DUE PAROLE SU SHIMON PERES

finalmente defunto. Le due parole, per la verità, le lascio dire a Deborah Fait, qui e qui.
Tanti anni fa, con Deborah, quando trovavamo in rete qualcuno disinformato ma forse recuperabile, partivamo all’assalto: lei faceva il poliziotto cattivo e io quello buono. Oggi ho l’impressione che i ruoli si siano ribaltati, e che lei appaia più indulgente di me nei confronti di quest’uomo che, con le sue idee deliranti, pari a quelle di Rabin, ha provocato migliaia di morti e un disastro di cui non si vede la fine. Non è sempre stato così, come ricorda anche Deborah: se fosse morto venticinque anni fa, sarebbe morto un grande; oggi è morto un uomo dalle mani sporche di sangue.

barbara

SIAMO TUTTI ISRAELIANI!

Vi propongo questo testo che ho ricevuto da Augusto Fonseca, che ne ha curato la traduzione e le note, che mi è piaciuto molto.

Noi tutti siamo Israeliani! Quelli che vivono all’estero, quelli che si trovano nei territori [Giudea e Samaria, conquistati dopo la guerra dei sei giorni] e quelli che sono a Tel-Aviv. Di destra o di sinistra, neri o bianchi, in bikini o in scuri caffettani, con in testa la kippàh o calvi e a capo scoperto, o calvi con la kippàh1.
Noi questo non riusciamo ancora a capirlo, ma il Tempo è un gran signore. Lui non mente. Su di noi pesa in tutto il mondo qualcosa come una condanna, la “condanna del silenzio“. Ci hanno condannati, ma noi a chi lo ha fatto rispondiamo con il gran bel gesto dell’ombrello (tiè’!), anche se tra di noi bellamente ci mandiamo a fare in culo l’un l’altro.
Quando nel 1992 io dissi a Šmulik, mio superiore, che l’arresto amministrativo degli Arabi era qualcosa d’immondo, lui non mi capiva, fin quando poi nel 1994 non finì lui stesso in carcere, proprio in forza di quella delibera. Gli abitanti di Sderòt nel 1994 non capivano com’era possibile per noi, coloni, vivere a Gaza, in Giudea e in Samaria. Adesso lo capiscono2. Gli abitanti di Aškelòn [Ascalona] e Beèr-Ševà nel 2005 non potevano capire come fosse possibile vivere a Sderòt. Adesso lo capiscono.
D’altro canto, in tutto il mondo si fanno dimostrazioni contro gli Israeliani, contro di noi. A nessuno, però, viene in mente di chiedersi come fanno a vivere, sotto la minaccia continua di attentati e lanci di razzi, milioni d’Israeliani! E s’impietosiscono nei confronti degli Arabi. Anch’io provo molta compassione nei loro riguardi. Se, però, non c’è nessuno disposto a capire noi, tanto meno qualcuno potrà comprendere loro. Gli Arabo-palestinesi non possono (non devono) sapere che gli Israeliani hanno fatto ridurre di cinque volte tra di loro la mortalità infantile; che il livello di vita in Giudea e in Samaria è di otto volte superiore a quello dell’Arabia Saudita, della Giordania e dell’Egitto. I socialisti israeliani, alla guida degli Arabi hanno fatto venire dei banditi, gentaglia che tappa la bocca, che saccheggia e violenta, che si fa scudo di donne e di bambini.
E, invece, noi e loro siamo tutti israeliani, discendiamo tutti da Giacobbe, ovvero da Israele, tutti uguali. Noi mandiamo i nostri ragazzi a combattere, ma raccomandiamo loro di fare grande attenzione. Non abbiamo nulla in contrario che i militari israeliani, prima di attaccare gli arsenali dei missili “Grad [Grandine]“, avvertano per telefono la popolazione civile, affinché scappi per salvarsi. Noi siamo israeliani. Non abbiamo bisogno di sangue innocente.
Siamo Israeliani.
Fuori dei confini d’Israele, la minaccia di morte per gli Ebrei è ancora più grave che all’interno del Paese, come ampiamente lo dimostra la strage di Bombay del novembre 20083. E noi, comunque, non abbiamo paura, a dispetto di quanto cercano di far credere tutti gli organi di comunicazione di massa. I nostri ragazzi, già un’ora dopo le esplosioni, riprendono a frequentare gli autobus e i centri commerciali. A noi, la “congiura del silenzio“ ci fa proprio un baffo! Ecco, per esempio, una battuta colta al volo tra due civettuole ragazzine di Kiryàt-Arbà:
