LA PRIMA TAPPA

La prima tappa è stata Zichron Yaacov
Zichron Yaacov 1
e precisamente qui
Zichron Yaacov 2
alla casa degli Aaronsohn, in cui si è svolta la storia di NILI: uno sparutissimo gruppetto di giovani decisi a salvare gli ebrei della Terra d’Israele dal destino, incombente anche su di loro, già toccato agli armeni di Turchia – e per quanto incredibile possa sembrare, dovendo affrontare con le proprie uniche forze l’armatissimo esercito ottomano e l’ancestrale diffidenza – quando non vera e propria ostilità – britannica, ci sono riusciti. Pagandone un prezzo personale altissimo, ma ci sono riusciti.
Da quando avevo letto il libro ero alla ricerca di un viaggio che toccasse questi luoghi, e quando ho visto il programma di questo, mi sono immediatamente iscritta: anche se non ci fosse stato nient’altro di interessante, avrei ugualmente affrontato la spesa e la fatica di un viaggio dal programma intensissimo anche solo per questo (poi invece anche tutte le altre tappe si sono rivelate memorabili), e la mia aspettativa non è andata delusa: ho visto il cortile,
cortile Aaronsohn
la casa della famiglia,
casa Aaronsohn
la casa che poi Aaron – l’agronomo che con la sua fondamentale scoperta ha cancellato dalla Terra le carestie – ha fatto costruire per sé;
casa Aaron
le stanze piene di libri e di oggetti esotici, ricordi dei numerosi viaggi; ho visto il nascondiglio della pistola “di emergenza”, usata alla fine da Sarah per risparmiarsi ulteriori violenze e torture. Vedendo i luoghi in cui la storia è nata e si è svolta ho riprovato, se possibile ancora amplificate, le emozioni provate leggendo il libro (leggetelo: è un capolavoro, oltre che una irrinunciabile pagina di storia). E quando sono uscita ho pensato: sì, se anche l’emozione provata qui fosse l’unico guadagno di questo viaggio, sarebbe valsa la pena di farlo.

barbara

TEMA: LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Nei primi anni del 1900 c’era un gran bisogno di fare una guerra perché altrimenti non si vendevano più fucili. Infatti la pace aveva mandato in rovina tutti quanti. Così gli italiani si misero d’accordo con i tedeschi per fare una battaglia sulle montagne che durò tantissimi anni. Solo l’arrivo di Mussolini fermò la guerra ma poi la fece ricominciare. Fu una guerra molto particolare che si disputò in delle lunghe tane scavate qua e là e si decise che avrebbe vinto la squadra che ne avrebbe conquistate di più. I nostri soldati si chiamavano Alpini, quelli tedeschi Stranieri. Siccome non c’erano ancora i carrarmati e i cacciabombardieri, si usavano solo pistole, fucili e baglionette. Qualcuno aveva delle bombe a mano ma non sempre funzionavano. Infatti nel giardino di mia nonna ne abbiamo trovata una ancora viva. Le battaglie funzionavano così: prima ci si ubriacava per bene per essere più allegri (non era divertente vivere dentro la terra), poi si andava a cercare di prendere la tana nemica. A metà guerra però per noi si era messa male di brutto perché gli Stranieri avevano conquistato Capo Retto, dove avevano nascosto il Re. Ma alleati con il Piave che era un fiume che circoncideva la zona di battaglia siamo riusciti a farla franca. La cosa simpatica è che purtroppo ci furono un mucchio di morti ma da allora le guerre si continuano a fare.

D.L. Paese prov. di Treviso

No, niente, così, giusto per cambiare discorso un momento (beh, proprio cambiare, insomma, vabbè…). (Voi comunque non trascurate di andare qui, e di tornarci di quando in quando, perché viene continuamente aggiornato)

