Che una dice massì, parto presto così arrivo presto. E nonostante sia uno di quei rarissimi momenti in cui potrei senza problemi dormire anche tre ore di fila e poi riaddormentarmi e dormirne altre tre, mi faccio la levataccia. Preparo le mie cose, corro giù per le scale, salto in macchina, arrivo alla stazione, parcheggio, entro, riesco miracolosamente a trovare una macchinetta funzionante per timbrare il biglietto, salgo in treno, arriva l’ora della partenza e il treno non parte. Tre minuti e non parte. Cinque minuti, dieci minuti, non parte. Poi finalmente parte, ma non riesce a recuperare tutto il ritardo, e quando arriviamo la coincidenza si sta beffardamente avviando. E dunque devo aspettare il treno successivo, un’ora dopo, col quale a Bolzano trovo solo un intercity delle ferrovie tedesche per il quale in biglietto delle ferrovie dello stato non vale e ne devo fare un altro, che da Bolzano a Verona mi costa quasi come quello che avevo fatto per tutto il viaggio. Vabbè. A Verona prendo finalmente il quarto e ultimo treno di questo viaggio un po’ sfigato e improvvisamente si ferma in aperta campagna. Dopo un po’ il capotreno (la capotreno? La capatreno? La capessatreno? La capotrena? La capotrenessa?) spiega che siamo fermi “causa abbattimento sbarre passaggio a livello, in attesa dell’arrivo delle autorità competenti”. Perché le sbarre dei passaggi a livello, you know, sono di un sensibile da non credere, soffrono di depressione cronica e basta un niente, tipo che uno le guarda male, e quelle subito si avviliscono e si abbattono. E insomma dovevo arrivare alle quattro e mezza e sono arrivata alle sei e mezza. In tempo lo stesso per riuscire a incontrare lui,
in tutta la sua sfolgorante bellezza e coi candidi capelli spumeggianti, ma giusto giusto una toccata e fuga, un caffè, due chiacchiere e fine, tempo scaduto.
Al ritorno invece niente, tutto tranquillo. A parte un treno soppresso.
E arrivata qui devo fare una confessione. E lo so che per i miei fedeli lettori sarà una delusione di proporzioni epiche, ma per onestà lo devo dire: in tutti i treni che ho preso – e sono stati ben sette – non ho visto neanche una passeggera coi capelli di color “rosso improbabile”. Niente, neanche una. Ho visto un ragazzo che aiutava tutte le donne, giovani e vecchie, a sistemare le valigie. E un altro ragazzo guardare con le mani in tasca una signora, sicuramente ultrasettantenne, tirare giù, faticosamente, una valigia piuttosto ingombrante. E una signora con un paio di etti di silicone dentro le labbra e un brillantino su una narice e un altro sopra la bocca e un paio di nei blu disegnati sulla faccia tipo damina del Settecento e alcune altre amenità. E una ragazza greca molto carina, bionda naturale con gli occhi azzurro-verde luminosi arrivata qui, per sfuggire alla crisi, su invito di un’amica che le aveva promesso un lavoro. Solo una volta arrivata ha scoperto qual era esattamente il lavoro che le si offriva. Per fortuna era arrivata qui a spese sue e aveva con sé tutti i documenti, ed è riuscita a filarsela prima di restare impigliata nella rete. Ma ancora così sconvolta da sentire il bisogno di raccontarlo, pur col suo italiano stentatissimo. Cioè insomma volevo dire che ho visto e incontrato gente di tutti i tipi, ma signore coi capelli di colore “rosso improbabile” neanche mezza. Spero che, per l’affetto che mi portate, riuscirete prima o poi a perdonarmi.
barbara