“Sai, bisogna indossare sempre biancheria intima elegante. Non si sa mai, ci può essere qualche attentato terroristico e allora può capitare che venga a metterti in salvo qualche soldato giovane e carino!?!“.
Noi siamo Israeliani!
A dire il vero, questa cosa a noi stessi non risulta sempre chiara. Se teniamo presente, infatti, la realtà di Meà Šearìm [ebr.: “cento porte“; quartiere ebraico ultra-ortodosso di Gerusalemme] con tutti quei caffettani scuri e quei nugoli sciamanti di bambini, allora ci sembrerà che proveniamo da pianeti diversi. E, invece, noi siamo tutti Israeliani. Neppure i nostri ultra-ortodossi se ne stanno senza far nulla, perché si preoccupano di dare un’istruzione ai loro bambini. Il 95% degli Israeliani è come i bambini di Meà Šearìm e Kiryàt Sefér. Tutti noi, infatti, proveniamo da paesini della Russia o della Polonia, dello Yemen o del Marocco, dell’India o dell’Etiopia.
Noi siamo Israeliani.
A noi insegnano che, incontrando un terrorista, bisogna andargli incontro. Non si deve né scappare né tentare di venire a patti, ma soltanto attaccare. E il dito ha da esser fermo sul grilletto. Noi non spariamo indiscriminatamente, anche se siamo bene armati. Sopra di noi grava il giudizio di Dio, anche su coloro che in Lui non credono.
Noi siamo Israeliani. E non siamo qualcosa d’inventato, come ha fatto Jurij Andropov nel 1972, inventando il “popolo palestinese“!4
Noi siamo Israeliani. Discendenti da Israele, cioè da colui che lottò con l’Angelo e ne venne fuori vittorioso, com’è universalmente noto. La nostra Toràh è alla base del cristianesimo e dell’Islàm: non sarà mica per questa ragione che ci hanno condannati a morte “per mezzo del silenzio?!?“.
Noi siamo Israeliani. Non vogliamo ammazzare nessuno, vogliamo solo vivere in pace. Noi siamo disposti persino ad aiutare gli Arabi, e in modo assolutamente gratuito, affinché raggiungano condizioni di vita da XXI secolo, pervenendovi direttamente dall’XI, cioè da un’epoca primitiva e barbarica. In essa noi non ci faremo mai trascinare. Perché noi siamo Israeliani.
Il nostro grande saggio, Moshe Ben Maimòn già nel XII secolo aveva acquisito delle conoscenze ignote alla maggior parte dei popoli di tutto il mondo. Adesso se ne sono appropriati gli Arabi, che lo chiamano Ibn Majmùn, e i cristiani, che lo chiamano Maimònide5.
Noi siamo Israeliani. Dal nulla abbiamo costruito un Paese, che si trova oggi nel novero dei trenta più sviluppati nel mondo. Un Paese economicamente solvibile, nonostante le continue spese per motivi di guerra. Il 25% delle realizzazioni di questo Paese si deve a noi, Ebrei provenienti dalla Russia. Ma anche noi, e da tempo, siamo divenuti Israeliani.
Siamo Israeliani! E in grado di esistere autonomamente.
Ma adesso da noi si è verificata una situazione come quella della Polonia del 1939, quando “i migliori dei migliori erano governati dai peggiori tra i peggiori“ per usare una ben nota frase di Wiston Churchill.
Noi, però, non abbiamo alcuna scelta! Nonostante la venalità di chi detiene il potere, noi dobbiamo resistere fino alla fine, disdegnando quel malcostume. Ne va della propria vita. E noi a quel prezzo non ci stiamo. Io ai ragazzi vado dicendo che dell’opzione “prigioniero“ non se ne parla nemmeno. È come con i leoni in gabbia: mordere fino all’ultimo! L’opzione “prigioniero“ è negata anche a tutti gli Israeliani.
Tutti noi siamo Israeliani, anche coloro che non sono ebrei religiosi osservanti.
Siamo israeliani, ma non nel senso che a questa parola attribuisce il nostro venduto presidente, quando dice che, dopo aver fatto evacuare gli Ebrei da Gaza, gli Israeliani hanno vinto gli Ebrei. Sarà stato lui a vincere dentro di sé l’Ebreo, vendendosi al nemico (un medico arabo di Gaza all’emittente “Galats“ si è lasciato scappare la dichiarazione che i suoi rapporti con il “Fondo Peres”6 non hanno soluzione di continuità).
Noi siamo Israeliani, perché abbiamo scelto di vivere in Israele, e perché, in una certa misura, siamo legati a Israele o ai suoi discendenti.
NOI SIAMO ISRAELIANI!
IVAN NAVI*

