QUELLE ORRENDE STRAGI IN AMERICA

per colpa del libero commercio delle armi.

La California: al primo posto nel porre limiti alle armi, sempre al primo posto nelle sparatorie di massa – Breitbart News

Un rapporto dell’FBI sugli “incidenti con le sparatorie” nel 2021 mostra che la California è lo Stato al primo posto per tali incidenti, 6 in totale

La California è al primo posto per quanto riguarda le restrizioni sulle armi, come ha osservato Everytown for Gun Safety, un’organizzazione affiliata a Mike Bloomberg.
Secondo l’FBI, nel 2021 si sono verificate 61 sparatorie con “tiratori attivi” in tutti gli Stati Uniti (un aumento di oltre il 50% rispetto all’anno precedente) e 12 di esse rispondevano alla definizione di “omicidi di massa“.
L’FBI definisce un “tiratore attivo” come uno o più individui attivamente impegnati ad uccidere o a tentare di uccidere persone in un’area popolata. La definizione implica l’uso di un’arma da fuoco da parte del tiratore. L’aspetto “attivo” della definizione implica intrinsecamente la natura continua di un incidente, e quindi la possibilità che la risposta influisca sull’esito, mentre un “omicidio di massa” viene definito come tre o più uccisioni in un singolo incidente.
La California ha guidato la classifica della nazione con 6 sparatorie di massa su 12. Sin dal 1982, la California ha registrato il maggior numero di sparatorie di massa, 20, rispetto al secondo posto della lista, la Florida, con 12.
La California però dispone di controlli universali sui precedenti, di un divieto sulle c.d. “armi d’assalto”, di un divieto sui caricatori ad alta capacità di proiettili, di un periodo di attesa di 10 giorni per l’acquisto di armi, di una una legge c.d. “Red Flag” che prevede il sequestro temporaneo delle armi da fuoco di una persona che si ritiene possa rappresentare un pericolo per gli altri o per se stessa, di requisiti per la registrazione delle armi, di un requisito di “giusta causa” per il rilascio di un permesso per il porto d’armi, di un divieto di portare un’arma in un campus universitario anche per autodifesa, di un divieto per gli insegnanti di introdurre armi da fuco nei campus per la difesa propria personale e della classe, di un requisito di controllo sui precedenti anche per l’acquisto delle munizioni e di un limite al numero di armi che un cittadino rispettoso della legge possa acquistare mensilmente, tra gli altri controlli. Inoltre, l’acquisto di munizioni è consentito solo se effettuato tramite un fornitore approvato dallo Stato.
Per confronto, in Wyoming, che dispone di un “Constitutional Carry” che consente di portare liberamente con sé le proprie armi, non c’è alcuna violenza con le armi da fuoco.

BreitbartNews.com, qui.

Sarebbe quindi ora di smetterla di scambiare leggende e utopie con la realtà: non fa bene a nessuno.
Aggiungo questo articolo di Giulio Meotti, che condivido totalmente.

Contro il male c’è solo un uomo buono con un fucile

L’unica notizia positiva nella strage di Uvalde è un padre di famiglia che si stava tagliando i capelli e quando ha saputo dell’attacco ha preso l’arma del barbiere ed è corso a salvare i bambini

Jacob Albarado al centro in camicia e con il fucile davanti alla scuola di Uvalde

