E A PROPOSITO DI MEMORIA

Ripesco dai miei ricchi archivi questi tre pezzi. I primi due riguardano due articoli di Giuliano Zincone da me commentati, pubblicati su Informazione Corretta quindici anni e mezzo fa.

CARO SHARON, NON SAREBBE ORA DI DIMENTICARE LA SHOAH?

di Giuliano Zincone

Questo articolo pubblicato a pag. 17 di Sette, che vorrebbe essere intelligentemente provocatorio, è in realtà un’ammucchiata, di dubbio gusto, di pregiudizi ed errori.

Zincone esordisce spiegando che ritiene giusto commemorare gli eventi gloriosi del passato, gli eroi, “tutte le persone che hanno meritato monumenti perché, soffrendo, lottando, lavorando o combattendo, ci hanno tramandato una qualche fulgida eredità”. Meno d’accordo è che si insista “ossessivamente a perpetuare la memoria degli eventi luttuosi” (per inciso: forse sarebbe giusto che a commemorare la Shoah fossero i nazisti, visto che per loro è stato un fulgido successo). E qui parte all’attacco:

Un popolo intero (uno Stato, un governo) s’è costruita un’identità fondata su lutti recenti o antichissimi.
E questo è esattamente ciò che si chiama “parlare senza sapere di che cosa si sta parlando”: con questa affermazione Zincone dimostra infatti di non avere la minima idea di che cosa sia l’ebraismo e di quali siano i suoi valori fondanti – né quelli dello stato di Israele.

Ariel Sharon, primo ministro d’Israele, giustifica la repressione dei palestinesi evocando la Shoah (Tragedia) che sterminò milioni d’ebrei.
Doppio errore: primo, Sharon non ha mai attuato nessuna repressione dei palestinesi bensì una pura e semplice difesa di Israele dal terrorismo, secondo, né Sharon né nessun altro israeliano si è mai sognato di giustificare alcunché evocando la Shoah. Ed è davvero singolare come continui ad avere credito questa strana leggenda (ricordiamo, tra l’altro, il discorso di Kofi Annan all’inaugurazione dell’orgia antisemita di Durban). Il sospetto è che si tratti di quella che in psicanalisi si chiama “proiezione”.

Davvero: una cultura straordinaria come quella ebraica, che ha dato al mondo non soltanto una religione, ma anche una quantità sterminata di artisti sublimi e allegri, non può ridursi alla celebrazione perpetua di cordogli e paure. Eppure è così. Davanti al Muro del Pianto si commemora ancora, con strazio, un evento di duemila anni fa: la distruzione del Tempio di Gerusalemme, eseguita dagli antichi romani.
E potremmo chiedere a Zincone che cosa ne pensi del fatto che i cristiani commemorino ancora un evento luttuoso di duemila anni fa eseguito dagli antichi romani. E potremmo chiedergli se ricorda che quella distruzione è stata la causa di una diaspora durata duemila anni, e di duemila anni di persecuzioni e massacri culminati in quella Shoah che egli suggerisce di dimenticare.

Rispettosamente, ritengo che una cura a base di oblio sarebbe utile e opportuna.
Rispettosamente, riteniamo che una cura a base di fosforo sarebbe utile e opportuna per Giuliano Zincone.

 

“LO DICONO ANCHE GLI EBREI …”
ultima spiaggia dei malpensanti

Tre settimane fa Giuliano Zincone aveva pubblicato su “Sette”, supplemento del Corriere della Sera, un articolo – puntualmente criticato in questo sito – in cui parlava di un governo, una nazione, un intero popolo fondati sul ricordo della Shoah, accusava Sharon di usare strumentalmente la Shoah come giustificazione per qualunque azione gli venga in mente di compiere e invitava caldamente a dimenticare la Shoah. Sommerso di critiche, ha deciso di tornare sull’argomento per meglio chiarire il suo pensiero e, come spesso accade in questi casi, il risultato è ciò che nel Veneto viene qualificato come “pezo el tacòn del buzo” (peggio il rammendo del buco). Già il titolo, non imputabile a Zincone, ma che riassume bene il suo pensiero, la dice lunga: “Cari lettori, ribadisco: ricordare la Shoah non fa sempre bene”. E siamo perfettamente d’accordo, c’è un sacco di gente a cui non fa per niente bene ricordarla: a tutti coloro – e non pochi sono ancora vivi – che l’hanno perpetrata o che vi hanno collaborato, a quelli che in qualche modo la giustificano, a quelli che “Sì, certo, Hitler ha esagerato, però”, a quelli che, per un motivo o per un altro, hanno la coscienza sporca e non amano doversi confrontare con essa. A tutte queste persone ricordare la Shoah fa molto male.

