PRIGIONE IN IRAN

Per restare in tema, e perché si sappia di che cosa stiamo parlando, quando si parla di prigione in Iran.

Testimonianza di Zaynab Bayazidi
30 settembre 2013 – Nella sua prima testimonianza completa dalla sua fuga dall’Iran, l’ex prigioniera politica Zaynab Bayazidi – attivista curda per i diritti delle donne e dei bambini – descrive i suoi molteplici arresti, interrogatori e detenzione in esilio nella prigione di Maragheh in Iran. Nella sua dichiarazione, Bayazidi illustra accuratamente e dettagliatamente le scadenti condizioni igienico-sanitarie in prigione, le pratiche sessualmente coercitive negli interrogatori, i tentativi di suicidio dei detenuti, il trattamento dei bambini in carcere, gli abusi sessuali sulle prigioniere, violenza in carcere e altre situazioni e pratiche carcerarie che lei stessa ha sperimentato o di cui è stata testimone diretta.
  

Testimonianza di Omidreza Pourmohammadali Farashah
30 settembre 2013 – In questa testimonianza, Omidreza Pourmohammadali Farashah – blogger e attivista del movimento verde – parla del suo coinvolgimento nelle proteste post-elettorali del giugno 2009 in Iran. Egli descrive dettagliatamente il suo arresto a Yazd a causa della sua attività e il suo successivo trasferimento all’ala 2-Alef della prigione di Evin a Teheran. Ha trascorso 72 giorni nell’ala 2-Alef e 74 giorni nel reparto 350 della prigione di Evin, prima di fuggire infine dall’Iran nel dicembre 2011 dopo aver ricevuto una citazione dall’ufficio investigativo della Guardia rivoluzionaria di Yazd. (Qui, traduzione mia)



E non dimentichiamo il martirio di Zahra Kazemi
Zahra_Kazemi
e di Taraneh Mousavi.

taraneh-mousavi
barbara

COME SAREBBE BELLO!

key-to-release
E invece…

Liberare assassini porta la pace

di Stefano Magni

Isaac Rotenberg era riuscito a sopravvivere ai nazisti. Deportato a Sobibor era riuscito a fuggire e a raggiungere la resistenza ebraiche che combatteva nelle foreste dell’Est europeo. Dopo aver corso pericoli mortali di ogni genere, dopo essere scampato al più intenso sterminio della storia, era finalmente “in salvo” in Israele, quando stava lavorando in un cantiere a Petah Tikvah, nel 1994, un anno dopo l’avvio del “processo di pace”. Proprio lì, a casa sua, è stato assassinato a colpi d’ascia da un palestinese, Hazem Kassem Shbair.
Un anziano signore in pensione, Moris Eisenstatt, nel 1994 stava leggendo un libro, seduto su una panchina di Kfar Saba, quando è stato assassinato a colpi d’ascia da un altro palestinese, militante del partito Fatah, Ibrahim Salam Ali. Israel Tenenbaum, lavoratore agricolo, di notte prestava servizio volontario (per arrotondare lo stipendio) come guardia notturna di hotel. Aveva 72 anni quando, nel 1993, l’anno di inizio del “processo di pace”, fu aggredito a colpi di spranga da un militante di Fatah, Salah Ibrahim Ahmad Mugdad. David Dadi e Haim Weizman stavano dormendo nell’appartamento di Weizman, quando due palestinesi, Abu Satta Ahmad Sa’id Aladdin e Abu Sita Talab Mahmad Ayman, hanno fatto irruzione a casa loro e li hanno assassinati entrambi. Per dimostrare ai compagni di lotta che li avevano realmente assassinati, i due palestinesi mozzarono le orecchie alle loro vittime e le portarono come trofeo e prova dell’avvenuto delitto.
Ian Sean Feinberg, 30enne, padre di tre figli, era un idealista: nel 1993, primo anno del “processo di pace”, lavorava e studiava su progetti di sviluppo economico dei territori palestinesi. Era a una riunione di lavoro a Gaza, quando Abdel Aal Sa’id Ouda Yusef lo uccise a colpi di pistola. Tutti questi uomini, cittadini israeliani che avevano solo la colpa di essere ebrei in Israele, non ritorneranno più in vita. In compenso, i loro assassini e molti altri, sono tornati in libertà.
Gli assassini di cui sopra sono infatti parte della lista dei 26 prigionieri palestinesi (definendoli così sembrerebbero quasi dei prigionieri politici, o di coscienza) scarcerati, in cambio di una vaga promessa. Neanche una promessa di pace, ma un impegno, ancora privo di garanzie, a “ricostruire fiducia”. Le vittime israeliane e i loro parenti ancora in vita non hanno diritto di parola.
L’unico ministro che si è opposto alla loro liberazione, Naftali Bennett, è accusato di essere un “fascista”. L’unica preoccupazione apparente dei media italiani pare essere la ripresa delle costruzioni di case negli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Una “provocazione” che, così alcuni dicono, sarebbe stata ottenuta come contropartita alla liberazione dei killer di Fatah. È “realpolitik”, pensa e dichiara il premier Benjamin Netanyahu. Vale la pena di liberare 26 omicidi per costruire quattro case in più? Non solo. C’è la speranza che la loro scarcerazione sia solo un primo passo di un nuovo “processo di pace”. Un po’ come quello degli anni ’90, durante il quale furono assassinate tutte le vittime dei killer di Arafat.