“Uvalde è uno dei più grandi scandali delle forze dell’ordine nella storia degli Stati Uniti”. Così la veterana del giornalismo americano Peggy Noonan sul Wall Street Journal racconta quanto è successo nella scuola elementare in Texas teatro dell’ultima strage. “I bambini, alcuni già uccisi, altri no, erano rimasti intrappolati nelle aule e 19 poliziotti si erano radunati appena fuori. L’attacco è durato così a lungo, hanno detto i testimoni, che l’uomo armato ha avuto il tempo di schernire le vittime prima di ucciderle. Gli studenti chiamavano i servizi di emergenza e chiedevano aiuto. Gli agenti non si sono mossi per un’ora. Un popolo che ama parlare all’infinito di sensibilità, ma non è abbastanza sensibile da salvare i bambini dall’altra parte della porta. Mio Dio, non ho mai visto un paese così bisognoso di un eroe”.
Gli attacchi politici e ideologici alla polizia in questi due anni (“razzismo sistemico”, “uso brutale della forza” etc..) dal caso George Floyd l’hanno forse paralizzata? Una domanda che molti si stanno facendo.
Alla scuola di Uvalde, in Texas, la polizia era paralizzata mentre l’assassino Salvador Ramos era dentro la scuola. L’unica notizia positiva quella mattina è arrivata da un agente della polizia di frontiera in pensione, Jacob Albarado, che in quel momento si trovava dal barbiere. “C’è un tiratore attivo. Aiuto. Ti amo”, gli ha scritto la moglie insegnante dentro la scuola. “Ho chiesto al mio barbiere se avesse un’arma”, ha raccontato Jacob alla CBS News. “Mi sono comportato come un marito e un padre”. Sua moglie gli ha fatto sapere che era uscita, ma la loro figlia era ancora rinchiusa nel bagno. “Non sapevo quale bagno”, ha detto Albarado. “Dobbiamo portare i bambini fuori di qui”, ha detto Albarado agli agenti appena accorso sul posto. “Questo è il nostro momento”.
“La sola cosa necessaria per il trionfo del male è che le brave persone non facciano niente”, disse già Edmund Burke, che a differenza di Jean-Jacques Rousseau non pensava affatto che fossimo tutti buoni e che la società ci corrompe.
“La migliore difesa contro un assassino con una pistola è un difensore con una pistola”, ha scritto il Wall Street Journal, raccontando come anche nella strage alla sinagoga di Poway, in California, fu uno dei “buoni” armato a fermare lo stragista. “Una scena terrificante si è svolta in un Walmart a Springfield” racconta ancora la National Review. “Un uomo con un fucile tattico, una pistola e più di 100 cartucce è entrato. La polizia si è precipitata, ma quando sono arrivati ​​la crisi era finita. Un ex pompiere aveva estratto la sua arma e teneva l’uomo sotto tiro. Un bravo ragazzo con una pistola ha evitato una potenziale crisi”.
Lo stesso avvenne la mattina dell’11 settembre 2001, quando tutto il sistema americano collassò e le sole buone notizie arrivarono dal volo 93. Todd Beamer era un venditore di software per la Oracle con una casetta a Cranbury, nel New Jersey. L’11 settembre uscì alle cinque del mattino diretto all’aeroporto di Newark, facendo piano per non svegliare i bambini e la moglie incinta del terzo figlio. Quando gli attentatori dirottarono il suo volo, Todd chiese all’operatrice telefonica di recitare il 23esimo salmo: “Se dovessi camminare in una valle oscura…”. Poi quella frase: Let’s roll, alla carica. Todd disse let’s roll, riappese il telefono e insieme ad altri altri si avventò sui kamikaze, impedendo che l’aereo fosse lanciato sulla Casa Bianca (si schiantarono in Pennsylvania). Todd sapeva che quel giorno non ci sarebbe stato happy end. Ma nel loro sacrificio, lui e gli altri passeggeri diedero all’America un messaggio di speranza.
Akash Bashir è il primo “Servo di Dio” nella storia della Chiesa in Pakistan. Il giovane laico ha offerto la sua vita in sacrificio per salvare la vita di centinaia di cristiani all’interno della chiesa cattolica di San Giovanni nel distretto di Youhanabad a Lahore il 15 marzo 2015, bloccando un attentatore suicida e morendo con lui. Prestava servizio volontariamente nella sicurezza fuori dalla chiesa. Era in servizio al cancello della chiesa quando ha notato un uomo che cercava di entrare con una cintura esplosiva sul corpo. Akash abbracciò l’uomo, inchiodandolo a terra e tenendolo alla porta d’ingresso, vanificando il piano del terrorista di compiere un massacro di cristiani dentro la chiesa. L’attentatore suicida si è così fatto esplodere e Akash Bashir è morto con lui. Le sue ultime parole furono: “Sto per morire, ma non ti lascerò entrare”.
Sulle porte dei supermercati, dei teatri, dei cinema, dei grandi magazzini, delle scuole, delle sinagoghe e dei centri commerciali di Israele una guardia durante la Seconda Intifada fu l’ultima linea per proteggere i civili. Duecento persone che si trovavano in un supermercato a Gerusalemme devono la loro vita a Haim Smadar. Un ebreo tunisino emigrato in Israele quando aveva due anni. “Tu non entri, noi due moriremo qui”, disse Haim fermando una donna imbottita di esplosivo. Alla moglie Shoshana aveva detto: “Se un attentatore suicida volesse entrare nella mia scuola, io lo fermerei con il mio corpo”. Smadar faceva la guardia anche in una scuola. La moglie lo ricorda così: “Il suo nome era Haim ed è esattamente ciò che ha donato a così tante persone… la vita”.
