, almeno la speranza di una speranza rimane. Non sappiamo se quel dove esista, e nel caso esista se sia possibile raggiungerlo, e nel caso sia possibile raggiungerlo, se il nostro eroe ci sia riuscito, ma la possibilità non è esclusa. Certo, per non far morire quel barlume di speranza, bisogna lottare, lottare tanto, con tutte le proprie forze, essendo pronti a mettere in gioco tutto. (Noi siamo pronti a farlo?)

Boualem Sansal, 2084 La fine del mondo, Neri Pozza
2084
barbara

ANCORA UN PAIO DI COSE SULLA COMMISSIONE ORWELLIANA PER GLI PSICOREATI 2

Ho scelto altri tre articoli – scelta non facile, perché vedo in giro una vera sollevazione contro questo attentato alla libertà, costituzionalmente garantita, di pensiero e di parola* – che aiutano a chiarire vari aspetti della questione che potrebbero sfuggire a uno sguardo superficiale e frettoloso.

LE RAGIONI PER CUI…

Una commissione “contro l’odio”. Ci sono tanti tipi di odio. C’è chi odia gli ebrei, c’è chi odia i cinesi, c’è chi odia le donne, c’è chi odia i ricchi, c’è chi odia gli omosessuali, c’è chi odia il vicino di casa, c’è chi odia le persone di colore, c’è chi odia i musulmani, c’è chi odia i leghisti, c’è chi odia i piddini, c’è chi odia i cattolici, c’è chi odia il presidente della Repubblica… quanti odi ci sono in circolazione, e quante sono le parole per manifestarli?
E’ dunque necessaria, in Italia, paese dove certo si odia e si litiga, ma non meno che in altri, una commissione presieduta da un presunto gruppo di saggi che avrebbero il compito di indicare certi odi e non altri, come se non ci fossero già, in Italia, leggi che puniscono chi esercita la diffamazione, chi vilipende?
A che scopo istituirla proprio adesso?
Ebbene, c’è un passo del testo della mozione a cui la senatrice Liliana Segre ha prestato il proprio nome, che permette di rispondere chiaramente alla domanda.
“Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa definisce gli hate speech come le forme di espressioni che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o più in generale l’intolleranza, ma anche i nazionalismi e gli etnocentrismi”.
E’ nelle parole finali che si cela la risposta. “Nazionalismo” e “etnocentrismo”, parole sataniche per la UE.
Dalla prima parola, caricata dai burocati europei di un significato eminentemente negativo, discenderebbero per li rami nefaste conseguenze per la convivenza civile e sociale, appunto il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo, ecc.
Oggi, il grande apparato mediatico progressista ha coniato un altro termine ancora più spregiativo di “nazionalista”, lo conosciamo tutti, “sovranista”.
Sei sei “sovranista” sei razzista, sei xenofobo, sei antisemita.
Questa commissione, che il centrodestra non ha votato, dietro la pretesa di volere tutelare minoranze e specifiche soggettività (che, in uno Stato di diritto sono già tutelate dalla legge), ha una precisa e chiara finalità politica indirizzata contro determinate prerogative difese a destra: confini sicuri, immigrazione controllata, tutela di tradizioni culturali depositate nei secoli, rispetto per la propria identità nazionale.
L’ideologia che la informa viene da Bruxelles, di cui essa è la diretta emanazione.
La senatrice Segre, ormai trasformata in un feticcio, e a cui va tutto il mio rispetto per la sua vicenda umana, viene usata ed è usata come portabandiera da agitare per demonizzare chi si oppone alla commisione che prende il suo nome.
Una operazione scaltra, infima, di bassa cucina, addobbata con i panni nobili della lotta all’odio.
Niram Ferretti, qui

* «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’Autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, sporgere denunzia all’Autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo di ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.» Articolo 21 della Costituzione Italiana.

“E’ nelle parole finali che si cela la risposta”: in cauda venenum, come ben sa chi si è trovato ad avere a che fare con gli scorpioni.
Proseguo con questo, che contiene un’informazione, estremamente importante, che non conoscevo.