E veniamo al merito dell’articolo. “Ho elogiato l’oblio in una mia recente rubrica – scrive Zincone – e, tra gli altri esempi, ho menzionato anche il culto delle memorie negative che, secondo me, assedia il popolo ebraico e che disegna la sua identità agli occhi del mondo”. A parte il fatto che, per la verità, non ricordiamo “altri esempi” – ma non vogliamo sottilizzare – già in questa frase ci sarebbe del lavoro estremamente interessante per uno psicanalista: perché Giuliano Zincone vede il popolo ebraico assediato dal culto delle memorie negative, mentre il popolo ebraico non si vede affatto così? Perché questo fantomatico “culto” disegna l’identità dell’ebraismo agli occhi di Zincone, che egli poi scambia per gli occhi del mondo? E perché mai Zincone si immagina che il popolo ebraico non abbia altro da fare che preoccuparsi di come lo vede Giuliano Zincone? “Per questo ho ricevuto molte accuse d’ignoranza e (addirittura) d’antisemitismo – continua Zincone – Non ho alcuna intenzione di ritrattare ciò che ho scritto ma capisco che è impossibile persuadere chiunque ad abbandonare le proprie persuasioni profonde”. Verissimo: si è dimostrato che non c’è fatto o evidenza al mondo capace di convincere Zincone ad abbandonare le sue fantasiose convinzioni. “Esiste un’associazione – prosegue – che si chiama ‘I figli della Shoah’ e che, dunque, coltiva il ricordo della Tragedia”. Estremamente interessante – e ci si perdoni la deformazione professionale – quel “dunque”: tra il chiamarsi “Figli della Shoah” e il coltivare un colpevole ricordo della Tragedia, per Zincone, c’è uno strettissimo rapporto di causa-effetto. Vorremmo informare il signor Zincone, per quello che può valere, che anche chi scrive questa nota, pur non avendo alcun rapporto personale con la Shoah, fa parte della suddetta associazione, e ciononostante si veste di rosso e di giallo, racconta barzellette e ogni tanto, sì, ogni tanto le accade persino di ridere; non passa i suoi giorni e le sue notti a macerarsi nel dolore e nel pianto e non ha votato la propria vita al culto delle memorie negative – ma difficilmente Zincone sarà disposto a prendere in considerazione questi trascurabili dettagli. E incalza: “Secondo me un simile atteggiamento è triste e luttuoso: nella Bibbia, in fondo, si celebrano le vittorie di Davide, non i disastri”. E dunque il buon Zincone attribuisce, di sua iniziativa, un certo atteggiamento al “popolo ebraico” (circa tredici milioni di persone, evidentemente, secondo Zincone, prodotte con lo stampino), decide che quell’atteggiamento è “triste e luttuoso”, ossia fortemente negativo, e chiede agli ebrei di liberarsene (e, per inciso, per potersi permettere di citare la Bibbia, forse sarebbe il caso di leggerne qualcosina di più di una mezza pagina). “Ma questa è soltanto una mia opinione, che non è affatto offensiva”: se un’opinione sia o non sia offensiva, bisognerebbe chiederlo a chi ne è investito, non certo a chi l’ha formulata. Spiega poi che l’oblio è salutare e pacifico perché le memorie e i rancori suscitano micidiali desideri di rivincita, e a questo proposito vorremmo invitare il signor Zincone a denunciare pubblicamente tutte le organizzazioni ebraiche occupate a tempo pieno a vendicarsi ammazzando tedeschi, polacchi, ucraini ecc.: sono organizzazioni criminali, e noi abbiamo il diritto di conoscere i criminali che si aggirano fra di noi!
E arriviamo al gran finale. “Tra le molte obiezioni che ho ricevuto, due investono il cuore del problema. Nella prima si afferma che non è vero che gli ebrei tendano a definirsi come ‘Il popolo della Shoah’. Nella seconda si dichiara che la memoria delle persecuzioni è inevitabile e sacrosanta. Rispondo. 1) E’ possibile che molti israeliti siano stanchi di vedersi rappresentati esclusivamente come vittime. Ma non c’è dubbio che questa sia la loro immagine divulgata e accettata nella cultura dell’Occidente. [segue una rassegna di libri e film sulla Shoah] Tutto questo costruisce intorno agli ebrei un’identità che assomiglia a una gabbia. 2) Ricordare le sofferenze è giusto, ma non ci si può limitare a questo. Altrimenti si rischia di trascurare la cultura, l’arte, l’allegria che gli ebrei diffondono nel pianeta: promesse di vita, non eterni funerali”. E rispondiamo alle risposte di Zincone: il suo ragionamento è molto simile al gioco del gatto che rincorre la propria coda credendola un giocattolo e non rendendosi conto che il giocattolo non c’è. Certo che gli ebrei sono stufi di questa gabbia, solo che non se la sono costruita loro: gliel’hanno costruita tutti gli Zincone di cui il pianeta purtroppo trabocca: LORO perseverano a volere gli ebrei vittime (e trovano intollerabile che si difendano per smettere di esserlo); LORO hanno creato e divulgato questa immagine dell’ebreo; LORO si rifiutano di vedere la cultura, l’arte, l’allegria che gli ebrei non hanno mai smesso di diffondere nel pianeta; LORO sono incapaci di vedere altro che gli eterni funerali. E memori di una tecnica vecchia di millenni, ribaltano la responsabilità di tutto questo sugli ebrei.
E infine la ciliegina sulla torta: “Sulla Stampa è citato un libro (Ebrei senza saperlo) di Alberto Cavaglion, intellettuale israelita, che scrive: ‘L’eccesso di memoria è una fuga dal presente, dalla responsabilità dell’azione politica’. Cavaglion forse ha ragione. Ma aggiungerei che l’eccesso di memorie (negative) è anche una fuga dalla serena felicità. Shalom, fratelli”. E anche questa è una tecnica antica e ben consolidata: quella del “lo dicono anche gli ebrei”. Sappiamo che esistono poliziotti che spacciano droga, ma nessuno spacciatore si è mai giustificato dicendo: “Lo fanno anche i poliziotti”, né abbiamo mai sentito un pedofilo protestare : “Ma se lo fanno anche i preti!”: nessuna persona ragionevole sarebbe disposta a prendere in considerazione simili argomenti. Ma quando si tratta di ebrei, la tattica funziona sempre: basta che un ebreo, uno qualsiasi dei tredici milioni, dica qualcosa di negativo nei confronti di altri ebrei o di un qualche aspetto dell’ebraismo, e immediatamente scatta la molla, immediatamente gli antisemiti si buttano come squali sulla preda per poter gridare al mondo intero: “Ecco, vedete, lo dicono anche gli ebrei!” Loro, evidentemente, si sentono giustificati; noi non li giustificheremo mai.

