CHIAMAMI…

Chiamami Scanzi, sarò la tua coerenza

Qui

Chiamami Conte, sarò la tua materia grigia

Giovanni Bernardini

SEMANTICA

Lo annunciano fra squilli di tromba i media di regime.
Il giorno di Natale, fermo restando il divieto di spostamento da comune a comune (che si tratti di Milano o Rocca Cannuccia è indifferente), fermo restando, dicevo, tale saggio divieto, si potranno ricevere I CONVIVENTI.
Penso: o sono scemo io o sono scemi loro. Io RICEVO a casa mia i NON conviventi. Convivo con mia moglie ma non la “ricevo” tutte le mattine, né lei tutte le mattina “riceve” me.
Probabilmente la nostra saggia guida Giuseppe Conte ha in mente una riforma della semantica. Lunga vita a lui!
Sempre lui, il nostro saggio e coraggioso condottiero, ha avvisato il popolo bue: “bisogna prevenire la terza ondata” ha detto con voce ferma e virile.
Di nuovo sono perplesso. Si può parlare di prevenzione della “terza ondata” se intanto la seconda è finita. Se una squadra perde due a zero ha senso dire che attacca per segnare il goal del vantaggio? Non mi pare, prima bisogna fare i goal del pareggio, poi quello del vantaggio, mi sembra.
E’ finita la seconda ondata ed ha quindi senso parlare di prevenzione della terza? Non mi pare, stando alle cifre ufficiali.
Egregio dottor Conte, lei ed i suoi compari vi state dimostrando del tutto incapaci di far fronte alla crisi sanitaria. State letteralmente distruggendo l’economia. Avete ridotto la costituzione, da voi definita “la più bella del mondo”, a rotolo di carta igienica. Abbiate almeno un minimo, solo un minimo, di rispetto per la madre lingua e la sua semantica!

Chiamami Zingaretti, sarò il tuo luminoso sol dell’avvenir

Giovanni Bernardini

UN INCUBO

Sono sempre più numerosi i sottili intellettuali che, parlando del “dopo pandemia”, affermano, scuotendo gravemente la testa possente: “una volta che tutto sarà finito non si può tornare alla situazione pre covid”. Uno degli ultimi a fare simili dichiarazioni è stato Zingaretti, giustamente considerato un gigante del pensiero e dell’azione.
Mi permetto di chiedere umilmente a queste menti eccelse: cosa intendono dire con precisione? Forse si riferiscono alla necessità di avere un miglior sistema sanitario? Se è così non si può che concordare, ma non credo che fosse necessario il covid per rendersene conto.
O si riferiscono ad altro? E a cosa, in questo caso?
Perché non si dovrebbe tornare alla situazione pre covid? Forse che la pandemia è da addebitarsi a ristoratori e proprietari di palestre? Sono loro e non il governo comunista cinese i “cattivoni”? Ce lo dicano, per favore.
Cosa sognano i coltissimi ed intelligentissimi personaggi che non vogliono che “tutto torni come prima”? Forse un mondo senza piccole e medie imprese, senza commercio al minuto, bar, ristoranti e pizzerie? Sognano città con i centri storici semi deserti? Vagheggiano una società perfetta in cui la gente se ne stia tappata in casa per gran parte del suo tempo, i contatti faccia a faccia siano sempre più rari e l’unica forma di socialità sia quella virtuale? Vogliono una “democrazia” in cui i parlamenti eletti dai popoli non contino più nulla e tutto il potere sia concentrato nelle mani di grandi organismi internazionali non eletti da nessuno e responsabili solo di fronte a se stessi?
Ho il vago sospetto che sia questo il mondo che agognano: atomizzazione e potere assoluto. Contrazione delle relazioni sociali volontarie ed imposizione a tutti di una socialità coatta, con i governi che decidono sin nei dettagli la vita degli esseri umani. Una prospettiva degna di Orwell. Un incubo, non un sogno
Che in molti cercano di trasformare in realtà.

