I vigliacchi occidentali se la fanno sotto sull’Islam
Le 15 coltellate a Salman Rushdie e i benpensanti che non chiamano più alla difesa della libertà di parola perché l’hanno già persa. Ho paura anch’io dei fanatici di Allah, ma anche dei nostri fifoni
Il 26 settembre del 1988 apparve presso la casa editrice Viking Penguin il romanzo dello scrittore anglo-indiano Salman Rushdie, I versetti satanici. Quindici giorni dopo arrivarono le prime minacce di morte. A Bolton, in Inghilterra, il libro fu bruciato in piazza il 2 dicembre. Il 4 dicembre alla moglie di Rushdie arrivò la prima telefonata: “Ti prenderemo stasera al 60 di Burma Road”. Era il loro indirizzo di casa. Il 28 dicembre arrivarono le minacce di pacchi bomba negli uffici della Viking Penguin. Il Capodanno trascorse senza incidenti. Il 1989 cambia tutto. Era il giorno di San Valentino, quando dall’Iran arrivò la fatwa di Khomeini: “Informo l’orgoglioso popolo dell’Islam che l’autore dei ‘Versetti satanici’ che è contro l’islam, il Profeta e il Corano, e tutti coloro che sono implicati nella sua pubblicazione sono condannati a morte”. Il giorno stesso Rushdie e la moglie furono prelevati dalla loro casa a Islington, a nord di Londra, dal servizio segreto inglese, per essere portati nelle oltre cinquanta “case sicure” in cui lo scrittore avrebbe vissuto per dieci anni. I due sono protetti da un apparato di sicurezza gigantesco e costosissimo, simile a quello riservato a un capo di stato. Per anni nessuno sapeva dove vivesse. Quando Rushdie dovette tenere una lezione all’Institute of Contemporary Arts in London, fu l’amico e premio Nobel Harold Pinter a leggerla al posto suo. Per intervistarlo, il regista David Cronenberg alla vigilia dell’appuntamento riceve una telefonata di uno 007 inglese. “Un agente ti incontrerà nella lobby del tuo albergo”, disse, “il suo nome è Sinclair. Prenderete un taxi insieme che vi condurrà a un luogo top secret”. Come ha scritto Daniel Pipes, l’ufficio di Londra assomigliava a “un campo di battaglia”, con la polizia di guardia, i metal detector e una scorta per i visitatori. Nella sede di New York, i cani addestrati annusavano i pacchetti della posta e gli uffici furono definiti un “luogo sensibile”. Molte librerie furono attaccate e molte altre si rifiutarono di vendere il libro. Rushdie scomparve, come in una nuvola. Fu la prima volta che, in nome dell’Islam, uno scrittore veniva condannato a evaporare dalla faccia della terra, lui e il suo libro. Da allora molta strada è stata fatta, mentre Rushdie “rientrava” in società.
Rushdie sembrava averla scampata, fino a ieri, quando è stato pugnalato 15 volte al collo da un islamista mentre stava per tenere una conferenza a New York. Perderà un occhio, come minimo. Ieri a New York gli islamisti ci hanno ricordato che le loro fatwe non cadono in prescrizione.
Per questo l’autocensura dilaga…Già al tempo della fatwa molte case editrici occidentali si piegarono alle intimidazioni. Christian Bourgois, una casa editrice francese, si rifiutò di pubblicare il libro dopo averne acquistato i diritti e lo stesso fece l’editore tedesco Kiepenheuer. Anni in cui il traduttore giapponese di Rushdie fu ucciso, quello norvegese si prese una pistolettata e quello italiano della Mondadori una coltellata a Milano. Il film di Theo Van Gogh Submission, a causa del quale è stato assassinato, è scomparso dai festival del cinema. Le vignette su Maometto pubblicate da Charlie Hebdo sono state celate alla sfera pubblica: dopo la strage, pochi media le hanno ripubblicate. Il Metropolitan Museum of Art di New York ha rimosso da una mostra le immagini di Maometto, mentre la Yale Press ha pubblicato un libro sulle vignette del Profeta senza riprodurle. The Jewel of Medina, un romanzo sulla moglie di Maometto, è stato censurato. A Rotterdam, in Olanda, cancellata un’opera su Aisha, una della mogli di Maometto. In Inghilterra, il Victoria and Albert Museum ha ritirato un ritratto di Maometto. In Germania, la Deutsche Opera ha cancellato l’Idomeneo di Mozart, perché c’era Maometto. “I critici dell’Islam devono temere per la propria vita: minacce di morte e attacchi”, racconta il magazine Tichy. “Chiunque critichi l’islamismo deve aspettarsi di essere violentemente attaccato in questo Paese e senza che nessuno si offenda”, ha affermato il giornalista Jan Aleksander Karon. “In Germania è sempre più pericoloso criticare l’Islam”. Tamerlano il Grande di Christopher Marlowe, che contiene un riferimento in cui Maometto è descritto come “non degno di essere venerato”, è censurato al Barbican di Londra. I vignettisti, i giornalisti e gli scrittori “islamofobi” sono i primi europei dal 1945 a doversi ritirare dalla vita pubblica per proteggere la propria incolumità. Per la prima volta in Europa da quando Hitler ordinò di incenerire i libri nella Bebelplatz di Berlino, film, quadri, poesie, romanzi, vignette, articoli e opere teatrali sono letteralmente messi al rogo.