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* Ivan Navi (1958 , Frunze, oggi Biškék , capitale del Kirghizistan). Immigrato in Israele nel 1991. Vive a Kiryàt-Arbà, non lontano da Hebron, dove svolge un’attività di vigilanza assimilabile a quella del custode scolastico in Italia. Scultore, pubblicista e cantautore russofono. Questo articolo, scritto nel 2009 e presente nel suo blog all’indirizzo: http://i-navi.livejournal.com/113569.html , a me è parso assai utile, in quanto offre un’originale immagine della realtà politica israeliana. Per questo motivo, ho ritenuto opportuno tradurlo (dall’originale russo) e presentarlo al pubblico italiano, corredato da alcune note per una migliore comprensione.

1   La kippàh è il copricapo tipico degli Ebrei religiosi osservanti. La calvizie (o pelata), invece, in un certo senso contraddistingue gli Ebrei laici o addirittura antireligiosi della Grande Tel-Aviv. Intanto, da una decina di anni si è fatto avanti un nuovo gruppo che cerca di conciliare le posizioni di quei due gruppi. Di qua, la qualifica dell’Autore “calvi con la kippàh“.
2 Dopo la vittoriosa “guerra dei sei giorni“ (1967), Israele estende i suoi confini nella striscia di Gaza e in Cisgiordania (Giudea e Samaria), dove impianta proprie colonie tra la popolazione araba. Se sul piano politico il fatto viene contestato da diverse istituzioni internazionali (una per tutte, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU), sul piano economico e sociale, nonostante una parziale presenza militare israeliana, risulta positiva l’influenza dei coloni sul tenore di vita della popolazione araba. Ma questo fatto non solo non è riconosciuto dai dirigenti politici arabo-palestinesi né dal mondo occidentale, ma, in seguito al trattato di Oslo, e ancor più dopo il ritiro dei militari e (forzatamente) dei coloni dagli insediamenti nella Striscia di Gaza e da un paio di centri della Cisgiordania, viene addirittura accolto con un incremento di atti terroristici e lanci di missili su centri urbani israeliani confinanti (Sderòt, Aškelòn [Ascalona], Beèr-Ševà). Se, quindi, gli abitanti di queste città, che non si azzardavano ad entrare nei territori in cui avvenivano attentati e si uccideva, non capivano come fosse possibile per i coloni vivere in quelle condizioni, adesso, che anche loro sono oggetto di bombardamenti, se ne rendono conto! Il fatto, comunque, dimostra l’intransigenza dei dirigenti arabo-palestinesi nei confronti degli Israeliani in relazione a qualsiasi accordo.
3 In: http://www.focusonisrael.org/2008/11/30/mumbai-gli-ebrei-trucidati-perche-ebrei (25 /06/2015)
4 “popolo palestinese“: l’espressione è frutto (velenoso), tra l’altro, di quell’intensa e continua propaganda del KGB, il quale sin dagli anni ’60 del secolo scorso ha operato con ogni mezzo (terrorismo compreso), al fine di seminare, principalmente in tutto il mondo islamico, un odio viscerale e mortifero contro lo Stato d’Israele e vanificare ogni influenza degli Stati Uniti nell’area mediorientale. Vedi: Ion Mihai Pacepa, in: https://it.wikipedia.org/wiki/Ion_Mihai_Pacepa (25.06. 2015). Inoltre, esposizione molto più ricca e dettagliata, in russo, in: http://mishmar.info/kto-izobrel-mirniie-process-i-palestinskiie-narod.html (25.06.2015). Cfr. anche: Giulio Meotti, Dizinformatia, in IL FOGLIO, 8 luglio 2013, http://www.ilfoglio.it/articoli/2013/07/08/disinformatia___1-v-95668-rubriche_c317.htm (25.06.2015)