È una trappola politica la mozione sul razzismo

La maggioranza non ha cercato l’accordo per linciare il centrodestra

di Franco Bechis

1 NOVEMBRE 2019

C’è una buona dose di malafede e di ideologia politica (sempre legittima se riconosciuta) nel linciaggio collettivo cui è stato sottoposto ieri il centrodestra per il semplice fatto di essersi astenuto in Senato sulla mozione di maggioranza a prima firma Liliana Segre per proporre «l’istituzione di una commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza». A parte il fatto banale per cui astenersi non è opporsi, al voto del Senato sulla stessa identica questione c’erano non una, ma quattro mozioni diverse. E tre sono state bocciate con il no di tutti quelli che oggi si indignano: una di Forza Italia, una della Lega e una di Fratelli di Italia. Tutte e tre avevano premesse un po’ diverse, ma poi portavano a costituire la stessa identica commissione con qualche avvertenza per altro di buon senso, perché in strumenti-bandiera di questo tipo che di solito contano come un fico secco c’è il rischio però di farsi prendere la mano e con la scusa dell’odio o del razzismo limitare severamente libertà di espressione più che consentite dalla nostra Costituzione.
Ora la libertà di pensiero e politica è così importante, che non si può accettare il linciaggio andato in scena ieri su media e agenzie. Così come è inaccettabile che qualche genio salti su in parlamento apostrofando con insulti stupidi più ancora che razzisti un deputato Pd come Emanuele Fiano che si accusa di essere ebreo. Bene, sono ebreo anche io fiero delle mie origini anche se sono stato educato e sono cresciuto da cattolico osservante. E quindi fischio e darei un bel scappellotto a chi in una giornata così ha avuto la bella idea di dire sciocchezze su Fiano. Ma quel linciaggio scientifico per l’astensione sulle mozioni è ben più grave di qualche scemata urlata anche in aula. Perché questo sì è atto illiberale che getta ombre pesanti su chi ha controfirmato e dato sostegno alla mozione della Segre. Gli slogan anche buonisti che debbono andare bene per tutti esistono nelle dittature, non nelle democrazie liberali, ed è dittatura imporre con tanta violenza il pensiero unico a chicchessia, poi linciandolo perché non vi aderisce. È anche segno di malafede, perché li avesse avuta buona non avrebbe imposto slogan da prendere o lasciare, ma avrebbe cercato un accordo con le minoranze ( si rispettano anche quelle parlamentari) per giungere a un testo condiviso, se questo era l’obiettivo politico. Non è accaduto così, perché c’era un intento muscolare che non vedeva protagonista ovviamente la senatrice a vita Segre, ma chi l’accompagnava. Non volevano una scelta condivisa, ma accusare di razzismo le minoranze impiccate a qualsiasi loro distinguo.
Bene, siccome a me degli uni e degli altri frega assai poco e personalmente di questo tipo di commissioni parlamentari ho la massima storica disistima, vado al sodo: «l’odio» è arma a doppio taglio, che può stralciare zizzania ma anche erba finita lì in mezzo e che semplicemente da fastidio perché non è la tua. Nessun paese del mondo ha definito con esattezza giuridica quello che chiamano «hate speech», perché è impossibile farlo senza mettere a rischio i principi di libertà su cui si fondano le regole e le costituzioni dei nostri paesi. Per questo andrei molto piano a normare questi temi, perché si rischiano danni seri alla libertà, assai più seri di quelli provocati da qualche idiota che dice cose senza senso. Cose è odio e razzismo da punire magari con pene assai elevate (questo sarebbe il lavoro della commissione)? Il codice penale oggi evidenzia già numerose fattispecie, perseguite con severità. Ma se ne vogliono aggiungere altre. E allora, mettiamo nel mirino i cittadini di un quartiere che stufi di essere depredati in casa e per strada ogni giorno chiedono con manifestazioni pubbliche o in gruppi sui social network di spostare da lì quel campo nomadi la cui presenza ha tanto cambiato la loro vita quotidiana? Temo di sì, ed è un rischio che non voglio correre. Perché non è l’odio in sé che si vuole perseguire, ma quello che una parte (oggi maggioranza in Parlamento) definisce odio ed è sicura che sia odio. Io ho visto linciare, tanto per dirne una, con frasi grondanti odio (non importa quanto condiviso) gli organizzatori dei vari family day o pro life, che si vorrebbe non avessero nemmeno diritto di parola ritenendo quella parola non lecita. Mi preoccupa quella commissione perché nasce a colpi di maggioranza con questo cappello ideologico immotivato: vorrei sapere ad esempio perché non hanno votato la mozione di Forza Italia a cui è difficile fare un appunto di qualsiasi tipo. E allora temo che ci sia dietro un’operazione ideologica che si ripara dietro lo schermo falso dell’antisemitismo per limitare libertà di pensiero e di movimento politico altrui: questo si può dire perché sacrosanto, su quello non ti azzardare o ti sbatto dentro. Questo metodo di decidere a maggioranza per eliminare i diritti della minoranza, accusandola pure di illecito pensiero diverso, è da regimi totalitari, non da democrazie liberali. Posso dirlo? Quel linciaggio di ieri è davvero un po’ fascista, nel senso deteriore del termine. Qui.