(L’Opinione, 1 novembre 2013)

E poi provate a immaginare

Immaginate per un momento che Baruch Goldstein, l’ebreo che uccise 29 palestinesi musulmani e ne ferì altri 125 alla Cava dei Patriarchi a Hebron nel 1994, non fosse stato ucciso dagli scampati ma catturato, processato, condannato e messo in una prigione palestinese.
Immaginate che Goldstein avesse commesso questo atto in quanto membro di una organizzazione affiliata al partito Likud del primo ministro israeliano Binyamin Netanyahu.
Ora immaginate che Netanyahu dichiari che non ci potrà essere pace fino a quando Goldstein non venga liberato.
Immaginate poi che l’Autorità Palestinese decida di liberare Goldstein per far avanzare il processo di pace, e che migliaia di israeliani celebrino il suo ritorno in Israele, compreso il primo ministro Netanyahu.
Come reagirebbe il mondo? Immagino che Netanyahu sarebbe unanimemente condannato per la sua parte nell’assassinio dei fedeli palestinesi e per avere preteso la liberazione dell’assassino, gli israeliani sarebbero condannati per avere festeggiato il suo rilascio, e la nostra buona fede nel processo di pace sarebbe messa seriamente in dubbio.
Ora immaginate quest’altro scenario: Netanyahu in realtà è Mahmoud Abbas, gli israeliani sono i palestinesi, e Baruch Goldstein è decine di terroristi palestinesi imprigionati per l’assassinio di molti israeliani innocenti.
Ah no, questo non dovete immaginarlo: questo è successo.
Migliaia di palestinesi si sono radunati a Ramallah nelle prime ore di mercoledì mattina per salutare 21 prigionieri liberati dalla prigione israeliana nella West Bank come parte di un accordo per il proseguimento dei colloqui di pace israelo-palestinesi. Altri cinque palestinesi erano stati rilasciati prima a Gaza. Tutti e 26 erano condannati per omicidio, la maggior parte processati per crimini commessi prima degli accordi di Oslo del 1993.
Dalla folla si sono levate acclamazioni, molti portavano bandiere palestinesi e di Fatah, macchine fotografiche, AK-47 mentre gli uomini liberati venivano portati sulle spalle dai furgoni che li avevano portati dalla prigione di Ofer alla città palestinese. Sopra il frastuono si potevano udire spari celebrativi, fischi e grida di Allahu Akbar.
I prigionieri sono stati salutati di fronte al mausoleo di Yasser Arafat, nei pressi del quartier generale dell’Autorità Palestinese a Ramallah, da varie autorità palestinesi guidate dal presidente Mahmoud Abbas che li ha abbracciati e baciati uno per uno.
Rivolgendosi ai palestinesi riuniti, Abbas ha detto che non ci sarà alcun trattato di pace fino a quando ci saranno palestinesi dietro le sbarre in Israele, e che proseguirà nei suoi sforzi per liberare tutti i prigionieri dalle carceri israeliane.
Devo dire che non sto sentendo molte condanne per Abbas e il suo popolo.
Potete leggere altre informazioni sui terroristi rilasciati e sulle loro vittime – fra cui alcuni vecchi e un sopravvissuto all’Olocausto – qui. (fonte sconosciuta, traduzione mia)

