VITA QUOTIDIANA SOTTO I MISSILI

La sera ritorno dal lavoro; cena con la famiglia; mettiamo a letto le bimbe e poi all’improvviso un suono che mi riporta indietro nel tempo. Allarme rosso, zeva adom in ebraico, svegliamo le bimbe e ci dirigiamo con calma verso il rifugio. Ora siamo fortunati, una volta non lo avevamo neanche il rifugio a casa, abbiamo passato almeno un anno a fare conoscenza con i vicini al suono delle sirene. Inoltre qui è la prima volta che si sentono le sirene, dove eravamo succedeva qualche volta all’anno, in altre zone è la quotidianità ormai da anni. Una volta sono andato a Sderot, ho visto un deposito con i resti dei razzi, ce n’erano di tutti i tipi, soprattutto Qassam e Grad. E poi su ognuno una sorta di firma, una dedica dal gruppo terroristico che lo ha inviato. Si potrebbe fare un trattato sul messaggio in bottiglia affidato ai razzi, per noi da questa parte però è solo tanta paura accompagnata dalle sirene e dall’esplosione. Iron Dome, il miracolo tecnologico che ci protegge da questa minaccia, non è in grado di offrire una protezione totale, né di toglierci di dosso la paura che da un momento all’altro possano raggiungerci i detriti del razzo abbattuto in cielo. Una sorta di roulette russa. Ultimamente ho vissuto tre situazioni davvero spiacevoli in cui suona la sirena e non hai un vero riparo, in particolare ieri ero in macchina in mezzo al nulla, la sirena non ha suonato, i razzi mi sono stati annunciati dalla radio che in questi giorni è costantemente accesa sulle notizie. La radio annunciava razzi in tutte le città dell’area in cui mi trovavo: Bet Yehoshua, Even Yehuda, Kfar Sava, Rosh Ha’Ain, Petah Tikva, Bene Berak, Ramat Gan. Tutte le macchine intorno a me si erano fermate, così mi sono fermato anch’io. Non avevamo potuto cercare nemmeno riparo, non c’era nulla intorno, poi il botto e un tuffo al cuore. Due signori fuori dalle vetture puntavano il dito in alto, seguendo la direzione ho visto due nuvolette di fumo. L’Iron Dome ha fatto il miracolo, almeno un razzo abbattuto sul cielo di Petah Tikva, ho aspettato qualche minuto pregando che non ci fossero i detriti in arrivo, come ho già visto tante volte al telegiornale e poi la vita riprende, come ogni giorno, come se nulla fosse successo. Il problema è che dentro qualche cosa accade: l’incertezza, la preoccupazione per la famiglia, subire l’odio di qualcuno che non mi conosce e che non ho mai visto in vita mia.
David Perlmutter, Kfar Saba

Visto che questa generazione non ha sperimentato il terrore del suono degli stivali delle SS in arrivo, quelle anime generose hanno deciso di riempirgli la lacuna facendogli sperimentare il terrore del suono dei missili in arrivo. Ma la generazione delle pecore al macello non c’è più: adesso c’è Israele, e c’è Iron Dome, e ci sono i Merkava e gli F16. Se proprio proprio dovesse mettersi al peggio, c’è Dimona. Nel frattempo, dopo ogni missile, “la vita riprende, come ogni giorno, come se nulla fosse successo”.
(Poi adesso sono iniziate le operazioni di terra: adesso gli si fa il culo sul serio)

barbara

IL MASSACRO DI JÓSEFÓW

Il libro della memoria contiene un resoconto del massacro perpetrato a Józefów la mattina in cui Felunia e suo fratello raccoglievano frutti di bosco. L’ha scritto Frantsishka Bram. Nelle prime ore di quel 13 luglio 1942 arrivò a Józefów un plotone tedesco incaricato di uccidere donne, bambini, anziani e malati. I maschi in grado di lavorare vennero separati dagli altri. Un viavai di camion prelevava le sventurate vittime dalla piazza del paese e le portava a morire nei boschi vicini.

In piazza, in mezzo alla folla disperata, c’era il Dottor Fürt, un ebreo di Vienna che aveva più di settant’anni ed era stato colonnello dell’esercito austriaco… Si voltò verso di noi e ci disse: “È duro morire, lo so. Consolatevi pensando che i vostri persecutori andranno incontro a una morte terribile. Le generazioni future non avranno pietà di loro. Sia maledetta la Nazione di questi scellerati.” Aveva parlato ad alta voce e in tedesco: loro lo guardarono esterrefatti… Videro le sue decorazioni della Grande Guerra. Il Dottor Fürt urlò poi agli ebrei: “Se qualcuno di voi sopravvive e per caso incontra mio figlio, gli dica che suo padre non ha avuto paura degli assassini al soldo di Hitler!”
I tedeschi lo fecero a pezzi. Sua moglie era una nobile austriaca, cristiana. Morì con lui.

