E ORA PARLIAMO DELLA FAMIGERATA APP

Che personalmente non mi riguarda, dato che non possiedo uno smartphone, ma che non scaricherei, se lo avessi, perché la ritengo pericolosissima: pericolosissima di per sé, e pericolosa al cubo con questa specie di governo di un uomo che si è imposto come unico detentore del potere legislativo e ha instaurato uno stato di polizia. Ma dato che in materia sono totalmente analfabeta, lascio parlare gli altri.

La app Immuni sarà la nostra fine

Questo “sgoverno” se ne deve andare. Ha sbagliato tutto il possibile. Ha promesso ed ha mentito. È stato incapace di cogliere una pandemia nel suo evolvere. Ha fatto prevalere l’ideologia al buon senso. Si dimostra incapace oggi di concepire una uscita dalla reclusione di massa, detta Fase 2, con la necessaria lucidità. Ha stretto sempre più le maglie del controllo, in una escalation delirante. Ha investito le forze dell’ordine di compiti odiosi, istigandone il lato aggressivo e irragionevole. Ha consegnato la politica nelle mani di virologi influencer, dimostratisi incompetenti, arroganti, ambiziosi. Ha lasciato un paese in un limbo allucinante per due mesi, così che chi non crepa di contagio rischia di crepare di inerzia e di inedia. Ha moltiplicato le task force, forze inconsistenti, che servono solo a moltiplicare prebende, farcite di competenti assai presunti, di maneggioni, di intriganti, di carrieristi, di parassiti, di marxisti d’accatto e di risacca. Ha puntato non sull’efficacia ma su una comunicazione reality, patetica, odiosa, falsa.
Ha usato la reclusione coattiva per arrendersi all’Europa usuraia nel modo più umiliante, castrando le (debolissime, e confuse) opposizioni, incamiciando qualsiasi protesta eventuale. Ha messo contro le regioni, i poteri decentrati, non si è assunto la minima responsabilità del disastro, ha aizzato i media contro i governatori avversi continuando a flirtare coi politici amici che mangiavano involtini e cercavano cinesi con cui fare sesso solidale, fino a che, come sempre accade quando le nullità comandano, non sono finiti a divorarsi tra loro. Ha aspettato paziente il fatale esito giudiziario per gli oppositori.
E alla fine, per mano del solito Mattarella, cui si deve molto dello sfascio attuale, ha imposto un tecnocrate che sta a Londra, il manager di telefonia Colao, col compito di imporci una app. “Sarà volontaria”, avevano mentito sapendo di mentire. E lo sapevano perché sapevano che i cittadini, già provati dalla lunga cattività, esasperati, sbigottiti al cospetto di tanta inconsistenza, si sarebbero ribellati in massa ad un programma dal controllo globale, che ovviamente sarebbe rimasto anche a pandemia smaltita.
La app “Immuni”, frutto di un trust fra i soliti arcinoti, non serve alla nostra salute, serve a sconfiggerci definitivamente come cittadini, come individui, come uomini dalla libertà almeno residuale. Serve a cinesizzarci, il sogno di questo “sgoverno” realmente comunista. E adesso, implacabile, arriva la conferma. Liberi di obbedire. Liberi di assumere la app. Altrimenti, destinati al braccialetto elettronico. Altrimenti in galera. Colpevoli di niente, condannati a vita per non aver commesso alcun fatto. E lo saremo, colpevoli, lo saremo tuttavia, se non ci ribelleremo a tutto questo.
Saremo complici della nostra rovina. Volonterosi carnefici di noi stessi. Saremo gli zimbelli del mondo libero e gli stracci di quello prigioniero. Saremo senza più dignità, legittimando ogni disprezzo tedesco, francese, eurodittatoriale. Saremo quello che ci siamo meritati. Già adesso l’informazione mainstream, di sinistra, proveniente da generazioni di piombo, di fanatici del potere e del controllo sotto le mentite spoglie dei rivoluzionari, già adesso questa sporca informazione di commissari del popolo, di spioni, di delatori, di leninisti spinge, sforma, stravolge: così come chi non mangiava involtini primavera era un razzista, chi restava a casa uno stragista (oggi lo sei se ti azzardi a uscire), chi non sottoscriveva l’immunità genetica dei migranti era un nazista, chi non vuole sfondare a calci Trump o Salvini è un violento, chi non scommette sul ripensamento del capitalismo, cioè una bella e sana società paleocomunista, è un porco da annientare, allo stesso modo chi non smania per infilarsi la app come una supposta è un miserabile, un verme, un sovranista, un infame, un monatto, un untore, la cimice borghese di cui parlava Gramsci, e merita l’eterno anatema di Marx: “Io ti schiaccerò”.
Ma noi non possiamo lasciarci schiacciare, dobbiamo ribellarci. Questa volta sì, questa volta cedere non ci è dato. Ne va della nostra decenza di uomini e donne; di esseri umani. Perché noi siamo l’ultima cosa che ci rimane, e dobbiamo esserne consapevoli. Mentre è questo che ci dicono quando ci insegnano che tutto dovrà cambiare, che noi dovremo cambiare: ci stanno già cambiando, siamo il loro esperimento sociale, siamo i criceti sulla ruota. Pagheremo per la nostra rovina. Pagheremo anche la app che ci immunizza. E invece non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo arrenderci né alla app, né al bracciale elettronico, né alle catene del controllo altrimenti, del conformismo, della sudditanza a un Paese di virologi che si divertono a mandare la morte a Trump o Boris Johnson, si insultano per una ospitata televisiva, come l’ultima delle troniste, e noi dovremmo prenderli sul serio.
Non dobbiamo sottovivere col peso addosso di un peccato originale mai commesso, ma che giustifica la nostra sudditanza concentrazionaria. Questa volta dobbiamo resistere. Noi da loro. In modo non violento, ma dobbiamo farlo, non importa il prezzo. Questa volta in culo no. Che non si arrivi a pensare di noi: potevano scegliere tra il disonore e il controllo, hanno scelto il disonore e hanno avuto il controllo. Questo “sgoverno” di questurini e di burattini, di manichini dai fili tirati dalla Cina, dalla Oms, da virologi vanesi e comici lugubri e comunisti truci, da informatici e manager, da avvocati esaltati, da presidenti distratti, questo “sgoverno” se ne deve andare.
Max Del Papa, 20 aprile 2020 (qui)

