AVVISO AI NAVIGANTI

Io sono una persona vomitevole, sappiatelo e regolatevi. (Il motivo? Ho “vomitato merda e insulti sull’eroe Sharon”) E sono anche “una persona incivile che sa solo farneticare e insultare”, come ha aggiunto, in segno di solidarietà, qualcuno che sette anni fa mi aveva accusata di essere “piena di odio e di rabbia accumulate, e anche maleducata” (si noti in particolare lo splendido “accumulate”, da parte di una persona che fino a un minuto prima ignorava persino la mia esistenza). Sappiate anche questo. Niente di cui sorprendersi, d’altronde: sta scritto già nella Bibbia, da migliaia di anni, Disse allora il Signore Dio al serpente: «[…] Porrò odio fra te e la donna» (Genesi, 3,14-15).

barbara

I PADRI NOBILI

I padri della situazione attuale, intendo. Sono tre.

Il primo, il vero peccato originale, è il rifiuto arabo. Il rifiuto di quella Risoluzione 181 che raccomandava la creazione di due stati per due popoli: quei due stati per due popoli di cui oggi le anime belle – pretendendolo, non si capisce perché, da Israele – si riempiono la bocca; quei due stati per due popoli che sembrerebbero la panacea di tutti i mali; quei due stati per due popoli che secondo i pacivendoli dovrebbero rendere felici i palestinesi e far sorgere il sole della pace. Due stati per il popolo ebraico e per il popolo arabo – NON per un “popolo palestinese” perché quest’ultimo ancora non era stato inventato, e sarebbero passati circa due decenni prima che a qualcuno venisse in mente di fabbricarlo. I due stati per due popoli, qualunque cosa dichiarino di fronte alle telecamere politicamente corrette, gli arabi non li vogliono. Non solo: non vogliono neppure un solo stato arabo “dal fiume al mare”, non vogliono uno stato di Palestina di nessun tipo, con nessuna estensione, non è mai stato in programma niente del genere. Perfino il presunto laico Arafat – i cui uomini hanno sterminato i cristiani di Damour in Libano al grido di Allah akhbar – lo dice chiaramente: l’obiettivo finale è il grande califfato che copra l’intero mondo islamico.

Quindi è chiaro che il problema per loro non è che cosa faccia Israele, quanta terra occupi, quanti insediamenti costruisca, quanti palestinesi ammazzi: il problema è la sua esistenza, che impedisce la realizzazione del grande califfato islamico. Finché il mondo arabo-islamico non cambierà idea su questo punto, la pace non potrà mai essere realizzata.

Il secondo padre nobile del disastro attuale è Rabin. Quel Rabin che con gli accordi di Oslo ha portato in Giudea e Samaria – aka Cisgiordania aka West Bank – quelli che i palestinesi onesti hanno chiamato “i terroristi di Tunisi”, che hanno distrutto la loro vita e annientato il loro futuro. E dopo averceli portati ha inaugurato due mantra uno più delirante dell’altro: “combattere il terrorismo come se non ci fosse il processo di pace, portare avanti il processo di pace come se non ci fosse il terrorismo” – col risultato di ingrassare il terrorismo a dismisura, nutrendolo col fantomatico processo di pace – e “terra in cambio di pace”, e fino al momento in cui non è stato fermato ha insensatamente continuato a dare terra, terra e ancora terra ricevendone in cambio guerra, terrorismo, morte e distruzione. È stato grazie a lui che Israele ha conosciuto il più devastante terrorismo a memoria d’uomo, reso tra l’altro possibile dai miliardi di dollari affluiti con la nascita dell’Autorità Palestinese. È stato grazie a lui che il terrorismo palestinese ha potuto cominciare a pensare di riuscire davvero a smantellare lo stato di Israele e a impiegare ogni propria energia e ogni propria risorsa per il raggiungimento di questo scopo. Per avere un’idea dell’ottenebramento della sua mente basti leggere queste frasi:

“Le storie di orrore del Likud sono familiari; infatti essi ci hanno promesso anche missili da Gaza. Già da un anno la striscia di Gaza è in gran parte sotto il controllo dell’autorità palestinese, e non c’è ancora stato alcun missile e non ci sarà nessun missile, eccetera eccetera eccetera. Tutte chiacchiere; il Likud ha un terrore mortale della pace. La “pace dei vigliacchi”, questo è il Likud di oggi. Questo non è il Likud di Menachem Begin di benedetta memoria, che ha osato e ha preso iniziative ed era disposto a pagare un prezzo doloroso per promuovere la pace. Il Likud di oggi ha un terrore mortale della pace, e di conseguenza, reagisce in un modo veramente infantile.” (qui, traduzione mia. Chi conosce l’ebraico lo può ascoltare qui)

Se non fosse stato fermato, non so se Israele esisterebbe ancora. Il disastro provocato dalla sua cieca ostinazione ad assecondare il terrorismo palestinese, comunque, è ancora tutto qui.