In Francia ci sono 120 persone sotto la protezione della polizia a causa delle minacce islamiche. Sotto scorta c’è una semplice studentessa come Mila, portata via anche dalla scuola militare dove si era rifugiata a seguito delle 50.000 minacce di morte che ha ricevuto da quando ha “offeso” l’Islam sui social. Sotto scorta c’è Eric Zemmour, l’uomo più coraggioso d’Europa, e il romanziere Michel Houellebecq. Sotto scorta ci sono una decina di professori, da Trappes a Grenoble. Molte di loro hanno visto le proprie carriere, vite e nomi distrutti. Sotto scorta c’è tutta la redazione di Charlie Hebdo, protetta da 85 agenti di polizia e 6 porte blindate. L’ex direttore Philippe Val vive in una casa dalle finestre antiproiettili, agenti di polizia e una “safe room” blindata in cui c’è una linea telefonica per avvisare i soccorsi.
Sgozzano a morte un parlamentare inglese in una chiesa? Non parliamone.
Sgozzano a morte un medico davanti a una scuola? Non parliamone.
Bruciano le chiese, riempiono di cristiani le fosse comuni, selezionano chi uccidere se sappia o meno recitare la Shahada in Africa come in Medio Oriente? Non parliamone.
Condannano a morte Asia Bibi, che oggi deve persino nascondersi come Rushdie in Canada? Non parliamone. “Non sono riuscita a farmi degli amici e non voglio ancora farlo, quando diventi amico di qualcuno vengono fuori molte cose sulla tua vita”, racconta Bibi al Globe and Mail. Gli islamisti hanno messo una taglia sulla sua testa di 678.000 dollari. Asia ha vinto la sua battaglia. L’Occidente sta perdendo la sua guerra.
Al Qaeda nel 2012 pubblicò una terrificante most wanted list, come quelle dell’FBI. Titolo: “Yes we can. Un proiettile al giorno leva l’infedele di torno…”. Il vignettista svedese Lars Vilks (qui la mia intervista che gli feci al tempo), è morto con gli uomini della sua scorta in un terribile incidente stradale. Carsten Juste, che da direttore del giornale danese Jyllands Posten pubblicò le vignette su Maometto, ha chiesto scusa e lasciato il giornalismo. Flemming Rose, il redattore del Jyllands che commissionò le caricature, con i Talebani che gli hanno messo una taglia sulla testa, ha rassegnato le dimissioni e pubblicato un libro dal titolo eloquente: La tirannia del silenzio. Kurt Westergaard, il vignettista della più famosa delle caricature, è morto nella sua casa-bunker dove hanno cercato di assassinarlo. Molly Norris, vignettista del Seattle Post, è diventata un “fantasma”. Ha cambiato nome, non si è fatta più vedere in giro. Di lei non si sa più niente dopo che l’FBI la inserì in un programma di protezione dei testimoni. Uno dei suoi datori di lavoro al Seattle Weekly ha scritto: “Paragona la situazione al cancro. Potrebbe non essere niente, potrebbe essere urgente, potrebbe andare via e non tornare mai più, o potrebbe spuntare di nuovo quando uno meno se lo aspetta…”. Geert Wilders è vivo soltanto grazie al fatto che è protetto da una unità militare dell’esercito olandese generalmente addetta a garantire la sicurezza di una ambasciata in Afghanistan. Wilders deve indossare il giubbotto antiproiettile anche nei dibattiti televisivi. Stephane Charbonnier, direttore di Charlie Hebdo, è stato ucciso con otto colleghi e agenti di scorta. Ayaan Hirsi Ali, che con Theo Van Gogh realizzò il film Submission, ha lasciato l’Olanda e cercato riparo negli Stati Uniti, dove è sotto protezione. Rushdie è stato accoltellato ieri a New York…
Direi che quella lista è stata completata. “Yes, we can…”.