Poi vi metto una considerazione e un’altra considerazione di carattere tecnico ad opera di chi è del mestiere e un video di Luca Donadel

Restando ancora un momento al nostro amato governo e alle sue bizzarrissime bizzarrie, vi propongo questo pezzo con considerazioni che ritengo interessanti, e infine vorrei tornare ancora un momento sulla caccia all’uomo messa in atto dalle Forze dell’Ordine, e in particolare a questa foto,
Dronirimini31
sulla quale, da un post di straordinario interesse che vi raccomando di leggere, stralcio due brevi capoversi:

Adesso vorrei chiedermi perché questa specifica immagine ha colpito così tanto. Perché è stata scambiata così spesso sui social, commentata, memerizzata. Quali corde ha toccato. Cosa racconta, al di là delle apparenze. […]

Si tratta dell’inversione fra i fini e i mezzi che è propria dei regimi autoritari. Una comunità consapevole si dà regole utili a raggiungere uno scopo condiviso (difenderci tutti assieme dai rischi del virus) e ammette anche che ci siano sanzioni quando un trasgressore mette in pericolo quello scopo. Uno stato autoritario dà regole che possono anche avere uno scopo, ma applica le punizioni quando viene messa in pericolo l’obbedienza.

E con questo direi che abbiamo detto tutto. Anzi no, manca ancora questo:
comunismo marsigatto
di Marsigatto.

barbara

RIFLESSIONI PERSONALI

In entrambi i significati dell’espressione. La prima è una riflessione personale nel senso che è una riflessione che riguarda la mia persona.

