PER RISTABILIRE LE GIUSTE PROPORZIONI

Elio Cabib
Karl Gorath
Questo è Karl Gorath. Quando aveva 26 anni, il suo amante geloso lo denunciava alla polizia come uomo gay. Il regime nazista aveva rafforzato l’attuale legge tedesca contro l’omosessualità, Paragrafo 175, per punire gli uomini sospettati di cosiddetta ′′indecenza innaturale′′ con altri uomini. Dopo essere stato denunciato, Karl è stato processato e condannato ai sensi del Paragrafo 175 e inviato al campo di concentramento Neuengamme, dove fu costretto a indossare un triangolo rosa sulla sua uniforme da prigioniero.
Il suo allenamento come infermiere alla fine lo ha fatto trasferire in un altro campo per lavorare in ospedale lì; tuttavia, quando una guardia gli ordinò di diminuire le razioni per i pazienti prigionieri polacchi di guerra, Karl si rifiutò. Fu mandato ad Auschwitz come punizione, dove rimase fino alla liberazione nel 1945.
Dopo la guerra ritornò in Germania. La sua convinzione ai sensi del Paragrafo 175 rimase nel suo record perché la Germania Ovest continuò a sostenere la versione nazista della legge. Karl è stato arrestato ai sensi del Paragrafo 175 una seconda volta negli anni ‘ 1950 Al suo processo, il giudice che lo condannava in prigione per omosessualità era lo stesso giudice che lo aveva mandato in un campo di concentramento per lo stesso motivo decenni prima. Dal 1945 fino a quando il Paragrafo 175 fu modificato nel 1969, la Germania Ovest imprigionò circa 100,000 uomini secondo questa legge. Il governo tedesco non ha abrogato completamente il Paragrafo 175 fino al 1994.
Karl fece diversi tentativi di reclamare le riparazioni dopo la guerra, come molti sopravvissuti alla persecuzione nazista. Gli è stato negato. Secondo gli ufficiali, non era ammissibile perché i suoi registri del campo dimostravano che era prigioniero del Paragrafo 175 È diventato uno dei primi sopravvissuti gay alla persecuzione nazista a raccontare pubblicamente la sua storia. Morì nel 2003, dopo molti anni di condivisione delle sue esperienze e attirando l’attenzione sulla situazione dei prigionieri del Paragrafo 175

Scopri di più sulla persecuzione degli uomini gay sotto il regime nazista: https://encyclopedia.ushmm.org/…/persecution-of-homosexuals

(foto per gentile concessione Karl Gorath)

Crediti USHMM

HSA – Holocaust Social Archive [ארכיון השואה]

Ecco: questa è omofobia. Questa è persecuzione, non quella in cui negli ultimi otto anni i reati riferibili all’orientamento sessuale e all’identità di genere sono stati 212, in media 26,5 all’anno. 

Se poi qualcuno si facesse illusioni sullo scopo e sull’impatto della legge, se dovesse passare:
ddl Zan
NOTA: il testo è evidentemente tradotto dall’inglese con alcune improprietà e traduzioni a orecchio o con traduttore automatico (convinzione, record). La traduzione non è mia, e ho lasciato il testo così come l’ho trovato.

barbara

E PER CONCLUDERE (11/17)

Per concludere, in realtà, ci sarebbero ancora tantissime cose da raccontare, emozioni da rievocare, momenti speciali da rammentare. Per esempio il bunker sul Golan dove, il buio rischiarato unicamente da microscopici lumini regalatici da Moti,
lumino
è stata letta la preghiera Unetanneh Tokef,
Unetanneh tokef
composta, secondo la tradizione, nell’XI secolo da Rabbi Amnon di Magonza mentre attendeva di morire con le mani e i piedi amputati come punizione per non essersi voluto convertire. Poi, in quell’atmosfera surreale, ce l’ha fatta sentire cantata, dal cellulare. Adesso chiudi gli occhi, immaginati dentro un bunker in cui non arriva alcun rumore dall’esterno, le volte che si rimandano i suoni, il buio quasi totale, tante persone, vicinissime le une alle altre, in religioso silenzio, il suono un po’ incerto di un cellulare, e ascolta:

E quella lunga camminata – mentre i compagni tiravano fuori e aprivano la bottiglia e preparavano i bicchieri – con i piedi in acqua, e poi anche le caviglie, e poi anche i polpacci, e le onde che ogni tanto si alzavano a inzupparmi il vestito, nella luce sempre più evanescente del tramonto telavivino, avanti e indietro, avanti e indietro, ultima e poi esco, no dai ancora una e poi esco, questa è proprio ultima e poi esco davvero, vabbè, penultima, ma poi veramente…

E il bagno nel mar Morto, con la compagna R. che appena entrata si mette a strillare ahiahiahi mi brucia la jolanda! La cosa buffa è che fra i vari nomi e nomignoli in uso, jolanda non l’avevo mai sentito, e probabilmente neanche gli altri, e ciononostante ci siamo messi tutti a ridere, perché nessuno ha avuto il minimo dubbio sul significato di quella parola – potenza dell’oggetto che riesce a superare quella del nome!