Chiamami Bertolaso, sarò la coscienza nera del governo

Guido Bertolaso

Ecco fatto: segregati in casa per tutte le feste, anziani abbandonati, turismo demolito, nazioni confinanti strapiene di sciatori, decessi fra i più alti del mondo, e lo saranno ancora per settimane.
Strillate per i morti negli USA? Il rapporto di popolazione fra noi e gli americani è di 5,5. I nostri 993 che abbiamo perso ieri fanno in proporzione 5.461 poco più del 50% degli USA!! Lo sapete quanti giorni di scuola hanno fatto i liceali della Campania dal 4 marzo scorso ad oggi? 14.
Tutto questo perché il Governo non è stato in grado di gestire la seconda ondata che loro stessi avevano previsto. Continuano a chiamarla EMERGENZA, a quasi un anno dall’inizio della pandemia. Chiamiamola con il giusto nome: INCOMPETENZA. I Covid hospital della Fiera di Milano e di Civitanova Marche sono pieni da settimane (purtroppo) ma erano inutili giusto?
Il Presidente del Consiglio continua a fare conferenze a reti unificate senza contraddittorio, ignorando l’esistenza del Parlamento e omettendo di usare l’unica parola che dovrebbe pronunciare: SCUSATECI

Chiamami Golia, sarò la tua caramella

(ma voi l’avevate capito che quella intorno al nome è una stella di David?)