Il terzo padre nobile del disastro è Sharon. Straordinario eroe di guerra, autore di imprese eccezionali, al tramonto della sua vita il nobile falco si è improvvisamente trasformato in un miserevole pollo. Dopo che il ritiro unilaterale dal Libano aveva fatto aumentare vertiginosamente il lancio di missili sulla Galilea e favorito infiltrazioni e rapimenti sotto lo sguardo benevolo delle forze Onu, anche la mente di Sharon, ottenebrata al pari di quella del secondo padre nobile, ha partorito l’idea che avrebbe completato il disastro: la deportazione degli ottomila ebrei che risiedevano a Gaza nella demenziale convinzione che ciò avrebbe favorito la pace. Chiunque avesse qualche conoscenza di quello scenario e dei suoi attori non aveva dubbi su quali ne sarebbero state le conseguenze, che infatti si sono puntualmente realizzate: carneficina intra-palestinese all’interno di Gaza, aumento esponenziale del terrorismo verso Israele.

Poi, naturalmente, c’è anche un gran numero di figure di contorno, padrini e compari e valletti di ogni sorta che si sono dati da fare a completare il disastro. Ma i pilastri sono loro. Tutto il sangue versato lo hanno sulla coscienza interamente loro.

barbara

La lettera

Si porta del vino a casa di un musulmano? Bella domanda. Di certo non si va a mani vuote, la prima volta che ti invita, ma forse fiori o cioccolatini sono più corretti… Anche se lui il vino lo beve e come se lo beve!
Vada per i fiori. Comunque Ibrahim è un musulmano a modo suo. Sua moglie è cattolica e i figli sono battezzati. Dice che i suoi vivono in Pakistan e magari vanno in moschea tutti giorni, ma lui se ne sbatte di Maometto e del Corano. E’ italiano a tutti gli effetti.
Che vuol dire…? Tu sei meno ebreo solo perché sei italiano?
No, hai ragione.
Come sempre.
Ariel Mortara si sporge appena dal posto di guida e bacia Eny mettendo virtualmente fine alla questione vino o fiori.
Sono quasi arrivati. Resta solo da trovare un fioraio.
Un fioraio a quest’ora sulla Cassia?
Lo trovano poco più avanti
Ok. Siamo pronti. Ma ti prego… Sii gentile con Tamara.
Ariel leva gli occhi al cielo e trae un sospiro che Eny interpreta come una promessa. Magari estorta ma pur sempre una promessa.
Fabio e Tamara. La terza coppia della serata.
Salendo in ascensore Eny pensa a quanto siano volubili gli uomini. Non è passato un anno e già Fabio si è trovato una compagna. Il grande amore, la passione di una vita, la perdita inconsolabile: tutto morto e sepolto. Insieme a Stefania.
Ricaccia indietro la commozione. Un’amica così non l’avrà mai più. Intelligente, spiritosa, disponibile… Unica.
Ariel pensa invece a Fabio. Si conoscono dai tempi del ginnasio. Un’amicizia inossidabile, una familiarità totale, eppure non arriva a capire cosa ci trovi in quella Tamara. Bella, è bella, non lo si può negare… Ma così giovane… Così spaesata… Beh, sostenere il paragone con Stefania sarebbe duro per chiunque, pensa… Ma lei sembra alla perenne ricerca di un proprio posto nel mondo. Di una certificazione di idoneità. Di una gratificazione di appartenenza.
In mezzo a gente finisce per perdersi, incapace di lasciarsi coinvolgere nei giochi dialettici di amici rodati da lunghe frequentazioni. Così a volte tace in modo disarmante oppure mette il muso, costringendo Fabio a precipitose ritirate. Altre, pur di non lasciarsi estraniare dal flusso delle chiacchiere, si lancia in traballanti requisitorie, contraddicendo accanitamente l’ultima opinione espressa da qualcuno dei presenti.
