TROVA LA DIFFERENZA

 

Questa invece è la manifestazione di protesta contro il governo di oggi (questa è una sola piazza, poi ci sono le vie intorno e il resto), organizzata in quattro e quattr’otto in un giorno lavorativo..
proteste roma
E poi beccatevi anche questa

E per chiudere in bellezza
esteri
barbara

AFRICA, UN AMICO RACCONTA

Sai qual è il principale problema dell’Africa?

Il mio amico appena tornato da un lungo viaggio mi interroga, ma io sono preparata. Ho già pronta la lezione sullo sfruttamento delle risorse da parte dell’uomo bianco, la so, non l’ho capita bene ma la so dire. Ma prima che possa partire si risponde da solo. “E’ la stregoneria”.
E parte a raccontarmi una realtà incredibile, un mondo primitivo in cui se grandina forte e il raccolto è distrutto lo stregone sgozza un pollo, ne osserva il sangue e in base a quello decide quale donna andrà punita. Perché, si sa, è sempre colpa di una donna. Se c’è un uomo che odi con tutto il cuore, auguragli di rinascere donna in Africa, mi dice (non odio nessuno così tanto, e non credo nella reincarnazione, ma certo uno stage da donna africana per due mesi a qualcuno lo auspicherei, quasi quasi). La donna individuata come responsabile verrà cacciata dal villaggio, bandita, oppure a volte messa viva nell’acqua bollente o buttata nel fiume coi coccodrilli (se sopravvive era innocente). In certi casi, se la colpa della grandinata o di qualsiasi altro evento negativo verrà attribuita con certezza a lei – secondo una cultura per cui nulla succede per motivi naturali o spiegabili scientificamente – verrà uccisa e le verrà mangiato il cuore.
Le donne peraltro sono le uniche a lavorare, lì. Le vedi al mattino con un figlio legato davanti, uno al fianco, la cesta sulla testa che vanno nei campi. Per gli uomini in molte culture dell’Africa meridionale è un disonore lavorare, ed è impossibile per loro da adulti imparare il rispetto delle donne. Appena non dipendono più dalla mamma, smettono di seguirla al lavoro e se ne stanno fermi al villaggio.
Ovviamente questa non è una ricerca scientifica, ma è il racconto di un amico, che ha visto segmenti di una realtà e me la racconta. Nessuna pretesa di oggettività, ma un’esperienza toccata con mano. Non stiamo parlando di immigrazione, di flussi, di rifugiati, niente di tutto questo, perché non so come la pensi politicamente e non voglio litigarci. So solo che è andato lì a portare aiuti, e racconta quello che ha visto.
Di una cosa però è certissimo. I missionari danno davvero la vita per gli africani. Vivono con loro, come loro, fanno la stessa fatica e subiscono le stesse privazioni degli abitanti del posto, e l’ultima cosa che fanno è mettere una croce al collo agli africani. Però gli oratori sono stracolmi di persone, le messe durano tre ore e la gente li segue, perché parlano di Cristo con la loro vita. Questi missionari hanno dato un incarico al mio amico: aiutateci a non far partire la gente da qui, aiutateci a educarli. Insegniamo agli uomini che lavorare, insegniamo a combattere le credenze della stregoneria. Mandateci materiale edile e soldi, costruiamo delle scuole. Mandateci aiuti, intelligenze, soldi, persone.
Il mio amico ha incontrato tante persone che lavorano lì, e non so neanche se vada a messa la domenica, ma mi ha detto chiaramente: se vuoi mandare qualcosa, manda ai missionari non ad altre organizzazioni, perché a differenza di queste loro non sprecano un centesimo, non tengono niente per sé, fanno fruttare tutto, al massimo, perché loro lì danno la vita davvero. Ha visto arcivescovi zappare la terra, preti dormire tra gli insetti, suore consumarsi fino all’ultimo respiro. Il fatto è che se non lo fai per Cristo non riesci a farlo, non in quel modo, come serve.
Ecco, questo è solo un racconto, non ha pretesa di assoluto, non è un trattato di geopolitica, non è una proposta di soluzione. E’ una fotografia. Sicuramente altri ne avranno scattate altre, il continente è grande e le realtà sono tante. Comunque questa è vera di sicuro, e volevo condividerla.
Aggiungo quello che ho letto: minori affidati a donne che non sono le loro veri madri e che poi spariranno una volta sistemate le cose in Europa, e centinaia di donne che saranno invece dirottate a fare le prostitute, ognuna delle quale vale 60 mila euro d’incasso per la mafia stessa. Solo mettendone 100.000 nel “mercato del lavoro” in Italia la mafia nigeriana muove un giro di affari di 600 milioni di euro all’anno.
A questo si somma quello che perde l’Africa: risorse giovani. Leggo di ghanesi che hanno venduto il taxi o le proprie piccole mandrie per venire in Europa e ritrovarsi su una strada a elemosinare o a guadagnare 3 euro all’ora se gli va bene, trattati come bestie, e che non riescono neanche a mettere ovviamente da parte un capitale come era nei loro progetti. E anche se desiderano tornare non lo faranno mai per la vergogna perché non saprebbero cosa dire al villaggio, non saprebbero come giustificare quei soldi spesi per arrivare in Europa, anzi alimentano altre partenze facendosi selfie su facebook fingendo che tutto vada bene per non dire la verità, per vergogna. Risultato: altri giovani (diciottenni, non scolarizzati) cercano di venire qui perché pensano che sia facile arricchirsi.