Ma l’autore de I Versetti satanici lo aveva un po’ previsto. “All’interno del movimento progressista c’è l’accettazione del fatto che certe idee dovrebbero essere soppresse e penso che sia preoccupante” ha detto Rushdie all’Irish Times. “Mettiamola così: il tipo di persone che mi hanno difeso negli anni brutti – in altre parole, le persone nelle arti liberali e di sinistra – potrebbero non farlo ora”.
Per questo nessun benpensante chiama più alla difesa della libertà di parola dalle grinfie dell’Islam. Perché l’hanno già persa. “Non ve lo sareste mai aspettato di ritrovarmi dalla parte del Papa, eh?”, disse Rushdie. “Neppure io, però è così: chiedergli di scusarsi per il discorso di Ratisbona è stato profondamente sbagliato. Ratzinger ha il coraggio di dire ciò che pensa, e noi dovremmo difendere il suo diritto di farlo”. Perché Papa Ratzinger fu abbandonato da tutta l’intellighenzia occidentale quando disse la verità sull’Islam. Nell’area sottoposta controllo dell’Autorità palestinese, le chiese cristiane furono bruciate e i cristiani presi di mira. Gli islamisti britannici invocarono “l’uccisione” del Papa. In Somalia, una suora italiana venne uccisa. In Iraq, un prete siro-ortodosso fu decapitato e mutilato dopo che i terroristi avevano chiesto alla Chiesa cattolica di scusarsi per il discorso. I Fratelli musulmani in Egitto annunciarono rappresaglie contro il Papa. Nella sua lectio, Benedetto XVI ha chiarito le contraddizioni dell’Islam, ma ha anche offerto un terreno di dialogo con il Cristianesimo e la cultura occidentale. Il pontefice ha parlato della radici ebraiche, greche e cristiane. Chi le difende più? Due anni dopo, a Ratzinger fu impedito di parlare alla Sapienza.
L’Islam ha infilato il suo dito ossuto nelle parti molli degli intellettuali occidentali e ha trovato soltanto cartilagine. Il celebre drammaturgo Simon Gray ha detto che Nicholas Hytner, il direttore del National Theatre, potrebbe mettere in scena un’opera satirica sul Cristianesimo, mai una sull’Islam. Anch’io ho paura. Chi non ne avrebbe, quando dopo trent’anni accoltellano su un palco uno scrittore che ha vissuto dieci anni come un fantasma? Ho paura della violenza islamica, ma anche della viltà di questi intellettuali e giornalisti “perbene” che dopo il primo colpo sono andati al tappeto per salvarsi la pelle. Ci hanno messi tutti in pericolo.
Giulio Meotti
E tutti quelli che non conosciamo.
Quei Rushdie d’Europa, fantasmi della nostra libertà
Gli hanno sparato, vivono con le guardie del corpo, cambiano spesso casa, si spostano su auto blindate e se si mette male scompaiono. L’islamizzazione fa a pezzi la nostra tolleranza di cartapesta

Non sappiamo neanche che esistono perché la nostra stampa conformista e timorata non racconta mai le loro storie incredibili. Vivono in mezzo a noi, a Parigi, a Londra, a Oslo, a Copenaghen, a Berlino, ad Amsterdam e in tutte le altri capitali europee. Vivono secondo un dispositivo di sicurezza militare: devono dire in anticipo alla polizia cosa faranno durante la giornata, chi vedranno e quali locali intendono frequentare e, nel caso non sia ritenuto sicuro, sono costretti a cambiare programma. Spesso, se c’è una minaccia nuova, cambiano anche casa, scompaiono per un po’, protetti dall’anonimato. Non sono pentiti di mafia, sono accademici, attiviste, scrittrici, giornalisti, intellettuali. Parliamo di oltre cento personalità in Europa. La loro “colpa”? Aver criticato l’Islam. Le loro precauzioni per proteggersi non sono mai troppe. Salman Rushdie aveva smesso di essere protetto da molti anni.