Il mese scorso ho compiuto 69 anni (68+1 per i puritani), e ho una leggera tendenza all’ipertensione, ma proprio leggera, delle pastiglie prendo il dosaggio più leggero, ogni tanto devo anche dimezzare, o sospendere per un giorno o due, perché la massima mi scende addirittura sotto 100, mentre la minima è sempre tra 60 e 70. Non credo di correre il rischio imminente di morire di ipertensione, meno che mai di vecchiaia; anzi, se seguo l’andamento familiare – di entrambe le famiglie di origine – mi aspettano ancora 20-25 anni di vita. Se però dovessi beccarmi il virus malefico e lasciarci le penne, verrei classificata come ultra sessantacinquenne con patologia pregressa (anche al rinnovo della patente: ho detto quali pastiglie prendo e con quale dosaggio, e lui ha scritto semplicemente “ipertensione”), e quindi “morta con”, perché ad ammazzarmi, per i distinguisti, saranno stati la vecchiaia e la patologia pregressa. Siamo davvero sicuri che la distinzione fra morti per e morti con sia opportuna e adeguata alla realtà?

E ora qualche riflessione personale nel senso di uscita dalla mia testa, cominciando con le cose che, per un motivo o per l’altro, non capisco. Per esempio, se la cosa da evitare come la peste è l’assembramento, perché supermercati, banche, uffici postali e forse anche altro che non so hanno ridotto l’orario? Avendo meno tempo a disposizione ci si ammucchia di meno? E se la cosa da evitare come la peste sono i contatti, cosa c’entra il fatto di uscire? Camminare da soli è come stare in un bar affollato, in un cinema, in un teatro? E perché intorno a casa mia posso (potevo, adesso non so se sia stato tolto anche quello) passeggiare ma sulla spiaggia no? È più facile che incontri un conoscente e ci si fermi a fare due parole e magari succeda che ci si dimentichi della distanza obbligatoria a cinquanta metri da casa o su una spiaggia profonda un centinaio di metri che corre ininterrotta per oltre venti chilometri? (Ho letto di quel tale sulla spiaggia che si è messo a correre per sfuggire alla polizia e ci è riuscito, ma è stato poi bloccato più avanti da un’altra pattuglia; all’obiezione che non danneggiava nessuno perché era da solo qualcuno ha risposto che era da solo perché gli altri erano disciplinatamente a casa. Il che è una colossale puttanata: in spiaggia fuori stagione non ci va quasi nessuno, si incontra sì e no una persona ogni dieci minuti, e quindi tutti gli altri, se non fossero stati a casa, sarebbero stati come sempre in centro, o al bar, o da amici eccetera). E perché per noi la porta di casa è chiusa mentre per i clandestini le porte dello stato sono spalancate e arrivano a migliaia, sani o infetti senza distinzione, e scorrazzano dove vogliono? E perché io ho i capelli che non stanno più in nessuna maniera e il presidente della repubblica ha il ciuffo che scappa perché anche lui non va dal barbiere, e Sua Eccellenza il Cavalier Giuseppe Conte è sempre freschissimo di taglio, tinta e messa in piega? E quelle due settimane originariamente previste per la quarantena: erano state calcolate sulla durata massima dell’incubazione; noi evitiamo i contatti per due settimane, durante queste due settimane si ammalano quelli che stavano incubando la malattia, qualcuno di questi morirà nella settimana o nelle due settimane successive e poi basta, tranne qualche caso sporadico il problema è risolto. Adesso siamo agli arresti da più di un mese  e stiamo ancora navigando sul paio – e oltre – di migliaia di contagiati e oltre il mezzo migliaio di morti al giorno: c’è qualcosa che mi sfugge? C’è qualcosa che dovremmo sapere e non ci viene detto? E questa marea di poliziotti e carabinieri che pattugliano indefessamente il territorio, non sia mai che qualche criminale abbia la tentazione di cedere alla strattonata del cane che vuole andarsi a rotolare un po’ più in là, dove l’erba è più verde e morbida, per non parlare di elicotteri e droni, tutta questa roba, dicevo, come mai non c’è mai quando c’è da difendere gli italiani dalla mafia nigeriana, e gli onesti cittadini dai ladri d’appartamento, e le donne dai mariti violenti, e i ragazzini dagli spacciatori, perché? Perché quando ne hai bisogno contro la criminalità non trovi un poliziotto neanche a pagarlo oro?