Tra i suoi coetanei magari farebbe la sua figura… Ma in mezzo a loro, che palle! Una minestra riscaldata di riformismo, ambientalismo, animalismo e chi più ne ha più ne metta. Tutti gli ismi e gli anti-ismi del mondo… Una sessantottina fuori tempo massimo! Insopportabile pensa Ariel, ma Fabio la trova elettrizzante… E in fondo, a quarant’anni, una vigorosa smossa ormonale può far passare in second’ordine molte cose.
Strana serata comunque.
Quando è arrivato l’invito sono rimasti sorpresi: Jenny, la padrona di casa è una collega di Eny ma lui, Ibrahim, è poco più che un estraneo. Lo hanno incrociato in qualche party di comuni amici, quattro chiacchiere con un bicchiere fra le mani, nient’altro.
Che c’entriamo noi? ha sbuffato Ariel. Li conosciamo a malapena!
Sei il solito orso! Pensi che ci faccia male incontrare qualche faccia nuova?
Qualche faccia nuova? Quelle sono facce vecchie. Ci sono passate davanti ed abbiamo tirato di lungo per la semplice ragione che non ci interessavano. Te lo garantisco: trascorreremo una serata mortale, arrampicandoci sugli specchi per tenere in piedi una qualche conversazione… E quando torneremo a casa io giurerò: mai più! never again! Tu invece ti sentirai obbligata a ricambiare l’invito e mi trascinerai in una spirale perversa di serate insopportabili.
Beh, questa è la vita, tesoro. Non sei su facebook. Non puoi respingere un’offerta di amicizia con un click asettico e indolore. Puoi dire no, ma la gente si offende e si dispiace. Jenny è stata gentile. Ha invitato Fabio e Tamara per metterci a nostro agio e io non intendo comportarmi in modo sgarbato. E poi…
E poi…?
E poi non voglio che lei pensi, neppure per un istante, che noi due, ebrei, non accettiamo l’invito perché suo marito è musulmano.
Questo mette fine ad ogni discussione. Ora sono davanti alla porta, il mazzo di fiori bene in vista, e il sorriso di circostanza stampato sulle labbra.
La casa è accogliente: luci soffuse, jazz di sottofondo, aperitivi stuzzicanti. Non passa un quarto d’ora e già le fosche previsioni di Ariel sono spazzate via. Ibrahim è simpatico, Jenny brillante e Fabio in serata di grazia. La conversazione fila via leggera ed esplora i classici temi rompighiaccio: viaggi, libri, gossip, Berlusca.
A tavola gli argomenti si fanno più seri ma il tono rimane fatuo come se nessuno avesse voglia di esplorare vere disparità di opinione.
Una questione di educazione e di bon ton. Sei in casa d’altri, non sai come la pensano, non hai familiarità…  Ci vuole tanto a capirlo?
Beh, Tamara non lo capisce.  Mentre ancora tutti ridono con le lacrime agli occhi di una barzelletta di Fabio, lei ne racconta una delle sue. E’ la storia di un bottegaio ebreo. Deve attaccare un quadro e chiede in prestito il martello a suo fratello. Il rifiuto lo indigna quanto la spiegazione: il martello costa e a batterci i chiodi si consuma. “E’ incredibile!” mugugna il bottegaio. Ci pensa su a lungo e poi finalmente tira fuori il proprio martello e si rassegna ad usarlo.
La risata che segue spacca il tavolo in due. Tamara avrebbe dovuto saperlo: di queste storielle gli ebrei ridono quando se le raccontano fra loro. Diversamente  sentono puzza di antisemitismo e non si divertono affatto.
Tutti gli altri ridono, ad ogni modo.
Ride anche Ibrahim ed Ariel se ne infastidisce.
Intendiamoci: lui ride né più né meno di Fabio e di Jenny ma è diverso, perché lui è…
No! Non diciamo stronzate, si trattiene con un sussulto politically correct, stampandosi in faccia un sorriso senza allegria.
Tamara però non ha finito.
La sapete quella del soldato israeliano che spara al bambino palestinese?
Basta così tesoro. Fabio è imbarazzato ma lei è ormai fuori controllo.