Arnaud Beltrame è il tenente colonnello della gendarmeria francese che cercò di disarmare il terrorista islamico negli attacchi a Trebes e Carcassone, offrendosi come ostaggio al posto di una donna in un supermercato. Padre Jean-Baptiste, che lo conosceva, ricorda “l’importanza che Beltrame dava alla guerra spirituale che stava attraversando la Francia. La fede del jihadista gli ha ordinato di uccidere. La fede di Arnaud di salvare vite umane”. Racconta la moglie: “Ho trovato una frase scritta da lui, in cui dice che è pronto, che l’ora di Dio sarà la sua”. Beltrame ora riposa nel cimitero di Ferrals-les-Corbières, dove c’è sempre qualcuno che va a deporre fiori sotto una croce e una frase: “Chi osa vince”.
Lo scorso 27 ottobre in aula a Parigi, dove si svolgeva il processo ai terroristi che gli avevano ucciso la figlia Nathalie al teatro Bataclan di Parigi, Patrick Jardin ha detto: “C’è stato l’intervento di questo coraggioso poliziotto che a rischio della sua vita è entrato nel Bataclan e con le sole armi di servizio ha ucciso questa feccia di Samy Amimour. Colgo l’occasione per ringraziare questo poliziotto, questo eroe e condividere con lui tutta la mia ammirazione. A sei anni da questa tragedia ancora non riesco a capire come i soldati in servizio davanti al Bataclan abbiano potuto rimanere inerti alle grida di terrore e agli appelli disperati delle vittime”.
17 famiglie delle vittime hanno fatto causa allo stato francese perché otto soldati delle pattuglie antiterrorismo “Sentinelle” armati di fucili d’assalto e che si trovavano proprio fuori al Bataclan mentre all’interno si svolgeva la strage sono stati avvertiti dai superiori di non intervenire. Il fatto che questi soldati non siano intervenuti è già stato oggetto di molte discussioni, racconta Le Monde. Un brigadiere di polizia chiamato sul posto quella sera ha detto di aver chiesto ai soldati di entrare. Ma la questura ha risposto: “Negativo, non siamo in zona di guerra”. Il portavoce del governatore militare di Parigi, Guillaume Trohel, ha detto: “Quella sera la situazione era molto confusa. Prima di dare una missione a qualcuno, devi sapere cosa sta succedendo! Non puoi inviare un’unità alla cieca”. Il generale Le Ray ha invece detto: “Non è pensabile mettere in pericolo i soldati nell’ipotetica speranza di salvare altre persone. Non sono destinati a gettarsi nella bocca del lupo”.
Insomma, quella sera anche il sistema francese è collassato.
La rock band americana Eagles of Death Metal si esibiva sul palco del Bataclan quando i terroristi dell’Isis hanno sterminato 89 persone in un tiro al piccione. Per settimane, la Francia si è stretta attorno a questo gruppo di anarcoidi californiani di Palm Desert dalla barba folta, la voce arrochita dal fumo, i capelli a spazzola, i tatuaggi e la cultura da middle America, quella della frontiera, dove si gioca a testa o croce con l’esistenza. Poi, intervistato dalla tv francese iTélé, il frontman Jesse Hughes ha scioccato il pubblico di europei: “Non posso permettere che i cattivi l’abbiano vinta. La legge francese che limita le armi ha forse fermato la morte di una sola f…a persona al Bataclan? So che molte persone non saranno d’accordo con me, ma le armi possono rendere le persone uguali, o almeno così avrebbe potuto essere quella notte. Finché rimarrà anche solo una persona con una pistola, tutti dovrebbero averne una. Perché non ho mai visto morire una persona che aveva una pistola. Ho visto invece morire persone che forse avrebbero potuto vivere”. Hughes è tornato a scuotere la Francia con una intervista apparsa sul magazine Taki. “A una ragazza davanti a me hanno sparato e la testa le è esplosa”, racconta il musicista. “Avevo suoi pezzi di ossa e denti in faccia. Quando hanno sparato i primi proiettili, la gente mi ha guardato. Non avevano mai sentito un colpo di pistola in vita loro”.
In un mondo ideale nessuno dovrebbe andare in giro armato e soltanto lo stato dovrebbe gestire una crisi simile. Ma nel mondo reale, come a Uvalde, mentre venti poliziotti stavano con le mani in mano e la politica aveva fallito, un uomo buono con un’arma ha fatto la differenza. Dentro al Bataclan erano armati solo gli assassini dell’Isis e fuori l’esercito non intervenne.
La società occidentale ha bisogno di tanti Jacob Albarado, Arnaud Beltrame, Todd Beamer, Akash Bashir e Haim Smadar. Perché la civiltà è separata dall’abisso da una crosta molto sottile e ci sono uomini chiamati a proteggerla. Come in un detto del Talmud Babilonese: “Ci sono malvagi che da vivi sono come morti. Ci sono giusti che da morti sono sempre vivi”.
Giulio Meotti

