LA TERZA GUERRA MONDIALE È PROPRIO INIZIATA

Ovvero “83 anni più tardi…

Nessuno si faccia illusioni. (Ho preso il testo del traduttore automatico, che mi sembra eccellente, inserendo solo qualche correzione e aggiustamento) L’articolo è lungo, ma va letto tutto, perché spiega in modo chiaro ed esauriente come si è arrivati dove si è arrivati, ossia alla terza guerra mondiale sostanzialmente in atto.

Gli architetti del nostro presente disastro

La politica estera americana sta cedendo alle sue stesse contraddizioni. Non abbiamo più il lusso della decadenza.

Di Benjamin Braddock

14 marzo 2022

Girando e girando nel vortice allargato Il falco non può sentire il falconiere; Le cose non andarono a buon fine; il centro non può reggere; La mera anarchia si scatena sul mondo, la marea offuscata dal sangue si scatena, e dappertutto  la cerimonia dell’innocenza è annegata; I migliori mancano di ogni convinzione, mentre i peggiori  sono pieni di appassionata intensità.

—William Butler Yeats, “La seconda venuta”

Il centro non regge, le cose stanno andando in pezzi. Siamo passati dalla psicosi di massa per i vaccini alla psicosi di massa per l’urgente necessità di entrare in guerra con la Russia.
Le sanzioni sono già abbastanza gravi; le prime ricadute economiche che ne derivano stanno già causando dolore ai lavoratori e alla classe media americana. Ma abbiamo fatto sanzioni la scorsa settimana, il pubblico chiede di più. Fai qualcosa, anche se quella cosa è orribile nelle sue implicazioni. Due anni di rabbia dissociata repressa vengono incanalati e reindirizzati verso un obiettivo esterno dalle stesse persone responsabili della risposta al COVID-19, tra le peggiori atrocità della storia americana.
Gli americani di origine russa – la stragrande maggioranza dei quali non ha alcuna associazione con Putin o con lo stato russo, non che il loro maltrattamento sarebbe giustificato se lo facessero – stanno sopportando il peso maggiore di una campagna particolarmente feroce di odio razziale e attacchi. Piuttosto il contrasto con i primi giorni del COVID, quando i liberali inciampavano su se stessi per raggiungere il ristorante cinese più vicino per dimostrare che il razzismo era il vero virus. Joe Biden non ha trovato il tempo nel suo discorso sullo stato dell’Unione per menzionare i 13 americani uccisi in Afghanistan, ma ha trovato il tempo per celebrare l’idea dei pensionati ucraini che si gettano sotto le tracce dei carri armati russi. È difficile immaginare una fine più ignominiosa della Pax Americana.

La Pax Americana è morta e l’abbiamo uccisa.

Non doveva essere così. Mi viene in mente una citazione di Condoleezza Rice sulla mattina dell’11 settembre. Sapeva che le forze statunitensi che sarebbero andate a DEFCON-3 avrebbero innescato un’escalation simile da parte della Russia, quindi ha chiamato il presidente Putin e gli ha detto che i nostri militari sarebbero stati in allerta. Le disse che lo sapeva e che aveva ordinato alle sue forze di ritirarsi. Poi ha chiesto se c’era qualcosa che poteva fare per aiutare. La Rice ha raccontato di aver avuto un momento di riflessione: “La Guerra Fredda è davvero finita”.

La lacrima”, memoriale per le vittime dell’11 settembre donato dalla Russia agli Stati Uniti. Per quanto riguardava la Russia, la Guerra Fredda era veramente finita (immagini inserite da me).

Ma le scelte fatte all’indomani di quel giorno da persone come lei hanno scatenato uno zeitgeist distruttivo nella politica estera di Washington che ci ha portato a questo punto in cui lo spettro della guerra nucleare è ora sospeso nell’aria come durante i momenti più tesi della Guerra Fredda.
Gli attacchi dell’11 settembre 2001 sono stati l’inizio della fine per la finestra di opportunità che avevamo per stringere una partnership con la Russia. Solo un anno prima, il presidente Putin aveva espresso interesse ad entrare a far parte della NATO durante la visita del presidente Clinton a Mosca. La risposta esatta di Clinton non è stata riportata pubblicamente ma non è stata affermativa. In retrospettiva, era esattamente la partnership di cui l’Occidente aveva bisogno per contrastare l’ascesa della Cina. Ma Washington aveva passato il decennio precedente a trattare la Russia come un vassallo colonizzato, c’era scarso interesse nel permettere a un paese così arretrato e umiliato di entrare nelle sale dorate della NATO.
La Russia negli anni ’90 era un relitto. Sulla scia della caduta dell’Unione Sovietica, il governo russo divenne uno stato fantoccio dell’America e dell’Occidente e la sua economia fu un disastro monumentale. Le persone hanno smesso di essere pagate, l’inflazione mensile era a due cifre, i risparmi di una vita sono scomparsi dall’oggi al domani, le banche sono scomparse dall’oggi al domani. Il tasso di fertilità è crollato, insieme all’aspettativa di vita, con oltre cinque milioni di morti in eccesso registrate nel decennio, principalmente per morti per disperazione. Durante la privatizzazione post-sovietica, le grandi imprese statali venivano vendute per pochi penny sul rublo a persone politicamente ben collegate, ed è così che la maggior parte degli oligarchi ha acquisito le proprie fortune. E anche gli americani politicamente ben collegati hanno fatto fortuna in Russia.
Wayne Merry, un funzionario statunitense presso l’ambasciata a Mosca negli anni ’90, ha dichiarato in seguito: “Abbiamo creato un negozio virtuale aperto per il furto a livello nazionale e per la fuga di capitali in termini di centinaia di miliardi di dollari, e lo stupro di risorse naturali e industrie su una scala che dubito abbia mai avuto luogo nella storia umana”. Fu in questo contesto che Putin salì al potere. Abbastanza divertente, quando Boris Eltsin scelse Putin come suo successore presidenziale, chiamò Bill Clinton per ottenere l’approvazione. Putin è salito al potere con un desiderio ardente: rendere di nuovo grande la Russia e impedirle di essere umiliata come era nel suo decennio perduto.
Mentre Putin ricostruiva la Russia, l’America stava portando avanti progetti di rimodellamento nazionale in Iraq e Afghanistan che erano stati abbandonati appena dopo la fase di demolizione. L’idea era quella di diffondere i “valori” americani e il nostro “modo di vivere”, non importa quanto terribili fossero le conseguenze per le persone coinvolte. Il mio amico Sam Finlay ha descritto la situazione come quella in cui le azioni aggressive di un paese normale sono come quelle di un lupo: uccide per mangiare. L’aggressione serve in qualche modo gli interessi materiali di quel paese. Ma la politica estera americana è come un grosso cane stupido, cattura un coniglio per divertimento, lo uccide nel frattempo, e poi perde interesse e torna dentro a mangiare crocchette.