Doverosa nota postuma. Quando ho scritto questo testo non conoscevo Alberto Cavaglion; adesso lo conosco, e ritengo estremamente improbabile che possa avere scritto qualcosa di ostile all’ebraismo. Ritengo molto più probabile che Zincone abbia estrapolato una frase alla quale, senza riportare il contesto specifico, si può far dire ciò che si vuole. E si noti, per inciso, quel “intellettuale israelita”: evidentemente il signor Zincone temeva che “ebreo” fosse una brutta parola.

E arrivo al terzo documento, di sedici anni fa. Dopo Giuliano Zincone che invitava gli ebrei a smettere di crogiolarsi nel proprio vittimismo, è stato il turno di Sergio Romano, che ha affermato che  gli ebrei sono praticamente impegnati a tempo pieno a scovare antisemiti – di cui sembrano avere un gran bisogno – difficilissimi da trovare, dal momento che di antisemiti non ce ne sono praticamente più. Avevano entrambi ragione, come dimostra questo messaggio ricevuto dall’EBREA Deborah Fait, dallo stesso autore dei messaggi riportati qui.

Salve ebrea di merda, sporca come tutti gli ebrei a causa di una patina di infamia non lavabile nemmeno con l’acido muriatico.
Ancora viva? Nessun eroico kamikaze si è fatto esplodere per ripulire quella terra che occuppate abusivamente senza averne diritto?
Ricordatevi bene, state tirando eccessivamente una corda,e quando questa si spezzerà partiranno le vendette che saranno assai più truculente della causa che le ha generate. E allora la vostra memoria storica di popolo aborto dell’umanità rimpiangerà i campi nazisti* che al confronto vi sembreranno dei villaggi vacanze.