E poi.

Sto diventando sempre più allergica al “andrà tutto bene”. Capisco il desiderio di essere ottimisti, ma in che senso andrà tutto bene? Che cosa esattamente andrà tutto bene? Abbiamo oltre ventimila morti ufficiali e almeno il doppio reali, e stiamo ancora marciando al ritmo di oltre mezzo migliaio di morti al giorno ufficiali: andrà tutto bene cosa? I morti resusciteranno? Le centinaia di medici morti torneranno in corsia? E quei rianimatori che tutte le volte che, con le terapie intensive al collasso, arrivano due pazienti e c’è un posto solo e hanno dovuto scegliere chi condannare a morte, e scegliere in fretta altrimenti li avrebbero condannati a morte entrambi, riusciranno a superare un simile trauma? Andate un po’ a raccontarla a loro la favoletta natalizia che andrà tutto bene.

Sono diventata allergica anche a “Bella ciao”,
cervello
che qui c’entra poco, ma lo volevo dire. Che poi tra siam pronti alla morte e mi sento di morir, un’allegria, guarda, da pisciarsi addosso.

E non ne posso più dei giustizieri da tastiera, non ne posso più di dover leggere “Sono state denunciate 20.000 persone sorprese fuori senza valido motivo: 20.000 persone inutili”. Persone inutili? Ma come cazzo ti permetti di definire inutile un essere umano?! Ma chi cazzo sei? Ma non ti viene da sputarti addosso quando ti guardi allo specchio? Perché a me sì che viene da sputarti addosso, e tanto anche.

E non ne posso più, dopo i cinquanta milioni di commissari tecnici e dopo i cinquanta milioni di virologi ed epidemiologi, degli attuali cinquanta milioni di economisti, che sanno con certezza che dopo che praticamente tutta l’economia nazionale sarà rimasta ferma un mese, due mesi, sei mesi, fino a quando “il virus non sarà scomparso” (perché i nostri esperti epidemiologi lo sanno che i virus fanno così: un bel giorno, sim salabim, magicamente scompaiono), riapre tutto e si riparte, come se niente fosse successo. Perché non ci saranno fabbriche che non saranno più in grado di riaprire perché saranno fallite, e non ci saranno negozi che riapriranno ma avranno ben poco da vendere perché sono fallite le fabbriche che li rifornivano, e anche quel poco resterà lì perché la gente non ha soldi per comprare. E le persone che saranno rimaste senza soldi verranno aiutate dallo stato, perché non succederà che ci siano persone che, rimaste senza lavoro, non avranno più un reddito, e senza reddito non pagheranno le tasse, quelle tasse con cui lo stato paga gli stipendi agli statali e le pensioni ai pensionati e, nel caso ci sia un governo degno di questo nome, aiuta chi si trova in difficoltà. E, giusto così per inciso, fa funzionare gli ospedali. Perché è chiaro: è solo di covid che si muore, mai capitato che si muoia anche di miseria, infatti nel terzo mondo con la miseria nera che si ritrovano hanno tutti un’aspettativa di vita di due-trecento anni come minimo.

E non ne posso più dei “ne usciremo migliori” e “impareremo ad apprezzare le cose veramente importanti” e “saremo meno egoisti” e “impareremo a rispettare di più la natura”, perché naturalmente il virus è nato dalla plastica (quella che la Cina butta in acqua a miliardi di tonnellate, per inciso, ma i distruttori della natura siamo noi). Intanto aspettate a vedere se ne uscite, tanto per cominciare, e poi, se e quando ne saremo usciti, oltre che inevitabilmente più poveri, oltre che, per decine di migliaia di persone,  segnati dalla perdita dei propri affetti, oltre ai milioni di medici infermieri e altro personale sanitario che ne usciranno – quelli sopravvissuti – stremati fisicamente e psicologicamente, secondo me ne usciremo molto più incazzati e incarogniti di prima. Io, per lo meno, ci potete giurare che lo sarò, dal momento che lo sono già adesso. Quello che è certo è che quello che ci aspetta alla fine del tunnel sarà un mondo diverso, e sicuramente non migliore. Probabilmente peggiore. In ogni caso nuovo, con cui dovremo imparare a fare i conti.