Esportare la democrazia

Durante tutta la sua carriera politica, Vladimir Putin ha assistito alla politica estera americana che si è scatenata nel mondo come un toro in un negozio di porcellane. Ha imparato come operano i nostri leader e comprende il tradimento di cui sono capaci. La Libia è un buon esempio. Il colonnello Gheddafi aveva collaborato con gli Stati Uniti. Interruppe il suo programma nucleare, rinunciò alle sue armi di distruzione di massa e iniziò ad aprire il suo paese e la sua economia al mondo. Verso il 2008, i leader militari statunitensi chiamavano la Libia uno dei principali alleati degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo transnazionale. Gheddafi permise l’apertura di un’ambasciata americana e, prima ancora che la vernice si asciugasse, i diplomatici e le spie appostate stavano già lavorando al suo rovesciamento. Hanno collaborato con ONG e fondazioni statunitensi e transnazionali per formare attivisti “pro-democrazia” e fondare un movimento di opposizione.
Quando è scoppiata la Primavera Araba nel 2011, in Libia sono scoppiate violente proteste, guidate da gruppi radicali armati di nascosto dagli Stati Uniti e dai loro alleati, e il governo ha cercato di sedare la ribellione e ristabilire l’ordine. Il ripristino dell’ordine è stato ritenuto pesante dagli Stati Uniti e dalla NATO e quindi è stato stabilito il pretesto per l’intervento. La NATO ha iniziato l’intervento istituendo una no-fly zone sulla Libia, che si è rapidamente trasformata in una campagna di bombardamenti e missili da crociera contro installazioni militari e infrastrutture civili.
La ricompensa del colonnello Gheddafi per aver collaborato con il governo americano è stata di essere sodomizzato con una baionetta sulla strada per la sua esecuzione sommaria. Piuttosto che esprimere rammarico o addirittura rispondere con un minimo di discrezione, il Segretario di Stato Hillary Clinton ha cantato: “Siamo venuti, abbiamo visto, è morto “. Il vicepresidente Joe Biden ha fatto eco ai suoi sentimenti, “Che sia vivo o morto, se n’è andato. Il popolo libico si è sbarazzato di un dittatore. La NATO ci ha azzeccato”. Sulla scia dell’omicidio di Gheddafi, la Libia si è trasformata in una totale anarchia con mercati degli schiavi dove si poteva comprare un essere umano per $ 40 e una guerra civile che è durata fino al 2020. Il paese è diventato un vivaio di terroristi. Il regime di Gheddafi si era fermato tra l’Italia e l’Africa subsahariana. Con lui fuori dai giochi, l’Italia e il resto dell’UE sono stati rapidamente invasi da immigrati illegali.
Il messaggio che l’episodio della Libia ha inviato ai governi di tutto il mondo è stato chiaro: puoi fare tutto ciò che gli americani chiedono, ma c’è ancora un’ottima possibilità che ti piantino un coltello nella schiena. Divenne dolorosamente ovvio che la politica estera americana era stata completamente separata da qualsiasi obiettivo razionale. Da quel momento in poi, Putin ha iniziato a lavorare attivamente contro l’interventismo americano, in particolare in Siria con il suo sostegno al governo del presidente Assad nella sua lotta contro ribelli e gruppi terroristici come l’ISIS, molti dei quali sono stati addestrati e armati dal governo degli Stati Uniti. Man mano che la Russia si allontanava ulteriormente dall’Occidente, l’antagonismo del governo statunitense nei confronti della Russia aumentò ulteriormente. Il prossimo obiettivo di una rivoluzione colorata sarebbe l’Ucraina.
Nel novembre 2013, un movimento di protesta noto come Maidan è iniziato nella piazza centrale di Kiev dopo che il presidente Yanukovich ha rifiutato una proposta di associazione politica e accordo di libero scambio con l’Unione europea. L’accordo avrebbe aperto i mercati dell’Ucraina alle importazioni europee mantenendo i mercati dell’UE chiusi alle merci ucraine. Le proteste sono continuate per mesi e le richieste dei manifestanti sono cambiate da un appello a firmare l’accordo a una richiesta di dimissioni di Yanukovich e del suo governo. Queste proteste sono state esplicitamente sostenute dallo stesso governo degli Stati Uniti e dalle sue ONG partner. Centinaia di milioni di dollari sono stati versati in Ucraina da questi gruppi, tra cui l’Open Societies Institute di George Soros, la Freedom House e il National Endowment for Democracy finanziato dai contribuenti statunitensi.
La persona di riferimento per gli sforzi del Dipartimento di Stato americano per rovesciare il governo Yanukovich è stata Victoria Nuland, un’ex consigliera di Dick Cheney che ha servito come portavoce del Segretario Clinton prima di essere promossa a Assistente Segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici. Ha visitato i manifestanti con l’ambasciatore statunitense Pyatt, annunciando “Siamo dall’America” ​​alla folla che non parla inglese e offrendo pezzi di pane da un sudicio sacchetto di plastica della spesa (i manifestanti sembravano disorientati e la maggior parte non ha preso il pane). In seguito si è vantata che gli Stati Uniti avevano speso cinque miliardi di dollari per “promuovere la democrazia” in Ucraina.
È trapelata una telefonata intercettata in cui Nuland e Pyatt hanno discusso i loro piani per chi avrebbe guidato un nuovo governo in caso di cacciata di Yanukovich, già una conclusione scontata a giudicare dal tono della conversazione . Da notare: Nuland dichiara “Penso che Yats sia il ragazzo che ha l’esperienza economica, l’esperienza di governo. Ciò di cui ha bisogno sono Klitschko e Tyahnybok all’esterno”, riferendosi ad Arseniy Yatsenyuk, Vitali Klitschko e Oleh Tyahnybok; Pyatt ha detto “vogliamo cercare di convincere qualcuno con una personalità internazionale a venire qui e aiutare a fare l’ostetrica in questa cosa” e Nuland ha risposto che Joe Biden era disposto; così come Nuland che dichiara “F-k l’UE”.
Il 20 febbraio 2014, i cecchini di Maidan hanno aperto il fuoco . Quando finalmente il fumo si è diradato, 48 manifestanti e quattro poliziotti giacevano morti nella piazza. La narrazione prese rapidamente piede secondo cui furono i paramilitari del governo a compiere il massacro. Quando il processo per il massacro si è finalmente tenuto anni dopo, la maggior parte dei sopravvissuti feriti ha testimoniato di essere stati uccisi dagli edifici tenuti da Maidan lungo la piazza o di aver visto cecchini posizionati in quegli edifici. L’ex capo dei servizi di sicurezza ucraini, Aleksandr Yakimenko, ha affermato che si trattava di mercenari portati da coloro che complottavano per abbattere Yanukovich. Erano lì tutti i giorni”.
L’operazione ha raggiunto il suo obiettivo. Il 21 febbraio Yanukovich, in un ultimo disperato tentativo di prevenire ulteriori violenze, ha firmato un piano mediato franco-tedesco-polacco per accettare poteri ridotti e ha chiesto elezioni anticipate in modo da poter essere rimosso dal potere. Il 22 febbraio, Right Sektor e le milizie neonaziste hanno preso d’assalto gli edifici governativi e hanno costretto Yanukovich e molti funzionari a fuggire da Kiev. Nuland ha disposto una procedura incostituzionale in parlamento per togliere la presidenza a Yanukovich. Arseniy Yatsenyuk, il “ragazzo” di Nuland, è stato nominato primo ministro e le potenze occidentali guidate dagli Stati Uniti lo hanno immediatamente dichiarato legittimo. L’80° tentativo di colpo di stato americano dal 1953 è stato un successo.
La base politica di Yanukovich ha reagito rapidamente, tenendo referendum per l’indipendenza dall’Ucraina; prima in Crimea, poi nella regione del Donbass, con la formazione della Repubblica popolare di Luhansk e della Repubblica popolare di Donetsk. Inizialmente, la Russia ha accettato il referendum in Crimea – dopotutto, la Marina russa ha mantenuto un porto fin dai tempi di Nicola II – ma era riluttante quando si trattava del Donbass. Fu solo quando il governo di Kiev inviò milizie neonaziste a svolgere operazioni di “antiterrorismo” a Donetsk e Luhansk che la Russia iniziò a prestare un tacito sostegno ai separatisti, anche se a volte li ostacolavano direttamente.
I separatisti hanno quasi preso Mariupol durante la controffensiva dell’agosto 2014. L’esercito ucraino è fuggito dalla città ed era aperta alla presa. Con la presa di questa importante città industriale, l’indipendenza del Donbass sarebbe stata un fatto compiuto . Ma la Russia li ha fermati, minacciando di chiudere il confine ed espellere i familiari dei miliziani che avevano cercato rifugio in Russia. I miliziani indietreggiarono e l’esercito ucraino riconquistò la città. Da quel momento in poi, il conflitto è rimasto in gran parte congelato.
Un mio conoscente russo si offrì volontario per combattere per la “Repubblica popolare di Donetsk”. Dal modo in cui ha parlato delle condizioni lì, ho pensato che fosse una causa persa, ma come meridionale, sono un fanatico delle cause perse. Il mio amico temeva che fosse un uomo segnato, che se mai fosse tornato in Russia potesse essere arrestato per la sua partecipazione. Privo di uomini, denutriti e disarmati, lui e i suoi compagni patrioti hanno resistito durante una guerra brutale che imperversa dal 2014, con numerose atrocità perpetrate sia dal governo ucraino che dai “battaglioni punitori” neonazisti contro la popolazione civile di Donetsk e Luhansk.
In una di queste atrocità, un uomo fu inchiodato a una croce imbevuta di benzina e bruciato vivo. In un altro, un uomo e una donna incinta avevano delle corde legate al collo, le corde passavano su una traversa sospesa tra due alberi e legata al retro di un’auto. L’auto è stata lentamente spinta in avanti e le due vittime sono state lentamente sollevate in aria e strangolate a morte. Le forze ucraine hanno bombardato a intermittenza gli abitanti di Luhansk e Donetsk, anche con munizioni al fosforo bianco contro obiettivi civili.
Complessivamente, la guerra nel Donbass è costata almeno 14.000 vittime, ne ha ferite altre decine di migliaia e ha sottoposto la popolazione di oltre 2,3 milioni di persone a Donetsk e Luhansk alle difficoltà della vita in una zona di guerra. Questo è stato un osso nella gola di molti russi, che vedono gli abitanti etnicamente russi di Donetsk e Luhansk come loro parenti. Ma fino a questo punto Putin ha scelto di non essere coinvolto militarmente in modo significativo. Il punto di svolta per l’invasione non è stata la sopravvivenza del Donbass, ma la sopravvivenza della stessa Russia.