Il Salmo 23, per chi non lo conoscesse, è questo

E non c’è niente da fare, quando le armi stanno da una parte sola, va sempre a finire male. Quando invece anche i buoni riescono ad averne un po’, qualcosa cambia di sicuro.

barbara

LA PASQUA IN MEDIO ORIENTE

Pasqua MO
Seguono un paio di organizzazioni della religione di pace che ce l’hanno a morte con ebrei e cristiani. Dove “a morte” non è una metafora (qui).
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Infine un’aggiunta, grazie a “myollnir”, al bilancio che avevo prudentemente definito provvisorio, della Pasqua cristiana:

In Nigeria un agente dei servizi di sicurezza, un tal Adamu Abdullahi, che dal nome parrebbe induista, ha travolto con la sua auto una processione pasquale di bambini, uccidendone, sembra, undici, e ferendone una trentina.
Il locale capo della polizia, un certo Mohammed Abubakar Adamu, che dal nome invece dev’essere un mormone, si è affrettato a dichiarare che si è trattato di uno sfortunato incidente, avendo il sig. Adamu perso il controllo del mezzo.
Purtroppo non potremo sapere da lui com’è andata, perché è stato linciato dai superstiti.

A quanto pare, anche i cristiani prima o poi si stufano di andare come pecore al macello e decidono di insorgere contro i carnefici. Sembra che questa sia stata l’unica agenzia di stampa a darne notizia; le nostre, in particolare, hanno deciso che il silenzio è d’oro.

barbara

SOLO UN PICCOLO APPUNTO, SIGNOR MAHMUD ABBAS,

nom de guerre Abu Mazen, giusto per ricordare che lei è un uomo di pace.

Dal suo recente fluviale discorso al concilio nazionale palestinese: “Vi sfido a trovare un singolo incidente contro gli ebrei, solo perché erano ebrei, in 1.400 anni, in qualsiasi paese arabo.”