ISRAELE NON DEVE ESISTERE PERCHE’ LA PRETESA DI RIVENDICARE LA TERRA CHE FU DEI VOSTRI AVI DUEMILA ANNI FA E’ RIDICOLA ED ARROGANTE.
UNITI QUINDI IN UN ANTISEMITISMO SENZA ESITAZIONI, UNITI NELLA LOTTA PER LO STERMINIO DEL POPOLO EBREO.
MORTE A TUTTI GLI EBREI E AGLI AMERICANI VOSTRI AMICI!!!!
LIBERIAMO L’EUROPA DAL COMPLOTTO PLUTO-GIUDAICO-AMERICANO, NESSUNA PIETA’ PER L’EBREO E PER L’AMERICANO TORTURATO, LE BESTIE DEVONO AVERE UN TRATTAMENTO DA BESTIE!!!!

SALUTI

IL CAPO ISPETTORE

* Impossibile non ricordare le parole di Mordekhay Horowitz: «Gli arabi amano i loro massacri caldi e ben conditi…e se un giorno riusciranno a “realizzarsi”, noi ebrei rimpiangeremo le buone camere a gas pulite e sterili dei tedeschi….».

Poi vorrei invitarvi a leggere questo bell’articolo dell’amica Gheula, e infine ricordare che “mai più” ha un solo significato possibile: questo.
mai più
barbara

I CONFINI E ALTRE STORIE


Cari amici,
avete presente la cartina dell’Europa fra il 1919 e il ’36? Forse no, ma potete guardarla qui (http://www.tntvillage.scambioetico.org/?act=showrelease&id=156445), se vi interessa: L’Italia aveva l’Istria e un pezzo di Dalmazia, la Francia la Saar, la Polonia comprendeva un bel pezzo dell’attuale Russia e Ucraina, su cui c’era anche un po’ di Cecoslovacchia. La Germania aveva perso un pezzo di territorio a favore della Francia, ma teneva quella che oggi è Polonia occidentale e addirittura l’enclave che oggi è Russia, intorno a Kaliningrad (allora Koenigsberg)?
Giusto, sbagliato? Difficile dire, le città istriane erano italiane da sempre, A Koenigsberg erano nati Kant e Hanna Arendt… Fino al ’39, poi Hitler si annesse Austria e l’attuale Cechia (http://www.lager.it/espansione_della_germania_nazista_1936_1939.html). Nel ’45 la carta era del tutto diversa: l’Italia aveva perso l’Istria e provvisoriamente anche Trieste, la Germania tutta la parte a est della linea Oder-Neisse ma anche la Polonia aveva dovuto  arretrare di 100 chilometri i suoi confini orientali. (http://www.naturalmentescienza.it/ipertesti/1900/900figure/confini.htm).
I movimenti di popolazione furono immensi, i rifugiati decine di milioni, mescolati alle vittime della guerra e della Shoàh. Probabilmente i confini del ’29 corrispondevano meglio ai dati storici ed etnici, ma quelli del ’45 garantirono la pace e reggono ancora, a parte le divisioni interne ai paesi successive al crollo del “socialismo reale”.

Perché vi dico questo? Per affermare due principi: il primo è che a seconda della data che si sceglie come punto di riferimento i confini cambiano. La seconda è che il modo per produrre una convivenza pacifica fra nazioni che sono state nemiche, è accettare i confini risultanti dalla storia. Questo può non avvenire subito: l’Italia accettò la perdita dei territori orientali solo trent’anni dopo la fine della guerra col trattato di Osimo (10 settembre 1975).
L’importante è che se qualcuno oggi dicesse in Italia che dobbiamo riconquistare Fiume e Zara, per non parlare di Nizza e la Corsica, sarebbe preso per un pazzo pericoloso.
E così per i tedeschi che rivolessero Praga o Breslau, o per gli ungheresi che puntassero a riprendersi la Transilvania. In buona parte le popolazioni interessate si sono trasferite o assimilate. Pochi ricordano la lunga storia italiana di Nizza (che include Garibaldi) o quella di Pola e Spalato.