E poi basta, mi fermo. Fra una settimana sarò di nuovo lì, a inzuppare le chiappe nel Mar Morto e a vedere altre cose meravigliose che poi, come sempre, vi racconterò e vi farò vedere. Come ultimissima cosa, prima di chiudere la narrazione di questo undicesimo viaggio, vi lascio alcune foto prese dall’autobus mentre correvamo lungo il mar Morto (ho tolto le più storte e le più sfocate; di quello che rimane, pur storto e sfocato, vi accontenterete). Quegli arbusti che sorgono dal deserto di sale: ci era stato detto che cosa sono, ma non me lo ricordo; sono tuttavia sicura che arriverà la solita mano santa a provvedere.
mm1
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E i solchi lasciati dai piedi delle capre in transito.
perc 1
perc 2
E questo per ora è tutto. Arrivederci al prossimo viaggio.

E la sapete una cosa curiosa? A scrivere questo ultimo post mi sento come se dal viaggio mi stessi congedando veramente solo in questo momento. Come se questo fosse un addio. E me ne viene come una sorta di tristezza.

barbara

 

SE L’ONU SI È TRASFORMATO IN UNA GRANDE MOSCHEA

Mi sembra che questo articolo di Fiamma Nirenstein di qualche settimana fa, sia la cosa più adatta a commentare il post precedente.

Il Giornale, 19 febbraio 2016

L’ONU riesce sempre a farti sbarrare gli occhi nonostante ormai il suo catalogo sia classicamente impregnato di odio antioccidentale, ossessione antisraeliana, abbandono dei diritti umani. Anche stavolta la famosa esperta Anne Bayefsky ci accompagna nei corridoi dell’edificio vetrato ornato, a New York, di tutte le bandiere del mondo. Ma un’occhiata all’interno ci porterà nell’edificio dell’Assemblea generale, a uno stupefacente cumulo di tappeti da preghiera e anche a mucchi di scarpe.
La preghiera è certamente una bella cosa, ma dentro l’Onu sembra essere praticata pubblicamente (un po’ come si vide nei boulevard di Parigi, o in piazza del Duomo a Milano) soltanto da una fede anche oltre la sala da meditazione che era nata per ospitare qualsiasi fede. Fu creata nel 1957 con la supervisione dell’allora segretario Dag Hammarskjold che voleva “uno spazio in cui le porte possano essere aperte alle infinite terre del pensiero e della preghiera”. Adesso, lo spazio è prenotato dalle 11,45 alle 3:00 (l’ONU non dice da chi) ogni giorno. Le preghiere musulmane sono divenute così popolari che i tappetini e le scarpe strabordano anche sui percorsi turistici.
I cristiani, gli ebrei, gli indù, invece, ed è certo una loro scelta, non compaiono mentre la fede islamica ci tiene a mostrarsi dentro il Consiglio Generale. È una ricca presenza anche il Qatar che ha investito milioni in una sala tutta broccati e ornamenti d’oro che Ban Ki-moon ha definito “perfetta per negoziati dietro le quinte”. Tutto questo non è folclore: per quanto la religione debba essere sempre rispettata in quanto tale, tuttavia qui non si può fare a meno di considerarne l’espressione strabordante come un simbolo dell’intera vicenda onusiana.
L’Onu, nato nel dopoguerra per diventare il difensore dei diritti umani contro la violenza e la dittatura dopo gli orrori passati, è stato poi divorato da logiche interne. La presenza strabordante di Paesi non democratici, soprattutto del blocco islamico (57 membri dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica) e dei cosiddetti “Paesi non allineati” (120) ha condotto a una sistematica demolizione dello scopo basilare delle Nazioni Unite, che ha 193 membri: è una pura questione matematica.
Così, per esempio, è stato sempre impossibile definire unanimemente il terrorismo, e possibile invece (sin dall’82) legittimare “la lotta dei popoli contro le occupazioni con tutti i mezzi a disposizione”, evitare la difesa delle persone omosessuali nell’ambito dei diritti umani, seguitare a far circolare l’idea che la Carta islamica dei diritti, in cui le donne sono discriminate e la sharia auspicata, sia una valida sostituta per quella approvata dalle Nazioni Unite, fare di Israele uno Stato canaglia con mille invenzioni pazzesche, e rendere un Paese che rappresenta lo 0,1 per cento della popolazione mondiale oggetto del 40 per cento circa delle risoluzioni dell’Assemblea e del Consiglio per i diritti umani, ignorare le grandi stragi, mettere Paesi come la Cina, la Libia, l’Arabia Saudita in posizioni preminenti nel Consiglio e in commissioni delicate e importanti come quelle per i diritti delle donne…
Insomma l’immagine di tutti quei tappeti e quelle scarpe è difficile da collocare in un ambito puramente religioso, quando pochi giorni fa Ban Ki-moon ha dichiarato che i quotidiani attacchi terroristici a Israele sono frutto della frustrazione causata dal ritardo di una ripresa delle trattative, mentre i giovani terroristi inneggiano alla Moschea di Al Aqsa e dichiarano su Facebook e ovunque possono il loro odio razzista per gli ebrei. Ma questo all’ONU non si dice, non si è mai detto, anzi, l’esaltazione della “causa palestinese” ne è uno dei maggiori oggetti di attivismo, mentre niente si fa per i milioni di vittime della corrente ondata di assassinii e di terrore in Medio Oriente.

