VERED DEI VINI E ALTRE STORIE (13/12)

Questa è Rehelim, nella regione di Samaria,
Rehelim 1
qui in una visione più ampia.
Rehelim 2
Qui non c’era niente fino al 27 ottobre 1991, solo la Strada 60. Sulla quale, quel giorno, transitavano alcuni autobus con comitive di israeliani di Giudea e Samaria, diretti a Tel Aviv per protestare contro i negoziati di Madrid (quelli che avrebbero portato due anni dopo ai famigerati accordi di Oslo destinati a scatenare la peggiore catastrofe nella storia di Israele. E mi ricordo la mia collega A., con un ghigno sarcastico da dare i crampi allo stomaco: “E adesso che gli israeliani sono stati taaanto buooooni da accettare di trattare coi palestinesi, anche noi dovremo essere tanto buoni da perdonare oltre trent’anni di crimini e di infamie”). Quel giorno di ottobre, dicevo. E quelle comitive. E quegli autobus. Fu esattamente in questo punto che uno degli autobus fu attaccato da terroristi palestinesi. L’autista Yitzhak Rofeh, di Gerusalemme, e Rachel Drouk, di Shilo, rimasero uccisi. Il giorno dopo i funerali di Rachel, donne da tutta Giudea e Samaria giunsero qui, montarono delle tende e vi si insediarono, nonostante la disapprovazione ufficiale. Per molto tempo vissero qui solo donne e bambini, e solo in un secondo tempo divenne un insediamento normale, che nel 1999 ottenne finalmente il riconoscimento statale. Le donne giunte con le tende (le donne! E pensare che c’è chi, per lodare il carattere, la forza, la determinazione di qualcuno, non trova di meglio che dire che “ha le palle!” Faites moi rire) decisero di chiamare questo posto Rehelim, plurale di Rachel: per Rachel Drouk, per Rachel Weiss, uccisa il 30 ottobre 1988 in un attacco con bombe molotov all’autobus su cui viaggiava, targeted by militants, scrive con pudore wikipedia, che provocò cinque morti e cinque feriti, e per la matriarca Rachele.

A Rehelim si arriva costeggiando Itamar (dove abbiamo potuto vedere, sia pure da lontano, la casa del massacro) e salendo poi per ammirare questo panorama.
sopra Itamar 1
sopra Itamar 2
sopra Itamar 3
sopra Itamar 4
sopra Itamar 5
sopra Itamar 6
E questa è Vered
Vered
nata a Gerusalemme da genitori olandesi: padre ebreo, figlio di sopravvissuti alla Shoah, madre cristiana successivamente convertita. Lei e il marito Erez Ben Sa’adon, nato a Gerusalemme da genitori provenienti dal Marocco e dall’Iran, nel 1997, pochi mesi dopo il matrimonio, investono il denaro ricevuto come regali di nozze nell’acquisto di alcuni acri nel villaggio di Brakha,
Brakha
su cui impiantano dei vigneti, vendendo poi l’uva ad alcune cantine; col nascere dei movimenti BDS le cantine cedono alle pressioni degli acquirenti europei e rifiutano di acquistare dai “territori”, così l’intraprendente coppia decide di produrre il vino da sé: seguono un corso di vinificazione e nel 2003 aprono la cantina Tura a Rehelim, una decina di chilometri più a sud, con quattro botti, per poi giungere, nel 2010, a una produzione di 12.000 bottiglie l’anno e a numerosi riconoscimenti internazionali per la qualità dei loro vini. Naturalmente subiscono le consuete distruzioni di vigne da parte degli arabi, ma loro continuano imperterriti, non senza impegnarsi a rispettare il precetto “crescete e moltiplicatevi”.
famiglia Sa'adon
E questi siamo noi,
cantina toura
seduti ad ascoltare Vered e poi a degustare questi vini assolutamente straordinari. E l’olio: un olio speciale, a bassissima acidità, del quale aveva preparato un vassoio con dei micro bicchierini, invitandoci ad assaggiarlo. Quasi tutti hanno fatto una faccia strana: bere l’olio?! Io invece ci ho provato: prima ho intinto la punta della lingua e ho sentito una cosa molto diversa da quella che si sente quando si ha l’olio sulla lingua, ossia quella fastidiosissima patina oleosa: ecco, quella non c’era. E allora l’ho bevuto e, per quanto buffo possa sembrare, era buono! Aveva un che di leggero, come se fosse un olio poco olio, ecco (poi l’ha assaggiato anche l’uomo dei gatti, che era seduto al mio fianco e mi serviva come un autentico cavaliere, e ha confermato le mie sensazioni). E insomma sono uscita di lì pienamente soddisfatta. E qui finisce la storia di Vered insieme a tutte le altre storie.

barbara

SONO ANDATA IN GIUDEA E SAMARIA (13/3)