5 Maimònide (ebr.: Mōsheh ben Maimōn; l’abbreviazione con cui è noto, RAMBAM, è una sigla di Rabbī Mōsheh ben Maimōn; arabo Abū ‘Imrān Mūsā b. Maimūn b. ‘Abd Allāh). – Filosofo, medico e giurista ebreo (Cordova 1135 – Il Cairo 1204). Il pensiero di Maimònide rappresenta il più alto livello raggiunto dalla speculazione ebraica medievale. Nella sua opera Dalāla al-ḥā’irīm ( “Guida per i perplessi“) egli tende a dimostrare (fondandosi su Aristotele) che non esiste un contrasto tra la filosofia razionale e gli insegnamenti della religione, i quali possono coesistere in un armonico equilibrio (http://www.treccani.it/enciclopedia/maimonide ) ( 25.06.2015).
6 Il “Fondo della Pace“ (creato da Yitzhak Rabin e Shimon Peres, destinatari, insieme con Yasser Arafat, del Nobel per la pace nel 1994) diviene poi “Fondo Shimon Peres“. Sorto per sostenere lo sviluppo dell’economia dell’Autorità Autonoma Palestinese, raccoglie denaro in tutto il mondo. Non è esente da sospetti e scandali finanziari.
Per un profilo del personaggio “Shimon Peres“, molto discutibile, si può utilmente consultare i seguenti indirizzi, in lingua russa: http://kuking.net/my/weblog_entry.php?e=10349&sid=1e0534e01f58a9774a2e4055e6a8fc52 (25/06/2015); http://botinok.co.il/node/70256 ; http://israill.boxmail.biz/cgibin/guide.pl?action=article&id_razdel=161335&id_article=216916 . (25.06.2015).

A queste vivide immagini della vita in Israele aggiungo solo una piccola postilla: ho trovato curiosa e divertente l’universalità della leggenda delle mutande da scegliere in considerazione di un possibile incidente.
Poi magari, per chi non fosse troppo addentro in queste questioni e non avesse chiaro il motivo per cui Shimon Peres viene definito personaggio discutibile, può essere utile rileggere questo.

barbara

E IO HO VOLATO CON SHIMON PERES E VOI NO

Tiè.
Poi ho dimenticato a casa la macchina fotografica e mi ci sono voluti tre giorni prima di trovare da comprarne un’altra.
Poi all’aeroporto mentre percorrevo il cannocchiale per salire sull’aereo sento chiamare il mio cognome e dico avrò sentito male. Poi lo gridano in due, poi in tre, sempre più forte… Beh, avevo perso il passaporto: credevo di averlo infilato in tasca dopo l’ultimo controllo e invece era caduto per terra.
Sono sempre io, come vedete.

barbara

PRESTO PRESTO IN ISRAELE

Il figlio dei sopravvissuti al genocidio armeno dal figlio dei sopravvissuti ai pogrom polacchi (eh già, c’è sempre chi riesce a sfuggirvi e poi cresce e si moltiplica e diventa numeroso come le stelle del cielo, come i granelli di sabbia del mare… Fatevene una ragione) (qui)
E ora buon ascolto





barbara

IL RE È NUDO

E qualcuno, per fortuna, ha il coraggio di dirlo.

