QUANDO I POLITICI SI DANNO ALL’ITTICA 3

Ultima. Che inizia con questi due splendidi – e cattivi il giusto – pezzi di Max Del Papa. Per riflettere. E per godere, anche.

Ritratto del “Sardinista” che si è impancato a coscienza civile: vittimismo e arroganza genetica

 di Max Del Papa

Sulla fenomenologia delle sardine ha già detto molto, se non tutto, Daniele Capezzone; sulla fisiognomica forse no e allora, consapevoli che è un lavoro carogna, ma qualcuno lo deve pur fare, eccoci qua. C’è questo Mattia Santori, il caposardina, il Sardinista, con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, che hanno costor, che stanno col Piddì. Faccia leopoldina, sul finto alla mano, finto semplice, finto giovane, finto tutto. Finto umile, anche: gli è bastata una mezz’ora di notorietà e subito s’è impancato a coscienza civile, i detrattori tutti “merluzzi” (che originalità), la stizza se gli fanno una domanda irriguardosa, le accuse un po’ andanti, il vittimismo in corner, l’arroganza genetica, “io porto in piazza ventimila persone, capito, sciacalli che mi spulciate i social”, l’annuncio vagamente ammonitorio della “convocazione delle linee guida”, come a dire siamo già qui che ci contiamo, modello picchettaggio con assemblea autogestita ma fuori i fascisti dalla scuola, a conferma di un approccio movimentista, da stati generali da travolgere in un affettuoso afflato rivoluzionario, seppure ZTL.

Il Sardomobile ne ha contate di storie, in queste ore, tutte più o meno incenerite dalla realtà: eravamo quattro amici al bar, non abbiamo dietro nessuno, dovevamo far qualcosa per opporci a questa opposizione di brutti e cattivi. Sempre con quella faccetta spocchiosa, leopoldina, da istruttore di freesbee. Lo guardi e pensi, ma io questo qui l’ho già visto, dove l’ho già visto? E infine, folgorante, l’illuminazione: ma sì, stava sul palco, che palco? Oh bella, il palco: dell’Ariston, del Concertone, da Sanremo al Primomaggio. La sardellina leaderina Mattia è il gemello siamese di Lodo Guenzi, leaderino degli Stato Sociale: stessa creatività mercuriale, identica propensione alla satira, uguale profondità di pensiero, analoga propulsione all’ironia contagiosa; per niente interessati, o carrieristi, o ambiziosi, ma soprattutto buoni. Loro, così carini, così educati, ma non irritateli, se no torna subito fuori il dispetto dei bambini capricciosi, fanno quello che fanno perché lo fanno, perché devono, perché c’è bisogno di loro: qui, specie in Emilia Romagna, c’è un feroce regime nazi-trattino-fascista-trattino-leghista-trattino-sovranista, e dunque se non ora quando? Mattia, come Lodo, ti guarda e mostra (o finge) di capirti o almeno di provare a capirti: sono per il dialogo, per il confronto, a patto che sia chiaro che han ragione loro, dall’esordio all’exit. Diciamo la verità: uno slogan come “Bologna (o Modena, di seguito le altre date del tour) non si Lega”, non è travolgente, divertente, irriverente? Non potrebbero cantarlo gli Stato Sociale sul palco dell’Ariston? Sai le risate, magari con un Prodi che sgambetta.

La sardina uguale a tutte le altre sardine, ma un po’ più uguale Matteo, dunque, va in giro per microfoni e telecamere a ribadire il suo giuramento della pallacorda, ma soprattutto della palla: noi spontanei, dal basso, niente partiti dietro, niente burattinai. Non una di queste verità alla prova dei fatti risulta vera, dietro ci sono i Clò e i Prodi, davanti i Fico, Zingaretti, Maurizio Martina, insomma il Politburo, e in mezzo i soliti auspicati incarichi nel parastato, nel Parlamento, nei giornali e nel varietà: ma che importa? Sotto col cahier de doleance, giacobini e cordiglieri uniti (foglianti no, in piazza Maggiore non entrano, è cosa loro): più Europa, più Erasmus, più accoglienza, più migranti, più egualitarismo, più cultura, più tasse (di fatto le sardine di piazza avallano il governo più tassatore della memoria recente), in una parola: più stato sociale. Una vita in vacanza, la sardina che danza. Casomai le cose dovessero andar male, contrordine sardine: si cambia mare.

