ABBIATE PAZIENZA, MA BISOGNA CHE CI RITORNI SU

Partendo dalla strana logica che anima certi soggetti

che preferiscono fare le proprie ricerche autonomamente e trarne le proprie conclusioni

Poi c’è la trombosi, quella brutta bestia che terrorizza e induce alla fuga. Ecco, qui abbiamo due calcoli, uno a occhio

e uno preciso.

Vedete un po’ voi. Io, per inciso, prendo la pillola da 34 anni, prima contraccettiva e poi da menopausa, di cui 16 fumando da 60 a 80 sigarette al giorno, e di trombosi non ne ho viste comparire. Se adesso me la fa venire il vaccino rido per una settimana di fila, e se mi ammazza sarò l’unico umano a ridere anche dopo morta. E poi c’è quella cosa detta da Burioni, che quegli svegli non si sono fatti scappare, ossia che AZ sembra poco efficace nell’ostacolare l’infezione, e quelli ancora più svegli l’hanno messa a confronto con un’altra affermazione, che vedono come contraddittoria, senza accorgersi che le due affermazioni parlano di cose diverse

E infine qui un calcolo accurato su queste famigerate infezioni post vaccinali: su 84 milioni di americani che hanno ricevuto entrambe le dosi di vaccino, quelli che hanno contratto l’infezione sono stati 6000. Quindi avete ragione, vaccinarsi è pericolosissimo e fate benissimo a non voler lasciare al nemico il vostro prezioso scalpo.

In ogni caso, vaccino o no:

barbara

ROBERTO BURIONI, I VIRUS E ALTRE STORIE

“… Carlo Urbani è un medico marchigiano di 46 anni, specialista in malattie infettive e appassionato di medicina tropicale.
Carlo Urbani
Grazie alle sue conoscenze e alle sue numerose esperienze di volontariato svolte anche per conto di Medici senza Frontiere, nel 1993 diviene consulente dell’OMS. Il 28 febbraio 2003 Carlo si trova ad Hanoi come specialista di malattie infettive presso il locale ufficio dell’OMS. In questa veste riceve una telefonata dall’Ospedale francese: due giorni prima, il 26 febbraio, avevano ricoverato un paziente cino-americano, Johnny Cheng, che presentava i segni di una brutta forma di polmonite atipica. Il paziente peggiorava rapidamente e aveva raccontato ai medici del suo precedente soggiorno a Hong Kong.
Carlo visita il paziente e mette insieme i pezzi del puzzle. Chiama immediatamente Ginevra, il quartier generale dell’OMS. Da quando il paziente è arrivato nell’ospedale di Hanoi, nel giro di una settimana quattordici persone fra medici e infermieri si ammalano della stessa forma di polmonite. Immediatamente Ginevra allerta il centro di riferimento per i virus respiratori di Manila, nelle Filippine, e raccoglie tutte le informazioni utili da Hong Kong. Nel frattempo, il Canada evidenzia il focolaio di polmonite, partito nel grande Paese nordamericano subito dopo l’arrivo del paziente che aveva soggiornato nel famigerato corridoio del Metropole Hotel.
Insomma, grazie all’allarme lanciato da Carlo Urbani la comunità internazionale si allerta e parte la caccia al virus, nel tentativo di contenere l’epidemia. Contro l’epidemia vinceremo, ma purtroppo, il gesto di Carlo Urbani passerà alla storia come un atto eroico, perché lui stesso contrarrà il virus e morirà di SARS a Bangkok il 29 marzo 2003…”

Questo è un estratto del capitolo che parla della SARS, una malattia causata da un coronavirus, tratto dal mio nuovo libro “Virus: la grande sfida” che sarà in edicola e in libreria il prossimo 10 marzo. Come vi ho detto i proventi derivanti dalle vendite di questo libro verranno devoluti a favore della ricerca scientifica sui coronavirus. Questo pensiamo di farlo attraverso la Associazione Italiana Carlo Urbani, una ONLUS nata in memoria di questo mio eroico collega. Ho già sentito la sua vedova, Giuliana Urbani, che approva convinta.
Naturalmente non sarò solo a decidere come assegnare e a chi assegnare questi premi o borse di studio. Ci sarà un board scientifico che prenderà queste decisioni: questo board sarà presieduto da Guido Silvestri, professore ordinario di Patologia alla Emory University di Atlanta. Insieme a lui ci saranno certamente Massimo Clementi (ordinario di Microbiologia e Virologia del San Raffaele), Pierluigi Lopalco (Ordinario di Igiene dell’Università di Pisa) che mi hanno già dato la loro entusiasta disponibilità. Altri se ne aggiungeranno di eguale livello e li troverete qui.
Per cui speriamo che molte persone comprino il libro, così potremo fare qualcosa di importante e concreto per la salute di tutti, nel ricordo di un eroe che ha sacrificato la sua vita per difendere gli altri da una terribile minaccia. Minaccia che è stata poi vinta, perché la SARS è infine sparita. Speriamo accada lo stesso per questo nuovo coronavirus. (qui)
Virus
Naturalmente l’ho già ordinato. Poi, per smentire le immonde insinuazioni (“instant book”, sempre sul p(r)ezzo”, “una vergogna”, “quando si dice il tempismo”, “Burioni mi fa venire la voglia di diventare antivaccinista”, “ego”, “narcisismo”) delle oche signorine e dei loro cicisbei, aggiungo quest’altro pezzo, pubblicato precedentemente.