Nato in espansione

Per decenni, la Russia ha chiarito che considera l’espansione verso est della NATO verso i suoi confini come una minaccia esistenziale. E i migliori diplomatici ed esperti di politica estera americani hanno compreso questa posizione. Il segretario di Stato James Baker ha dato alla Russia una “garanzia di ferro” che la NATO non si sarebbe espansa “di un pollice a est” della Germania se i russi avessero collaborato sulla questione della riunificazione tedesca. George Kennan, architetto della strategia statunitense della Guerra Fredda, ha definito l’espansione della NATO un “tragico errore”. Henry Kissinger ha affermato che, a causa della sua storia unica con la Russia, “l’Ucraina non dovrebbe aderire alla NATO”. John Mearsheimer ha avvertito: “L’Occidente sta guidando l’Ucraina lungo il sentiero delle primule e il risultato finale è che l’Ucraina andrà in rovina… Quello che stiamo facendo è infatti incoraggiare quel risultato.
Ma il governo degli Stati Uniti ha portato avanti la sua agenda espansionistica della NATO. È ciò che ha portato alla prima grande frattura nelle relazioni USA-Russia nel 2008, quando l’amministrazione del presidente George W. Bush ha spinto con successo l’alleanza ad affermare alla conferenza di Bucarest che Georgia e Ucraina sarebbero diventate membri della NATO. Ciò ha portato a una rottura delle relazioni diplomatiche tra Russia e Georgia e allo scoppio della guerra russo-georgiana. Ciò avrebbe dovuto inviare un chiaro messaggio all’Occidente che la Russia era seriamente intenzionata a non accettare l’espansione della NATO alle sue porte. Era per la Georgia, che ha ritirato la sua offerta della NATO e da allora è stata in pace con la Russia.
L’establishment della politica estera statunitense o non ha recepito il messaggio della Russia, o l’ha fatto, e ora sta deliberatamente tentando di farci entrare in guerra con la Russia. È un pensiero inquietante ma in linea con il loro comportamento provocatorio.
Quando Hillary Clinton era in corsa per la presidenza, sostenne una no-fly-zone sulla Siria contro l’aviazione russa, che stava assistendo il presidente Assad nella sua lotta contro una conflagrazione di ribelli e terroristi armati e sostenuti da una serie di interessi esterni. Se la Clinton fosse stata eletta, la sua intenzione dichiarata era di incaricare l’aviazione degli Stati Uniti di abbattere i piloti russi e condurre attacchi aerei contro le unità di difesa aerea russe. L’elezione di Donald Trump ha impedito che quello scenario si verificasse. Invece, le forze armate statunitensi e russe hanno collaborato nel teatro siriano per portare a termine la distruzione dell’ISIS. Con il presidente Trump in carica, i peggiori eccessi dei Chickenhawks sono stati frenati, ma mentre le foto presidenziali negli uffici del Dipartimento di Stato e del Pentagono erano cambiate, non lo erano le persone che in quegli uffici lavoravano.
Nel 2019, il segretario di Stato Mike Pompeo sembrava cercare un ripristino diplomatico con il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, che aveva legami di lunga data con la Russia ma cercava anche relazioni con l’Occidente per evitare una dipendenza unilaterale da Mosca. Un accordo per le spedizioni di petrolio dagli Stati Uniti è stato concordato senza condizioni politiche. Ma durante la pandemia di COVID-19, Lukashenko è stato oggetto di aspre critiche dai media occidentali per essersi rifiutato di imporre restrizioni ai suoi cittadini, consigliando invece di praticare sport, bere vodka, recarsi regolarmente in sauna e lavorare nei campi per mantenersi in salute. Ha respinto le misure adottate da quasi tutti gli altri paesi definendole “psicosi”. Le sue azioni lo hanno reso una specie di paria tra i tecnocrati globali. In una telefonata con Lukashenko, il Fondo monetario internazionale ha offerto miliardi di dollari in finanziamenti alla Bielorussia, se il paese avesse implementato restrizioni di quarantena, isolamento e coprifuoco. Lukashenko ha rifiutato.
È stato in questo contesto che le relazioni tra l’Occidente e la Bielorussia, che si stavano risacaldando, hanno preso una svolta gelida. Più di un mese prima delle elezioni presidenziali, il Consiglio Atlantico ha pubblicato un post intitolato “Minsk Maidan?” che ipotizzava che Lukashenko sarebbe stato “cacciato via da una rivolta del potere popolare in stile Maidan simile alle rivoluzioni ucraine del 2004 e del 2014”. Prima che fosse espresso il primo voto, i media occidentali sostenevano già che qualsiasi vittoria di Lukashenko sarebbe stata necessariamente il risultato di una frode elettorale. Ma non importa, il  Time ha dichiarato: “Le battaglie di Lukashenko non finiranno con la sua vittoria quasi certa in elezioni fraudolente”. E avevano ragione. Lukashenko vinse facilmente il voto e poi trascorse le settimane successive combattendo una rivoluzione colorata sostenuta dagli Stati Uniti. Il funzionario del Dipartimento di Stato che sedeva nella sezione della Bielorussia? George Kent, un “esperto di rivoluzione colorata” che era stato coinvolto nella rivoluzione colorata del 2014 in Ucraina e ha testimoniato contro il presidente Trump nel suo primo processo di impeachment.
La rivoluzione colorata bielorussa del 2020 è stata un fallimento. Lukashenko ha mantenuto il potere in gran parte grazie all’attiva assistenza russa nel contrastare le tattiche occidentali. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno risposto con sanzioni e il rifiuto di riconoscere la legittimità di Lukashenko. Le aperture di Lukashenko all’Occidente sono state accolte con uno schiaffo in faccia. Da allora, è stato al passo con i russi, consentendo ai loro militari di attaccare l’Ucraina dal territorio del suo paese e inviando unità dell’esercito bielorusso in loro aiuto. Ma mentre gli Stati Uniti non sono riusciti a rovesciare l’ultimo uomo forte d’Europa, hanno avuto la possibilità di affinare il loro playbook della rivoluzione dei colori. Il prossimo non si svolgerà nell’Europa dell’Est, ma proprio qui negli Stati Uniti.

Il Deep State al Dipartimento di Stato

Nell’agosto 2020, il Washington Post ha pubblicato un articolo d’opinione , “Quello che gli americani dovrebbero imparare dalla Bielorussia” come parte di una raffica di articoli in cui si affermava che Trump era destinato a perdere le elezioni e che avrebbe tentato di prendere il potere con mezzi autoritari quando ciò fosse accaduto. Ha tracciato direttamente parallelismi tra le proteste del BLM e le proteste bielorusse e le ha correttamente identificate come lo stesso fenomeno. Non è stato detto che nessuno dei due movimenti era organico, ma in realtà erano manifestazioni di terrorismo sponsorizzato da élite contro le norme democratiche di ordinati processi politici e civili.
Un mese dopo, il giornalista investigativo Darren Beattie ha pubblicato un’indagine in cui avverte che la stessa costellazione di ONG e apparatchik di Washington che hanno coordinato le rivoluzioni colorate all’estero ne stavano attivamente pianificando una proprio qui a casa. Venne la notte delle elezioni e accadde: il famigerato arresto del conteggio dei voti; la dichiarazione coordinata dei media secondo cui Biden era stato eletto presidente prima del completamento del conteggio dei voti. Poi è arrivata l’immediata messa al bando sui social media di chiunque pubblicasse prove di frode elettorale. È stato un momento surreale nella storia americana. Chiunque mettesse in dubbio i dettagli o sottolineasse la natura coordinata di questa operazione è stato bollato come un teorico della cospirazione o addirittura come un traditore che tentava di sovvertire la democrazia.
Mesi dopo, il Time ha pubblicato un articolo intitolato “La storia segreta della campagna ombra che ha salvato le elezioni del 2020”. Ha spiegato: “C’era una cospirazione che si stava svolgendo dietro le quinte, che ha ridotto le proteste e coordinato la resistenza degli amministratori delegati. Entrambe le sorprese sono state il risultato di un’alleanza informale tra attivisti di sinistra e titani degli affari” e hanno descritto “una vasta campagna interpartigiana per proteggere le elezioni”. Ecco quanto sono sfacciate le persone che lo stanno facendo. Accendono a gas chiunque si accorga di quello che stanno facendo mentre lo stanno facendo, e poi si girano e si vantano di quello che hanno fatto dopo il fatto.
Il successo del rovesciamento della presidenza Trump ha riportato al potere lo stesso cast di personaggi che aveva portato avanti la rivoluzione colorata in Ucraina nel 2014. Joe Biden, che come vicepresidente aveva guidato l’accordo per istituire un regime fantoccio in Ucraina è ora presidente. Victoria Nuland è tornata come sottosegretario di Stato per gli affari politici. Jen Psaki, che ha servito come portavoce della propaganda per il Dipartimento di Stato durante l’amministrazione Obama, è ora il portavoce della propaganda per la Casa Bianca di Biden. Biden ha dichiarato al suo insediamento: “L’America è tornata”, il che è vero solo se si definisce l’America come un governo gestito da pazzi pagliacci cleptocratici le cui capacità di risoluzione dei problemi equivalgono a quelle di un contadino che dà fuoco ai suoi campi di cotone per scacciare i punteruoli.
Queste sono persone che pensano di essere abbastanza intelligenti da affrontare potenti paesi stranieri gestiti da persone sane. Non lo sono, e quelle potenze straniere ne hanno preso atto. Il tipo di americani che il mondo teme o rispetta è stato espulso dal governo e dalla leadership militare e sostituito da un serraglio di pazienti in case di cura, donne delle risorse umane, assunzioni di azioni affermative, degenerati sessuali e generali obesi a quattro stelle che cercano posti nel prossimo consiglio di amministrazione di Theranos. Il giorno della resa dei conti è arrivato. Leader come Putin, Xi e Mohammed bin Salman non sono più suscettibili di essere presi in giro e moralmente perseguitati dai fanatici del circo che costituiscono il governo degli Stati Uniti.
La cabala di Washington ha a lungo trattato l’Ucraina come il proprio parco giochi personale. Dalle avventure di Hunter Biden con Burisma ai laboratori di armi biologiche finanziati dagli Stati Uniti allo status dell’Ucraina come principale paese di origine per le donazioni della Fondazione Clinton e per i bambini schiavi del sesso, il posto è una base per l’élite occidentale più corrotta. Non vogliono lasciarlo andare, che è in parte il motivo per cui hanno propagandato l’intero mondo occidentale in una mania frenetica per un’operazione militare che finora ha evitato la popolazione civile in misura molto maggiore rispetto alle passate operazioni della NATO in Libia e Jugoslavia.

Una terza guerra mondiale

Siamo già entrati funzionalmente in una qualche versione di una terza guerra mondiale. Finora, sia Biden che Putin hanno evitato un conflitto militare diretto, ma resta il pericolo che la logica degli eventi possa degenerare in una guerra disastrosa tra Russia e NATO. I repubblicani del Senato stanno facendo pressioni su Biden per alzare la posta fornendo all’Ucraina aerei da combattimento. I politici di entrambe le parti chiedono una no-fly zone, che, se ricorderete l’esempio della Libia, è il primo passo verso una guerra generale. Anche senza un coinvolgimento militare diretto ci troviamo già di fronte a ricadute economiche paragonabili a quelle di una guerra mondiale.
Le sanzioni contro l’economia russa stanno già reagendo contro il nostro stesso popolo. Attualmente, questo è sotto forma di aumento dei prezzi alla pompa di benzina e presto quei prezzi del gas influiranno sul costo dei generi alimentari e di altri beni. Ciò aumenterà i pericoli inflazionistici di cui avevo avvertito alla fine dell’anno scorso . La Russia ha anche sospeso l’esportazione di alcune materie prime chiave verso “paesi non amici” che porteranno a dolorose carenze globali, la più allarmante dei fertilizzanti, di cui la Russia produce oltre la metà della fornitura globale. È probabile che ciò porti a una resa dei raccolti significativamente inferiore, che porterà a una carenza di cibo per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. L’instabilità geopolitica che ciò causerà avrà conseguenze disastrose per il mondo.
Non ci siano dubbi: questo non è un momento transitorio ma l’ingresso in un nuovo paradigma geopolitico. Invece di tornare alla normalità come ci era stato promesso, l’emergenza COVID è stata sostituita con l’ennesima emergenza, mentre il COVID stesso continua a permanere e mutare attraverso la nostra popolazione. Siamo in un momento straordinario che rappresenterebbe una sfida per i leader più competenti. Al momento non ne abbiamo nessuno a portata di mano, ma forse lo avremo abbastanza presto.
L’impero americano sta cedendo alle sue stesse contraddizioni. Non abbiamo più il lusso della decadenza. Gli uomini deboli hanno creato tempi difficili, ma i tempi difficili creeranno uomini forti e, con uomini forti, il cambio di regime potrebbe finalmente essere alla nostra portata. (Qui, con tutti i link, che non mi è stato possibile inserire)