21/06/2013

Mazel Tov, Mister Peace!

Beh, Israele non è abituata a questo. Sto parlando dei festeggiamenti per il 90° compleanno di Shimon Peres, nostro Presidente!
Da non credere, personalità americane importanti, artisti di Hollywood, cantanti ebree americane del calibro di Barbra Streisand, gente straricca e famosa, che non si è mai sognata di metter piede in Israele quando qui si moriva ogni giorno di terrorismo, per farci sentire un po’ di solidarietà, e arriva adesso, bella bella e sorridente, per festeggiare Shimon Peres.
Anni fa avevo scritto qualcosa sull’argomento, molto delusa e piena di rabbia, perché, mentre i palestinesi ci ammazzavano e personalità americane e europee andavano dal terrorista Arafat a dirgli quanto lo amassero e quanto noi ebrei fossimo tanto perfidi da volerci persino difendere dai suoi kamikaze, nessuno, dico nessuno, veniva in Israele dove si saltava per aria ogni giorno.
Intorno a noi solo morte seguita da silenzi e accuse.
Tra i più noti amici di Arafat: Oliver Stone, Josè Saramago che non si vergognarono di urlare ai microfoni delle TV mondiali che Israele era uno stato nazista… perché, aggiungo io, per non essere nazisti avremmo dovuto lasciarci ammazzare senza reagire.
In quel periodo dunque, durato 5 anni, non 5 giorni, nessuna personalità del mondo ebraico americano ha pensato di venire a metterci una mano sulla spalla per dirci “non siete soli” ed è per questo motivo che non sono per niente emozionata che la Streisand, che ammiro molto  come cantante, si sia degnata di arrivare in Israele dopo 30 anni. Dicono che il suo concerto in onore di Peres, a Gerusalemme, sia stato meraviglioso e sono convinta che ascoltare “Avinu Malkeinu” cantato dal vivo dalla voce meravigliosa della cantante sia un’esperienza indimenticabile.
Benissimo! Brava Barbs!
Se fosse venuta a cantare questa preghiera nel 2001 o nel 2004 sarebbe stato ancor più commovente e significativo, come dire, ha perso un treno importante la Streisand ma ormai è inutile recriminare.
E che dire dei 500.000 dollari chiesti da Clinton per una conferenza di una sera?
Vergogna chiederli e vergogna pagarli!
Dicevo che Israele non è abituata ai culti di personalità e siamo tutti un po’ sorpresi che Shimon Peres  sia arrivato a tanto dopo aver detto, tempo fa, di aver imparato da sua moglie Sonja la grande lezione della modestia. Se tanto mi dà tanto… chissà cosa accadrà al suo centesimo compleanno.
Non si può dire che Peres sia molto amato in Israele dove viene chiamato The looser per non aver mai vinto un’elezione ed essere sempre arrivato secondo a qualcun altro. Qui ancora non gli perdoniamo  quell’immagine che fece il giro del mondo,
peres-arafat1
peres-arafat2
provocando in Israele non pochi mal di stomaco da nausea, quando fu ripreso mentre saliva sul palco del Nobel tenendo affettuosamente per manina l’assassino di migliaia di ebrei, Yasser Arafat il terrorista.
Oggi Peres dice di non essersi pentito di aver voluto gli accordi di Oslo, peccato per lui visto che il seguito fu  un’ondata di terrorismo mai vista prima in Israele, ondata che precedette la seconda intifada durata fino alla morte dell’arciterrorista premio Nobel della vergogna.