Sulla malafede di chi ha messo in piedi questa baracconata, sul suo scopo di chiudere la bocca al dissenso, sui metodi fascisti con cui lo scopo è stato perseguito, non ho mai avuto il minimo dubbio; ciò che apprendo ora, ossia l’esistenza di altre mozioni pressoché identiche, solo un po’ meno vaghe e con obiettivi non ampliabili a piacere, come lo sono in questa, che sono state inesorabilmente bocciate, rende la manovra ancora più grave.

E concludo questa seconda puntata con un’analisi dettagliata di alcuni punti della mozione.

Il centro sinistra non ha voluto l’unanimità sulla mozione Segre

Nessuno più di noi di Forza Italia, e per me è anche un fondamentale impegno personale, è stato costantemente e coerentemente contrario ad ogni forma di antisemitismo, razzismo e istigazione all’odio. Per questo in Senato abbiamo auspicato e ci siamo impegnati per l’approvazione unanime di una commissione per il contrasto di questi fenomeni. Purtroppo, questo non è avvenuto: la mozione a prima firma della senatrice Liliana Segre è stata approvata ma a maggioranza e con molte astensioni, tra cui la nostra, che spiegherò, mentre la mozione di Forza Italia, che avrebbe avuto il medesimo effetto ed era compatibile con essa è stata addirittura bocciata. Dunque, noi non abbiamo votato contro alcuna proposta per istituire la commissione, a differenza dello schieramento di centro sinistra.