Durante le incursioni nelle case degli ebrei, i tedeschi uccidevano sul posto i più vecchi e i più deboli, che non erano in grado di raggiungere la piazza. Fra loro ci fu anche Jacob Lipschitz, l’ultimo rabbino di Konin. Gli spararono nel letto.


Post scriptum   Nell’estate del 1993, quando avevo già scritto del massacro di Józefów, ho avuto occasione di leggere un libro agghiacciante, Uomini comuni, scritto dallo storico americano Christopher Browning. Studiando la documentazione sui crimini di guerra nazisti depositata a Stoccarda, sede del coordinamento delle indagini, Browning trovò un atto d’accusa contro il Battaglione di Polizia 101, unità della Ordnungspolizei, la polizia civile tedesca. Uomini comuni è basato sostanzialmente sui verbali degli interrogatori degli uomini del Battaglione, quasi tutti membri ormai di mezz’età della classe operaia di Amburgo. Per il Battaglione 101 le atrocità di Józefów dovevano essere una sorta d’iniziazione agli eccidi di massa. Il racconto di Browning di quel 13 luglio 1942 ci presenta il massacro attraverso un’ottica diversa, quella degli assassini. Salvo alcune marginali discrepanze, tutto coincide. Ma il quadro che emerge nel libro è assai più terrificante di quello lasciatoci dalle fonti ebraiche del Libro.
Browning ha scoperto che, mentre gli ebrei venivano rastrellati e condotti in piazza, il medico della squadra e un sergente tennero ai loro uomini un corso accelerato sul trattamento da riservare alle vittime. Il primo carico di trentacinque-quaranta ebrei fu portato nei boschi a qualche chilometro dalla città. (Browning non parla mai della cava di pietra.) Al loro arrivo «si fecero avanti altrettanti poliziotti della Prima Compagnia, che furono abbinati
faccia a faccia alle loro vittime». Agli ebrei fu ordinato di distendersi per terra, in fila. «I poliziotti, vennero avanti e piazzarono le baionette sulla spina dorsale delle loro vittime, al di sopra delle scapole, secondo le istruzioni ricevute» e, al segnale del sergente, spararono all’unisono.
«Quando giunse il rumore della prima salva, dalla piazza si levò un urlo terribile: gli sventurati avevano capito qual era il loro destino. Da quel momenta in, poi, tuttavia, gli ebrei manifestarono una compostezza “incredibile” e “sorprendente”.»
Le esecuzioni si protrassero per ore. Anche gli uomini della Seconda Compagnia parteciparono al massacro ma, diversamente dai loro commilitoni, non avendo ricevuto istruzioni sul modo di sparare, ignoravano che il modo migliore per uccidere fosse «innestare le baionette per prendere la mira». Browning cita le parole di uno degli uomini: «All’inizio sparavamo a mano libera. Se si mirava troppo in alto, esplodeva tutto il cranio: c’erano pezzi di cervello e di ossa dappertutto.» Puntando l’arma sul collo si rischiavano altri inconvenienti: «Con quello sparo a bruciapelo il proiettile colpiva la testa della vittima con una traiettoria che provocava l’esplosione dell’intero cranio o dell’intera nuca: sangue, frammenti di ossa e pezzi di cervello si spargevano ovunque, imbrattando gli uomini del plotone.» Ben pochi tedeschi avevano fatto richiesta di esenzione da quel lavoro, ed erano stati esauditi. Qualcuno trovò delle scuse per defilarsi. Terminato il lavoro tutti ricevettero dosi abbondanti di alcolici.
Alla fine di quel lungo giorno d’estate i tedeschi se ne andarono letteralmente saturi del sangue delle vittime, lasciando nel bosco 1500 cadaveri di donne, bambini e anziani. Alcuni giacevano morti sulle porte di casa, fucilati sul posto mentre tentavano di fuggire o di nascondersi. Mia zia Bayla doveva essere stata fra questi. (Konin, pp. 546-550)

Oggi, 27 di nissan, è Yom haShoah.

Qui qualche immagine di quel mondo che la Shoah ha cancellato dalla faccia della terra, ma che noi non ci stancheremo di far rivivere col nostro ricordo. Così come non ci stancheremo di di stare dalla parte degli ebrei vivi, combattendo sia chi cerca di eliminarli con le armi, sia chi cerca di eliminarli con le menzogne: mai più come pecore al macello.

am israel chai  

barbara

GIUSTO PER AVERE UN’IDEA

Qui. Sei missili in meno di un minuto. Domandina piccina picciò: quanto costa un missile? E quanto costa mantenere una persona che, essendo impegnata a tempo pieno a tirare missili, non può certo avere il tempo di andare anche a lavorare per mantenere la famiglia? Ma questi qua non erano quelli che sotto lo spietato tallone di ferro dell’infame occupante nazisionista stanno morendo di fame?

barbara