Un professore di origine iraniana, Afshin Ellian, lavora all’Università di Utrecht, in Olanda, dove è protetto da guardie del corpo. Al secondo piano del dipartimento di Diritto, dove insegna, si arriva attraverso un corridoio con accesso elettronico e vetri blindati; sembra una banca, più che in un normale dipartimento di Diritto. Quando gli ho fatto visita mi ha aperto un poliziotto, che mi ha fatto entrare dopo avermi controllato lo zaino e avermi perquisito. In Danimarca è sotto protezione Lars Hedegaard, il direttore della International Free Press Society, sopravvissuto miracolosamente a un attentato sotto casa. Un uomo lo ha avvicinato vestito da postino e gli ha sparato alla testa, mancando di un pelo il bersaglio. Una esecuzione in piena regola di fronte alla casa dell’intellettuale in un quartiere borghese di Copenaghen.
La scrittrice turca Lale Gül, racconta Le Monde, per aver denunciato le scuole coraniche della Turchia in Olanda è finita sotto scorta. Siamo nel paese dove l’artista iraniana Sooreh Hera doveva esporre in un museo dell’Aia una serie di opere fotografiche che ritraevano Maometto e Alì. “Ti bruceremo viva”, “abbiamo ucciso una volta siamo pronti a farlo una seconda…”. Kadra Yusuf, giornalista somala, si è infiltrata nelle moschee di Oslo per denunciare gli imam e vive sotto protezione. La giornalista francese Zineb El Rhazoui ha più guardie del corpo di molti ministri di Macron. “Bisogna uccidere Zineb El Rhazoui per vendicare il Profeta“, recita una fatwa. Non è difficile capire perché a Le Point Rhazoui abbia confessato: “Sono arrivata in un momento del mio viaggio in cui sento l’urgente bisogno di uscire dal combattimento”.
Un accademico francese è finito sotto la protezione per aver voluto discutere un argomento tabù in Francia: il concetto di “islamofobia”. Alla celebre Università Sciences Po a Grenoble, definito “islamofobico” e “fascista”, l’accademico Klaus Kinzler è sotto scorta. Fra le accuse, quella di “ricordare le origini cristiane della Francia”.
Il nuovo indirizzo del giornale Charlie Hebdo è sconosciuto e, come ha rivelato uno dei sopravvissuti alla strage del 7 gennaio 2015 Fabrice Nicolino (era accanto a Bernard Maris, ucciso nell’attacco), oggi la sede di Charlie ha sei porte blindate, un sistema a raggi X e una panic room, in cui devono entrare se sentono rumori sospetti. Come tutti i giornali, Charlie non può permettersi di perdere copie. Ma per un motivo diverso dagli altri. “E’ normale per un giornale di un paese democratico che più di una copia su due venduta in edicola finanzi la sicurezza dei locali in cui i giornalisti lavorano?”, ha chiesto il direttore, “Riss”. Lo stato francese non protegge i locali, è responsabile esclusivamente della protezione delle persone. Ogni dipendente di Charlie è sempre accompagnato da un’auto con a bordo due poliziotti. E se la minaccia sale, arriva un’altra moto o auto blindata.
In Germania ci sono decine di personalità sotto scorta, come il sociologo Hamed Abdel Samad. Non ricopre cariche pubbliche, ma questo intellettuale di origine egiziana vive sotto la più stretta protezione della polizia come i più alti vertici della politica, sorveglianza a 360 gradi 24 ore su 24. Nessuna residenza permanente, spostamenti in veicoli blindati, ufficiali armati. Non si muove senza scorta Mina Ahadi, che ha fondato il Consiglio degli ex musulmani, coloro che hanno abbandonato l’Islam compiendo “apostasia”, reato passibile di pena di morte in decine di paesi musulmani. Il sociologo tedesco Bassam Tibi è sotto sorveglianza. Come Fatma Bläser, vittima di un matrimonio forzato e autrice del romanzo Hennamond, protetta dalla polizia. L’avvocato di origine turca Syran Ates è protetta da sei agenti della polizia a Berlino. “Riceve tremila di minacce”, ha rivelato l’avvocato. Ates non è nuova alle minacce. Chiuse il suo studio legale a Kreuzberg, il “quartiere turco” di Berlino, sospendendo la collaborazione con i due consultori che offrivano assistenza alle donne musulmane dopo che, fuori dal metrò, venne aggredita dal marito di una cliente che voleva divorziare. Le gridò “hure!”, puttana. Seyran Ates si è beccata anche una pallottola alla gola (i segni di quell’attentato se li porta ancora dietro). I lupi grigi volevano mettere a tacere questa splendida dissidente islamica nata a Istanbul e cresciuta a Berlino. Ma Ates non era destinata a finire come il giornalista armeno Hrant Dink. Il proiettile si fermò tra la quarta e la quinta vertebra. Ates ci ha messo cinque anni per riprendersi dalle ferite. Quando Can Dündar, il più coraggioso giornalista turco, corsaro direttore di Cumhuriyet (l’unica testata turca che ha espresso solidarietà con Charlie Hebdo), ha lasciato Ankara alla volta della Germania, non avrebbe mai immaginato di aver bisogno anche a Berlino della protezione della polizia. Con la differenza che, in Turchia, i poliziotti perquisivano la sua casa in cerca di articoli compromettenti, mentre a Berlino sono a guardia della sua abitazione.