Nel maggio dell’anno scorso avevo deciso insieme a Rizzoli di pubblicare finalmente un libro volto a spiegare la scienza, il suo fascino, il suo progresso e non a confutare i cretini.
L’argomento prescelto, ovviamente, riguardava i virus. Ero a buon punto nella scrittura quando a gennaio, esattamente l’otto gennaio, ho capito che in Cina stava succedendo qualcosa di molto grave (e l’ho scritto su Medical Facts). Per questo ho proposto a Rizzoli di velocizzare l’uscita del libro, ritenendo che il modo migliore per confrontarsi con una nuova minaccia fosse quello di fornire alla gente notizie accurate e comprensibili sui virus e sulle epidemie. Questa necessità negli ultimi giorni è diventata ancora più pressante, e l’urgenza di questo libro ai miei occhi maggiore.
La mia convinzione di sempre è che nella corretta informazione sia il segreto per vincere il pregiudizio e combattere il panico e la paura. Proprio per questo ho fatto di tutto, insieme a Rizzoli, perché questo libro potesse essere disponibile il prima possibile. Lo troverete in libreria, online (e in edicola insieme al Corriere della Sera) il 10 marzo. Tre cose devo precisare.
La prima è che ho avuto il piacere di scrivere questo libro a quattro mani con l’amico e collega Pier Luigi Lopalco, un amico e un grandissimo epidemiologo. Questo è stato non solo un onore e un piacere, ma anche l’occasione per imparare da lui cose che non sapevo e acquisire un punto di vista sulla diffusione delle malattie infettive tanto originale quanto importante per la mia formazione scientifica e culturale.
La seconda è che, grazie alla disponibilità di Rizzoli, il libro avrà un prezzo minore dei miei precedenti (15 euro invece di 18), l’ebook sarà disponibile a un prezzo ridotto e in un daily deal a 2,99 euro. L’abbiamo ritenuto doveroso considerando l’importanza dell’argomento.
La terza è che tutti i proventi che mi deriveranno dalla vendita di questo libro saranno da me devoluti a favore della ricerca scientifica sui coronavirus. A seconda dell’importo potrà essere un premio per un giovane ricercatore, una borsa di studio, dipenderà dalla cifra che sarà disponibile e vi terrò aggiornati su Medical Facts.
In giro c’è molta paura, e io penso che il miglior modo per tranquillizzare un bambino che pensa che in una stanza buia c’è un mostro è semplicemente accendere la luce. E’ quello che io e Pierluigi abbiamo cercato di fare scrivendo questo libro. Spero che vi piaccia. (qui)
Roberto Burioni
Come si può vedere, tutte le volgari insinuazioni di oche signorine e cicisbei sono altrettante pisciate – puzzolenti – fuori dal vaso. D’altra parte fra gli odiatori di Roberto Burioni abbiamo roba come Chef Rubio, Travaglio, Red Ronnie, Giulia Innocenzi, Tiziana Ferrario (“bullo e sessista”), tutti virologi ed epidemiologi di prim’ordine con al proprio attivo quattro Nobel a testa: tutti con le carte in regola, insomma, per demolirlo. Poi se vi resta ancora qualche minuto e un po’ di voglia di leggere, suggerirei di leggere questo, e poi, a proposito di epidemie e di regali che ci arrivano dalla Cina, direi che è assolutamente imprescindibile questo – per la verità è tutto il blog che merita di essere seguito, per l’interesse degli argomenti, per l’accuratezza delle indagini storiche per la (questa me la faccio approvare dall’Accademia della Crusca, che oltretutto è molto meglio di petaloso) brillanza della scrittura. Quanto al virus coronoso che è “più o meno come una comune influenza”, va guardato questo, stampato, ingrandito, appeso alla parete e tenuto costantemente sotto gli occhi.
infl vs cv
barbara

NON SOLO SAN FRANCESCO

Anche gli israeliani hanno trovato il modo di parlare con gli animali.

