Ripesco, in concomitanza con le attuali vicende israeliane, questo articolo di rav Di Segni di poco meno di due anni fa.
Quando la pirateria infestava i traffici del Mediterraneo, con rapimenti e richieste di riscatti, le grandi comunità ebraiche che vivevano di commerci marittimi, come Venezia e Livorno, si erano organizzate tassando tutte le merci in entrata nei porti a favore di un fondo destinato al riscatto dei prigionieri, il “pidion shevuim”, precetto tradizionale e prioritario che veniva assolto con una sorta di assicurazione obbligatoria e collettiva. Il prezzo che si pagava era in denaro contante e la regola codificata (SH. ‘Ar. Y. D. 252) prescriveva (e ancora prescrive) che non dovesse mai essere eccessivo, per non fare saltare gli equilibri precari di un meccanismo che benché perverso, aveva le sue regole. Per non abituare il nemico, chiunque esso fosse, ad alzare la posta del gioco, uno dei più grandi maestri del medioevo ashkenazita, Meir ben Baruch di Rothenburg, quando fu sequestrato dal re Rodolfo (nel 1286), preferì morire in prigionia piuttosto che cedere alla domanda di riscatto. Da qualche anno le regole del gioco sono saltate e la libertà tanto desiderata di un soldato israeliano, Ghilad Shalit, che si spera torni a casa entro domani, è pagata con la liberazione di più di mille detenuti palestinesi, molti dei quali con le mani letteralmente sporche di sangue versato. Dilemma terribile per chi deve decidere e per le famiglie del rapito e delle vittime e non possiamo giudicarli non vivendo il loro dramma. In questi giorni di Sukkot, festa delle capanne, preghiamo, usando le parole del profeta Amos (9:11), per il sostegno della “capanna di David che cade”; in ebraico nofèlet, al presente, “cadente”, non caduta. La nostra Sukkà è da sempre traballante. Lo era il 16 ottobre del 1943, ricordato ieri, che allora fu di Sabato, terzo giorno di Sukkot; preceduto da giorni di lavoro febbrile delle SS a preparare le liste di migliaia di innocenti da prelevare casa per casa e da deportare e uccidere. In questi giorni alla rovescia il governo d’Israele ha preparato le liste di un migliaio di persone non innocenti da liberare. Davvero un mondo traballante.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
E se il mondo traballa per un prezzo (di sangue!) eccessivo pagato in cambio di una vita, quali saranno le conseguenze del prezzo mostruoso che sta ora venendo pagato non in cambio di una vita, non in cambio di un cadavere, non in cambio di – almeno! – una promessa, ma in cambio di niente, assolutamente niente?
barbara