Non solo Sonja avrebbe dovuto insegnare a Peres la modestia, potremmo citare Golda che riceveva i suoi colleghi della Knesset nella cucina di casa e preparava lei il caffè, potremmo citare Ben Gurion che festeggiò i suoi 80 anni nella sua casetta nel kibbuz di Sdè Boker, nel Neghev,  con due aranciate e qualche burekas.
Potremmo citare lo stesso Rabin rimasto soldato nonostante le manie di grandezza della moglie.
Altri tempi? Pare di sì e la prossima volta che mi recherò sulla tomba di Ben Gurion e Paula sua moglie glielo diro’: “altri tempi, caro David , oggi si usa così“.
Bisogna dire che non è tutta responsabilità di Peres, la verità à che dagli sfortunati accordi di Oslo, lui è riconosciuto dal resto del mondo come la “faccia buona” di Israele paragonata al resto di noi perfidi ebrei israeliani.
È il falso mondo pacifista che non riconosce a Israele il diritto di difendersi che ha fatto di Peres una specie di simbolo della pace, idealista e sorridente.
È l’ipocrisia del resto del mondo che si sbrodola con frasi del  tipo “fate un passo avanti nella pace, israeliani” oppure “fate un passo indietro e ritiratevi dai territori, israeliani”.
È l’odio del resto del mondo che coccola e difende i palestinesi e fa in modo che si sentano protetti e giustificati per quanto terrorismo facciano o per quanto rifiutino di sedersi intorno a un tavolo per parlare di qualcosa tipo la pacificazione, senza precondizioni.
Poco importa che Israele sia sempre sotto attacco terroristico da parte di Hamas, poco importa che Abu Mazen predichi che mai ricomincerà a parlare di “pace” con noi  finché non rinunceremo a Gerusalemme, finché non faremo entrare milioni di arabi in Israele, finché non ci ritireremo dietro le linee armistiziali (non sono confini!) del 1967.
Poco importa che il mondo ci boicotti e ci minacci.
Quello che importa, per soddisfare l’ipocrisia dei nostri tanti nemici, è dire che Peres sia l’anima “buona” di Israele, che questo sia costato migliaia di morti ebrei non interessa a nessuno.
Dobbiamo ammettere che grazie al nostro Presidente stiamo ospitando in Israele il Gotha  americano e europeo, roba mai vista prima: Bill Clinton, Barbra Streisand, Robert De Niro, Sharon Stone, Tony Blair, tutti insieme  qui a festeggiare e a intascare.
Beh, il mondo, per una volta, parla di Israele  senza cattiveria,  ci fa dimenticare, per un momento, quel cronista della RAI che, parlando dell’Under 21, disse che una della partite si stava svolgendo a Al Quds.
Gerusalemme? Boh, che è? Che Dio lo strafulmini… oops , mi perdoni, Mister Peace, signor Presidente,  sorridiamo, diventiamo un po’ idealisti  e diciamo che ci sarà la pace, che il Medio oriente diventerà una specie di paradiso dell’Eden, che i palestinesi sono buoni e tolleranti, che… che… che…
Del resto gli ebrei hanno sempre sperato, durante tutta la loro lunga storia, fino a titolare “La Speranza”, l’inno nazionale di casa loro, Israele!
Tanti auguri, fino a 120, e, a festeggiamenti conclusi, fra due mesi… chissà perché tanto anticipo se il suo compleanno è il 2 agosto… faccia un saltino su quella tomba che si trova a Sdè Boker, forse ricorderà qualcosa di importante per Israele, forse più importante di una falsa idea di pace: essere essenziale, semplice, diretta, coraggiosa e sionista.
Mazel Tov!