Ricercatori israeliani sviluppano un gilet vibrante per comunicare con i cani

Un nuovo gruppo di ricerca interdisciplinare presso l’Università Ben-Gurion del Negev (BGU) in Israele ha sviluppato un modo completamente nuovo di addestrare i cani usando le vibrazioni legate al tatto.
Il team ha sviluppato un gilet in mesh modificato, che incorpora la tecnologia tattile, adatto per essere indossato dai cani. Il gilet include quattro piccoli motori vibranti indolori che funzionano tramite telecomando.

Yoav Golan ha sviluppato la tecnologia
Yoav Golan, l’autore principale dello studio e dottorando in ingegneria meccanica alla Ben Gurion University, spiega a Nocamels che un cane che indossa il gilet imparerà “ad associare vibrazioni diverse a comandi diversi. Una vibrazione farà girare il cane, mentre un’altra lo farà venire da te”.
Golan ha affermato che lo studio, dal titolo “A Vibrotactile Vest for Remote Human-Dog Communication”, è il primo ad esplorare la tecnologia tattile e i comandi dei cani. I risultati sono stati presentati alla World Haptics Conference il 12 luglio a Tokyo, in Giappone, una conferenza internazionale che tratta i principali risultati scientifici, gli sviluppi tecnologici, gli algoritmi e le applicazioni nel settore.
In queste situazioni la comunicazione non vocale è vantaggiosa e persino preferita.
“Oggi la comunicazione con i cani che svolgono determinati lavori, che vanno dalla ricerca al salvataggio, è ancora prevalentemente visiva e uditiva“, scrive il team nello studio.

Questa tecnologia, sostiene il team, può anche aiutare a “riconnettersi con animali domestici in fuga, a far comunicare con i cani persone con problemi di linguaggio e persino a comunicare con cani sordi”.
La maglia tattile è una scelta ideale quando non è possibile la comunicazione vocale, ad esempio in un ambiente rumoroso, con un cane sordo o con un proprietario o gestore di un cane che ha una disabilità del linguaggio.
In questi scenari, l’uso del giubbotto tattico è molto più facile che battere le mani quando si ha bisogno di avvisare il tuo cane.
Il gilet è stato già testato sul cane di Golan, un mix di Labrador e German Shepard chiamato Tai.

L’obiettivo futuro
In futuro lo studio, sostengono i ricercatori israeliani, metterà alla prova la tecnologia del giubbotto tattico su diverse razze, età ed esperienza di addestramento di cani e integrerà dispositivi più avanzati nella ricerca e nel salvataggio.

(SiliconWadi via https://www.ilvangelo-israele.it/, 26 luglio 2019)

Si noti la finezza di quel “german shepard”, in inglese, per evitare “pastore tedesco”.

barbara

ISRAELE NOVE (10)

Laassùùù nellee montaagneeee (3)

Il monte Hermon, al confine fra Israele, Siria e Libano,
monte Hermon
coi suoi 2814 metri, è il più alto di Israele. Lungo la strada per arrivarci si incontra questa fortezza
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Hermon 3
(sì, questa volta sono storte le foto, perché le ho prese al volo dall’autobus cercando di beccare l’attimo dello spazio fra un gruppo di alberi e l’altro – e non sempre riuscendoci), che ha la particolarità di essere l’unica costruita dai musulmani e non dai crociati. Alla cima si arriva poi con la seggiovia,
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di cui ho già parlato (e una volta arrivati c’è chi passa il tempo a raccattare da terra decine di bossoli – perché in quest’area si effettuano le esercitazioni militari). Da lassù si possono ammirare postazioni militari, sparse in tutta l’area e che è vietatissimo fotografare,
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e panorami mozzafiato,
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anche con vista sull’orsacchiotto che ci ha accompagnati per tutto il viaggio.
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E questo è un osservatorio e centro ricerche.
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Scendendo verso sud si incontra il monte Bental,
Bental map 1
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sul quale i caschi blu dell’Onu fanno finta di guadagnarsi il pane posando di tanto in tanto una mano distratta sul cannocchiale puntato verso il Libano, chiacchierando e frequentando, soprattutto nella stagione fredda, il vicino bar.
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Anche da qui si gode una magnifica vista sulle superbe coltivazioni più a valle,
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e, anche qui, strepitosi panorami.
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Queste sono sculture costruite con pezzi dei missili che arrivano dal Libano;
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questa hanno detto che sono io in cattedra, e quindi non potevo fare a meno di farmi immortalare al suo fianco.
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Quello che si vede lì dietro è il bar, dall’interessante nome che si può leggere sulla mappa, in cui non solo tocca fare file chilometriche per poter godere di una sana pisciata, ma addirittura, quando sono andata io, in una delle due toilette toccava fare alla cieca perché non c’era luce (e voglio vedere gli uomini!). E poi, scendendo, si incontrano questi giocattolini
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con cui si farebbe molto volentieri a meno di giocare, ma abbassare la guardia, da queste parti, è un lusso che non ci si può permettere, e le difese devono essere sempre pronte.