barbara

EBBENE SÌ: IL GOVERNO ISRAELIANO È RAZZISTA

Gur Hamel, un prigioniero ebreo israeliano condannato all’ergastolo nel 1999, ha cominciato uno sciopero della fame per protestare contro la decisione del governo di rilasciare dei terroristi arabi che hanno ucciso ebrei in attentati terroristici. Egli denuncia il razzismo del governo israeliano che libera solo gli arabi e non gli ebrei. “Continuerò mio sciopero della fame fino a quando il governo israeliano libererà anche i prigionieri ebrei!” dice in un comunicato inviato a JSSNews dal servizio carcerario.
Hamel è stato condannato all’ergastolo per l’uccisione di un arabo di un villaggio vicino alla città di Itamar, dove viveva. Tre suoi cari amici e vicini di casa erano stati uccisi nel corso della settimana precedente la vendetta di Hamel.
Gli amici di Hamel dicono che l’amministrazione del carcere ha isolato prigioniero, per timore che inciti altri a fare lo sciopero della fame.
Parlando in modo anonimo, un amico di Hamel ha spiegato ai media che «nelle ultime settimane, Gur come tutti gli altri prigionieri ebrei, ha sentito che 104 terroristi arabi sarebbero stati rilasciati, e ha preso molto male questa notizia. Gur ha detto che non c’era nessuna logica nella liberazione degli assassini arabi, mentre si continuavano a tenere in prigione gli ebrei che hanno commesso crimini simili.»
Shmuel Meidad, Presidente dell’organizzazione Honenu, che lavora per liberare i prigionieri ebrei, ha detto che «a differenza dei terroristi arabi che vengono rilasciati, gli ebrei non hanno l’intenzione di tornare a uccidere arabi. Essi cercano di ricostruire le loro vite e mettere su famiglia. Posso capire il dolore di Gur – è impensabile che i terroristi arabi siano liberati e i prigionieri ebrei no. Chiedo che il primo ministro si impegni a liberare tutti i prigionieri ebrei in carcere per crimini nazionalisti. Gli israeliani si aspettano un gesto del governo Netanyahu.»

Elinor Cohen-Aouat – JSSNews (qui, traduzione mia)

Sì, tutto questo si può chiamare in un modo solo: RAZZISMO.

(E poi vai a leggere qui)

barbara

PROPONGO UNA RACCOLTA DI FIRME

E se non basta, anche uno sciopero della fame contro il disumano trattamento di un povero prigioniero.

Breivik protesta in cella: «Caffè sempre freddo»

OSLO – In una lettera di 27 pagine indirizzata alla direzione del carcere, Anders Behring Breivik si è lamentato per le condizioni «disumane» della sua detenzione: caffè servito freddo in un thermos, poco burro da spalmare sul pane, censura della corrispondenza. «Dubito fortemente che esista un luogo di detenzione peggiore in Norvegia», denuncia l’estremista di destra che nel luglio del 2011 uccise 77 persone a Oslo e sull’isola di Utoya, in maggioranza adolescenti, inseguiti e freddati da distanza ravvicinata.
Il giornale norvegese Verdens Gang ha rivelato il contenuto della lettera, che la direzione della prigione non ha voluto commentare. Breivik, 33 anni, è rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Ila, vicino a Oslo, dov’è sottoposto a un regime di isolamento quasi totale in seguito alla condanna a 21 anni. La cella in cui è rinchiuso, si lamenta Breivik, non ha alcun tipo di arredo, né panorama; le manette, che gli vengono messe ai polsi per ogni spostamento, «sono vissute come una ferita mentale» e «provocano con la loro frizione dolorose abrasioni ai polsi».
L’estremista si lamenta tra l’altro delle ripetute perquisizioni dei tre ambienti della sua cella e di quelle corporali, che lo costringono a svestirsi completamente, e protesta perché non ha disposizione il telecomando per cambiare i canali della televisione. L’autenticità dei contenuti della lettera è stata confermata dall’avvocato di Breivik, Tord Jordet.  ©RIPRODUZIONE RISERVATA (qui)

Capite la tragedia? Costretto a vivere in TRE ambienti, peggio di un pollo in una stia! Altro che Asinara, altro che Guantanamo, altro che Siberia! Questa sì che è perversione, crudeltà mentale, barbarie allo stato puro. E gli misurano pure il burro, come se non bastasse: davvero, la mente si rifiuta di capire. Dico sul serio, ragazzi, qui bisogna fare qualcosa.

(E della meravigliosa riscossa israeliana no, per ora non parlo. In compenso vi spedisco a leggere questo e questo).

barbara