Affinità e divergenze tra il compagno Matteo e il compagno Lodo. Pochissime le divergenze. Separati alla nascita con quei riccioli irriverenti e accuratamente trascurati (quasi un manifesto ideologico), la convinzione d’essere necessari ai destini dell’umanità, ma quella giusta, l’espressione finto svagata che cela una finta intelligenza che cela una vera modestia. O, parafrasando Marx (Groucho): “Quel tale sembra quel che sembra, ma non lasciatevi ingannare: lo è davvero”. Il nostro sogno, prima che anche le sardine passino, sbalzate da un’altra trovata dall’insostenibile leggerezza dell’essere in tournée, è vedere i due scapigliati solidali in un duetto, perché no il remix dell’indimenticabile Renato Rascel: “Noi siam sardine, ma cresceremo, e allora virgola, comanderemo”. Sì, buonasera! (qui)

Carola e le Sardine: il crepuscolo della sinistra

La foresta intrecciata in testa, da gorgone, ma incamiciata al modo dei detenuti, perché il vittimismo è strategico. Così si presenta questa Carola, che in Italia torna sempre perché ha capito che le conviene: nessuno le chiede niente e lei, nell’adorazione generale, può delirare alla maniera di chi vive di truffe morali: ricca, figlia di un mercante d’armi al servizio dei Servizi, inconcludente, annoiata, molla la fatidica predica sul capitalismo egoista, affamatore e inquinatore.

Si è portata anche il migrante di scorta, che ci fa un po’ la figura di Fantozzi e Filini sul panfilo del megadirettore. E lì capisci come una così, insieme a quell’altra, la mocciosa dissociata che minaccia di morte l’umanità che in cambio la fa ricca e famosa, possa diventare il totem di una generazione Z, come la chiamano, che sarebbe l’ultima, attuale, ma poi chissà, perché ormai le percezioni sono tutte “fluide”, per dire possibili, indefinite, aperte, giovani ancora a 40 anni che girano, come trottole vane, Peter Pan senza causa. Finché non se ne inventano una.

Ecco perché ama tanto odiare, questa gentina molle, lasca, irrisolta. Non può farne a meno, e le conviene. Gente viziata, rammollita; isterica. Benestante e maligna, “fondamentalmente cattiva”, per dirla proprio con Fantozzi, del genere aggressivo-lagnoso: mettono “il nemico” a testa in giù ma alla prima battuta partono a rullo con gli slogan imparati dal babbo di tutti i pesciaroli, quello con la testa a ogiva: macchina dell’odio, mi volete ammazzare, io rischio la pelle. Fanno l’opposizione all’opposizione, li lasciano fare, hanno dietro soldi, partiti e buona stampa, ma si sentono più eroici dei ragazzi iraniani, curdi, o di Hong Kong. Sono patetici, ma soprattutto falsi: sanno benissimo, come lo sapevano i loro antenati casinisti, di avere licenza di cazzeggio e di cazzate, tanto poi al momento di rientrare nei ranghi le loro potenti famiglie li riaccoglieranno nell’ordinata vita borghese di sempre: negli studi professionali dinastici, nell’editoria, nell’informazione che già lecca loro il culo. Sono petalosi, frolliti, e carognette: “non avete diritto di essere ascoltati”. Slogan da totalitarismo, e infatti questi insopportabili giovani a vita ricordano una Banda dei 4. Coi loro pesci di cartone sotto al braccio, i riccioloni accuratamente scomposti, i sorrisetti di superiorità e la tragica ignoranza da profeti del populismo più sordido.

Che sanno fare? Niente: tirano il freesbee, pedalano per l’Europa, si occupano di diritti solidali, insomma: si scavano una carriera da nullafacenti che giustamente si pretendono in politica: meno sanno, più curriculum fanno. Questa ragazzaglia sopra i 30 anni, senza grinta e senza orgoglio, del tutto anodizzata, non si capisce che siano, acciughe, conigli, non hanno nessun tratto, nessuna presenza, i classici sfigati che accumulano astio di classe, nel senso che si sentono ceto superiore, finché un giorno trovano il jackpot, si trasformano in marionette, si trovano il loro Barbablù. Tanto insicuri, tanto smaniosi di rivincite, che lo ammettono: “La notorietà fa piacere”. Oltre questo non vanno, il loro orizzonte non si protende più in là del frisson da ringhiera, alla liturgia militante ma penosa di Fabio Fazio, curiosa sorta di burattino-burattinaio. Tutto in loro è odioso, indisponente: le facce, i gesti, le ambizioni, le bugie. Le parole sottovuoto spinto. L’inconsistenza. La stupidità. La spocchia. La presunzione. La vanità.