barbara

NON DITELO AGLI ANIMALISTI!

Una notizia straordinaria sul fronte dell’Alzheimer: all’Università di Tel Aviv il team della professoressa Ilana Gozes ha individuato una proteina che è naturalmente preposta alla protezione delle cellule cerebrali. Il suo utilizzo medico per la protezione delle funzioni cognitive, non solo le difende dal degrado, ma è in grado di RIPRISTINARE tali funzioni. Per ora siamo ancora ai topi ma questa ricerca ha tutti gli aspetti di una breccia nei misteri che avvolgono la terribile malattia. (qui l’articolo completo).
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Ecco, ora, se lo vengono a sapere gli animalisti, cercheranno come al solito di boicottare la ricerca (non fatevi illusioni: i topi sono infinitamente più importanti, più preziosi, più sacri dei vostri nonni). Parleranno, come al solito – e come sempre del tutto a sproposito – di vivisezione, terribile parola che evoca sangue, cervelli scoperchiati, pance aperte con le budella in mostra, tubi e cavi peggio di una centralina infilati da tutte le parti, tutta la solita paccottiglia di fotomontaggi splatter con cui vogliono colpirci al cuore e impedirci di ragionare. E, soprattutto, cercheranno di convincerci che tutte queste sperimentazioni sono del tutto inutili, peggio: dannose (giuro, l’ho letto: c’è un sacco di gente che muore per colpa delle sperimentazioni animali mentre potrebbero salvarsi con le cure “vere”. Magari quelle di Vannoni, chissà). Intendiamoci, non è che io auguri a tutta questa bella gente di beccarsi qualcuna di quelle malattie che si guariscono con cure sperimentate sugli animali e che loro sicuramente, per coerenza, non cureranno, morendo così con aspri duoli peggio di Bertoldo. Ma se dovesse capitare, non ci si aspetti che io mi commuova.
E, come sempre, FORZA ISRAELE!

(Poi vai a leggere questo. E non azzardarti a non farlo)

barbara

IO STO CON CATERINA

Caterina è lei,
Caterina Simonsen
che vive grazie alla sperimentazione animale e che perciò si sente dire “Puoi morire pure domani, per te non sacrificherei nemmeno il mio pesce rosso”. Ecco, io invece sacrificherei molto volentieri il proprietario del pesce rosso. E tutti gli animalisti in blocco. Quelli che per fare più impressione chiamano vivisezione ogni forma di sperimentazione. Quelli che per “sensibilizzare” pubblicano immagini di animali ridotti a polpette sanguinolente prese da chissà dove, più o meno come i filopallestinari prendono da ogni dove cadaverini di bambini straziati spacciandoli per i boveri bambini balestinesi massacrati dai perfidi giudei. Quelli che “gli animali poverini”. Quelli che “ma noi con che diritto”. Quelli che “ci sono alternative valide” e giù col rosario delle disinformazioni varie miste a manetta. Ecco, impiccatevi tutti, dal primo all’ultimo.
Le persone oneste, invece, possono trovare informazioni serie qui.
(POST SCRIPTUM: poi, volendo, si potrebbe anche ricordare che Hitler amava tanto tanto gli animali, ed era vegetariano, astemio, e non fumava. Praticamente la perfezione fatta persona. E anche Beria, che forse ne ha ammazzati un po’ di meno, ma mica tanto di meno)

barbara

CHE FORTUNA PER I BOICOTTATORI!

Adesso ne hanno una nuova da boicottare!

Gli scienziati israeliani offrono la soluzione alla fame

Vediamo che cosa dirà il movimento di boicottaggio di Israele se Israele riuscirà a sviluppare nuove tecnologie per ridurre la fame, rendendo possibile la crescita delle colture nella siccità. Forse incolperà Israele per la riduzione dei prezzi del cibo.