Che sarebbero quelle regioni che i nemici di Israele chiamano “i territori”, spesso con l’aggiunta di “occupati”, oppure “palestinesi”, essendo fermamente convinti che una roba che si chiama Giudea, coi giudei non può avere niente a che fare – e lo fanno dire pure all’Onu e all’UNESCO. Oppure Cisgiordania, o West Bank; io le chiamo col loro nome, Giudea e Samaria, in ebraico Yehuda VeShomron, in arabo al-Yahudiyyah was-Sāmarah, Samaria a nord e Giudea a sud.
Ci sono andata con un autobus blindato e dotato di schermo con telecamera a circuito chiuso con quattro riquadri, che riprendono la strada, la cabina di guida, la prima metà e la seconda metà dell’autobus,
autobus blindato
in modo da poter riprendere qualunque attacco, in qualunque parte dell’autobus o della strada esso avvenga, e che sia ben visibile all’autista, rigorosamente dotato di pistola infilata nella cintura: perché nei territori di coloro che le anime belle si ostinano a indicare come partner per la pace, solo così si può entrare con la ragionevole certezza di uscirne vivi, anche nelle aree C e B – e mi piacerebbe tanto tanto chiedere a quelli che strepitano di costruzioni illegali et similia se hanno una qualche idea di che cosa questo significhi, magari scommettendoci su qualcosa, che sarebbe la volta buona che divento ricca. In ogni caso, dovesse mai passare di qui qualche disinformato in buona fede, lo spiego io: in base agli accordi di Oslo, il territorio di Giudea e Samaria è stato suddiviso in tre diverse categorie: aree C, abitate da israeliani e sottoposte ad amministrazione israeliana, aree B, con popolazione palestinese e amministrazione (leggi soprattutto sicurezza) israeliana e aree A, con abitanti e amministrazione palestinesi. Va da sé che nelle aree C qualunque palestinese, salvo eventuali casi particolari, può entrare e circolare liberamente, mentre all’ingresso delle aree A si trova questo cartello.
cartello ingresso zona a
Si noti in particolare il “pericoloso per le vostre vite”: perché è ovvio che quando un palestinese si trova davanti un israeliano, la cosa più logica che può fare è di ammazzarlo. Vabbè, ci sono andata, dicevo, e ho visto tutte quelle cose che gli attivisti del boicottaggio si guardano bene dal voler vedere, non sia mai che si debbano accorgere che gli unici autentici nemici dei palestinesi sono loro.
Quanto a voi, mettetevi comodi, che adesso un po’ alla volta vi racconto.

barbara

AGGIORNAMENTO: un’aggiunta e due precisazioni. Avevo dimenticato di dire che mentre nelle aree A non possono vivere israeliani, nelle aree C vivono circa 100.000 palestinesi.
Nelle aree B l’amministrazione civile è sotto giurisdizione palestinese, mentre la sicurezza è sotto giurisdizione israeliana.
Il divieto di entrare nelle aree A (per gli israeliani ebrei: gli arabi israeliani possono entrare senza problemi) è israeliano, per non rischiare che qualcuno si trovi in situazioni di pericolo, costringendo l’esercito a entrare, con tutte le complicazioni che la cosa comporterebbe (ve lo immaginate un cartello al confine con la Svizzera che dicesse “Italiani non entrate che se no vi fanno la pelle”?
Grazie a Sharon per le precisazioni.

GLI INSEDIAMENTI SONO IL PIÙ GRANDE OSTACOLO ALLA PACE

insediamenti
E visto che a guardare l’immagine non avete perso tempo, spendiamone un po’ per tornare ai fatti di attualità, restando sempre in tema di balle e bufale.
La prima riguarda un “eroe”: vi ricordate quando, dopo la strage all’Hyper Cacher i giornalisti avevano fabbricato la favoletta dell’eroe musulmano che aveva salvato un bordello di gente dalla mattanza? Bene, contando sull’alloccaggine e sulla memoria corta del loro pubblico, adesso ne hanno fabbricata un’altra identica per lo stadio di Parigi: ogni volta che si scatena una mattanza ad opera del terrorismo islamico, ci viene fabbricato il “musulmano buono” chiavi in mano, che rischia la vita per salvare gli innocenti, e mentre le sinagoghe vengono lasciate sguarnite, la guardia repubblicana presidia la grande moschea, non sia mai che a qualche malintenzionato venga in mente di andare a fare la bua ai poveri musulmani. E poi date un’occhiata anche a queste altre balle qui e qui.
Post scriptum: e mentre l’Europa si diletta a “etichettare”, In Iran perfino la solidarietà è un reato che costa la galera.

barbara

DALLE PARTI DI SDEROT

Da una parte investono tutti i (nostri) soldi per fare la terra rossa di sangue. Dall’altra investono parecchi dei loro soldi per fare la terra rossa di fiori.
fiori
Kibbutz Nir Yitzhak, presso Sderot

Poi vai a leggere questo e questo, e infine goditi questa strepitosa chicca del conferimento della cittadinanza onoraria “a Sua Eccellenza il signor Maùdde Abbasce Abbumazen, Presidente lo stato di palestina…”

barbara