Costanza Miriano, qui

È sempre così: chi parla in base ai fatti raccomanda di non partire, chi parla in base all’ideologia raccomanda di farli partire, di farli arrivare e di accoglierli, depredando l’intera Africa della sua forza lavoro, effettiva o potenziale.
PS: noto, per inciso, l’accenno ai selfie su facebook, con tutto ciò che questo comporta, sotto molti punti di vista, e di cui si è già parlato.

barbara

SUCCEDE DA QUESTE PARTI

Cioè, so benissimo che succede dappertutto, ma io so questa e di questa parlo.

Appena finita la scuola, la ragazza che mi fa le pulizie è andata in Romania a prendere suo figlio, per stare finalmente un po’ insieme e anche per fargli fare un po’ di mare. Arrivano, dopo un viaggio di quasi duemila chilometri, la padrona di casa, che abita sopra di lei, li vede dalla finestra, si precipita giù e dice perentoria “Lui non entra”. Come non entra? “Non entra”. Ma perché? “Perché la casa non è a norma” [E lei e suo marito allora?] E allora? “Se succede qualcosa ne devo rispondere io”. E cosa dovrebbe succedere? “Metti che di notte si arrampica sul tetto”. [Embè sì, lo sanno tutti che i bambini di sette anni passano le notti arrampicandosi sui tetti. Perché, i vostri no?] Pensano quella che parrebbe la cosa più ovvia, ossia che stia tirando fuori tutte queste storie per spillargli un po’ di soldi, e prontamente le offrono un supplemento all’affitto, ma le non vuole soldi, vuole che il bambino non entri, punto. Sia lei che il marito sono in regola col permesso di soggiorno, quindi, visto che lei oltretutto gli affitta l’appartamento in nero, in teoria non dovrebbero avere niente da temere a rivolgersi ai carabinieri, ma la verità è che, soprattutto per degli stranieri, a piantare casini non viene mai fuori niente di buono, e quindi si rassegnano: lui a mezzanotte va a lavorare, e lei e il bambino dormono in macchina. E durante il giorno battono sistematicamente tutti i paesi intorno per cercare un altro alloggio, ma non si trova niente, neanche fuori in campagna, per lo meno non a prezzi che loro possano pagare; perfino al campeggio, per mettere la tenda, chiedono 600 euro a settimana. Naturalmente le propongo di venire a dormire qui, ma il bambino (quello che di notte si arrampica sui tetti) non vuole: è timidissimo, e si vergogna (l’ho visto qualche giorno fa: un passerottino piccolo piccolo, magro magro, timido timido al punto da non avere neanche il coraggio di alzare gli occhi sulle persone), e così continuano a dormire in macchina, in mezzo a una strada ogni notte più trafficata da gente bevuta, fumata, impasticcata eccetera. Poi la settimana scorsa le ha anche chiuso il gas, e adesso si nutrono unicamente di panini.

Lui. Dopo avere instancabilmente battuto tutto il lungo mare, negozi alberghi locali, finalmente è stato assunto come guardiano notturno in un albergo da trecento euro per notte per stanza e colazione: 1200 euro al mese, con contratto. Il contratto naturalmente c’è, certo che c’è, e perché mai non dovrebbe esserci, però è un mese che lavora, e ancora non è riuscito a vederlo. Dopo qualche giorno gli ha detto che deve pulire anche la spiaggia. E raccogliere e portare dentro tutti gli asciugamani che i bagnanti hanno dimenticato in giro per la spiaggia. E pulire i gabinetti. Dopo una settimana gli ha spiegato che per via di tutta una storia col ristorante 1200 euro non glieli può dare, può dargliene solo 1000. E per avere duecento euro di qua e trecento di là deve continuamente chiedere, come se stesse chiedendo l’elemosina, perché ogni volta si sente rispondere “Adesso non li ho” e quindi per poter mangiare deve tornare a chiedere e ancora chiedere. Poi siccome tra la gentaglia che si aggira sul lungomare ogni tanto scoppiano delle risse, e lui ha deltoidi e bicipiti da scaricatore di porto, il padrone pretenderebbe che andasse lì in mezzo a sedarle.