E a questo sconfortante resoconto, non ho davvero niente da aggiungere.

barbara

PREGHIERA

Due fratelli sono al Kotel (“muro del pianto” per i profani) con il nonno. Il più piccolo comincia a gridare, chiedendo al Signore un certo giocattolo che desidera.
Il più grande dice: “Yossi, non c’è bisogno che gridi, sai. Il Signore ti sente benissimo anche se non gridi”.
“Lo so che il Signore ci sente bene – dice Yossi – ma è il nonno che è duro d’orecchie”.

barbara

BERGOGLIO BUGGERATO (e gli sta bene)

Vittoria islamica in Vaticano: il papa è caduto in una trappola nella sua preghiera inter-religiosa

Il jihad declamato nei giardini del Vaticano

Invitato in Vaticano a pregare per la pace, il rappresentante musulmano non ha potuto fare a meno di aggiungere un versetto che invita alla guerra. Letto sul blog d’Yves Daoudal:
“Bernard Antony è stato il primo francofono a notarlo e a commentarlo, ed è ancora l’unico nel momento in cui lo scrivo. Era stato messo in guardia da una musulmana convertita, stupefatta di sentire il rappresentante musulmano, nei giardini del Vaticano, durante la preghiera per la pace, recitare (ovviamente in arabo) le ultime parole della seconda sura: “Tu sei la nostra guida, concedici la vittoria sui popoli infedeli”.
La seconda sura, la più lunga, è una specie di riassunto pot pourri del Corano e della sharia. È molto condiscendente verso il jihad, ma è soprattutto antiebraica e anti cristiana. È in questa sura che si trova scritto (versetto 191): “ed uccideteli ovunque li incontriate (…) l’associazione è più grave dell’omicidio (…) e combatteteli finché non ci sia più associazione e la religione sia solo per Allah. (L’associazione è la Trinità).
Uno scrittore egiziano – tedesco, Hamed Abdel-Samad, anch’egli stupefatto di ascoltare queste parole, ha scritto sulla sua pagina Facebook: “Nei giardini del Vaticano il chierico musulmano conclude la sua preghiera col versetto: “Che Allah ci aiuti a riportare la vittoria sugli infedeli. Io chiamo questa una preghiera per la pace!”
(…) È inutile chiedersi chi ha lasciato passare questo appello alla vittoria sui popoli kafir (o kufar). Il testo delle preghiere era stato pubblicato in molte lingue, e naturalmente questo versetto non c’era. È il rappresentante musulmano che, all’ultimo momento, ha aggiunto ciò che doveva aggiungere per essere un buon musulmano…”

(Observatoire de l’islamisation, 13 giugno 2014 . trad. Emanuel Segre Amar, in “Notizie su Israele”)

E dunque il rapimento dei tre ragazzi israeliani può vantarsi di godere della santa benedizione del papa.
Sul rapimento, comunque, continuo a pensare quello che pensavo all’epoca del rapimento di Gilad Shalit: queste situazioni non si risolvono con cartelloni e appelli e preghiere, bensì con un semplicissimo ultimatum: o entro 24 ore ci restituite i ragazzi VIVI e in buone condizioni, o entriamo con tutto (TUTTO) l’esercito e facciamo terra bruciata. E vedete di non dimenticarvi che abbiamo anche Dimona. Fine del comunicato.

barbara

MERCE FRESCA PER I BOICOTTATORI!