Chiamami Zaia, sarò il tuo condizionale

Chiamami covid, sarò il tuo controllore

Chiamami Biden, sarò l’amico dei tuoi bambini

barbara

DATEMI UNA STELLA GIALLA

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Una tetra toppa di panno cucita a forma di una stella di David che ogni ebreo è stato costretto a indossare nella Germania nazista così come in ogni paese conquistato dai tedeschi; ogni paese alleato con la Germania; ogni cultura desiderosa di rendere distinguibile l’odiato ebreo.
L’ebreo colpevole. Lo sporco ebreo. L’ebreo ladro. L’ebreo disgustoso. L’ebreo di meno-che-umano. L’ebreo che può solo sbagliare – per tutto ciò che facciamo noi, naturalmente.
Eravamo obbligati a portare la stella gialla. Ce l’hanno fatta ingoiare. Significava disonore ed era associata con l’antisemitismo, come probabilmente sapete. Doveva essere un distintivo di vergogna come la lettera scarlatta di Hawthorne. Ma 6 milioni di volte peggio.
Oggi? Basta vergogna. Dammi una stella gialla. Trovane una e dammela, presto.
Voglio indossare una stella gialla sul petto a sinistra, dove ogni vittima dell’Olocausto era costretta a portarne una. Voglio andare in giro con una stella gialla su ogni singolo pezzo di vestiario che possiedo. Sulla mia American Apparel scollata a V, la mia felpa Nike, il maglione Ralph Lauren, la mia felpa Champion, la mia Diesel button-down, la giacca H&M, la maglia Adidas e il blazer Gap. Sulla spiaggia me ne metterò una sul petto nudo se occorre.
Voglio camminare per le strade di Parigi e affrontare gente come questa. Affrontare un ex-marine fuori dalla Casa Bianca vicino a questi amichevoli odiatori. A Bruxelles, nei Paesi Bassi, nelle moschee di Berlino, nelle strade del Canada – e Inghilterra soprattutto – per incontrare questo idiota. Vorrei andare nei campus negli Stati Uniti, come questo all’Università di California, San Diego a parlare con questa ragazza qui – indosserò la mia stella gialla.
Voglio che tutti mi vedano con quella e sentirli dire quando entro
‘Ehi, arriva l’ebreo, è proprio come tutti gli altri.
Pensa di essere così eccezionale e diverso.
Ma è solo uno sporco ebreo.
Un omicida di massa.
Uccide i bambini cristiani e musulmani e poi usa il loro sangue per le matzot, come tutti gli ebrei.
Quelli bombardano a tappeto sulla gente.
Pensano di essere così grandi, con i loro studi e il loro successo.
Uccidono i bambini, quegli ebrei.
Non lo sai? Sono gli ebrei che possiedono Hollywood, i media, le banche.
Sono la feccia della terra. Rubano le cose.
Hitler aveva ragione. Cos’era quel hashtag?
#Hitleravevaragione.
Andiamo a dipingere svastiche sulle tombe dei suoi nonni.
Andiamo a picchiarlo.
Uccidiamolo. Ammazziamo un rabbino a Miami.
Questo gli insegnerà — ad esistere’.
Voglio quel distintivo giallo così cattivo, il mio sangue sta bollendo.
Porca puttana, per me quella stella gialla è un simbolo di tutto ciò che è buono. Non solo per me, ma per il mondo.
È un simbolo del male superstite. È patrimonio e conoscenza. Tolleranza e ottimismo. È forza e fiducia a fronte della debolezza e insicurezza di coloro a cui non viene insegnato abbastanza bene ciò che le loro buone mamme avrebbero dovuto insegnare loro. Quella stella gialla è il coraggio. È educazione. Resistenza. È la ragione che sconfigge il torto. È coraggio e sacrificio, convinzione, ed è vita.
È testimonianza a tutti coloro che sono tragicamente morti indossandola, sia benedetta la loro memoria, affinché in futuro i loro fratelli e sorelle sopravvissuti imparino a non avere mai paura di ciò che sono. A non restare mai più in silenzio. A non chiedere scusa, ebreo o israeliano, per essere sopravvissuto. Grazie a loro e, anzi, per loro, da molto tempo questo distintivo giallo ha cessato di essere un distintivo di vergogna.
Per me, è una emblema giallo di vaffanculo-io-sono-qui-per-restare.
È una stella che oscura qualsiasi altro emblema che predica odio. Fa sparire forma e colore delle svastiche, delle bandiere nere dell’ISIS e di Al Qaeda, quelle verdi di Hamas o le gialle di Hezbollah.
Spero di riuscire a incontrare ogni bugiardo che mi chiama assassino di bambini o mi accusa di genocidio o di massacri. Gli sbatterò in faccia la mia stella gialla, gliela sbatterò per bene. Gli farò vedere e ricordare che cos’è un vero genocidio. Che cos’è un reale assassinio di bambini. Come sono per davvero la pulizia etnica e l’omicidio di massa. Che cosa significa realmente (tentare di) cancellare una razza. E dove vi porteranno l’ignoranza e l’odio e le bugie che avete scelto di seguire. Quegli accusatori non avranno bisogno di guardare la storia. Perché sta accadendo intorno a noi. Adesso. In tutto il mondo, non c’è luogo dove si possa evitare di vederlo.
Prima di essere ammassati fuori alle camere a gas circa 70 anni fa gli ebrei che indossavano la loro stella gialla udivano ‘Uccidete gli ebrei’, ‘Heil Hitler’, ‘L’unico ebreo buono è un ebreo morto’, ‘Ebreo ladro!’ – e tutto ciò che prima di essere ostracizzato dalla loro comunità, spogliati dei loro averi, proprietà, identità, umanità e alla fine, la loro vita. Sentivano parole. È successo anche in molti altri Paesi. Come nel paese di mio padre – l’Iraq. Un paese da cui è stato espulso perché era ebreo. Perché era uno sporco ebreo.
Comincia. Sempre. Con. Le Parole.
Lo stesso tipo di parole che sentiamo ora qui sui social media. Alle dimostrazioni. Nelle conversazioni. Parole che non hanno nulla a che fare con Israele. Palestina. Politica. Il Medio Oriente o qualunque altra cosa. Potete anche non essere solidali con ISIS e Hamas, ma se non cercate 24 ore su 24 sette giorni su sette di denunciarli per quello che sono, allora non siete parte della soluzione per liberare il mondo da loro.
Il mondo, proprio ora, è agitato da parole anti-Israele e antisemite. Parole antisemite a cui gli ebrei come me sono abituati. Sto parlando con te, Dieudonné. Mel Gibson. Roger Waters. E sto parlando con voi, leader islamici radicali, che dai vostri pulpiti predicate menzogne e odio e divisione in nome di Allah.
Sto parlando a voi, ciechi seguaci dell’Islam radicale, che vi riunite e cantate odio nelle piazze delle vostre città, alle dimostrazioni cittadine, tramando odio ebraico nelle vostre case o apertamente tra amici, nei media, e in rete – nei paesi democratici sfruttando la libertà di parola che l’Occidente vi ha dato, tra gente che per lo più vi ama.
Sto parlando con voi, persone dalla mentalità presumibilmente liberale – amici miei, anche – che avete speso troppo tempo parlando della mia Israele in lotta per la sua esistenza in una guerra difensiva, ma molto poco delle centinaia di migliaia di assassinati in Siria. In Iraq. Delle persone assassinato per essere seguaci di qualunque religione che non sia l’Islam. Molto poco parlate dell’ISIS che ha invaso il Medio Oriente e mette le teste sulle lance, spara alla gente nei fossati a migliaia. Pochissimo tempo parlate dei siriani gassati e di un vomitevole primo ministro turco che sputa quel genere di antisemitismo virulento che può terminare in un solo modo.
Voi, miei cari liberali di sinistra, state scegliendo il lato dell’odio. Siete decisamente ignoranti. E fate schifo. Sul fatto che la morte e la guerra sono terribili e che si dovrebbe smettere di uccidere non potremmo essere più d’accordo. Ma fino a quando non fornirete una soluzione per ISIS, Hamas, Hezbollah, Al Quaeda e le altre persone a cui inviate le vostre cartoline di Natale virtuali, fate un favore al mondo civile: tornate ai vostri articoli fascisti che a quanto pare sapete scrivere, ma non fate nient’altro. E mentre ve ne occupate, non dimenticate l’11 settembre,, Londra 7/7, gli attentati ferroviari a Madrid in Spagna o la maratona di Boston.
Guardatela bene, la mia stella gialla. Guardate da dove è venuta. Guardate cosa è stato fatto dopo che noi ebrei fummo costretti a indossarla e poi chiedetevi: stiamo facendo la stessa cosa agli altri? Noi ebrei? Noi israeliani? Siamo diabolicamente intenti a sterminare la gente? È davvero questo che vogliamo? O sono altri a fare quello che voi pensate che stiamo facendo noi – altri di cui vi rifiutate di parlare, né di condannare con un semplice post o un clic sul vostro pulsante Like.
Stupidi, io non vado da nessuna parte.
Mai più.
Anche se alcuni potrebbero desiderarlo, MAI PIÙ.
Per chiunque altro legga questo da lontano, e che potrebbe essere d’accordo con quello che sto dicendo, sia ebrei che non ebrei, non siate dispiaciuti per me, la mia famiglia, i miei amici. Non siate dispiaciuti per noi. Noi stiamo bene e non abbiamo paura. Mi piace pensare che conoscete la situazione e che probabilmente siete dalla nostra parte. Non solo perché sapete che non riusciranno a farla finita con noi, ma perché siete sani di mente e non siete ciechi.
Non abbiate paura perché io non sono intenzionato a essere una vittima. Nessuno di noi lo è. E spero che neppure voi lo siate. La mia stella gialla sta guardando in faccia l’estremismo. Tutte le nostre stelle gialle stanno guardando in faccia tutti. Accecando gli estremisti con questa schifosa luce in un mondo che sta diventando sempre più nero.
Sono innamorato della stella gialla?
Hai dannatamente ragione, che lo sono.