E già che siete arrivati fin qui, beccatevi anche questo

Non si sono piegati, si sono spalmati agli eurousurai e non sanno far altro che essere comunisti

Ci avevano promesso che mai si sarebbero piegati agli eurousurai: non si sono piegati, si sono spalmati come pelli di animali morti. Sono comunisti, non hanno scrupoli nel mentire sapendo di mentire.
Ci hanno scaricati ad un accordo pieno delle peggiori umiliazioni, capace di farci finire esattamente come la Grecia: esultano, parlano di “grande primo tempo”, sapendo che ormai siamo direttamente ai supplementari. Sono comunisti, usano la lingua di legno, naturalmente proporzionata alle capacità culturali, che sono nulle.
Ci hanno storditi con le allettanti promesse, 25 miliardi, altri 25, altri 50, poi 400, poi 700: non si vede un euro e intanto le aziende e le botteghe muoiono. Sono comunisti, non gli importa dell’economia, sognano la classe unica, il sottoproletariato straccione e nemmeno lo mascherano.
Ci hanno ammazzati di tasse che neppure in una fase come questa, bellica, da autentica emergenza civile, si sono azzardati a toglierci, neppure una, neppure per sbaglio: eccoli, vogliono metterci sopra un altro prelievo per i “ricchi” da 80 mila euro in su. Sono comunisti, lo stato non gli basta mai e lo stato sono loro, sono le loro bocche eternamente spalancate, da Conte Ugolino che divora tutto.
Ci hanno scaricato addosso il loro odio dall’alto delle loro borse firmate, delle loro barche, delle tette rifatte, dei completi di sartoria, dei loro attici vista Colosseo, Battistero o Duomo, le loro raffinate abitudini, i loro privilegi da Politburo: ora vogliono una patrimoniale, da chiamare “contributo di solidarietà”. Sono comunisti, non conoscono il valore della fatica, della dignità, dell’individuo, fin da bambini (o sardine), ondeggiano gregari e inetti, nullafacenti in carriera.
Ci hanno giurato che “era tutto sotto controllo” a partire dalla macchina dello stato: la realtà si è vista subito, portali in tilt, oscene accuse a fantomatici hacker russi, scaricabarile indecente, proliferazione di decreti, di autocertificazioni, novecento pagine di norme psicopatiche, tutto per niente, tutto per legittimare il niente a tutti. Sono comunisti, drogati di burocrazia, grigi, irranciditi dentro, anche davanti ad un tramonto sul mare (come li canzonava don Camillo) non sanno pensare ad altro che all’ultima direttiva di partito.
Ci hanno irriso quando avevamo paura e restavamo chiusi in casa, ci hanno offeso come fascisti, sessisti, ignoranti, ci hanno additato con la complicità dei virologi di riferimento, hanno abbracciato cinesi, degustato aperitivi solidali con presentatori eterni ragazzini di riferimento; perdendo tempo, mentendo a noi e a loro stessi, abbandonandoci nelle fauci della pandemia. Sono comunisti, sono sempre gli stessi, come i russi a Chernobyl, come i Cinesi a Wuhan, che sarà mai qualche ondata di cadaveri da sacrificare alla propaganda.
Le hanno sbagliate tutti, diagnosi, prognosi, terapia, spocchiosi da (far) morire prima, più spocchiosi alla prova dei fatti, spocchiosi come non mai alla resa dei conti. Sono comunisti, la loro autocritica è sempre la stessa: “dove avete sbagliato, compagni?”.
Sono passati dall’insultarci perché troppo cauti, all’insultarci perché spericolati; per recuperare il tempo (criminalmente) perduto ci hanno recluso, rinchiuso, incamiciato “per il nostro bene”, senza termine, allungando sempre la data del riscatto; hanno scoperto che gli piaceva, gli dava la misura del loro potere, che, come noto, è sempre meglio che fottere, e non hanno più saputo rinunciare all’orgasmo continuo; vogliono vedere quanto possono stritolare un popolo, arriveranno a proibire di affacciarsi alla finestra, una sigaretta sul balcone: e già chiunque indossi una divisa si sente autorizzato alla peggiore arroganza: moniti, minacce, maniere forti, “controlli ferrei” li chiamano, in una escalation di eccitazione allarmante: i cittadini tornano sudditi, un paio di stivali da ghepeù legittima qualsiasi abuso. Sono comunisti, lo stato etico è il loro pane avvelenato, approfittano anche di una morìa per tentare i loro esperimenti sociali da Stranamore.
Ci hanno messo la mascherina di ferro, serrato le strade, gli scali, le stazioni, unica eccezione: i migranti, per quelli i porti rimangono sempre aperti, anche in Africa ha attecchito la pandemia ma sia preso e processato chiunque se ne accorga. Loro non debbono “fare come Salvini”, ripetono la Boldrini e Orfini. Sono comunisti, che gliene frega se chi arriva rischia di infettare chi c’è e chi c’è rischia d’infettare chi arriva? L’ideologia anzitutto, l’ideologia è tutto e, se la realtà non combacia, beh, che si fotta la realtà.
“Stiamo facendo tutto e più di tutto, tutto quanto serve, siamo i migliori, il mondo prende esempio da noi”, si vantano: ma il mondo sempre più non capisce, compatisce questo governo da operetta che, come dice Luttwak, scivola sempre più nello stato autoritario. Sono comunisti, non sanno fare niente e attrezzano grottesche commissioni di controllo, dette task force, assoldano i loro Berjia perché nessuno si permetta di fiatare.
Questo, ha confermato il coronavirus, l’orrenda pandemia cinese. Che non esistono come liberali, liberallib: sono, restano i vecchi compagni di sempre, da sezione lugubre, coi ritratti dei morti alle pareti ingiallite, polverosi; odiano il loro popolo, odiano l’Italia e fremono per discioglierla in un carrozzone europeo che è fine a se stesso, che non serve a nessuno se non alle loro pornografiche attitudini opportuniste da neurodeliri. Sono comunisti. Non cambiano, non possono.