Deborah Fait

09/08/2013

Shimon Peres si dimetta!

Premetto che sono furibonda, sono offesa e umiliata e furiosa!
Mi sembra un incubo.
Vi chiederete perché e ve lo spiego subito .
Il Barcellona calcio, col genio fuoriclasse da 580 milioni di euro Messi, è venuto da queste parti per giocare una partita per la pace.
L’idea in origine era di disputare una partita con giocatori israeliani e palestinesi ma  la cosa fu scartata immediatamente per la durissima opposizione dei palestinesi.
Palestinesi? Sì , amici, quelli con cui dovremmo fare la pace, sapete.
Si sono opposti e allora, col grazioso  consenso di Israele, sempre pronto a dare una mano per avere una pacifica convivenza (purtroppo colle belve feroci dei nostri nemici non si può fare) gli organizzatori hanno optato per una partita  in Israele e una vicino a Betlemme, allo stadio Dura.
Benissimo direte! Certo benissimo, sono andati a giocare a Betlemme… peccato che sempre i palestinesi, i nostri cosiddetti partner per la pace, si siano rifiutati di far partecipare alla partita anche tifosi israeliani.
Un comportamento indegno ma degno di quello che sono i palestinesi tanto amati dagli europei!
E va bene, stiamo zitti, dobbiamo fare la pace, vi ricordate?
Hanno giocato senza nemmeno un israeliano sugli spalti e prima dell’inizio della partita hanno suonato, come d’uso in tutto il mondo, gli inni, quello palestinese e l’inno catalano.
Il giorno dopo  la squadra del Barcellona è venuta a giocare la “partita per la pace” a Tel Aviv, allo stadio Bloomfield dove Israele aveva fatto entrare 500 tifosi palestinesi dei territori.
Siamo o non siamo generosi e civili noi? Era o non era una partita per la pace?
Certo, era una partita per la pace, quella che vuole la sparizione di Israele e così è stato perché il presidente del Barcellona, di cui mi schifa persino scrivere il nome, ha preteso che non si cantasse l’inno nazionale di Israele, la Hatikva, ma soltanto l’inno catalano.
Il motivo?
Non me ne frega niente del motivo.
A Betlemme hanno suonato l’inno di una nazione inesistente, in Israele NON abbiamo potuto suonare l’inno nazionale dello STATO SOVRANO che ospitava la squadra spagnola.
Il presidente della squadra di cui sempre mi schifa scrivere il nome lo ha preteso dagli organizzatori che sarebbero quelli del Centro per la Pace di Shimon Peres e costoro hanno chinato la testa obbedienti e hanno detto “va bene, padrone”.
Il tutto è stato fatto con il consenso, anzi con l’entusiastico consenso del Presidente dello Stato di Israele. Tale Shimon Peres, nobel per la pace.
Credo che non si sia mai verificato un simile scandalo in tutto il mondo.
Una Nazione, uno stato sovrano che, attraverso il suo presidente, accetta di non suonare l’inno nazionale è una vergogna, uno scandalo che non può passare senza che la gente insorga.
Quindicimila spettatori si sono recati allo stadio per vedere la partita e sognare alla performance del “580milionidieuro”. Quindicimila spettatori che sognavano di cantare tutti insieme la Hatikva, come sempre accade quando gioca Israele.
Niente, sono stati tutti umiliati e gabbati dal premio nobel per la pace presidente della nazione Shimon Peres.
L’unica nota di orgoglio l’hanno data il Ministero della cultura e quello delle finanze che hanno detto al Centro per la pace di Shimon Peres “Adesso pagatevi voi il milione di shekel per le spese”.
Certo, Israele non c’entra, chissà perché dovrebbe pagare questa vergogna dopo essere stato cancellato dal suo stesso presidente.
Pace? Quale pace?
Pace con chi?
Con i  sedicenti palestinesi che praticano l’apartheid e vogliono judenrein persino uno stadio di calcio?
Pace perché?
Per non poter nemmeno avere l’orgoglio di suonare l’inno nazionale prima di una partita di calcio?
Pace per essere cancellati come nazione?
Pace per consegnare il nostro paese a chi ci vuole distruggere, con la complicità di colui che, anziché proteggerci, ci umilia  e ci delegittima di fronte ai nostri nemici e a tutto il mondo!
Per questo motivo io chiedo le dimissioni di Shimon Peres che ha coperto Israele di vergogna!

Deborah Fait


Qualcuno, una decina d’anni fa, ha detto: “È più facile che Arafat diventi ebreo ortodosso piuttosto che Shimon Peres rinunci a una poltrona”. O a un onore, aggiungo io, o a qualunque cosa, per quanto effimera, possa dargli lustro. Viene da pensare, osservando la storia di quest’uomo, a quanto ebbe una volta occasione di dire Mussolini a proposito di De Bono: “È un vecchio rincoglionito. Non perché è vecchio, ma perché rincoglionito lo è sempre stato, e adesso in più è anche vecchio”. Signor Peres, dia retta alla nostra Deborah: si dimetta.

barbara