E i simboli: le sardine, che sarebbero l’ossimoro dell’indipendenza, dell’autonomia: non si “Legano”, non cascano nelle suggestioni del nemico, da appendere, da uccidere, ma si legano tra loro a branchi, un solo organismo, una sola nuvola senza cervello. Sono intolleranti e predicano tolleranza. Sono cattivi e sbandierano bontà. Sono analfabeti, e menano vanto della cultura. Sono cialtroni, e si atteggiano a guru. Sono arrivisti, e fanno le coscienze civili. Sono in vendita, e accusano il mondo di prostituirsi. Sono egocentrici, e pretendono accoglienza. Sono narcisisti, e impongono integrazione. Sono razzisti, e millantano società aperte. Sono mezzi, strumenti piuttosto torbidi: dietro hanno i rottami della prima Repubblica, come Prodi; davanti hanno le Cirinnà indemoniate col gender (cacciano chi non sia d’accordo con l’utero in affitto e le altre alchimie vendoliane); in mezzo, hanno le nomenklature piddine di tutte le regioni.

Questo sono i loro gruppi Facebook, pentoloni di marpioni di un partito che dopo l’Umbria perderà tutto il resto e lo sa. E, senza partito, tutti questi incapaci verbosi, puntati sulle “politiche dei diritti”, quanto a dire il vapore, l’aria che cammina, restano completamente privi di sovvenzioni. Perché non sanno fare niente, non hanno voglia di fare niente, tranne incassare. La loro idea di futuro è vecchia come il peccato: svettare da mediocri in un mondo di mediocri, lasciarselo alle spalle e finire per campare tutta la vita di burocrazia, di partito, di parole. A spese di chi lavora, rischia, si danna. Sono quelli che criticano, demonizzano, giudicano ma non creano mai niente, rigorosamente, non offrono alcun apporto e in fondo è meglio così, perché qualsiasi cosa si azzardino a fare, finisce in uno spumeggiante fallimento. A carico della collettività, s’intende: loro, del loro, non ci rimettono mai un ghello, anzi, guadagnano puntualmente dei disastri che infliggono.

Sono i parassiti di ieri, di domani, di sempre, senza una chiesa non sanno stare, possono vivere solo in branco, dove subito cominciano a mordersi, a mangiarsi tra loro (vedrete quanto dureranno anche questi). Sono i pronipotini di Toni Negri, di Adriano Sofri, di Erri de Luca, di Vauro, che puntualmente li coccolano, li esaltano. Sono apolitici nel senso che oggi qui, domani là, come cantava Patty Pravo, e anche in questo nessuna novità, tutto già visto, tutto già constatato. Ma vegetano, bivaccano sempre ai margini del potere, preferendo fare la fronda all’opposizione (quando non comanda). Solo apparentemente meno sprangatori, meno feroci di allora, forse perché ancora più vigliacchi. Apparentemente. Figli dei social, nipoti del solito stagno di estrema sinistra, ieri cellula di base, oggi centro sociale. Da pantere a sardine, che ridicolo inizio, che tragica fine.

Max Del Papa, 25 novembre 2019 (qui)

Concludo con due piccole ma deliziose chicche: un commento lasciato da un lettore a un articolo di andrea Marcenaro

fabriziocelliforli

Sardine a Piacenza. Bon. Mi chiedevo fra me e Voi se , qualora la situazione richiedesse l’intervento delle forze dell’ordine, potrebbe trattarsi di sgombro..

E questa foto
Ferrara 1
così commentata da qualcuno di cui non ricordo il nome:

Le Sardine sono così brave a nuotare che al Castello di Ferrara camminano sul fossato.