Poi sistemiamo negli alberghi, a spese nostre, quelli che rovesciano in cibo per terra perché non gli piace.

barbara

LA ZOLFARA

Quella di Gessolungo, in provincia di Caltanissetta,
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di proprietà del barone Giuseppe Calafato, dove, giusto per dare un’idea, si lavorava così
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che il 12 novembre 1881 uccise sessantasei minatori, fra cui diciannove bambini, e ne rese invalidi altri quaranta (qui notizie dettagliate).
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Poi il 14 febbraio 1958 si mangiò la vita di altri otto minatori (sì, la zolfara, naturalmente, come la curva assassina, la montagna assassina, la nebbia killer. Per non parlare del camion suicida dell’ineffabile Gad Lerner, a proposito della strage di Nizza).

E non dimentichiamo che tanti siciliani c’erano anche quel giorno a Marcinelle, di cui pochi mesi fa è ricorso il sessantesimo anniversario.

barbara

IL BAMBINO CON I PETALI IN TASCA

Esiste l’inferno? Sì, esiste; non in un qualche eventuale, possibile, ipotetico aldilà bensì in un fin troppo concreto aldiqua. Nel caso di questo – molto realistico – romanzo di tratta di Bombay, ma potrebbe essere qualunque altro posto dove gli “scarti” della società tentano di sopravvivere destreggiandosi tra regole del gioco non stabilite da loro ma da chi meglio degli altri ha saputo annientare in se stesso ogni residuo di coscienza e di sentimenti umani. Ed ecco dunque questa folla di reietti, bambini che mendicano e rubacchiano, quelli più grandi che rubano e spiano e a fine giornata versano al capo tutto il ricavato del loro “lavoro”. Tentare di imbrogliare costa caro: un occhio (non in senso metaforico), un pezzo di lingua, un orecchio, uno squarcio su tutta la faccia, o magari anche di peggio. Tutti laceri e sporchi, tranne il bambino bello, sempre pulito e ben vestito, che viene portato al “lavoro” in auto, e sempre in auto riportato poi alla base, dove si accascia sfinito coi pantaloni macchiati di sangue. E una cosa è chiara fin dall’inizio, fin dal momento in cui un nuovo dannato vi inciampa dentro: non esistono uscite. Non esiste la possibilità, neppure teorica, di uscirne. Non esiste la speranza di uscirne, di andare altrove, di cambiare vita.
Buio assoluto, dunque, senza un barlume di luce, senza riscatto? Forse no. Forse, dopotutto, no.

Anosh Irani, Il bambino con i petali in tasca, Piemme
ilbambinoconipetaliintasca
barbara

STORIA DEGLI EBREI DI ROMA

Pubblicato alla fine dell’Ottocento, risente chiaramente dello stile dell’epoca nella scrittura, non sempre della massima scorrevolezza. Vale tuttavia la pena di affrontare questo modesto fastidio per conoscere una storia del massimo interesse e troppo poco nota.
Due cose, in particolare, colpiscono. La prima è la constatazione che in tutti i “secoli bui” del Medioevo gli ebrei, pur con tutte le discriminazioni e limitazioni che spesso hanno accompagnato la loro storia, hanno avuto la possibilità di vivere sostanzialmente tranquilli, mentre i guai veri sono arrivati con i secoli d’oro, colti e illuminati, del Rinascimento: vessazioni di ogni sorta, esclusione da quasi tutte le professioni, le vergognose pratiche del carnevale, il ghetto…
La seconda, davvero sconvolgente, è la constatazione di quale immonda sanguisuga sia stata la Chiesa nei confronti degli ebrei.