Da: Aryeh Savir, Tazpit News Agency
Pubblicato: 19 agosto 2013

Un team di scienziati israeliani ha sviluppato una nuova tecnologia in grado di minimizzare carestie e conflitti, consentendo coltivazioni in tutto il mondo anche in condizioni di siccità.
Il professor Shimon Gepstein, cancelliere del Collegio Kinneret, dirige un gruppo di lavoro con l’obiettivo di modificare geneticamente una pianta in modo che possa resistere alla siccità per mezzo di una “autoibernazione” dopo un determinato periodo senza acqua e poi “resuscitare” quando riceve nuovamente acqua, senza che la struttura fisica della pianta subisca alcun danno.
Un portavoce del Collegio Kinneret ha detto alla Tazpit News Agency, che i risultati si stanno già mettendo in pratica e che aziende internazionali hanno espresso interesse per questa tecnologia.
La scoperta è avvenuta per caso durante la conduzione di esperimenti per prolungare la longevità delle piante e la durata di conservazione delle verdure. Sperimentando su foglie di tabacco, gli scienziati sono riusciti a sviluppare una pianta che vive due volte più a lungo, producendo fiori e frutti molto tempo dopo che le piante regolari sono appassite e morte. Quando le punte delle foglie vengono tagliate, le piante regolari ingialliscono e muoiono dopo una settimana, mentre le piante geneticamente modificate rimangono verdi per 21 giorni.
La svolta si è avuta quando alcune piante sono state lasciate nella serra incustodite per quattro settimane. Le piante di tabacco devono essere bagnate ogni due o tre giorni.
Quando il team ha scoperto che le piante erano rimaste inalterate e non avevano perso la loro vitalità, ha deciso di effettuare una serie di test su piante modificate e regolari che non sono state innaffiate per tre settimane. Le piante regolari sono morte, e quelle modificate hanno ripreso a crescere dopo aver ricevuto l’acqua, senza avere subito alcun danno durante la “siccità”.
La nuova tecnologia, se commercializzata, creerebbe una rivoluzione dato che gli scienziati prevedono che i cambiamenti climatici aumenteranno il numero e la gravità delle siccità in tutto il mondo.
In Israele e in altre zone aride, il grano piantato all’inizio dell’inverno e i germogli sviluppatisi dopo una pioggia precoce saranno in grado di sopravvivere a una successiva siccità.
La nuova tecnologia potrebbe anche alleviare una crescente carenza di acqua globale, in quanto le piante sopravvissute all’esperimento necessitano di appena un terzo della quantità normalmente necessaria. (qui, traduzione mia)

E poi beccatevi anche questo.

barbara

NON SIAMO RIMASTI SEDUTI A PIANGERE

RIDARE LA VITA

Difficilmente si riesce a pensare ad un progetto più commovente: per vent’anni il pianista italiano Francesco Lotoro ha raccolto 4000 spartiti dimenticati, scritti nei ghetti e nei campi di concentramento da ebrei uccisi durante la Shoah. Li registra e li conserva per i posteri. Ora il musicista – convertitosi all’ebraismo durante il lavoro – chiede una cosa sola allo Stato d’Israele: aiutatemi a conservare l’opera della mia vita