barbara

1° AGOSTO 1914

All’inizio sembrava tutto sotto controllo, ma poi, all’improvviso, gii eventi sfuggirono di mano. Sotto la superficie, l’arena politica europea era piena di asperità. Alcuni paesi desideravano ardentemente entrare in guerra, altri erano costretti a farlo, e le scelte di guerra o di pace erano nelle mani di un ristretto numero di persone, i regnanti, spesso capricciosi e incompetenti, ma incontrastati dai loro sudditi.
Lo zar Nicholas stava cercando di governare una vasta nazione anacronistica e ribelle che era stata lasciata indietro durante la rivoluzione industriale. L’imperatore d’Austria Franz Joseph stringeva le redini di un decadente impero multietnico, che ardeva dai desiderio di liberarsi dai suoi padroni di Vienna. La nazione più potente dei mondo, la Gran Bretagna, si trovò a essere sfidata da una Germania aggressiva e da un Kaiser avido e ambizioso. La Francia era ancora offesa per la sconfitta subita dalla Prussia nel 1870-71.
Nessuno voleva aspettare. Tutti volevano agire, o pensavano di avere il dovere di agire immediatamente. Dopo pochi giorni, gli austriaci diedero un ultimatum alla Serbia, i Russi si opposero perché la Serbia era sotto la loro protezione, e i francesi promisero di appoggiare la Russia contro l’Austria. L’Inghilterra cercò di organizzare la seconda e ultima conferenza di pace, che gli austriaci non accettarono. Gli inglesi chiesero quindi alla Russia di ritirarsi.
Il governo tedesco si rifiutava ancora di discutere dell’intera faccenda. Il Kaiser voleva restare al di sopra di tutto. Il 28 luglio, per paura di perdere la Bosnia, l’Austria dichiarò guerra alla Serbia.
I russi si erano mobilitati lungo i loro confini con la Germania, attirandosi così la rabbia dei tedeschi.
Il Kaiser reagì. La Germania dichiarò lo stato di emergenza nazionale e chiese ai Russi di ritirare le loro truppe dal confine.
I francesi non garantirono la loro neutralità; se i tedeschi fossero passati alle vie di fatto, loro si sarebbero schierati a fianco dei russi.
Gli inglesi allora chiesero alla Germania di garantire, nel caso in cui fosse entrata in guerra contro i francesi, che le loro truppe non avrebbero invaso il Belgio. La Germania si rifiutò di fare una simile promessa.
Il 1° agosto, alle ore 15.55, i francesi mobilitarono.
Alle ore 16.00 fu la volta dei tedeschi.
Alle 19.00 la Germania dichiarò guerra alla Russia perché non aveva ritirato le sue truppe dal confine tedesco.
I tedeschi invasero il Lussemburgo e il Belgio, per poter eventualmente sferrare un attacco preventivo laterale alla Francia.
Il 3 agosto la Germania dichiarò guerra alla Francia.
Il 4 agosto la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania.
Presto furono tutti coinvolti. Entrò in gioco la ragnatela dei trattati e dei patti di alleanza. I giapponesi contro i tedeschi; i turchi e il loro decadente impero ottomano al fianco della Germania; gli Italiani contro l’Austria; i Bulgari contro la Francia e la Gran Bretagna. Poi entrarono in campo la Romania, il Portogallo, la Cina e, nel 1917, gli Stati Uniti. Prima del 1918 anche il Perù, il Guatemala, il Nicaragua, la Costa Rica, Haiti e l’Honduras avevano dichiarato guerra alla Germania.
Nessuno poteva immaginare che gli avvenimenti di Sarajevo, a cui nessuno aveva dato importanza, avrebbero provocato una guerra simile; ma quando la guerra scoppiò, tutti si gettarono nella mischia con grande entusiasmo. I francesi avevano sete di vendetta dopo l’umiliazione subita nel 1871 durante la guerra franco-prussiana. Gli inglesi la considerarono un’occasione per dare ai tedeschi una lezione sul potere mondiale. Lo zar la vide come un’opportunità per unire il suo paese e prevenire seri tumulti sociali interni. Voleva inoltre dimostrare che la Russia era cambiata dopo la disastrosa sconfitta da parte dei giapponesi a Port Arthur, nel 1904. Gli emiri turchi pensavano che avrebbero potuto cementare il loro immenso e traballante impero in Medio Oriente.
Il Kaiser Wilhelm II e i tedeschi avevano l’assoluta certezza di non avere nulla da temere. Dopotutto, sulle fibbie delle cinture dell’esercito c’era scritto «Gott mit uns» («Dio è al nostro fianco»).
Dio era al fianco di tutti; al canto del Te Deum, i giovani delle diverse nazioni uscivano dalle grandi cattedrali con la certezza che la loro specifica divinità nazionale avrebbe dato forza alle loro mani e fatto da scudo ai loro cuori. […]
Nessuno capiva il vero orrore di una moderna guerra mondiale. C’erano state alcune dure battaglie durante la guerra civile americana e quella franco-prussiana, ma nessuno avrebbe potuto prevedere gli anni infernali della guerra di trincea, dei gas velenosi, dei carri armati, degli aerei da combattimento, e dell’uccisione di milioni di uomini. (Il banchiere di Hitler, pp. 52-54)

E poi, dopo i milioni di morti, la guerra è finita. E poi c’è stato il Diktat di Versailles, con cui la Francia si è spietatamente vendicata del 1870, quando erano partiti gridando A Berlino! A Berlino! e una settimana dopo i prussiani erano a Parigi (già, non è un’esclusiva dei tedeschi, degli italiani o degli arabi quella di volere a tutti i costi fare le guerre senza poi essere capaci di vincerle. È invece un’esclusiva assoluta dei palestinesi quella di volere a tutti i costi fare le guerre, perderle, e poi dettare le condizioni per concedere benignamente la pace. Le quali condizioni consistono nel suicidio del vincitore. Ma questa è un’altra storia – o forse no). E poi è venuta l’applicazione del Diktat, le cui condizioni erano materialmente impossibili da rispettare; l’economia si è disintegrata, si è arrivati a stampare banconote da un milione di miliardi di marchi, si andavano a comprare due uova con una valigia piena di soldi, i lavoratori avevano mezz’ora di permesso due volte al giorno per fare la spesa perché i prezzi raddoppiavano di ora in ora, si è sfaldato il tessuto sociale, è scomparso ogni valore morale. E poi da più parti si è cominciato a invocare l’avvento di un “salvatore” che ponesse fine a questo caos e soprattutto cancellasse l’infamia del Diktat. E poi il salvatore è arrivato. Il resto è storia nota. Come qualcuno, del resto, aveva lucidamente previsto: «Se scoppierà una guerra dovremo aspettarcene un’intera catena; chi soccombe la prima volta non aspetta infatti che di aver ripreso fiato per ricominciare daccapo.» (Otto von Bismarck in una lettera a Caterina Orlov durante la crisi del Lussemburgo, 1867)

barbara