Ma dopo quanti morti e quanta distruzione e quanta miseria?

barbara

NON MORIRÒ STANOTTE

È il titolo di un libro autobiografico, che adesso vi racconto. Allora c’è questo tizio, uno studente, che va in Siria con un progetto umanitario ma poi decide di fermarsi lì e di unirsi alla lotta armata contro l’ISIS. Non ha fatto il militare perché è stato abolito che lui era ragazzino, non ha mai preso in mano un’arma ma ha a sua disposizione l’arma più potente di tutte: l’ideologia, il marxismo. E così va lì, si fa istruire da uno esperto, mette insieme una squadra di una decina di volontari e parte all’assalto dell’ISIS. E casa dopo casa, strada dopo strada, quartiere dopo quartiere, città dopo città fino all’epopea di Raqqa, col suo gruppetto libera tutta la Siria, tutti i comandanti degli eserciti regolari si consultano con lui prima di decidere ogni azione, gli americani – schifosissimi capitalisti ma purtroppo gli aerei con le bombe li hanno solo loro – prendono ordini da lui, lui prende la ricetrasmittente e dice ho bisogno che mi bombardiate questo palazzo qui se no non posso proseguire in sicurezza, e dieci secondi dopo eccoli lì che bombardano a tutto spiano. Tutti gli altri gruppi di volontari vengono via via decimati quando non addirittura annientati ma il suo no, perché lui non commette errori in quanto è sorretto dall’ideologia. Gli arabi sono dei cazzoni su cui non si può far conto perché fanno tutto in maniera cialtronesca, per esempio quando comunicano via ricetrasmittente urlano come forsennati e in più ci si fanno lunghe chiacchierate così si fanno regolarmente localizzare e quelli dell’ISIS li fanno fuori. Sui curdi non si può contare perché sono dei gran fifoni e scappano al primo segnale di pericolo e quindi non resta che lui, grazie al quale l’ISIS è stato definitivamente sconfitto. Tutto vero, eh! La faccenda che non morirà stanotte è quando il pavimento gli crolla sotto i piedi e lui precipita per due piani e si frattura una vertebra e lui appunto, precipitato da quella altezza, quasi paralizzato dal dolore, ha l’impressione di essere conciato così male che potrebbe morire ma sa con certezza che a questa notte sopravvivrà. E non vi dico cosa non riesce poi a fare – e hai proprio trovato quella giusta a cui raccontare quante prodezze si possono fare con una vertebra rotta – roba che uno quasi non ci crederebbe. Ma solo quasi, eh.
Poi solo alla fine scopri che in realtà il libro non lo ha proprio scritto lui: lui ha raccontato la storia a una tizia – autentica narratrice di razza – la quale ha creato questo libro, narrativamente meraviglioso. Solo che la storia non funzionerebbe neanche se fosse presentata come romanzo, proprio perché racconta vicende inserite in un contesto che tutti noi abbiamo, chi più chi meno, seguito, e sappiamo perfettamente che non è così che sono andate le cose. Insomma, una tremenda buffonata. Di cui la cosa più incredibile di tutte sono le recensioni dei lettori su Amazon: uno straordinario comandante, una bellissima storia vera, un importante documento… Qualcuno, oltre a mostrare una totale ignoranza dei fatti, scodella anche grandi complimenti per la sua bellissima scrittura, quando lui nell’ultima pagina dice chiaramente che la stesura non è sua, e riporta il nome della persona che ha tutto il merito per il bellissimo stile, sicché uno si chiede: ma questi cosa hanno letto? Come hanno letto?

barbara

OBAMA E IL DISASTRO SIRIANO

Essendovi, in un precedente articolo, un accenno alla pesantissima eredità lasciata a Donald Trump da Obama, ritengo utile proporre questo articolo di poco meno di due anni fa.

Tre modi in cui Obama ha causato il disastro siriano

A Obama appartiene il disastro in Siria come a nessun altro. Tre delle sue politiche si sono intrecciate per provocarvi lo spargimento di sangue, la devastazione e gli orrori.

  1. Il ritiro in Iraq
  2. La primavera araba
  3. L’accordo con l’Iran

Il ritiro di Obama in Iraq ha consegnato il paese all’Iran e all’ISIS. Le tensioni tra il regime fantoccio sciita di Baghdad (che Obama ha sempre sostenuto) e la popolazione sunnita hanno creato un ciclo di violenza che ha condotto il paese a una sanguinosa guerra civile tra le milizie sciite e Al Qaeda in Iraq.
Il crollo dell’esercito iracheno multiculturale ha permesso ad Al Qaeda in Iraq di impadronirsi di vasti territori. E l’ISIS e l’Iran hanno iniziato a spartirsi l’Iraq impadronendosi di territori etnicamente purificati.
Quindi la sua primavera araba ha autorizzato le forze sunnite dei Fratelli Musulmani a prendere il potere in vari paesi della regione circostante. A differenza dell’Egitto e della Tunisia, i cui governi caddero sotto la pressione della Casa Bianca, e della Libia, che Obama ha bombardato e invaso, gli iraniani e i russi non hanno liberato i loro alleati siriani.
La guerra civile irachena si è diffusa in Siria. All’inizio, Obama ha appoggiato le milizie della Fratellanza sunnita. Questi gruppi si presentavano come liberi, laici e democratici. In realtà non erano niente del genere. Ma quando la Libia e lo Yemen si sono trasformati in disastri e le milizie siriane hanno chiesto a gran voce un intervento militare diretto, Obama si è invece rivolto all’Iran. Gli islamisti sunniti non avevano funzionato, quindi ha stretto un accordo con gli sciiti.
Il nuovo accordo di Obama con l’Iran è stato siglato con una fortuna in valuta estera spedita illegalmente su aerei cargo non contrassegnati, un’autentica carta bianca per il programma nucleare iraniano, la cancellazione delle sanzioni e il ritiro del sostegno alle milizie sunnite in Siria. E questo ha lasciato all’Iran mano libera in Siria.
Se vuoi capire perché la Siria è un’area disastrata, questi sono i tre motivi.
Obama ha messo l’ISIS e l’Iran in condizione di mettere le mani sulla Siria. Quindi ha dato potere alle milizie musulmane e ad Al Qaeda in Siria. E infine ha rafforzato Iran, Assad e Russia in Siria.
Se avesse deciso di provocare quante più morti e devastazioni possibili in Siria, non avrebbe potuto fare più danni senza far cadere bombe atomiche o la sua propaganda elettorale nelle sue principali città.
Tutti i più grandi terroristi in Siria sono stati potenziati dalle terribili decisioni di Obama.
L’ISIS e l’espansionismo iraniano sono cresciuti nel vuoto creato dalle sue politiche. Ha appoggiato le milizie della Fratellanza e Al Qaeda con addestramento, supporto politico e spedizioni di armi. Quindi ha deciso di creare un altro vuoto che avrebbe permesso all’Iran di invadere la regione per fare al suo posto il lavoro sporco che lui non voleva fare.
La Siria è solo il culmine di una serie di decisioni sbagliate guidate da un’unica filosofia disastrosa.
La politica estera di Obama è stata una risposta di sinistra all’11 settembre e alla guerra in Iraq. La sua premessa centrale era che il terrorismo islamico era colpa nostra. I terroristi islamici ci avevano attaccato a causa del nostro sostegno ai governi Egiziano e saudita. Questa idea era implicitamente espressa nel suo discorso sulla guerra in Iraq.
“Combattiamo per fare in modo che i nostri cosiddetti alleati in Medio Oriente, i sauditi e gli egiziani, smettano di opprimere la propria gente, sopprimere il dissenso, tollerare la corruzione e la disuguaglianza e gestire male le loro economie in modo che i loro giovani crescano senza istruzione , senza prospettive, senza speranza, diventando così pronte reclute per le cellule terroristiche “, aveva dichiarato.
La soluzione era ritirarsi dall’Iraq. E togliere il sostegno politico ai nostri alleati.
I terroristi islamici si candideranno, vinceranno le elezioni e poi smetteranno di essere terroristi. O almeno limiteranno il loro terrorismo alla violenza domestica e regionale. Non ci saranno più giustificazioni per i nostri interventi militari “imperialisti” nella regione. Questa era la politica estera del “potere intelligente” di Obama.
Invece, tutto è andato storto.
Non ha mantenuto gli impegni in merito alla linea rossa.
L’alleanza tra i Fratelli Musulmani, il Qatar e il regime di Obama ha rovesciato governi amici e li ha sostituiti con stati terroristi in tutto il Medio Oriente. Ma le sollevazioni popolari contro il dominio islamista in Tunisia e in Egitto hanno deposto gli alleati di Obama: Mohammed Morsi e Rashid Ghannouchi. L’invasione illegale di Obama in Libia ha portato di tutto, dal ritorno dei mercati degli schiavi alle città controllate dell’ISIS. La Fratellanza libica alleata di Al Qaeda ha influenzato le milizie terroristiche che hanno portato all’attacco di Bengasi.
Gli altri peggiori disastri della primavera araba di Obama sono avvenuti in Siria e Yemen. L’Iran ha usato le offerte della Fratellanza per il potere come apertura. I combattimenti tra jihadisti sciiti e sunniti hanno devastato entrambi i paesi. Obama voleva che i Fratelli Musulmani vincessero, ma non voleva continuare a invadere i paesi per farlo.
I Fratelli Musulmani non potevano prendere il potere o conservarlo senza supporto militare. Hillary Clinton aveva convinto Obama a invadere la Libia. Ma lui non voleva più guerre. Soprattutto dopo la Libia.
Quando alcuni dei suoi consiglieri lo hanno esortato a intervenire più energicamente in Siria, ha esitato.
Il vincitore del premio Nobel per la pace, che è stato in vacanza in tutto il mondo,  non è riuscito a trovare nessuno,  tranne  i francesi,  a sostenere effettivamente l’azione in Siria. Ed era troppo abituato a guidare da dietro le quinte per prendere il comando. La linea rossa era stata superata. Si è trascinato lentamente fino alla soglia dell’azione e poi è scappato accusando pateticamente  gli inglesi  per la propria codardia, il doppio gioco e le promesse non mantenute.
L’ ex primo ministro britannico  avrebbe  descritto Obama come una delle “persone più narcisiste ed egocentriche”.
Obama ha evitato la guerra umiliando il proprio segretario di stato e colludendo con i russi. Ha rinunciato a rispettare gli impegni presi in merito alla sua linea rossa, accettando di fingere che la Siria avesse distrutto le armi di distruzione di massa.
Trionfali comunicati stampa e resoconti dei media hanno affermato che tutte  le armi chimiche  erano sparite.
Questo falso accordo sarebbe servito da precedente per un altro falso accordo per fermare il programma iraniano sulle armi di distruzione di massa. Entrambi gli accordi erano ugualmente privi di valore e sostenuti da esperti e giornalisti che ora chiedono di nuovo un’azione contro le armi di distruzione di massa siriane che, a dar retta a loro, non sarebbero dovute esistere.
“La credibile minaccia dell’uso della forza ha provocato un’apertura alla diplomazia, che ha portato a qualcosa che nessuno pensava fosse possibile”, ha detto Derek Chollet, ex vice segretario alla Difesa per gli affari della sicurezza internazionale.
Non vi era alcuna minaccia credibile di uso della forza. E c’era una ragione per cui nessuno pensava che fosse possibile: non lo era.
I russi e gli iraniani avevano giocato Obama. E avrebbero continuato a giocarlo. Ma Obama voleva essere giocato. Voleva salvare la faccia passando il suo disastro ai russi e all’Iran.
Voleva attuare il cambio di regime in Medio Oriente. Ma non voleva sporcarsi le mani.
Tutto è iniziato con il suo sostegno alle prese di potere islamiste sunnite. Quindi passò al sostegno degli islamisti sciiti.
Come disse una volta Hillary, “Che differenza fa?” Tranne che per i morti.
Supportiamo i mostri.
Questa è la consueta critica di sinistra della politica estera americana durante la guerra fredda. Gli stessi radicali che hanno sostenuto i razzisti sandinisti, che hanno cantato, “Ho Ho Ho Chi Minh, il NLF vincerà” ai loro raduni contro la guerra, e indossavano magliette rosse di Che, hanno affermato che abbiamo sbagliato a sostenere i dittatori anticomunisti.
Ma la sinistra è sempre due volte più colpevole di coloro che accusa.
In Siria, Obama non ha sostenuto solo un mostro. Ne ha sostenuti due. La carneficina in Siria è interamente il risultato delle sue decisioni. Ma non gli è bastato sostenere solo un gruppo di fanatici islamici genocidi in una guerra santa. In uno dei crimini più straordinari, li ha sostenuti entrambi.
E ha chiuso gli occhi e permesso a un terzo, l’ISIS, di innalzarsi.
Obama voleva rovesciare i dittatori che erano nostri alleati. E ha affidato il lavoro alla Fratellanza. E quando la Fratellanza non è stata in grado di resistere all’Iran o all’ISIS, si è rivolto all’Iran. Ha violato ripetutamente la legge, fornendo armi ai jihadisti sunniti e denaro ai jihadisti sciiti, lanciando una guerra illegale e minacciando di lanciarne un’altra, e tutto si è concluso in un miserabile disastro da cui è fuggito.
Il sangue di 500.000 persone è sulle sue mani.