di Menachem Gantz

Si tratta di uno dei progetti più splendidi e commoventi che si possano immaginare nel mondo della musica. Il lavoro del pianista Francesco Lotoro fa rabbrividire, provoca dolore e suscita la riflessione. Tuttavia, porta con sé anche molto ottimismo. Da quasi vent’anni raccoglie e studia ogni pezzo d’informazione, ogni nota e ogni suono nelle opere scritte da musicisti – per lo più ebrei – durante la Seconda Guerra Mondiale, spesso molto vicino alla loro morte. Ha raccolto oltre 4000 spartiti di opere classiche, brani d’opera lirica e pezzi jazz scritti da prigionieri nei campi nazisti.
La maggior parte dei compositori è morta nella Shoah e, settant’anni dopo, Lotoro sta dando nuova vita alle loro opere. Se Lotoro non avesse dedicato la vita alla ricerca di queste opere straordinarie, probabilmente non sarebbero mai state scoperte. Grazie al suo meticoloso lavoro, le opere vengono anche pubblicate. Dal 1996, Lotoro – pianista e musicologo di formazione – ha trovato migliaia di opere perdute, le ha completate e le ha anche registrate in dischi prodotti da lui, che ravvivano i suoni dimenticati.
La contraddizione intrinseca all’opera di Lotoro è chiara: la musica è un processo in cui l’artista è chiamato a trovare l’armonia perfetta al fine di presentarla poi al pubblico. Come’è possibile, quindi, che proprio nei momenti più bui dell’umanità, le vittime siano riuscite a trovare quell’armonia e comporre opere musicali così particolari, pur sapendo che la morte era vicina? Lotoro continua tuttora a cercare una risposta.
“Noi, oggi, troviamo difficile capirlo. Cerchiamo di spiegarlo da esseri liberi, senza realmente aver vissuto una tragedia simile”, spiega Lotoro, 48 anni, in un’intervista speciale a Yediot Aharonot, “Ma si sa che, quando si è vicini alla morte, a volte le forze umane raddoppiano. Molte tra le vittime comprendevano chiaramente che non avrebbero lasciato nulla ai posteri: né case, né danaro, e che, di fatto, nulla della loro esistenza sarebbe rimasto in questo mondo – tranne la musica. Non sono riusciti nemmeno a scrivere un testamento, perché non hanno veramente detto addio alla vita. Il loro testamento è espresso in capolavori”.
Un’ulteriore spiegazione che Lotoro dà alla creatività è proprio il divieto di continuare a comporre imposto dai nazisti ai musicisti nei campi e nei ghetti. “Quando ad un essere umano si porta via la libertà, si toglie la libertà di esprimersi, va a finire che la cerca a tutti i costi”, spiega Lotoro. “Il divieto rende l’essere umano più coraggioso. Prendiamo ad esempio il prigioniero politico ceco Rudolf Karl, che era discepolo del grande maestro Antonin Dvořák. Karl fu arrestato dai nazisti e compose un’intera opera lirica in cinque atti, scritta sulla carta igienica poco prima di essere ucciso ad Auschwitz nel marzo 1945”.
Dopo una ventina d’anni di lavoro, il progetto di Lotoro sta suscitando molta eco in Europa, soprattutto grazie al giornalista francese Thomas Saintourens, che ha pubblicato recentemente il libro “Il Maestro: la ricerca della musica nei campi”. Il libro descrive una ricerca, durata tre anni, fatta sul lavoro di Lotoro, ed è stato accolto con molto interesse dal pubblico. Lotoro, per parte sua, spiega che la sua passione per le opere perdute è nata nei primi anni Novanta, inizialmente per un interesse puramente musicale. Ha sentito parlare per la prima volta dei musicisti ebrei del campo di Theresienstadt durante le lezioni del noto musicologo israeliano Prof. David Bloch, morto nel 2010. “I nazisti volevano presentare un’illusione [di normalità] e hanno addirittura incoraggiato i musicisti a Theresienstadt a comporre e suonare, sotto stretta censura”, racconta Lotoro. “Mi sono recato a Praga, ma lì ho capito che il mio viaggio era solo al suo inizio. Ho continuato verso i campi di sterminio, Auschwitz, i musei, le biblioteche, i conservatori e le università. Risulta che certe opere sono state portate in salvo anche da parenti. Ho indagato presso i superstiti, coloro che sono sopravvissuti ai campi e hanno trasmesso le opere”. Secondo Lotoro, negli anni Novanta riusciva a raggiungere dei superstiti vivi. Oggi si tratta di figli e nipoti che gli trasmettono scritti e note.
Da allora ha trovato non meno di 4000 opere scritte durante la Seconda Guerra Mondiale. “La ricerca è iniziata raccogliendo 407 opere di musicisti ebrei sterminati”, ricostruisce Lotoro. “Man mano che andavo avanti, ho cominciato a capire che si trattava di un patrimonio musicale incredibile, molto più grande. Fino al 2000 circa raccoglievo solo composizioni di ebrei, ma poi ho compreso che noi, da ebrei, non ricordiamo solo le ingiustizie subite da noi. Mediante la memoria delle persecuzioni e della Shoah, ricordiamo ingiustizie e tragedie di profondo significato umano. Perciò, ho iniziato a cercare anche opere di non ebrei”.
Questa impegnativa attività ha influito anche sulla vita personale di Lotoro, che vive nella cittadina di Barletta, nel sud d’Italia. Nel corso del suo lavoro, egli ha scoperto le radici ebraiche della sua famiglia ed il fatto che facesse parte della comunità di marrani provenienti dalla Spagna. Nel 2004 ha deciso di convertirsi all’ebraismo. “Col tempo, sono divenuto una fonte di nozioni, in una materia che non riesco più ad arginare. Mi sento in dovere, come uomo e come ebreo, di continuare a dedicare la mia vita a questo argomento”.