Cronologia delle principali persecuzioni subite dagli ebrei nei paesi arabi

  • 624- tribù ebraiche vengono sterminate da Maometto
  • 628- gli ebrei di Khaibar (Arabia Saudita) devono versare tributi altissimi e ogni ebreo che  compie 15 anni deve pagarlo.
  • 700- intere comunità ebraiche vengono massacrate dal re Idris I del Marocco.
  • 845- vengono promulgati in Iraq decreti per la distruzione delle sinagoghe.
  • 845-861- El Mutawakil ordina che gli ebrei portino un abito giallo, una corda al posto della cintura e delle pezze colorate sul petto e sulla schiena.
  • 900- col Patto di Omar gli ebrei vengono spegiativamente chiamati dhimmi. In base a tale Patto era proibito agli ebrei di costruire case più alte di quelle dei musulmani, salire a cavallo o su un mulo, bere vino, pregare a voce alta, pregare per i propri morti o seppellirli in modo da offendere i sentimenti dei musulmani. Dovevano portare abiti atti a distinguerli dai musulmani. Nasce qui e non in Europa il segno distintivo degli ebrei, e l’obbligo di portare pezze sugli abiti si diffonderà in tutti i paesi arabi
  • 1004- Il Cairo: gli ebrei sono costretti a portare legato al collo un piccolo vitello di legno e in seguito palle di legno del peso di tre chili.
  • 1006- Granada: massacro di ebrei.
  • 1033- Fez, Marocco: proclamata la caccia all’ebreo. 6000 ebrei massacrati.
  • 1147-1212- persecuzioni e massacri in tutto il nord Africa.
  • 1293- Egitto e Siria: distruzione delle sinagoghe.
  • 1301- i Mammelucchi costringono gli ebrei a portare un turbante giallo.
  • 1344- Distruzione delle sinagoghe in Iraq.
  • 6 giugno 1391, pogrom di Siviglia (ndb)
  • 1400- Pogrom in Marocco in seguito al quale si contano a Fez solo undici ebrei sopravvissuti.
  • 1428- vengono creati i ghetti (mellaha) in Marocco.
  • 1535- Gli ebrei della Tunisia vengono espulsi o massacrati.
  • 1650- Anche in Tunisia vengono creati i ghetti, qui si chiamano hara (in arabo significa merda )
  • 1676- distruzione delle sinagoghe nello Yemen.
  • 1776- vengono sterminati gli ebrei di Basra, Iraq.
  • 1785- massacri di ebrei in Libia.
  • 1790-92- distruzione delle comunità ebraiche in Marocco.
  • 1805-15-30- Sterminio degli ebrei di Algeri.
  • 1840- persecuzioni e massacri a Damasco.
  • 1864-1880- continui pogrom a Marrakesh
  • 1869- massacri di ebrei a Tunisi.
  • 1897- massacri di ebrei a Mostganem, Algeria.
  • 1912- pogrom a Fez.
  • 1929- massacro della comunità ebraica a Hebron e distrutta la sinagoga.
  • 1934-il governo iracheno vieta agli ebrei lo studio dell’ebraico.
  • 1936- In Iraq gli ebrei vengono esclusi dagli uffici pubblici e pogrom a Bagdad.
  • 1938-44- Persecuzioni a Damasco; gli assassini diventano cronici.
  • 1941- in concomitanza con la festa di Shavuot pogrom a Bagdad. E poi pogrom a Tripoli, ad Aleppo, ad Aden, al Cairo, ad Alessandria, a Damasco ecc. ecc.
    (da una ricerca di Deborah Fait)

Si prega cortesemente di osservare che quanto sopra esposto è tutto avvenuto rigorosamente PRIMA della nascita di Israele. Si prega di notare che queste sono le principali persecuzioni, non tutte le persecuzioni subite dagli ebrei nei Paesi arabi. Si prega di notare che l’islam, religione di pace, è nata nel 622: il primo massacro di ebrei è del 624.
E ancora una considerazione: quasi tutta l’area invasa e occupata, arabizzata e islamizzata dalle orde di Maometto in espansione dalla penisola araba, era in gran parte cristiana, oltre che ebraica; oggi i cristiani in tutto il Medio Oriente e in tutto il nord Africa sono sparuta minoranza, oppressa, perseguitata, massacrata, in costante diminuzione. Quello che mi chiedo è: come mai a nessun cristiano è venuto in mente di stilare un elenco analogo a questo sulle persecuzioni subite dai cristiani nel mondo arabizzato e islamizzato, sulle stragi, sulle sparizioni di intere comunità? A Betlemme, quando era sotto la spietata occupazione israeliana, fascista razzista colonialista praticante apartheid, i cristiani erano il 60%: oggi sono meno del 12%: perché nessuno ne parla? D’accordo che essere cristiani non è di moda, ma è possibile che i massacri di esseri umani, la sparizione di intere comunità di esseri umani sterminati per l’unica colpa della loro fede religiosa non interessi a nessuno?
Qui un altro po’ di cose.