Cioè, giusto per chiarire, per chi non lo conoscesse
Ferrara 2
Ferrara 3
barbara

VENTI, TRENTA, CINQUANTA CHILI

Persi in tre mesi, in due mesi, in dodici giorni…
Qualunque sito apriamo, onnipresenti come le mosche nella cacca, le troviamo lì: le pubblicità miracolose. Perdere miliardi di chili grazie a uno strano metodo che i medici non vogliono che conosciamo, guadagnare novemila euro al mese senza fare niente come quel ragazzo che per questo le banche odiano (io conoscevo una che ne guadagnava molti di più stando semplicemente stesa a letto, se è per quello, ma non ho mai sentito che le banche la odiassero), e quella nonna di 55 anni che ne dimostra 35 e che i dermatologi odiano per il miracoloso metodo che ha scoperto, e quello che i tricologi odiano perché ha trovato il metodo per farsi ricrescere tutti i capelli e da completamente pelato che era adesso pare Branduardi che a sto punto mi sa che ha ragione il papa che siamo in guerra perché abbiamo perso la pace, con tutta sta gente che non ha altro da fare che passare la vita a odiare, boh. Comunque i chili, dicevamo. Persi a volte grazie a un metodo scoperto personalmente dall’ex cicciona, a volte grazie a trucchi (trucchi? Ma i trucchi non sono quella cosa che serve a far sembrare le cose diverse da quello che sono? Ach, questi diavoletti cialtroncelli che si dimenticano sempre i coperchi!). Allora, io ho raccattato su un po’ di queste immagini di prodigiosi dimagrimenti; adesso ve le schiaffo qui e poi ci ragioniamo un po’ su, ok?
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prima-dopo
Notiamo intanto che solitamente le foto sono piuttosto piccole, in modo da rendere difficile vedere chiaramente i dettagli. Poi osserviamo la posizione: non è mai la stessa. Se una è di fronte, l’altra è di sguincio, se una è ben eretta, l’altra è piegata. Capelli: in una avanti a incorniciare, o addirittura in parte coprire il viso, nell’altra tirati indietro; oppure in una con la frangia e nell’altra senza, in una lunghi e nell’altra corti. Bocca: rarissimamente chiusa in entrambe le foto o in entrambe aperta. La regola è che in una è chiusa e nell’altra aperta in un sorriso a tutti denti. Espressione: quasi sempre una seria o addirittura imbronciata e una serena. Parti del corpo, come gambe, braccia, mani, ginocchia: quasi mai visibili allo stesso modo: o sono coperte in una o in entrambe le foto, o tagliate, o sono riprese in posizioni diverse (le mani di piatto – di taglio, aperte – semichiuse, ginocchia distese – piegate). Spesso una è in piena luce e una no. Interessante l’ultima coppia: è un fermo immagine da un video (che non ho guardato: l’ho solo fatto scorrere velocemente col cursore per trovare l’immagine giusta per questo post): c’è una ragazza, sempre inquadrata in primo piano, che spiega come sia riuscita a dimagrire di oltre cinquanta chili: come si giustificano le facce annerite delle foto che “documentano” i vari stadi del processo? Anche così comunque riusciamo a notare le spalle, spioventi nella grassa e diritte nella magra, che ha anche il collo non solo di una sottigliezza che non si spiega certo col dimagrimento, ma anche più lungo, oltre ad avere più lunghe anche le braccia. A questo punto il trucco è chiaro come il sole: si prendono una donna grassa e una magra che presentino una qualche vaga somiglianza – a volte veramente molto vaga – e si schiaffano giù le due foto affiancate. Tutto qui. Tu dici, ma sono due donne diverse! Ma no, ti sembrano diverse per via della posizione, della pettinatura, dell’illuminazione, dell’espressione, della bocca… Interessante poi la prima foto: lì la persona è indubbiamente la stessa ma, a parte che la differenza è abbastanza modesta, quello che colpisce è la ricrescita dei capelli: identica nelle due foto. Non è singolare che per farsi fotografare dopo il dimagrimento abbia aspettato che i capelli scuri fossero ricresciuti fino a raggiungere esattamente la stessa lunghezza della foto precedente? E che dire di quell’ombra scura (ma sarà davvero solo un’ombra?) che assottiglia il braccio – peraltro di profilo, mentre nell’altra foto sono di fronte – mentre l’altro è quasi completamente coperto dai capelli? E mettiamoci poi la solita posizione di sguincio, mettiamoci il braccio sinistro che copre un’intera fetta di busto, mettiamoci i jeans scuri nella seconda foto mentre nella prima non sono solo molto più chiari, ma anche con la luce che si riflette proprio là dove le cosce sono più grosse facendole apparire più grosse ancora, ed ecco creata la ragazza dimagrita.
Poi, giusto per non farci mancare niente, capita anche che la persona sia indiscutibilmente la stessa, ma il photoshop è venuto da cani.
fotoshop
Ma visto che la fatica di farlo l’abbiamo fatta, schiaffiamo giù anche questo, tanto chi vuoi che se ne accorga?
In conclusione, care amiche che vi sentite avvilite, prive di carattere, prive di determinazione, prive di costanza e terribilmente invidiose perché quelle perdono cinquanta chili e voi non siete capaci di perderne neanche cinque, state tranquille: non lo sono neanche loro.

barbara