Questo articolo è apparso come una lettera al redattore dell’edizione europea del New York Times

Di Eitan Chitayat (qui, traduzione mia)

Già, si comincia sempre con le parole. Come in questo volantino di una decina d’anni fa, per esempio.
RutgersRally
barbara

PICCOLI NAZISTI CRESCONO

Supplenza in terza C

La terza C è una di quelle classi che quando si legge di doverci fare supplenza provoca in tutti noi un irresistibile impulso alla fuga. Magari anche con qualche modesto atto di autolesionismo che giustifichi almeno una breve visita al pronto soccorso. Quella volta la supplenza era per il collega di religione che, trattandosi di un’assenza prevista, aveva provveduto a organizzare la visione di un film su Auschwitz. E dunque parte il film, e naturalmente ogni tanto c’è qualche personaggio, o gruppo di personaggi, che fa il saluto nazista, e ogni volta un buon quarto della classe scatta sull’attenti e stende il braccio, e uno di loro grida con entusiasmo “Heil Hitler!” Al terzo Heil Hitler sono andata lì, l’ho preso per un braccio, l’ho tirato giù e scaraventato (letteralmente, con tutte e due le mani) fuori dalla porta. Quando sono andata alla cattedra e ho preso il registro, una cospicua parte della classe si è precipitata lì per tentare di convincermi a non scrivergli una nota. (Un anno fa in terza F, invece, era successo questo).