Venghino signori, venghino, che più gente entra più bestie si vedono! Prendi due paghi uno! Affrettatevi a boicottare! Non lasciatevi scappare questa occasione straordinaria!

Nel frattempo tre ragazzini israeliani vengono rapiti e i palestinesi, come al solito, festeggiano il lieto evento. Ma non preoccupatevi: adesso che il papa ha fatto il suo bell’incontro di preghiera finirà sicuramente tutto bene, non certo come per loro.

barbara

ISRAELE SI DIFENDE ANCHE COSÌ

Portare il terrorismo alla bancarotta, un’intercettazione dopo l’altra

Akiva Hamilton, 24 novembre 2012, Jerusalem Post


 C’è un’esplosione di amore e di apprezzamento in Israele per quello straordinario strumento tecnologico chiamato Iron Dome che ha salvato tante vite nel sud e nel centro di Israele.
Malgrado questo è stato poco analizzato il vero significato strategico dell’Iron Dome.
L’Iron Dome ha cambiato le regole del gioco in modo tale che non solo consegna l’attuale modello di terrorismo di Hamas e degli Hezbollah al cassonetto dell’immondizia, ma stravolge completamente le dottrine militari di tutti i nemici di Israele.
Prima di esaminare in dettaglio questo cambiamento strategico fondamentale, è necessario occuparsi di un certo numero di importanti fraintendimenti che oscurano questa realtà.
Prima di tutto l’Iron Dome non è più soltanto un sistema difensivo contro missili a corto raggio. La quinta batteria, messa in campo l’ultimo sabato dello scontro, possiede un sistema radar significativamente migliorato (da parte di Elta, un comprimario poco conosciuto della storia dell’Iron Dome) e miglioramenti software che trasformano questo sistema in un sistema di difesa antimissile a corto e medio raggio.
Mentre si descrive Iron Dome come in grado di colpire missili che abbiano un raggio d’azione di 70 km, secondo l’esercito israeliano questo nuovo miglioramento permette di intercettare missili con raggio fino a 200 km. Con questo, il sistema è già in grado di assumersi gran parte delle intercettazioni che il prossimo sistema israeliano antimissile a medio raggio David Sling dovrebbe realizzare.
In secondo luogo non è vero che gli intercettori dell’Iron Dome costino 40.000 o $ 50.000 l’uno. Come in ogni tipo di sistema di alta tecnologia la maggior parte dei costi sono costi di sviluppo e di messa a punto della produzione. Questi costi fissi sono distribuiti sul numero di pezzi stimati che si produrranno e così si giunge al prezzo. Però, se il numero di pezzi da produrre aumenta sostanzialmente rispetto alla stima iniziale, il costo scende in proporzione.
Il reale costo marginale di produzione di un intercettore è basso e riflette i costi degli delle materie prime: metallo, propellente, esplosivi, componenti elettronici usati nella sua fabbricazione e il lavoro richiesto per far funzionare la linea produzione. Se l’esercito ordinerà un numero di intercettori 10 volte più grande di quanto stimato originariamente il costo scenderà intorno $ 5000; se ne ordinerà 100 volte di più il costo potrebbe raggiungere o avvicinarsi al costo marginale di meno di $ 1000.
In terzo luogo il costo reale di missili e dei razzi che l’Iron Dome deve intercettare è stato molto sottostimato da molti commentatori. I missili Grad possono pure costare in Iran soltanto $ 1000 al pezzo, ma questo non è il costo di un missile consegnato ad Hamas a Gaza.
La linea logistica di consegna dall’Iran a Gaza è estremamente contorta e costosa, una linea che comporta enormi perdite per le azioni dell’esercito israeliano che bombarda i convogli e le fabbriche nel Sudan, e per l’intercettazione da parte delle marine militari occidentali. Grosse tangenti devono essere pagate ad ogni passaggio di mano lungo il cammino, in particolare ai beduini del Sinai e ai soldati egiziani di Rafah che dovrebbero fermare il contrabbando. Le perdite continuano poi quando il missile Grad raggiunge Gaza, con l’esercito israeliano che distrugge sistematicamente i depositi di missili.
Così 1000 missili Grad che costano all’acquisto in Iran 1 milione di dollari possono divenire meno di 300 pezzi che costano ulteriori 2 milioni per “spese di consegna”. Così un missile Grad da $ 1000 in Iran, diventa un missile Grad da $ 10.000 a Gaza.