Daniel Greenfield, 17/04/2018 (qui, traduzione mia)

Se penso che quando ho affermato che Obama era il più grande pericolo per la pace mondiale dopo Hitler, mi sono sentita dare della nazista. Se penso che sono stata criticata perché Oggi poi il mondo applaude a un passo verso la distensione [cioè l’accordo con L’Iran] qua non ne vedo parola e il terrorista che vuole la terza guerra mondiale [leggi Netanyahu] l’ha già criticato. Se penso a quante bende il mondo si mette diligentemente sopra gli occhi per impedirsi di vedere il baratro che gli viene scavato sotto i piedi, non posso meravigliarmi di quanto profondamente i nemici del genere umano siano riusciti a scavare. Ma non posso non meravigliarmi di come l’umanità possa avere sviluppato un tale istinto suicida, che finisce per portare al disastro anche chi al suicidio non aspira proprio per niente.

barbara

L’ENNESIMO REGALO DI TRUMP A ISRAELE

Cronaca: il ritiro di Trump allontana le forze anti-israeliane dal confine del Golan

Di David Israel 14 Tishri 5780 – 13 ottobre 2019

Secondo il NY Times, la decisione del presidente Donald Trump di aprire una strada per un’invasione turca di una larga striscia di terra sul lato siriano del confine tra i due paesi è stata presa sul momento, in una telefonata con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Durante la notte, Trump ha aperto le porte a un massiccio assalto turco ai curdi siriani, e i media sono stupiti da questo apparente tradimento di un alleato chiave che aveva sacrificato migliaia di vite nella guerra contro l’ISIS.

Il commentatore politico israeliano ed esperto del Medio Oriente Guy Bechor non è impressionato dalla difficile situazione dei curdi, che secondo lui collaborano da diversi anni con il regime siriano. Inoltre, Bechor ritiene la mossa degli Stati Uniti, seguita dall’incursione turca, utile agli interessi di sicurezza israeliani.

Descrivendo la situazione relativa all’eterno conflitto sunnita-sciita che divide il mondo islamico da 1.300 anni, decennio più decennio meno, Bechor ha suggerito sabato che questa invasione turca (sunnita), con migliaia – che presto saranno decine di migliaia —di soldati sunniti ben addestrati e ben armati, crea problemi all’esercito del presidente Bashar al-Assad, e anche, soprattutto, le milizie sciite satellite dell’Iran (che presto includeranno Hezbollah) che hanno ricevuto l’ordine di abbandonare il confine meridionale con Israele e spostarsi a nord per costruire difese contro l’invasione.

In altre parole, la mossa di Trump, che ha portato alla mossa di Erdoğan, ha spostato la guerra civile siriana e il vortice che attira la violenza araba da tutta la regione. E questo, per quanto riguarda Israele, è un’ottima cosa.

Il cambiamento creato dal presidente Trump ritirando alcune decine di soldati statunitensi è stato così massiccio, che sabato il presidente russo Vladimir Putin, in un’intervista con Al Arabiya, Sky News Arabia e RT, ha affermato che “coloro che si trovano illegalmente in [ …] La Siria dovrebbero lasciare la regione”, vale a dire tutti i Paesi coinvolti. In effetti, Putin si è offerto di ritirarsi anch’egli dalla Siria se il governo siriano avesse deciso che le truppe russe devono partire.

La straboccante generosità di quest’uomo …

Il presidente Trump, da parte sua, respinge l’affermazione secondo cui la sua mossa sarebbe stata un colpo di testa, insistendo sul fatto che il ritiro è l’adempimento della sua promessa elettorale:

“Sono stato eletto col compito di uscire da queste ridicole guerre senza fine, dove il nostro grande esercito esegue un’operazione di polizia a beneficio di gente che neppure ama gli Stati Uniti”, ha twittato il 7 ottobre. “I due paesi più scontenti di questa mossa sono la Russia e la Cina, perché adorano vederci impantanati a sorvegliare un pantano e spendere un sacco dollari per farlo. Quando ho preso il controllo, il nostro esercito era completamente impoverito. Ora è più forte che mai. Le guerre infinite e ridicole stanno FINENDO! Ci concentreremo sul quadro generale, sapendo che possiamo sempre tornare indietro e farci sentire!”

Domenica mattina, in risposta agli attacchi bipartisan sulla sua decisione di lasciare la Siria settentrionale, Trump ha twittato: “Le stesse persone che ci hanno trascinato nelle sabbie mobili del Medio Oriente, al costo di 8 trilioni di dollari e di molte migliaia di vite (e milioni di vite contando anche l’altra parte), ora stanno lottando per tenerci lì. Non ascoltate le persone che non hanno idea di che cosa si tratta: hanno dimostrato di essere inetti!”

Intendeva, più precisamente, il vecchio partito repubblicano, così come la senatrice Hillary Clinton (D-NY) e la maggior parte dei democratici del Senato, che nel 2003 appoggiarono la decisione del presidente GW Bush di invadere l’Iraq e sbarazzarsi di un uomo che una volta era stato “il più fedele alleato” degli Stati Uniti, Saddam Hussein. Facendo debiti, l’amministrazione Bush ha distrutto la minoranza sunnita al potere, trasformando l’Iraq in uno stretto alleato sciita dell’Iran, anche quando i sunniti si sono riorganizzati come ISIS, gettando paura nel cuore di ogni leader occidentale e musulmano per un decennio.

Bechor sostiene che ritirandosi dalla Siria settentrionale – ma mantenendo i circa 2000 soldati che ha nella Siria orientale, proteggendo lì i curdi e, cosa più importante, i giacimenti di gas ad ovest dell’Eufrate – Trump sta effettivamente ripristinando l’equilibrio religioso nella regione e indebolendo la presa dell’Iran sulle aree lungo il confine con Israele. (qui, traduzione mia)

Aggiungo una breve considerazione di puro buon senso, per ricordare quello che tutti oggi sembrano dimenticare

Che I Curdi abbiano “combattuto e sconfitto da soli l’Isis” è falso. Sono stati supportati da 22.000 missioni aeree USA. I Curdi avanzavano dopo che gli americani avevano fatto terra bruciata con le bombe (colpendo anche civili, inevitabilmente). Non ricordo però gli applausi dei pacifisti per questo sostegno militare ai valorosi combattenti curdi, alle fiere donne col mitra, che senza l’aviazione USA sarebbero forse finite col burka negli harem dei jihadisti. Ricordo anzi le proteste, gli slogan – “con la guerra non si risolve mai niente” – le invettive contro gli imperialisti a stelle a strisce, ricordo i ginostrada nei talk show dei conduttori sinistrati. Ora, ecco le stesse invettive antiamericane, ma non perché gli USA invadono, occupano, bombardano, ma perché non lo fanno più.
I pacifisti dovrebbero invocare la pace innanzitutto nel proprio cervello.
Angelo Michele Imbriani

e poi la raccomandazione di leggere questo.