Max Del Papa, 11 Apr 2020, qui.

barbara

CHE BUFFA LA NEVE AL MARE!

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dietro i palazzoni in fondo, anche se non si vede, c’è il mare
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E questa praticamente sarei io. Che non è un selfie perché non ho lo smartphone: ho semplicemente girato la macchina fotografica e scattato, sperando di beccarmi, e quindi eccomi qua, con la faccia deformata dalla vicinanza non temperata dalla regolazione, oltre che col naso storto dall’incidente di quattro anni fa e rosso per il freddo.

TRAMONTO

Il braccio destro intorno alle spalle della figlia. Si avvicina la moglie e lui apre il braccio sinistro, affinché si unisca all’abbraccio, poi avvicina le braccia per stringere il cerchio, in modo che la donna e la ragazza possano abbracciarsi tra di loro. Lento, quasi guardingo, si avvicina il figlio adolescente, ostentando superiorità verso tutto quel tenerume. La madre apre il braccio sinistro, senza parlare, guardandolo. Alla fine si annida anche lui in quell’abbraccio tenerissimo, tutti e quattro con sorrisi vaghi e gli occhi persi in quel tramonto bellissimo, struggente.

Più in là un ragazzo e una ragazza, intrecciati stretti. Talmente stretti che sarebbe arduo capire fin dove arrivi l’intreccio. Forse lo stanno sentendo, il tramonto, ma sicuramente non lo stanno vedendo, persi unicamente l’uno negli occhi dell’altra.

Due bambini, sordi ai richiami della madre, continuano ostinatamente a giocare, per rubare ancora un minuto, ancora un secondo, ancora un respiro all’estate finché dura, finché c’è.