A causa delle varie forme di imposizione con le quali Urbano VIII opprimeva la comunità il fabbisogno finanziario di questa salì alle stelle. Quasi in ogni seduta la Congrega doveva studiare nuovi modi e nuove vie per racimolare denaro. Si facevano debiti per estinguerne altri, sicché l’indebitamento divenne sempre più oppressivo e la massa degli interessi sempre più proibitiva.
Dai registri della comunità ricaviamo le seguenti notizie:
Nel 1634 il Reggimento fiscale del Campidoglio le impose il pagamento di 3000 scudi. La somma fu coperta con un prestito concesso da Cosimo Ruggiero.
Nel 1635 essa dovette pagare 1535 scudi.
Intorno al 1643 la comunità ebbe da Bernardino Nare un prestito di 4800 scudi, che usò per estinguere vecchi debiti, ossia 3000 scudi a Mario Agostini e 1800 a Mario Farini.
Nel febbraio del 1643 coprì il fabbisogno del momento accendendo un debito di 5000 scudi presso Raffaele Delle Rose.
L’1 agosto 1647 i fattori comunicarono alla Congrega di aver chiesto al papa – era già in cattedra Innocenzo X – di autorizzarli ad accedere al Monte di Pietà per ottenere i mezzi necessari a liberarsi dal peso dei debiti, poiché gli interessi semplici e composti avevano raggiunto un livello proibitivo. Dissero di aver ricevuto una risposta benevola, «che alle loro labbra ebbe il sapore dolce del miele». Aggiunsero però che per portare in porto la cosa sarebbero ancora occorsi parecchi donativi e spese. La Congrega accolse la notizia con un sospiro di sollievo e incarico i fattori di impegnarsi a fondo per ottenere dal papa il relativo chirografo.
La medesima notizia la leggiamo nel Sommario (n. 26) alla data del 7 settembre 1647. Innocenzo X autorizza la comunità a prelevare dal Monte la somma di 160.000 scudi all’interesse del 4,5 per cento, dando a garanzia tutti i suoi possedimenti e rendite, compreso il diritto di gazagà. La comunità avrebbe pagato ogni anno 7470 scudi d’interesse e 1000 per l’estinzione progressiva del debito. La benevolenza del papa giunse al punto di farsi anticipare subito dalla Reverenda Camera Apostolica 13.400 scudi a titolo di «sovvenzione».
Ma il sollievo che la comunità ne ebbe fu di breve durata. Già nel 1649 si presentarono nuove esigenze. La Camera Apostolica voleva 3000 scudi, che dovettero essere procurati al più presto elevando di 25 «porzioni» l’aliquota d’imposta. Questo avveniva il 10 agosto, e già il 19 novembre il papa chiedeva altri 1500 scudi per far fronte a certe spese. Fu deciso di raccogliere la somma imponendo uno scudo a testa a ogni maschio che avesse compiuto quindici anni.
Nel maggio del 1651 la Camera Apostolica tornò a esigere 3000 scudi. Fu deciso di accendere un debito a qualunque condizione, pur di ottenerlo. Ma per impedire che gli interessi crescessero a dismisura, fu imposta una soprattassa di 5 «porzioni» sulla contribuzione annua, da esigersi ogni mese.
Nel giugno del 1652 la comunità cercò di ottenere un prestito di 7000 scudi con regolare cambiale notarile, comunque al tasso d’interesse non superiore al 4,5 per cento: lo scopo era di coprire i debiti fatti dall’amministrazione negli ultimi cinque anni.
Nel luglio successivo venne chiesta la fornitura di letti per i soldati nell’imminente guerra contro la Francia. La consegna venne distribuita in cinque anni e allo scopo vennero destinate le entrate della propina.
Il 23 giugno 1656 Tommaso Fiori fece un prestito di 1500 scudi. Il 5 luglio Francesco Vespini ne fece uno di 1500 scudi all’interesse del 5 per cento; il 10 luglio Francesco Angeletto ne imprestò 4200 al 6 per cento.
Tutti questi denari vennero messi alla libera disposizione di una commissione sanitaria. Infatti era scoppiata la peste di cui parleremo al capitolo XXIV.
Possiamo rinunciare a seguire le vicende finanziarie della comunità sulla scorta dei suoi stessi registri. Quanto abbiamo detto è sufficiente a mostrare come essa fosse sistematicamente sfruttata fino all’osso. I prestiti ottenuti avevano raggiunto un livello tale da esigere l’accensione di nuovi debiti per pagarne gli interessi. Si aggiungano poi i relativi pegni e garanzie che mettevano in forse la stessa esistenza della comunità e dei suoi membri. Eppure si volle mantenerla in efficienza, per poterla spremere sempre di bel nuovo! (pp.204-206)

Ma non erano gli ebrei quelli che per soldi sono pronti a vendere l’anima al diavolo?

Abraham Berliner, Storia degli ebrei di Roma, Bompiani

barbara