E per concludere, abbiate pazienza, ma in mezzo a questo scomposto latrare e ringhiare, non posso farne a meno

e poi beccatevi anche questo (sì lo so, la scena della gomma è disgustosa, ma il resto merita)

E guardando – anche guardando – le facce di questi ragazzi mentre ascoltano il loro inno nazionale capiamo perché l’America è una nazione tanto grande.

barbara

LA TURCHIA, I CURDI, TRUMP, E ALCUNE ALTRE COSE

Premessa

“imbecille, coglione, omofobo, razzista, incompetente e bipolare, ignorante, idiota, improvvisatore, pericoloso, traditore, irresponsabile, inaffidabile, inetto, imbarazzante, megalomane, pig-president, mossa assurda, mossa insensata, una pugnalata alla schiena, una minchiata inenarrabile, decisione inopportuna brusca e indecorosa, errore di calcolo miope, strategia suicida, STIA ATTENTO DONALD TRUMP. C’È SEMPRE LA FINE CHE FECE IL CATTOLICO JOHN FITZGERARLD KENNEDY…”

Ecco, io mi sono rotta i coglioni. Non ne posso più di questa orgia di insulti, giudizi, valutazioni (per non parlare della bufala ripresa da tutte le testate del mancato aiuto dei curdi nella seconda guerra mondiale – frase tolta dal contesto stravolgendone completamente il senso, come chiunque può verificare ascoltando direttamente l’audio completo), non se ne può più di questi attacchi rabbiosi, sbavanti, livorosi, di questo linciaggio, tutti superesperti di strategia militare, di politica internazionale, pronti a spartirsi le spoglie, a me il fegato a te la milza a lui l’intestino crasso all’altro i reni. E basta cazzo, datevi una calmata!
E ora cedo la parola ad altri che, come me, prima di chiedere l’intervento del boia vorrebbero aspettare per capire meglio.

Senti, io non capisco questo improvviso risveglio. Erdogan è al potere dal 2003, poco dopo essere uscito di prigione, durante questi 16 anni ne ha fatte di cotte e di crude, e nessuno ha mai mosso un dito, nemmeno quando ha fatto massacrare i suoi stessi soldatini di leva diciannovenni accusandoli di essere stati al fianco dei golpisti, e nemmeno quando ha cinto d’assedio la base NATO di Incirlik, costringendo gli USA a portare in Romania le armi nucleari, per sicurezza. Ora che non sta facendo nulla di più o di meno di quello che ha fatto finora, solo perché Trump ha detto che il suo paese si è rotto i coglioni di mandare a morire suoi giovani in guerre tribali infinite dall’altro lato del mondo, solo adesso tutti si indignano e si scoprono “amici dei curdi”? Ma di quali curdi, visto che sono una quarantina di milioni, che parlano lingue differenti, che sono di diverse religioni e, soprattutto, che ce ne sono di pacifici, ma anche di molto feroci?
Fulvio Del Deo

E vorrei che non si dimenticasse che nel genocidio armeno una grossa fetta del lavoro sporco sono stati i curdi a compierlo, esattamente come ucraini e lituani hanno dato una robusta mano ai nazisti negli stermini di massa nell’Europa dell’est. E aggiungerei che quando Saddam Hussein ha gassato 5000 curdi, nessuno ha fiatato.

Ok, siamo tutti preoccupati, commossi e indignati per i poveri Curdi. Ok. Se si vuole esprimere un umanissimo e civilissimo sentimento, va bene. Ma se si pretende di fare una critica, una osservazione, una denuncia politica, no che non va bene. In questo caso non basta inveire contro Trump e contro la stessa Europa, che “abbandonano” e “tradiscono” i Curdi: bisogna indicare quale sarebbero l’alternativa e la soluzione. E fare i conti con questa eventuale alternativa, che magari potrebbe essere poco piacevole.
Che cosa dovrebbe fare, ad esempio, Trump? Occupare militarmente per decenni quella regione? Iniziare una operazione Enduring Freedom a favore dei Curdi? Lanciare un po’ di bombe umanitarie su Ankara? Occupare la Turchia e costringere Erdogan a nascondersi in qualche buca per poi catturarlo, processarlo sommariamente e impiccarlo? Forse sono film già visti. Con le relative marce della pace e le bandiere a stelle e strisce incendiate da coloro che ora sbraitano contro Trump.
Se si indica una alternativa si può pretendere che la propria sia una posizione politica. In caso contrario è solo moralismo. Inutile.
Poi certo possiamo sempre cavarcela boicottando le noci e i melograni turchi sugli scaffali dei supermercati. E stiamo a posto.
Angelo Michele Imbriani

Non direi che gli Stati Uniti si sono serviti dei curdi, hanno combattuto insieme contro l’isis; del resto i Curdi combattono per il loro stato no? L’Europa c’entra perché è INEFFICENTE, ma CONDANNA TRUMP che si ritira! e lo dico ancora una volta dove sono le forze italiane, le forze di tutti gli stati europei? Gli italiani sanno sempre condannare e giudicare, ma chi cazzo sono internazionalmente parlando? dove sono i suoi soldati? se tanto amano i curdi che si facciano valere come gli americani e che cambino la guardia! L’America è in Medio Oriente dal 2001… che l’ Europa mollusca si vergogni di fronte a TRUMP.
Deborah Politi-Kornfeld

Siria. «Noi cristiani abbiamo paura della Turchia, ma i curdi ci usano»

@LeoneGrotti 11 ottobre 2019

La Turchia ha bombardato i quartieri cristiani di Qamishli, ferendo un’intera famiglia. Ma la vera storia è più complessa: «I curdi hanno sparato dai nostri quartieri per farci attaccare ed ergersi così a difensori dei cristiani agli occhi dell’Occidente. Ma non lo sono affatto»

«I cristiani in Siria sono spaventati, non sanno dove andare o dove nascondersi. I turchi hanno attaccato i loro quartieri di Qamishli, ma lo hanno fatto per rispondere al fuoco curdo, che sta usando i cristiani per combattere una guerra mediatica». [Esattamente come i palestinesi sparavano su Gilo dalle chiese e dalle case di cristiani di Beit Jala, in modo che il fuoco di risposta israeliano andasse a colpire i cristiani o addirittura le chiese (ricordate il grido di dolore “gli ebrei sparano alla Madonna!” quando nella risposta è stata colpita una statua?) Non c’è niente da fare: musulmani gli uni, musulmani gli altri, e le tattiche sono identiche] La situazione nel Nord-est della Siria, dopo l’inizio dell’offensiva turca, è grave ma è molto più complessa di come viene raccontata in questi giorni sui principali quotidiani, come testimonia a tempi.it Afram Yakoub, direttore generale della Confederazione assira.

L’INVASIONE TURCA DELLA SIRIA

Il 9 ottobre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ottenuto il benestare del suo omologo americano Donald Trump, ha lanciato l’operazione militare “Fonte di pace”. L’obiettivo del Sultano è creare una zona cuscinetto in un’area profonda 30 chilometri lungo tutto il confine settentrionale siriano di 450 chilometri, dove poi ricollocare un milioni di rifugiati siriani scappati in Turchia. L’area, abitata da diverse etnie, è attualmente controllata dai curdi e dalle milizie Ypg, che hanno aiutato gli Stati Uniti a riconquistare le città occupate dallo Stato islamico, e che fin dal 2012 hanno creato in tutto il Nord-est della Siria una regione autonoma ribattezzata Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale o Rojava. La Turchia accusa le milizie Ypg di essere terroristi affiliati al Pkk e l’invasione ha anche lo scopo di cacciarle dal confine.

«I CURDI USANO I CRISTIANI»

Mercoledì l’esercito turco ha bombardato un quartiere di Qamishli. Sul web sono circolate le foto dei cristiani feriti. Le immagini sono autentiche, ma non dicono tutto: «Le milizie Ypg hanno bombardato le postazioni turche dai quartieri cristiani», spiega Yakoub a tempi.it. «Lo hanno fatto per provocare i turchi, che infatti hanno colpito le case cristiane. Sono i curdi ad aver diffuso le immagini dei cristiani feriti: la loro strategia infatti è di guadagnarsi l’appoggio dell’Occidente atteggiandosi a difensori dei cristiani. Ma i curdi sono tutto tranne che nostri protettori. Ci usano per combattere la loro battaglia mediatica, che in guerra può essere importante tanto quanto quella armata».

Nei bombardamenti turchi è stata ferita un’intera famiglia cristiana. Il padre e i bambini hanno riportato ferite lievi, la madre invece è in gravi condizioni (come si vede nella foto pubblicata sopra). Yakoub, 39 anni, originario di Qamishli e accolto in Svezia nel 1989, ha una fitta rete di contatti nella sua città natale, dove vivono ancora molti suoi parenti. «Cristiani e curdi hanno una relazione molto tesa», continua. «Bisogna ricordare che i curdi sono una minoranza nel Nord-est della Siria, ma vogliono creare una regione autonoma sotto il loro controllo. Per riuscire nel loro intento, usano i cristiani come moneta di scambio».

«I CURDI VOGLIONO CACCIARE I CRISTIANI»

L’anno scorso, come raccontato da tempi.it, i curdi hanno chiuso quattro scuole cristiane nel Nord-est del paese perché si erano rifiutate di adottare i provvedimenti di politica dell’educazione emanati dal governo locale, che prevede testi ispirati al nazionalismo curdo. Monsignor Jacques Behnam Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi, da anni ripete che «i curdi vogliono sradicare la presenza cristiana da questa regione della Siria».

Ieri è tornato a dichiarare ad Acs:

«Qui ognuno ha i propri interessi e i cristiani ne pagano le conseguenze. Ho invitato i curdi a desistere dai loro piani di creare una regione autonoma, cui non hanno alcun diritto. Ora il conflitto è divenuto ancor più grave di prima e temo che saranno in tanti ad emigrare. Dall’inizio della guerra in Siria il 25 per cento dei cattolici di Qamishli ed il 50 per cento dei fedeli di Hassaké hanno lasciato il Paese assieme al 50 per cento degli ortodossi. Temo un simile esodo se non maggiore. L’Europa dovrebbe fare mea culpa».