La pesante responsabilità che si è accollato trova espressione nell’aspetto del piccolo studio in cui lavora. Semplicemente affoga nel materiale, senza poterlo affrontare. “Qui ci sono migliaia di lettere, di negativi di fotografie, di foto, di interviste e di testimonianze che non ho la capacità di raccogliere come si dovrebbe” – non si vergogna di confessare. “Sarebbe doveroso mettere questi documenti su un computer, creare un archivio ordinato. Purtroppo, non ho i mezzi economici per farlo. Non ho neppure un’equipe di aiutanti o di assistenti. Di giorno studio pianoforte ed insegno, e le notti le dedico alla ricerca ed all’archiviazione”.
Se dipendesse da lui, trasferirebbe ad un ente o ad un’autorità israeliana tutti i tesori che ha raccolto nei lunghi anni di lavoro. “Queste opere non appartengono a me. Appartengono in primo luogo all’umanità ed al popolo ebraico. Se tutti questi dotati musicisti non fossero stati sterminati, molto probabilmente la cultura umana ed il mondo musicale del XX secolo si sarebbero sviluppati in modo diverso”.
Sono poche le sue aspettative da una qualche organizzazione o da persone private in Israele.
“In Israele mi è stato dato tanto appoggio personale, soprattutto da parte di amici e di musicisti che mi hanno sempre incoraggiato a continuare a raccogliere informazioni, ma mai da un ente ufficiale. Vorrei che il mio archivio facesse l’aliyà in Israele. Ma, se non si troverà chi prenderà a cuore questo patrimonio, forse lo donerò al Comune, qui in Italia, perché ospiti in un sito apposito gli scritti che ho trovato”.
Malgrado siano passati quasi 70 anni dalla fine della Guerra, l’opera di Lotoro continua ininterrottamente. “Io inseguo collezionisti che conservano spartiti rari, che possono costare dai 60 ai 400 euro. Tento di procurarmi finanziamenti per viaggi in Polonia, per spedizioni postali, ma non ci riesco. Credo che continuare questa ricerca debba essere considerato come un comando divino”. Il grosso timore di Francesco è che il lento ritmo del suo lavoro possa tenerlo lontano da altre opere che non ha ancora conosciuto.
“Le opere che ho raccolto indicano che, in quegli anni, la musica si sviluppava su due canali” – racconta Lotoro, riassumendo il frutto della sua ricerca – “C’era la musica che veniva scritta apertamente nel ‘mondo libero’, e che i nazisti ed i loro collaboratori incoraggiavano ed apprezzavano. E c’era la musica clandestina, scritta da carcerati: Victor Ullmann, Pavel Haas, Gideon Klein, Hans Krasa – tutti compositori pionieri di un linguaggio musicale molto avanzato. Malgrado fossero distaccati dallo sviluppo della musica ‘libera’, hanno composto delle opere uniche, sorprendenti, toccanti. Hanno perfino scritto esplicitamente, come risulta dalle affermazioni di Victor Ullmann: ‘non siamo rimasti seduti a piangere sulle sponde dei fiumi della Babilonia. Non ci siamo chiusi nel lutto, abbiamo cantato, abbiamo vissuto!’. Questo era il loro messaggio. Pur avendo perso la vita nella camere a gas ad Auschwitz, Ullmann non vedeva il futuro del popolo ebraico come quello di un popolo in estinzione, bensì un popolo che sarebbe sopravvissuto, malgrado l’orribile tragedia della quale era testimone”.
Lotoro precisa che l’inseguimento della musica è per lui prioritario rispetto alla storia personale dei compositori, ma ammette che le due cose siano inseparabili. “Ciò che mi ha sempre guidato, il mio vero interesse, è la musica. E’ chiaro che sia doveroso capire dove è stata scritta ed in quali circostanze. Forse questa musica non è sostanzialmente diversa da quella di Chopin o di Beethoven, ma, contrariamente alle loro opere, se ne devono comprendere le circostanze, il prezzo che i compositori hanno dovuto pagare per comporre la loro musica”.
Francesco non riesce a scegliere l’opera più importante tra quelle che ha scoperto, ma una gli è rimasta particolarmente impressa. “Ho trovato nell’archivio del settimanale italiano L’Espresso una canzone d’amore resa nota nell’aprile del 1960 e scritta da un ebreo sconosciuto. Nella canzone, egli descriveva il suo amore per Celeste Stella Di Porto, una giovane ebrea, e la vendetta che pretendeva per chi lo aveva scoperto e portato al suo arresto a Roma, prima di essere mandato ad Auschwitz”. Nonostante le parole siano rimaste, la musica non è stata conservata e non è mai stata trovata. “Per anni, passavo per le vie del ghetto ebraico a Roma e cercavo ebrei sopravvissuti alla Shoah, chiedendo loro se conoscevano questa canzone. Una volta ho perfino trovato un’anziana signora che aveva acconsentito a cantarmela, ma poi si è pentita. Finché un giorno, il mio amico Cesare Sonnino mi ha chiamato da Roma per dirmi che sua madre, Ester, ricordava benissimo la musica della canzone. Me l’ha passata al telefono e lei me l’ha cantata tutta per ben quattro volte, senza avere davanti il testo. Non posso descrivere quanto grande è stata la mia commozione!”.
(Ufficio Stampa dell’ambasciata d’Italia a Tel Aviv)