Quarto: Iron Dome è fondamentalmente un sistema di computer altamente avanzato con un ciclo rapidissimo di miglioramento. Finora l’Iron Dome si sviluppa come l’iPhone attraverso continui upgrades di software e hardware e conseguenti incrementi delle prestazioni.
Non solo in futuro continuerà ad essere così, ma in effetti il fenomeno accelererà secondo la legge di Moore e la legge di Ray Kurzweil sui ritorni accelerati che stabilisce che le prestazioni di un sistema di computer crescono esponenzialmente nel tempo.
Con ogni upgrade la percentuale di intercettazioni migliorerà e il raggio di azione dei missili che possono essere intercettati migliorerà ancora di più. Per questo dobbiamo aspettarci che l’Iron Dome raggiungerà un tasso di intercettazione del 95% o anche più alto nel prossimo anno o due e continuerà a migliorare man mano che la velocità e la potenza di elaborazione dei computer che compongono il suo cervello ed i suoi occhi (radar) cresceranno.
La conseguenza pratica di tutto ciò è il rapporto tra i missili sparati e il numero di israeliani uccisi, salito da 50-75 (Libano e Gaza prima dell’Iron Dome) a 300 nel 2011 (75% di intercettazioni) a 500 nel 2012 (90% intercettazioni) malgrado il fatto che Hamas usi missili più letali.
La conseguenza strategica è che l’attuale strategia del terrore di Hamas ed Hezbollah, basata su missili, è stata resa sia inefficace tecnicamente che insostenibile economicamente. Ritengo che attualmente l’uccisione di un singolo israeliano costi ad Hamas (e quindi al suo sostenitore iraniano) circa 5 milioni di dollari (500 missili a $ 10.000 l’uno). Quando l’Iron Dome raggiungerà un tasso di intercettazione del 95% questo numero raddoppierà e ad un tasso del 97,5% raddoppierà ancora a 20 milioni di dollari.
Contrariamente ad alcune opinioni, i terroristi non potranno portare Israele al punto di rottura sparando milioni di missili, perché il costo reale di loro missili eccede il costo marginale dell’intercettore israeliano. Inoltre, molti missili non vanno assegno e l’Iron Dome semplicemente li ignora (a costo zero). In effetti questa strategia porterà l’Iran ad un punto di rottura molto più velocemente di quanto non sia stata portata l’Unione Sovietica alla stessa situazione dalle “guerre stellari” e dalla difesa missilistica del presidente Reagan.
Questo è devastante non soltanto per la strategia del terrore di Hamas e degli Hezbollah, ma anche per le dottrine militari dei nemici di Israele come l’Iran e la Siria, che hanno investito pesantemente in missili e razzi per compensare la loro debolezza in campo aereonautico.
L’Iron Dome è già efficiente al 90% contro molti dei missili a medio raggio siriani mentre il sistema di difesa missilistico israeliano Arrow 2 è ugualmente efficace contro i missili iraniani a lungo raggio. Le ulteriori componenti dell’ombrello difensivo antimissile multistrato israeliano, David Sling e Arrow 3, diverranno operativi nel 2013/14 e seguiranno lo stesso percorso di miglioramenti tecnologici dell’Iron Dome. Come risultato l’arsenale missilistico dei nemici continuerà a declinare in efficacia a tassi esponenziali mentre il tasso di intercettazione del sistema missilistico israeliano migliorerà.
Iran, Siria e i loro satelliti terroristici stanno combattendo una battaglia persa con il progresso tecnologico a ritmo esponenziale in un campo nel quale Israele è il leader mondiale.
L’Iron Dome quindi cambia le regole del gioco ed annuncia la fine dei razzi e dei missili usati da coloro che sono meno avanzati tecnologicamente. In un certo senso, proprio come l’organizzazione nella quale io lavoro combatte il terrorismo con  richieste legali ai terroristi di risarcimento danni, una dopo l’altra, così l’Iron Dome avanza costantemente, intercettazione per intercettazione.


Akiva Hamilton lavora come avvocato per Shurat haDin, organizzazione per i diritti civili e leader mondiale nella lotta al terrorismo attraverso citazioni per danni in giudizi civili.
(Traduzione di David Pacifici)

Dedicato soprattutto a chi è convinto che siccome gli israeliani muoiono meno dei palestinesi (ach, questi ebrei dalla dura cervice che non ne vogliono sapere di lasciarsi macellare…), ciò dimostra che i palestinesi sono buoni e gli israeliani sono cattivi  (quelle famose risposte sproporzionate, you know).

Preghiera per i soldati d’Israele

barbara