La situazione, insomma, è molto complessa. La soluzione, secondo il direttore generale della confederazione assira, è solo una: «La minoranza assira ha paura tanto dei curdi quanto dei turchi. L’unica modo di uscirne sarebbe avere una vera democrazia in Siria e uno Stato unito. Nel frattempo i cristiani sono spaventati e non sanno dove andare».

UNIONE EUROPEA, LA GRANDE ASSENTE

Un dramma di cui l’Unione Europea, che si sta completamente disinteressando dell’invasione turca, dovrebbe occuparsi: «In Europa vivono mezzo milione di assiri e mezzo milione di curdi», dichiara a tempi.it Attiya Gamri, della confederazione assira dell’Ue. Gamri risiede in Olanda e la sua famiglia è originaria di Qamishli, dove si è stabilita oltre cent’anni fa dopo il genocidio turco. «È triste che Bruxelles non prenda posizione. Non si è alzata una voce quando i curdi hanno chiuso le nostre scuole a Qamishli e ora non parlano mentre i turchi ci attaccano. Abbiamo sofferto molto negli ultimi anni, vogliamo rispetto, democrazia e diritti umani». (qui)

Per quanto grave sia la situazione, non sembra tuttavia che siamo in presenza di un genocidio, come molti strepitano, svilendo sempre più questa parola a forza di spararla a destra e a manca, e sempre a sproposito. Per concludere, invito a leggere questo articolo di Caroline Glick, che dimostra inconfutabilmente che quella di Trump è stata la decisione più giusta, più ragionevole, più sensata, più razionale che potesse prendere nella situazione in cui, non per propria scelta, si trovava, e che tutte le contumelie che ho diligentemente elencato più sopra sono puri e semplici deliri.

Certo che guardare la Turchia di oggi
donne-turche-oggi
e pensare che appena 13 anni fa si poteva vedere una cosa come questa…

barbara

DAL GOLAN (14/2)

E naturalmente comincio dalla cosa più importante immortalata in questa foto presa a tradimento mentre mi stavo gustando quell’anguria che era la dolcezza fatta persona
barbara cocomero
(sì, l’anguria è una persona: qualcosa da ridire?)

Sul Golan sono stata diverse volte, ma questa è stata un’esperienza particolare perché ci siamo arrivati sulle jeep, inerpicandoci su sentieri rocciosi con buche e massi, in alcuni (brevi!) tratti con pendenze anche di 30°-40°. Quando siamo arrivati in cima (non so esattamente in quale punto delle Alture), con vista sulla Siria, si potevano distintamente sentire i rumori dei combattimenti in direzione di Damasco – che dista circa tre quarti d’ora d’auto, e abbiamo continuato a sentirli anche durante la sosta alla tappa successiva, alcune decine di chilometri più distante. A combattersi senza esclusione di colpi sono in questo momento circa 400 fazioni, e i Paesi direttamente o indirettamente coinvolti sono non meno di 50: questo andrebbe sempre fatto presente a chi ogni tanto si mette a dire che dobbiamo intervenire in Siria, dobbiamo aiutare la Siria, a invocare libertà per la Siria: intervenire come? Aiutare chi? Libertà da chi e a favore di chi? Qualcuno potrebbe pensare che “fintanto che si ammazzano fra di loro a noi va bene”, ma non è affatto così; Israele, per lo meno, non la pensa affatto così: dei vicini bellicosi e assetati di sangue alle porte di casa non sono esattamente la ricetta migliore per dormire sonni tranquilli, e gli avvenimenti di qualche settimana fa sono lì a dimostrarlo.

Avendo già fatto e pubblicato numerose foto in occasione delle visite precedenti, questa volta non ne ho fatte, tranne una, questa:
dal Golan
Quello che si vede là sotto, fotografato dall’autobus, è un villaggio israeliano: non credo occorra molta fantasia per immaginare che cosa succedeva quando questo territorio era in mano siriana, ossia fino al 1967 quando, con la Guerra dei Sei Giorni è stato liberato – in senso letterale: gli israeliani sono stati finalmente liberati dall’incubo dei cecchini siriani che sparavano fin dentro le finestre di villaggi e kibbutz, i pescatori israeliani sono stati liberati dall’incubo dei cecchini siriani che sparavano mentre pescavano, l’intero stato di Israele è stato liberato dall’incubo di un nemico feroce che incombeva su una parte cospicua dello stato e con la possibilità di invaderlo in qualunque momento in brevissimo tempo: ditelo a chi ciancia di restituzione! Ora, per fortuna, il pericolo non sussiste più, grazie all’annessione decisa dal parlamento israeliano nel 1981, e la difesa di Israele si combatte sul confine opposto. Che poi, a proposito di “restituzione” (come quella dei territori “occupati” o territori “palestinesi”, che dir si voglia), ci sarebbe da ricordare che questo territorio è ripetutamente ricordato nella Bibbia col nome di Bashan, fertilissimo grazie al terreno di origine vulcanica: anche qui, come in tutto il resto del Medio Oriente e del Nord Africa, gli arabi sono arrivati dopo, arabizzando e islamizzando a suon di invasioni e occupazioni e massacri e deportazioni e stupri etnici e conversioni più o meno forzate. DOPO.

Delle guerre fra Israele e Siria sono rimaste le mine, moltissime, messe da entrambe le parti del conflitto: spesso le strade sono costeggiate da sbarramenti con l’avviso di terreno minato; non vengono bonificate, oltre che per l’enorme costo e difficoltà dell’operazione, anche perché con pioggia e piccoli smottamenti le mine si spostano, sprofondano, complicando ulteriormente il compito. E sono rimaste le trincee, di cui tuttora, ogni tanto, occorre servirsi.

barbara

SALVATI DA ISRAELE 3

E uno

Siria, Israele vs Iran: sono stati gli israeliani a bombardare la base T4*

Di Lucia Resta lunedì 16 aprile 2018

Lo scorso 9 aprile una base governativa siriana a Homs, la T4, nota anche com Tiyas, è stata attaccata da un raid aereo, ma il pentagono aveva smentito che si trattasse di un attacco americano. Oggi è arrivata la conferma che gli Usa, in questo caso, non c’entrano nulla, perché gli autori di quel bombardamento sono gli israeliani e lo avevano programmato dopo che a febbraio avevano neutralizzato un drone dell’Iran che era entrato dalla Siria.

Siria: bombardato aeroporto militare, accuse agli USA che negano tutto

L’agenzia siriana Sana parla di almeno 14 morti e accusa gli USA, che però rispediscono al mittente qualunque addebito: l’episodio a poche ore dal sospetto attacco chimico nella periferia orientale di Damasco

La notizia è stata diffusa dal New York Times che ha intervistato un alto ufficiale dell’esercito di Tel Aviv, del quale non rivela le generalità, ma che ha spiegato al giornalista Thomas L. Friedman, in un articolo intitolato “La vera prossima guerra in Siria: Iran vs Israele”:
“È la prima volta che colpiamo obiettivi iraniani operativi, sia persone che impianti. È stata aperta una nuova fase”
Quanto detto dalla fonte del New York Times, tuttavia, non è stato confermato dal governo israeliano, ma il ministro della Difesa Avigdor Lieberman ha detto che non permetteranno il consolidamento iraniano in Siria e non permetteranno neanche alla Russia di porre dei limiti alla loro attività per contrastare la presenza iraniana nel territorio siriano. Inoltre Lieberman ha accusato l’Iran di finanziare i “gruppi terroristici Hamas ed Hezbollah”.
Il portavoce del ministero degli esteri iraniano Bahram Qassemi ha replicato:
“Israele prima o poi la pagherà. Non può fare un’azione del genere e pensare di restare impunito, è un’aggressione illegale”
C’è da dire che Mosca, subito dopo l’attacco alla base T4, che è usata anche dagli aerei russi ed è una posizione strategica, aveva accusato proprio l’esercito israeliano, conoscendo la preoccupazione di Tel Aviv di arginare la presenza militare dell’Iran in Siria.
La convinzione degli israeliani è che le azioni militari di Teheran in Siria non siano realmente rivolte contro le forze dei ribelli, ma mirino a sfidare Israele.

* T4, dall’indirizzo berlinese Tiergarten 4 del relativo quartier generale, è la sigla delle azioni di “eutanasia”, vale a dire di sterminio, delle persone affette da handicap ad opera dei nazisti: non è grandioso che Israele abbia bombardato e distrutto un sito denominato T4?

E due

Un ‘misterioso’ bombardamento che fa sperare bene
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli, 01 maggio 2018