A questa regola, c’è un’eccezione, Israele.
Nell’opinione pubblica internazionale è passata l’idea che ci sia un confine “giusto” che separerebbe Israele e la Palestina e che questo non è quello acquisito nell’ultima guerra (quella del Kippur 1973), che comprendevano l’intero Sinai e bei pezzi dei paesi arabi circostanti, e neppure della penultima, quella del ’67, che ebbe risultati analoghi; e neppure la terzultima, quella del ’56, che portò comunque alla conquista del Sinai; ma quella del ’48-49 (http://it.wikipedia.org/wiki/Conflitti_arabo-israeliani).
Notate che tutte queste guerre, compresa quest’ultima, si conclusero con accordi armistiziali che escludevano esplicitamente che le linee del cessate il fuoco fossero confini definitivi; ma chissà perché oggi si parla delle linee del ’49 come “confini” del ’67. Notate che dall’altra parte di queste linee non c’era mai uno stato Palestinese, mai esistito da quelle parti (prima del ’48 c’era un mandato britannico finalizzato dalla Società della Nazioni alla costruzione di uno stato nazionale ebraico, prima degli inglesi, da secoli, i turchi), ma solo eserciti di stati arabi invasori (Egitto, Giordania, Siria, perfino l’Iraq…).
E notate anche che tutte le guerre di cui stiamo parlando furono guerre di aggressione e di sterminio, da cui Israele si dovette difendere: di qui l’esigenza di “confini sicuri e riconosciuti” per Israele , che la risoluzione 242 dell’Onu collega al ritiro da alcuni dei territori conquistati in guerra (non necessariamente tutti, il testo inglese della risoluzione, ponderato con cura, dice “from territories” non “from the territories” – cosa che Israele ha fatto lasciando il Sinai e Gaza.

Ultima considerazione. I nemici di israele, quelli esterni al mondo ebraico come Sergio Romano (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=44811) e anche quelli interni “pacifisti”,  partono dal fatto che i territori al di là della linea verde fossero privi di ebrei al momento della guerra del ’67.
In effetti lo erano, ma solo perché al momento della conquista giordana del ’49, gli arabi avevano proceduto a una spaventosa pulizia etnica, espellendo tutti gli ebrei non solo da Gerusalemme (“Est”, cioè la città vecchia) e da Hebron, dove stavano ininterrottamente da tremila anni, ma anche dagli insediamenti agricoli che avevano fondato molti decenni prima su zone desertiche e spopolate.
Per esempio la cintura a SudEst di Gerusalemme, chiamata Gush Etzion, che Romano vede come un’invasione programmata dal governo attuale, risale agli anni Venti del Novecento (http://en.wikipedia.org/wiki/Kfar_Etzion).

E qui di nuovo  bisogna tornare alla nostra cartina dell’Europa.
Nel 1935 la popolazione ebraica di città come Varsavia e Cracovia era intorno al 20%. Nel ’45 era vicina a zero. Qual è il termine di riferimento per discutere dell’insediamento ebraico orientale? Prima o dopo gli stermini nazisti? Lo stesso vale per Gerusalemme. Se guardate la tabella contenuta in questo sito (http://it.wikipedia.org/wiki/Gerusalemme), vedete che gli ebrei sono sempre stati maggioranza (assoluta o relativa) nella città, che significava fino alla fine dell’Ottocento solo la città vecchia e poi a lungo soprattutto questa.
Nel ’49 però d’improvviso, grazie alla bestiale e programmata violenza della legione araba (l’esercito giordano), non ci fu più un ebreo nella città vecchia e in rioni come Shimon Hatzaddik, o se volete Sheik Jarrah. Chi sopravvisse alla guerra si concentrò a Ovest, costruendo sui campi rimasti a Israele.
Poi nel ’67 gli ebrei tornarono, e alcuni recuperarono le loro vecchie proprietà grazie a lunghe cause legali, o ricostruirono i villaggi distrutti e li fecero naturalmente crescere.
Un’invasione? O piuttosto un ritorno. E infine, a proposito di questa storia: perché nessuno dice che Israele ha mantenuto e fatto sviluppare la sua popolazione araba e che invece i giordani l’hanno massacrata ed espulsa? E che l’Autorità Palestinese si propone di fare altrettanto, cioè di “espellere tutti gli ebrei” dal territorio “palestinese”?

Ugo Volli (Informazione Corretta)

Qualcosa di analogo avevo scritto, quasi sei anni fa, qui (ma non pensiate che Ugo Volli mi copi i post, neanche per sogno: semplicemente, grazie ai potentissimi mezzi messigli a disposizione dal Mossad – noi del famoso complotto demoplutotaperino, you know – mi legge direttamente nella memoria del computer. Qualche volta perfino nella mia testa). Poi magari, dato che un ripassino di storia non fa mai male, potreste dare anche un’occhiatina qui e qui.

barbara