Per ottenere l’auspicata unanimità la mozione, onorata dalla prima firma della senatrice Segre, avrebbe dovuto essere preparata coinvolgendo fin dall’inizio tutti i gruppi del Senato, invece è stata scritta e firmata nell’ambito dell’attuale maggioranza di governo, pur essendo stata depositata nel giugno scorso, e il testo ne risente ampiamente. In essa si parte dall’antisemitismo, ma poi si estende enormemente l’ambito dei fenomeni “da contrastare” con sanzioni penali o “sociali”.
Ad esempio, vengono inclusi nell’incitamento all’odio “ ‘argomenti’ quali la superiorità della propria razza, etnia, nazione o gruppo: e uno pensa alla criminale ideologia nazista che prevede lo sterminio di chi è inferiore. Ma se io dico che le nazioni come l’Italia – o Israele – dove vigono lo stato di diritto, la libertà di espressione, l’eguaglianza fra uomo e donna e la libertà religiosa sono superiori a quelle dove una religione è imposta dallo Stato con la violenza, la conversione ad altra religione è punita con la morte, la libertà non c’è, le donne sono segregate, legalmente picchiate e lapidate e i gay precipitati dai palazzi, devo essere perseguito, ed equiparato a Hitler?
Si cita anche l’incitamento “a commettere atti di discriminazione”: questa espressione include chi è contrario alle adozioni per le coppie omosessuali o all’imposizione delle teorie gender nelle scuole? Ancora, nella mozione si sostiene che “andrebbero perseguite penalmente espressioni dannose, offensive o sgradite”. Ma la legge deve essere oggettiva, non soggettiva.
Si apre così la strada a una limitazione arbitraria della libertà d’espressione! Abbiamo già sentito teorizzare che i simboli cristiani “offendono” i fedeli di talune altre religioni e dunque andrebbero nascosti. Noi non la pensiamo così! Qui, poi, si va oltre: anche se un tal gruppo – bontà sua – non si offende, basta che “non gradisca” un’espressione perché certe parole diventino reato! Che dire poi di chi afferma di ritenere la propria religione superiore alle altre? Bisogna obbligarlo a dire che le religioni sono tutte uguali, magari anche ai propri figli?
Del resto, un altro passaggio della mozione dice che è uno va “incriminato a titolo di pericolo presunto quando il pregiudizio razziale, etnico, nazionale o religioso si trasforma da pensiero intimo del singolo a pensiero da diffondere in qualunque modo”.
Si arriva, insomma, a specificare che il solo pensiero non va incriminato, ma la sua espressione sì! Non basta, si definisce lo hate speech, “un intenso ed estremo sentimento di avversione, rifiuto, ripugnanza, livore, astio e malanimo verso qualcuno”, che include “i nazionalismi e gli etnocentrismi, gli abusi e le molestie, gli epiteti, i pregiudizi, gli stereotipi”. Cose che vanno benissimo come definizione da dizionario, ma è tutt’altra cosa se delineano un reato. Definizioni troppo vaghe distruggono la certezza del diritto e danno luogo all’arbitrio.
Su queste scivolose basi, la mozione conclude dicendo che “la Commissione può segnalare agli organi di stampa ed ai gestori dei siti internet casi di fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche, quali l’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche, richiedendo la rimozione dal web dei relativi contenuti ovvero la loro deindicizzazione dai motori di ricerca”.
Insomma, una Commissione politica, che fin dall’inizio ha una origine di parte, eccetto la firma della stimatissima senatrice Segre, avrebbe il potere di escludere dal più potente mezzo di comunicazione di oggi, il web, chiunque cadesse o venisse fatto rientrare in queste definizioni vaghe e arbitrarie. Noi non vogliamo una cosa del genere, né per questa legislatura, in cui si è formata l’attuale maggioranza, né in un’altra, dove fossimo noi ad avere questo potere.
Insomma, in questa mozione, il contrasto all’antisemitismo è solo una piccola parte, usata per cercare di introdurre tutt’altro e noi non ci siamo stati. Su di essa, dopo che la nostra richiesta di un testo più essenziale e non divisivo è caduta nel nulla, ci siamo tuttavia rispettosamente astenuti, manifestando grande apprezzamento, stima e rispetto per la collega Liliana Segre.
La maggioranza invece ha bocciato la nostra mozione, e – attraverso il capogruppo di Italia Viva – ha avuto anche toni provocatori e accuse disoneste, arrivando a parlare di negazionismo a proposito di chi avrebbe osato non votare a favore.
Coloro che – nella maggioranza che comprende chi troppo a lungo ha tollerato le ingiurie all’eroica Brigata Ebraica il 25 aprile e chi pochi mesi fa prendeva per buoni i Protocolli dei Savi di Sion – tentano di far passare la nostra posizione come non sufficientemente severa sull’antisemitismo, mente spudoratamente. Li metteremo alla prova quando si tratterà di vedere le posizioni su Israele, bersaglio principale oggi dell’antisemitismo e rifugio per tanti ebrei che lasciano un’Europa sempre più ostile, sul boicottaggio dei suoi prodotti, sull’Iran che promette ogni settimana di distruggerlo, sulle votazioni alle Nazioni Unite. Solleciterò subito la risposta alla mia interrogazione del luglio scorso sui fondi della cooperazione internazionale che finiscono ad associazioni contigue al terrorismo palestinese o promuovono campagne di odio contro gli Ebrei in Israele.
Ultimo dettaglio: è falso che solo i senatori della maggioranza abbiano applaudito e si siano alzati in piedi. L’abbiamo fatto anche noi, quando tutti ci si è volti verso la collega Segre. Era normale che iniziasse chi aveva votato la mozione. Dovevamo forse applaudire la bocciatura della nostra mozione che chiedeva anch’essa la commissione?
Lucio Malan, Senatore di Forza italia, 1 novembre 2019 (qui)