Cari amici,
l’altra notte una cosa importante è successa in Siria. “Qualcuno” cioè ha bombardato una serie di basi militari siriane, a quanto pare uccidendo una trentina di soldati, per lo più iraniani, fra cui a quanto pare anche un generale e provocando un’esplosione così potente da essere stata registrata dai sismometri come un piccolo terremoto di grado 2,4. Quel che è esploso con tanta forza, a quanto pare, non sono i missili o le bombe attaccanti, ma un deposito colpito, che conteneva un carico d’armi appena scaricato da un aereo iraniano. Ma forse oltre alle armi è saltata per aria una fabbrica sotterranea di missili balistici avanzati. Sembra che questa fabbrica fosse scavata dentro una montagna, il che fa pensare che l’attaccante disponga di armi molto avanzate e capaci di penetrare protezioni molto potenti. (https://www.jpost.com/Middle-East/Iranians-killed-in-alleged-Israeli-strike-on-military-site-in-Syria-553099)
Dico “sembra”,”forse”,”pare” perché tutti questi dati non sono confermati. Non si sa neanche ufficialmente chi sia quel “qualcuno” che ha colpito; all’inizio i giornali siriani parlavano di missili americani, poi hanno accusato Israele, che come sempre non ha confermato né smentito. Solo un ex capo dei servizi segreti ha detto: Ci sono due ipotesi, potrebbero essere stati gli americani, oppure qualcuno che non voglio nominare. In quest’ultimo caso, la tensione fra Israele e Iran è destinata ad aumentare”. (https://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Former-intel-chief-Iranian-dead-in-Syria-blast-spells-looming-payback-553095)
Abbastanza chiaro, no? In sostanza quel che risulta è che c’è stato un altro stop israeliano al possesso militare della Siria che l’Iran sta cercando di stabilire come “autostrada” verso il mediterraneo e base d’attacco contro lo stato ebraico. Questo possesso si realizza con numerosi basi (ne trovate qui una mappa e alcune fotografie aeree: https://www.haaretz.com/middle-east-news/syria/israeli-satellite-images-reveal-iran-builds-military-base-near-syria-1.5863736, altre qui: https://www.timesofisrael.com/satellite-image-said-to-show-new-iran-base-near-syria/); spesso queste basi, per maggiore protezione, sono condivise con truppe russe (https://infos-israel.news/le-plus-grand-danger-actuel-pour-israel-en-plus-de-19-bases-en-syrie-liran-utilise-une-autre-base-russe-pour-transferer-ses-combattants/). Alcuni di questi impianti militari sono stati attaccati nel recente passato (soprattutto quello chiamato T4, deposito a quanto pare di armi chimiche e centro di controllo dei droni d’attacco iraniani). Il bombardamento dell’altra sera prosegue in questa linea.
Ma ci sono alcune differenze importanti. In primo luogo il tempo. L’attacco è successivo ad alcune minacciose comunicazioni russe. Vari esponenti del regime di Putin avevano diffidato Israele dal continuare a violare la sovranità siriana, avevano dichiarato che la Russia era decisa a consegnare ad Assad complessi di armi antiaeree avanzate, aggiungendo che se Israele avesse provato a distruggerle, le conseguenze sarebbero state “molto gravi”. Nei giorni scorsi inoltre a Mosca si è svolto un vertice dei ministri degli esteri russo, turco e iraniano per consolidare la spartizione delle zone di influenza sulla Siria. Israele ha ignorato gli ammonimenti e la suddivisione e ha continuato a mantenere la sua “linea rossa”: nessuna colonizzazione militare iraniana della Siria è accettabile. E’ da notare che l’attacco è avvenuto immediatamente dopo la visita del nuovo segretario di stato americano Pompeo e a quanto pare anche dopo una telefonata fra Netanyahu e Trump (https://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/245203).
La seconda differenza è ancora più significativa. La base T4 è nel centro della Siria, fra Homs e Damasco, a est del Libano. Le basi colpite l’altro ieri sono parecchio più a nord, una subito a sud di Homa, una addirittura vicino all’aeroporto di Aleppo. Questo vuol dire che sono a Nord del territorio libanese, dove la Siria arriva direttamente al mare. E’ la zona di origine degli alawiti (la setta sciita cui appartengono gli Assad, il loro ridotto). Una delle basi colpite è inoltre distante meno di cento chilometri, che per aerei da combattimento vogliono dire 5 minuti di volo) dal porto di Tartus, la principale base russa in Siria, difesa dall’ultima generazione degli armamenti antiaerei, gli SS4, e anche abbastanza vicino al confine turco per essere rilevabile dai radar di Erdogan. Chi ha colpito la Base di Homa o veniva dalla Giordania, come all’inizio hanno detto i siriani, e allora ha attraversato senza problemi l’intero spazio aereo della Siria, o più probabilmente ha colpito dal mare, sorvolando le difese russe. Il che significa che o i russi non hanno avuto modo di fermare l’attacco che è passato sopra di loro, il che evidenzierebbe una gravissima debolezza delle loro difese, o hanno deciso di non farlo, magari avvertiti da Israele secondo gli accordi stabiliti fra Putin e Netanyahu, contraddicendo dunque le loro affermazioni contro Israele.
Ancora: l’oggetto e il modo. Se davvero è stata colpita una fabbrica di missili situata in uno scavo sotto una montagna, questo giustifica l’allarme israeliano, ma insieme mostra una capacità di azione che non è affatto scontata e che minaccia gli impianti dell’armamento nucleare iraniano, protetti allo stesso modo. Il messaggio di Israele è fortemente dissuasivo e dice in sostanza: attenzione, noi siamo capaci di superare le vostre difese antiaeree e anche di distruggere gli impianti che ritenete più protetti. Le minacce di rappresaglia proferite dall’Iran dopo l’ultimo bombardamento alla base T4, abbastanza gravi da suscitare l’allarme dell’esercito americano (https://edition.cnn.com/2018/04/26/politics/us-surveillance-iran-syria/index.html) sarebbero dunque state ridicolizzate. Ciò ha provocato una notevole confusione nell’apparato militare iraniano, che prima ha ammesso e poi negato le perdite subite (https://www.timesofisrael.com/iran-denies-it-was-targeted-in-syria-strikes-claims-no-troops-killed), una negazione che è anche, nell’ottica mediorientale, un modo per sottrarsi all’obbligo di una rappresaglia impossibile.
Certamente questo è un momento di grande tensione in Medio Oriente. Ma è vero che la guerra si avvicina? Certamente la capacità di dissuasione israeliana è quel che impedisce un’aggressione iraniana. Ed episodi come quello dell’altra sera la rafforzano molto, allontanando quindi la possibilità di un conflitto

E tre

Lorenzo Vita – Mer, 09/05/2018 – 09:51

[…] Ma quello che conta è quanto avvenuto nelle ore immediatamente successive all’annuncio americano. Aerei da guerra israeliani hanno penetrato lo spazio aereo siriano bombardando una base a sud di Damasco, ritenuta un deposito di missili iraniani. Le fonti parlano di nove morti, tutti siriani, e non ci sarebbero conferme di uccisioni tra le fila delle Guardie rivoluzionarie. Fonti mediche siriane parlano invece di almeno due civili rimasti coinvolti nei raid. […]

E infine

quanto avvenuto nella notte fra il 9 e il 10 maggio: cinquanta basi iraniane in Siria distrutte, le capacità offensive dell’Iran pesantemente ridimensionate, oltre alla lezione impartita all’Iran, la stessa preannunciata da Netanyahu quasi tre mesi fa: “Non mettete alla prova la determinazione di Israele”; hanno voluto metterla alla prova, e si sono fatti male.

Naturalmente Israele ha fatto il PROPRIO interesse – e ci mancherebbe! – ma ricordiamo sempre che, come profeticamente diceva Ugo La Malfa, “la libertà dell’occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme”. In passato ci hanno salvato le porte di Ratisbona, che hanno resistito, le porte di Vienna, che non hanno ceduto (a differenza di quelle di Costantinopoli che non avevano retto l’urto) e hanno per un lungo periodo fermato l’avanzata dell’orda islamica. Adesso siamo nelle mani di Gerusalemme: se cede Israele, saremo travolti tutti.

E ora, dopo tanta serietà, godiamoci questa gustosissima serie di barzellette.

Nuovo fallito attacco israeliano in Siria

Alessandro Lattanzio, 10/5/2018

Il 10 maggio, il Comando Generale dell’Esercito e delle Forze Armate dichiarava che l’Esercito Arabo Siriano aveva respinto l’ennesima aggressione israeliana, distruggendo il 70% dei 60 missili israeliani lanciati su 35 obiettivi nel territorio siriano, presso Damasco e Homs. 28 cacciabombardieri F-15 ed F-16 israeliani avevano partecipato all’attacco lanciando 60 missili, oltre ai 10 missili superficie-superficie sparati dal territorio israeliano contro la Siria meridionale. I missili israeliani colpivano un obiettivo presso Duma e un altro a Jamaraya, a sud di Damasco. “Respingendo l’attacco israeliano, la difesa aerea siriana abbatteva più della metà dei missili israeliani“, dichiarava il Ministero della Difesa russo. Il Comando dell’EAS confermava tre martiri e due feriti causati dall’aggressione israeliana, che colpiva una stazione radar e un deposito di munizioni. “Tali sfacciati attacchi portano solo ad altre vittorie nella lotta al terrorismo nei territori della Siria e al consolidamento della determinazione a continuare la difesa della Patria e a garantire la sicurezza dei cittadini“. L’esercito libanese dichiarava che 4 aerei da guerra israeliani avevano violato lo spazio aereo libanese nello stesso momento.

Il 9 maggio sera, il 137.mo Reggimento della 7.ma Divisione meccanizzata dell’Esercito arabo siriano sparava almeno 20 razzi dalla Siria meridionale contro posizioni dell’esercito israeliano sulle alture del Golan, distruggendo:
Il comando della 9900° brigata di confine
Il comando della 810° brigata di confine
Una base dello spionaggio elettronico
Il comando di una base per la guerra elettronica
Una struttura per telecomunicazioni
L’eliporto di Um Fahim
L’avamposto sul monte Hermon
Il comando dell’unità di montagna
Il radar dell’Iron Dome di Safad
Il sistema antimissile Iron Dome israeliano intercettava solo 4 dei 20 razzi lanciati sulle alture del Golan. L’attacco avveniva in risposta al bombardamento dell’esercito israeliano delle postazioni dell’Esercito Arabo Siriano e delle Forze di Difesa Nazionale a Tal Ahmar e Tal Qub, presso Qan Arnabah, nel governatorato di al-Qunaytra.
Tale attacco avveniva in un momento di notevoli successi politico-militari delle forze dell’Asse della Resistenza: l’Esercito Arabo Siriano (EAS) e Liwa al-Quds avanzavano tra i governatorati di Homs e Dayr al-Zur, liberando al-Tamah, 60 km a sud-ovest di Dayr al-Zur, scacciando lo SIIL da oltre 1500 kmq di territorio ad ovest di Dayr al-Zur. Inoltre, EAS ed NDF respingevano l’attacco dei terroristi su Madinat al-Baath, tra Hamidiya e Samadaniya, nonostante la simultanea aggressione israeliana. Infine, i servizi segreti iracheni arrestavano numerosi capi dello SIIL, tra cui Sadam Umar Husayn al-Jamal, mentre presso Irbil, sempre in Iraq, il PKK si scontrava con l’esercito turco a Sidiqan, eliminando molti soldati turchi.
Non va dimenticato il successo elettorale in Libano delle forze antimperialiste. Risultati definitivi delle elezioni parlamentari libanesi:
Hezbollah e Amal: 30 seggi
Alleati della Resistenza: 10
SSNP: 3
Marada: 3
FPM di Michel Aoun: 28 seggi

Forze filo-imperialiste
Futuro: 20
Forze libanesi: 14
PSP: 9
Azam: 4
Falange: 3
Indipendenti: 4

barbara