Sono sempre stata convinta che ci sono persone che si scelgono una missione, e missioni che si scelgono una persona: Francesco Lotoro direi proprio che è stato scelto, e non ha potuto fare altro che rispondere, come Abramo, hinnenì, eccomi (e i miei più vivi complimenti alla missione, che davvero non avrebbe potuto scegliere una persona migliore e più adatta).





barbara

PER QUEL BUDINO DI RISO…

Il viaggio di ritorno lo feci con uno zio, fratello di mia madre, Marcus Yudkewicz, che stava cercando sua moglie Lotka. Prima passammo per Lódz, dove lui trovò una cognata da cui seppe che sua moglie era viva a Konin. Mi ricordo quando arrivammo in città e i miei zii si ritrovarono: fu come un miracolo. Lei viveva con tua cugina Felunia, a casa di Lola Birnbaum.
Mia zia, Lotka Blum, era di Konin; si erano sposati poco prima della guerra e avevano avuto una bambina, Renia, che allo scoppio del conflitto avevano affidato a una famiglia polacca. Dopo essersi ritrovati cominciarono a cercare Renia, ma invano: non sapevano se fosse viva o morta. Si rivolsero alla famiglia che l’aveva tenuta, ma nessuno aveva idea di cosa le fosse successo. Dissero che era stata portata via. Era sparita nel nulla.
Qualche tempo dopo i miei zii si trasferirono a Lódz, mentre io rimasi a Konin ancora un paio di mesi. Andai a vedere la nostra casa, però ebbi paura di entrare: alcuni ebrei erano stati uccisi per avere cercato di riprendersi le loro abitazioni. Non era certo un periodo tranquillo. Io abitavo con Chayim Czerwonka, che si era installato nel suo appartamento in un vecchio edificio sul Tepper Mark. Un giorno mi recai a Varsavia con lzzy Hahn per comprare un tamburo. A quell’epoca si viaggiava gratis dentro il Paese. Andammo anche alla mensa del JOINT, l’unico posto dove si poteva mangiare un budino di riso.
A tavola mi accorsi che una donna, seduta di fronte a me, non smetteva di guardarmi. Quando qualcuno ti fissa così, non riesci nemmeno a, mangiare. Alla fine le domandai seccato: “Se ha tanta fame, perché non mangia?” E lei rispose: “No, non è la fame: lei somiglia a una persona che conosco, una bambina.” Pensai subito alla figlia di mio zio, e le chiesi: “Dov’è questa bambina?” “Oh, molto lontano”.  Allora mi feci dare l’indirizzo e decisi di andarci immediatamente: era un convento di Poronin, un paese a circa seicento chilometri, non distante da Cracovia.
Lasciai a Izzy Hahn il compito di cercare il tamburo e partii da Varsavia. Arrivato a Cracovia, mi diressi affamato al JOINT, dove mi diedero da mangiare e le indicazioni per raggiungere Poronin. Era un paese di montagna; il convento stava arroccato in cima a un cocuzzolo. Alle sette del mattino seguente ero già arrivato. Aprii la porta per vedere se ci fosse qualcuno e mi trovai mia cugina davanti. La riconobbi subito, lei capì chi ero e scoppiammo a piangere tutti e due. Aveva solo sette anni e non sapeva più nulla dei suoi genitori. Rimasi al convento quella notte, e il giorno successivo ci lasciarono partire. Impiegammo dieci giorni per raggiungere Lódz. I suoi non sapevano ancora niente. Quando entrammo in casa, la feci aspettare giù nell’androne non volendo provocare uno shock troppo forte nei genitori. Era mattina presto, e mio zio aprì la porta preoccupato: “Cosa ci fai qui a quest`ora?” Risposi: “Non ti allarmare: vi ho riportato Renia.” La bambina salì e trovò i suoi genitori. È una storia vera, merito di quella sconosciuta che continuava a fissarmi mentre mangiavo il budino di riso. (Konin)

barbara