Supplenza in terza D

Avevano un lavoro da fare, e la maggior parte ha lavorato seriamente. Alcuni hanno chiacchierato, qualcuno – i soliti noti – preso atteggiamenti provocatori, ma insomma il tutto era più o meno sopportabile. Verso la fine dell’ora O. mi si trova davanti e di colpo i suoi occhi si bloccano sul risvolto della mia giacca. Per la precisione, sulla spilletta appuntata sul risvolto della giacca. A forma di stella. Con sei punte. Con la faccia tra lo schifato e l’inorridito punta l’indice e chiede: “Cos’è quella roba?” “Una stella” dico. E poi, a voce alta, a muso duro e in tono ancora più duro – quello che prendo quando sono pronta a menare, e chi mi si trova davanti lo capisce immediatamente – aggiungo: “Qualcosa da dire?” “No… no”, dice, e si immerge nel gruppetto dei soliti noti dal quale, fra una sghignazzata e l’altra, arrivano mormorii da cui emerge qualche parola, come “Jude” e “Scheisse” (merda).

Corso di scrittura creativa

È un corso in quattro turni, con quattro diversi gruppi di scolari provenienti da varie classi, della durata di otto settimane ciascuno, che tengo una volta la settimana. Oggi c’è una ragazza che indossa una blusa con su scritto

I ♥ HCP

Verso la fine dell’ora le chiedo cosa voglia dire HCP. “Hockey Club Pustertal” mi dice. Poi, ammiccando, aggiunge: “C’è scritto qualcosa anche dietro!” E si alza, si gira e solleva la felpa, per mostrarmi la scritta

I ♥ NADI

Nadia, mi spiega, è la sua compagna di banco, nonché amica del cuore: quella maglietta se l’è fatta stampare apposta, con i suoi due grandi amori. Sto ancora sorridendo di tenerezza quando interviene A. che, approfittando dell’assonanza, finge di leggere male e grida: “I love nazi!” Cercando di mantenere la calma gli spiego che cos’è l’apologia di reato e provvedo a informarlo che chi fa apologia di un crimine, per la legge del nostro stato, commette a sua volta un crimine. E lui, tutto soddisfatto e compiaciuto: “Allora siamo in tanti criminali, qui. E gli austriaci sono tutti criminali!”


    

(Sono nazistini piccoli piccoli, ma cresceranno. A differenza di questi altri bambini.

In queste giornate, una foto tra le foto mostrava un gruppo di bambini in attesa di mangiare, e dico solo che in questa occasione sinteticamente ebraica della Shoah i bambini li vorrei chiamare ieladim. Questi ieladim li ho contati, erano 27.
Avevano delle giacche invernali, a parte uno che aveva la maglietta a righe, e alcuni portavano bretelle – tutti un cappello e i pantaloni corti. Uno ieled teneva le mani in tasca, una forse era una ialdà e aveva un basco blu sulla testa rotonda che ora che ci penso era rasata, e lui, o lei che fosse, portava un lungo cappotto elegante che scendeva; aveva la testa girata da un’altra parte perché era incuriosito, oppure incuriosita, da qualcosa – lui, lei, non aveva mai visto un posto così. Gli ieladim ridevano, se no sorridevano, stringevano gli occhi perché avevano il sole contro, e le stelline gialle sul petto di tutti erano atrocemente graziose. La foto era in una bella giornata di sole, e ogni dettaglio era in armonia con l’idea di bella giornata: il cielo sereno, il sole e i colori, e la foto a colori. Poi gli ieladim sono rimasti per sempre ieladim.  
Il Tizio della Sera)

AGGIORNAMENTO: questa foto, che mi è appena stata inviata, è del marzo 2012. Il manifesto in essa ripreso è diffuso in tutta l’Ungheria.

barbara