Ariel non l’ascolta nemmeno. Resta rigido sulla sedia, la forchetta a mezz’aria. Gli basterebbero tre parole per rimettere a posto quella cretina ma rimane in silenzio e trangugia un boccone che sembra strozzarlo. Non vuole mandare per aria la serata. Non in casa di un islamico. Sente Fabio dire qualcosa, sente Jenny dire qualcosa. Ma soprattutto è lo sguardo di Eny che lo frena. Ti prego, tesoro… Ti prego…
Trangugia, sta zitto e fa finta di niente ma dentro si sente ribollire per la frustrazione.
Nessuno ride stavolta ma lei insiste e ne racconta un’altra. Stavolta è Sharon che incontra Hitler all’inferno ma Fabio riesce finalmente a farla star zitta.
In macchina Ariel è una furia.
Lo sapevo che non dovevamo accettarlo questo invito.
E perché? Cosa ti hanno fatto loro? Sono stati gentili ed anche comprensivi .
Quella è una stronza antisemita! Lo ha fatto apposta per metterci in imbarazzo!
No! E’ solo una sciocca. Non sa stare al mondo.
Beh, io non glie la lascio passare così… Io…
Io cosa? Cosa vuoi fare? Finiresti per renderti ridicolo anche agli occhi di Fabio. Alla fin fine, era solo una barzelletta.
Una barzelletta?! Quella era una provocazione! Gli israeliani che sparano sui bambini! Sharon e Hitler sullo stesso piano… Con i razzi che ci arrivano addosso e gli autobus che esplodono un giorno sì e l’altro pure!
Quella notte fatica a prendere sonno. Non può lasciar cadere la cosa, continua a pensare.
La mattina, sotto la doccia, sa finalmente cosa fare.
Due giorni dopo Tamara riceve una lettera. Spicca fra le bollette e le pubblicità, quanto un mobile di antiquariato potrebbe spiccare nei corridoi dell’Ikea.
Una lettera! Non ricorda più quando ne ha ricevuta un’altra. E dopotutto chi le scrive più le lettere, al giorno d’oggi?
Gira la busta e legge il mittente: Ariel Mortara.
Un tonfo al cuore.
E’ lui. Lo sapevo…
Rimane a fissare attonita quell’involucro minaccioso.
Non so mai quando stare zitta pensa, e vorrebbe piangere.
Cosa mi è passato per la testa, l’altra sera…?
Stupida, stupida stupida…
E più stupida ancora a non alzare il telefono per scusarmi. Cosa credevo…? che la cosa non lasciasse strascichi?
Fabio è stato carino. Vedrai che capiranno ha detto, ma perché dovrebbero capire?
E cosa c’è poi da capire…?
Che sono una stronza? Che non so stare in mezzo a gente? Che straparlo…?
Fissa la busta che le brucia fra le mani.
Peggio! Quelli hanno capito che sono un antisemita, piena di pregiudizi…
Oh no, cazzo! Io non sono antisemita, non sono antisionista… Io non sono niente! A me interessa solo Fabio!
E poi antisemita?! Io l’adoro Eny… E mi piace anche Ariel. Sono una coppia fantastica!
Serra le labbra e trattiene le lacrime.
Ma come diavolo ho fatto a cacciarmi in questa situazione!
Fa scivolare la busta nella borsa mentre le cresce dentro un ansia insopportabile.
Che devo fare adesso? si chiede.
Continua a chiederselo tutto il giorno: in ufficio, al bar, in metro. Non riesce a pensare ad altro ed intanto le monta dentro un’angosciosa indecisione.
La sera si butta sul divano, la tv accesa. Le immagini scorrono sullo schermo in un frastuono sbiadito di cui non ha percezione. Siede con il telefono in una mano, la busta ancora chiusa nell’altra. Continua a chiedersi cosa fare. Scrivergli…? si domanda. Telefonargli…? Oppure, magari, chiamare Eny… No, sarebbe infantile, non posso scappare!
Telefono, decide e compone il numero.
L’apparecchio squilla e lei fissa la busta intonsa, chiedendosi perché mai non abbia avuto la forza di aprirla.
Sono Ariel.
Sono Tamara, dice lei, ma non è capace di aggiungere altro. Piange, singhiozza, si scusa.
Scusa riesce solo a ripetere fra le lacrime e non sa nemmeno lei se sta scusandosi per quel pianto, per la sua stupida incapacità di parlare o per quello che gli pesa sullo stomaco da quando ha preso in mano la busta.