In Danimarca c’è un giornale, il Jyllands Posten, la cui redazione assomiglia oggi a un bunker militare. Nel 2006 pubblicò le vignette su Maometto. Circondata da una barriera di filo spinato, sbarre, lastre metalliche e telecamere che circondano per un chilometro il giornale, la redazione è protetta dallo stesso meccanismo delle chiuse dei fiumi. Si apre una porta, entra una macchina, la porta si richiude e si apre quella di fronte. I giornalisti entrano uno alla volta, digitando un codice personale (una misura che non ha protetto i giornalisti di Charlie Hebdo). Numerosi dipendenti del quotidiano hanno dovuto lasciare il giornale a causa di un forte stress psicologico. I loro vignettisti sono scampati a numerosi attentati, anche dentro casa.
Sotto scorta è Mohammed Sifaoui, giornalista franco-algerino, la sua foto e il suo nome pubblicati sui siti jihadisti accanto alla scritta “apostata”. “Non potrai ritardare la tua ora”. Molte scortate sono donne, da Marika Bret, “esfiltrata” di casa, e la turca Claire Koc. O la giornalista Ophélie Meunier, la reporter di Zone Interdite che ha filmato in prima serata tv l’islamizzazione di Roubaix assieme al giurista Amine Elbahi, che ha ricevuto minacce di decapitazione.
Non si tratta solo di politici come Marine Le Pen o di giudici come Albert Lévy, titolare di inchieste sui fondamentalisti islamici. Ci sono semplici insegnanti come Fatiha Agag-Boudjahlat, che ha rimproverato alcuni studenti di non aver rispettato il minuto di silenzio durante l’omaggio a Samuel Paty. E imam come Hassen Chalghoumi, inserito in “Uclat 2”, il programma di protezione di cui beneficiano gli ambasciatori di Stati Uniti e Israele a Parigi. Un professore ha raccontato la sua ultima visita a Trappes per un documentario tv: “Mi è stata concessa solo una ripresa di cinque minuti davanti alla stazione di polizia, circondato da una dozzina di agenti. Il resto del tempo sono dovuto rimanere nascosto in auto. Uno dei poliziotti mi ha detto: ‘Se tirano fuori i kalashnikov, non abbiamo niente con cui rispondere, quindi non resteremo a lungo’. Il giornalista voleva che dicessi qualche parola davanti alla scuola, ma la polizia ha rifiutato per motivi di sicurezza. Mi è stato permesso passarci davanti senza fermarmi. Sono stato scortato in un albergo, il cui ingresso era sorvegliato da quattro agenti di polizia, per condurre l’intervista”.
“Dateci la sua testa”, hanno urlato gli islamisti fuori dalla scuola inglese a Batley. Volevano uccidere un insegnante di cui non conosciamo neanche il nome e costretto a lasciare la scuola oggetto di pesanti minacce di morte reo di aver mostrato in classe le vignette su Maometto durante una lezione sulla libertà di espressione, che ora vive in una “casa sicura” con sua moglie e i figli a causa del timore di essere uccisi. La minaccia è giudicata così grave che nemmeno i loro parenti sanno dove vivono. “Le finestre della casa dove l’insegnante ha vissuto per più di otto anni sono coperte di lenzuola bianche”.
Adesso è un po’ più chiaro che, assieme alla cancel culture di civiltà, l’Islam radicale è oggi la principale minaccia alla cultura occidentale? Stiamo diventando come dei tacchini che celebrano il giorno del Ringraziamento.
Giulio Meotti
La nostra inquisizione, nella sua forma più cruenta, è durata una manciata scarsa di secoli, la loro sta durando da quasi un millennio e mezzo e, ben lungi dall’attenuarsi, continua a diventare sempre più virulenta. Come le infezioni quando non le curi al loro insorgere.
E ora, prima di chiudere, guardiamoci un po’ di cose sull’Iran, anche se le sappiamo già tutte.
barbara