Avete presente 1984? Il più ambizioso programma del partito, ormai quasi giunto in porto, è il rifacimento del vocabolario per eliminare ogni parola e ogni espressione mediante la quale si possa esprimere dissenso, in modo da togliere materialmente la possibilità di dissentire perché non ci saranno più le parole con cui farlo. Ecco, questa è la strada imboccata. Qui, diversamente che in Oceania, le parole non saranno cancellate, ma essendo vietate per legge, cadranno in disuso e alla fine nessuno le ricorderà più, così come oggi difficilmente qualcuno avrà l’idea di dire sagittabondo o sgarzigliona – che infatti word mi segnala come errate perché non le conosce. Praticamente l’obiettivo dei nostri amatissimi governanti (“amo il Grande Fratello”, dirà alla fine Winston Smith, dopo le inenarrabili torture culminate con la stanza 101) è di arrivare ad avere una satira così
polcorr
e testi critici così
word
continua

barbara

PRIMA VENNE IL VIDEO

Questo, nel 2014

Poi è arrivata la censura: le donne che, apprendendo che il loro feto era portatore della sindrome di Down avevano scelto di abortire, hanno trovato insopportabile che altre donne avessero invece deciso di metterlo al mondo, e fossero felici di averlo fatto, e avessero addirittura la sfrontatezza di dichiararlo pubblicamente: un autentico affronto, e hanno chiesto di censurarlo, richiesta prontamente accolta, con la splendida motivazione che “non può essere considerato come un messaggio d’interesse generale e la sua finalità può apparire ambigua e non suscitare un’adesione spontanea e consensuale”. Ma c’è di più: l’Authority infatti ritiene che il film possa “disturbare la coscienza delle donne che, nel rispetto della legge, hanno fatto scelte diverse di vita personale” e per questo ha deciso di far scattare il divieto di trasmetterlo nelle reti televisive francesi. Il titolo di questa brutta storia potrebbe essere “C’era una volta la libertà di parola”. Hanno preteso il diritto di buttare nel bidone della spazzatura i figli imperfetti o quelli non graditi e lo hanno ottenuto: poteva bastare? No, non poteva: la dittatura del pensiero unico non ammette non dico dissenso, non dico obiezioni, ma neppure la possibilità di dire io ho fatto diversamente e ne sono contenta. Il solo sapere che esistono donne che hanno scelto strade diverse è sufficiente a turbarle, povere care, e quindi le devianti, le eretiche, le ignobili che hanno scelto di partorire vanno private della libertà di parola. In nome del progresso e della libertà, sia ben chiaro. In breve: se proprio proprio insisti ti permettiamo – almeno per il momento – di tenerti il tuo Down, poi però zitta e a cuccia.

Passa un po’ di tempo e arriva questo manifesto:
pro vita
non vieta, non condanna, non critica, mette semplicemente di fronte a un dato di fatto. E si scatena il finimondo: illegalità, attacco alla libertà, offesa… e chi più ne ha più ne metta: ancora una volta, il tuo diritto di parola vale fino a quando sei d’accordo con me, ed è un dato di fatto che nessuno, nei rispettivi stati, è mai stato privato della libertà di dichiararsi d’accordo con Mussolini, Stalin, Hitler, Pol Pot (a meno di non essere, in tutti e quattro gli stati, della razza sbagliata, ma questa è un’altra storia). Su questo delirio di onnipotenza dei detentori della Verità Unica non aggiungo commenti, ma vi mando a leggere le cose scritte da tre persone che sull’aborto hanno posizioni molto lontane dalle mie: uno, due, tre e quattro – l’ultimo l’ho linkato più che altro per il mio scambio, nei commenti, con un signore molto illuminato che sarebbe sì favorevole alla libertà di parola, ma a patto che non ne possa usufruire chiunque. Che probabilmente sarebbe anche per l’eliminazione di questo orrendo video clerico-bigotto che tenta di farvi il lavaggio del cervello istillandovi idee pericolosissime, disgustose e probabilmente anche illegali.

Concludo con una riflessione
oppression
e con questa fantastica chicca. Buona visione e buon divertimento.

barbara