Ok, ok, va tutto bene Tamara, non fare così. Va tutto bene. Non è successo niente, ci siamo solo chiariti. Fra amici succede. Ognuno ha i suoi sentimenti, i suoi nervi scoperti… Noi ci siamo chiariti ed ora ci conosciamo meglio. Non ti devi scusare… Fra amici capitano momenti di incomprensione ma se ci si vuole bene ci si spiega e dopo non c’è più spazio per il rancore…
Lei sussulta per i singhiozzi ed annuisce come se lui potesse vederla.
Sono stata una sciocca sussurra e anche una vigliacca. Volevo chiamarvi, scusarmi, dirvi che vi volevo bene… Che non sapevo nemmeno io perché avessi ripetuto quelle cose… Non ne ho avuto il coraggio… Temevo di fare peggio e speravo che la cosa potesse finire lì… Ma sbagliavo, avevo torto e tu hai ragione a sentirti offeso… Dio mio, mi vergogno così tanto.
E’ tutto a posto Tamara. Anzi, senti… Vieni da noi in ufficio domani. Voglio prendere un caffè con te… E voglio abbracciarti. Ci siamo chiariti e questo è tutto. La cosa finisce qui.
L’indomani in ufficio lei si affaccia sulla soglia. Ha un mazzo di fiori per Eny ed un sorriso timido per Ariel.
Lui l’abbraccia, la stringe, la consola.
Lei si scusa, piange, ride.
Io non ne ho di amici come voi, dice. Temevo di avervi perso e ci sono stata male. Davvero, non me lo sarei perdonato…
Parlano di Fabio parlano di lei, parlano delle sue fragilità.
Ho sempre paura di non essere all’altezza, dice. Di farlo sfigurare. Di fare la figura della bamboletta scialba. Sto bene con lui, quando siamo soli, ma quando sto con i suoi amici mi sento giudicata… Divento nervosa, aggressiva e sciocca, lo so…
Lui ti vuol bene per quel che sei, le dicono loro, e gli amici ti accettano perché lui ti ama. Non devi dimostrare nulla… Sei una creatura splendida… Devi solo essere te stessa.
Sulla porta lei lo abbraccia di nuovo e gli fa scivolare nelle mani la busta ancora chiusa.
“Io non la voglio questa…” dice.
Lui le sorride e fa sparire la busta nella tasca della giacca.
Ora lui è solo con Eny.
C’era bisogno di arrivare a tanto? lo rimprovera lei. Una lettera le dovevi mandare… Non ti bastava una telefonata…
Mi ha ferito e glielo ho detto. Fra amici è così che si fa.
No! Fra amici ci si parla! Ma tu no… La busta, i francobolli, i timbri… Ma chi le spedisce più le lettere, ormai?
Nessuno, risponde lui sicuro. E’ proprio per questo che una lettera emerge dal frastuono delle mail e dei messaggini… La prendi in mano, la leggi e ci rifletti sopra. Una mail nemmeno la guardi.
Beh, io la trovo una cosa un po’ crudele. L’hai fatta soffrire… E poi chissà quello che ci hai scritto in quella lettera! L’hai annichilita quella povera figlia!
Lui tira fuori la busta e la fa scorrere sul tavolo.
Lei lo guarda sorpresa.
Chiusa!?
Non l’ha letta. Forse temeva che aprendola la frattura sarebbe divenuta insanabile, mentre lei voleva solo riportare indietro le lancette dell’orologio. Voleva solo cancellare tutto.
Lei si rigira la busta fra le mani.
Vedi che non è una sciocca…? Se avesse letto quello che le hai scritto forse sarebbe stata più arrabbiata che dispiaciuta. Io ti conosco. Se ti senti ferito, sei capace di dire e scrivere cose sgradevoli.
Lui serra le labbra ma non dice nulla.
Che le avevi scritto? chiede.
Ariel scrolla le spalle, soppesando la busta fra le mani.
Ormai non ha più nessuna importanza, dice divertito. In fondo il messaggio non era lì dentro. Era nella busta. Nel francobollo. Nell’indirizzo scritto a mano. Questa lettera è la rivalsa dell’antico sul moderno, perché quando sono in gioco i sentimenti la tecnologia non basta più. Carta penna e calamaio sono più diretti… più autentici.
Ride e strappa in pezzi la busta.
Alla faccia di Bill Gate e Mark Zuckerberg!

Mario Pacifici

mario.pacifici@gmail.com

Shabbat shalom

barbara