E io continuo nella mia camminata lenta, lentissima, nella luce che a poco a poco svanisce mentre le onde, con sensuale delicatezza, venendo a morire sulla battigia, con l’ultimo respiro mi accarezzano i piedi.

barbara

SHUK CARMEL (11/14)

A Tel Aviv siamo arrivati la penultima sera di viaggio, e prima di cena siamo scesi in spiaggia per aprire una bottiglia che ci era stata regalata e brindare al nostro viaggio alla meravigliosa luce del tramonto – ma io sono anche andata a inzuppare i piedi, perché avere un mare davanti e non entrarci non esiste proprio. E siccome ero appunto occupata a inzuppare i piedi, non ho fotografato il tramonto; se volete averne un’idea, trovate qualcosa qui, nel mio primo viaggio in Israele, quello in cui ho attraversato tutto il Paese da nord a sud e da est a ovest con entrambe le zampe rotte.
La mattina successiva, l’ultima da trascorrere in Israele, era dedicata alle visite, ma giusto in quel momento il mio apparato digerente ha pensato bene di scatenare un bel terremoto, sicché, visto che ne avevo la possibilità, sono rimasta in albergo, raggiungendo il gruppo solo a mezzogiorno. Per la vostra gioia, tuttavia, il breve tempo fra il mio arrivo in città e il momento di riprendere l’autobus per andare all’aeroporto, è stato sufficiente a fare un giro al shuk Carmel e fotografare questa donna drusa (si riconosce dal velo bianco delicatamente adagiato sul capo e sulle spalle) che prepara la pita: prepara l’impasto,
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lo stende, come i migliori pizzaioli, facendolo roteare e volteggiare in aria;
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quando la sottile sfoglia è pronta, la adagia su questo cuscino
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per poi con questo rovesciarla sulla piastra ben distesa, senza pieghe o accartocciamenti.
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E poi vi ho fotografato le caramelle.
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Sì, a Tel Aviv i pavimenti sono storti. E anche le pareti. E anche i soffitti. E anche gli scaffali delle caramelle, che però non cadono giù perché sono caramelle magiche. Qualche compagno di viaggio ha fatto foto migliori di questa, delle caramelle, ma questa è la mia e quindi vale più di tutte, ecco.

barbara

 

POI UNA DOPO AVERE LAVORATO UN MESE E MEZZO A SISTEMARE LA CASA

Approfitta della bella giornata per scendere per la prima volta in spiaggia, e immediatamente si becca una terrificante pallonata sul naso. Quello con la cartilagine frantumata nell’incidente dell’anno scorso. Con un calcio potentissimo da distanza di pochi metri. Ma talmente potente che pareva ci si fossero messi tutti insieme questi qua

barbara

BILANCIO DI UN MESE DI MARE

–      Ho fatto una cinquantina (forse un po’ meno) di ore di spiaggia e quindici bagni

–      Ho camminato abbastanza, in buona parte con le zampe in acqua, cosa che in futuro potrò fare anche in inverno. Praticamente il paradiso in terra

–      Ho sonnecchiato e ogni tanto anche un po’ dormito

–      Ho perso due chili e mezzo – ma tanto ci metterò mezza giornata a recuperarli

–      Per un pelo non sono stata stesa da un biciclettaro mentre attraversavo la strada. Indicando il semaforo ho detto: “È rosso, amico”. Mi ha risposto: “Sì, lo so”. Scusarsi? Ma quando mai!

–      Mi sono comprata quattro bellissimi vestiti di lino – uno un po’ quasi mini che mi sta una meraviglia – per una spesa totale di €55. Spero solo che l’etichetta made in Italy fosse autentica, che non mi piacerebbe davvero risparmiare sulla pelle di qualche bambino cinese o indiano

–      Ho letto sedici libri

–      Mi sono disintegrata un piede

E vi lascio con una delle nostre voci più ricche e originali, che troppo presto ci ha lasciati.

barbara

AGGIORNAMENTO: (ero sicura che doveva esserci qualcos’altro, ma non riuscivo a ricordare che cosa)
– Ho mangiato quasi cinque chili di gelato