barbara

CI CONCEDIAMO UN MOMENTO DI TREGUA?

Turchia, Nizza, Heidingsfeld, Kabul, Monaco, e l’egiziano che dà fuoco alla moglie e il tunisino che accoltella la compagna e il siriano che uccide una donna incinta col machete e qui ci si ferma per ragioni pratiche ma potremmo andare avanti all’infinito. E allora propongo di concederci un attimo di tregua con una delle musiche più belle che siano mai state scritte.

barbara

COLPA DELL’OCCUPAZIONE?

“Il sionismo è la più madornale delle frodi, il magico specchietto per incantare le allodole umanitarie di tutto il mondo, il far finta di levarsi di mezzo, di lasciar tranquilli i popoli che per secoli hanno perturbato e sfruttato, dando a credere – e quanti vi hanno creduto! – che lo Stato ebraico risolverebbe l’affannoso problema ebraico su tutta la terra”. Chi ha scritto questa frase? Potrebbe essere la risposta del responsabile della rubrica delle lettere al direttore di un noto quotidiano? Oppure il testo di un pamphlet stampato da un movimento filoislamico? Potrebbe essere, almeno stando a quello che si legge in questi giorni di guerra mondiale in Siria, di guerriglia armata a Parigi e a Bruxelles, e di rinnovato terrorismo in Palestina e in Israele. Abbiamo già sentito le accuse a Israele, esplicite o implicite, dirette o indirette, di essere responsabile di quanto oggi accade in Europa e in Medio Oriente, e dunque di non essere un’entità giustificabile. Per esempio dalla signora ministro degli Esteri svedese. Ma anche in Italia da noti personaggi. A volte da parte dei sospetti abituali, a volte da parte di persone al di sopra di ogni sospetto. E invece il testo di cui sopra è stato pubblicato nel 1939-XVII da Paolo Orano, uno dei più efferati teorici e pratici dell’antisemitismo italiano, che coi suoi scritti ossessivi e la sua propaganda senza freni inibitori ha preceduto di molti anni, anzi di decenni, le leggi razziali e la soluzione finale. È per lo meno imbarazzante che molti dei temi e delle tesi che circolavano allora facciano parte ancora oggi impunemente della dialettica del discorso di delegittimazione del progetto israeliano e di quanti lo sostengono.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme (26 novembre 2015)

Dai, su, raccontatemela ancora la storiella che se il mondo ce l’ha con il sionismo e con Israele è per via dell’occupazione (in effetti no, lo Stato ebraico non risolve “l’affannoso problema ebraico”, ossia l’antisemitismo, perché l’antisemitismo è problema degli antisemiti, e nessuno lo può risolvere al posto loro).
Tolosa
barbara

LA DIFESA DELLA LIBERTÀ UNICA ALTERNATIVA ALLA SOTTOMISSIONE

L’Europa può diventare inospitale per gli ebrei. Questo è uno degli obiettivi dei jihadisti.

di Giuseppe Laras

Caro direttore, lutto e dolore accompagnano una guerra difficile e lunga, combattuta anche con la dissimulazione e la strategia della confusione. Alleati dell’Islam jihadista (Isis, Fratelli Musulmani, Hamas, Al Qaeda, Hezbollah e Iran) sono quei politici, pensatori, storici e religiosi che hanno distorto la pace in pacifismo, la tolleranza e l’inclusione in laissez-faire, la forza della verità in debolezza dell’opinione arbitraria, il dialogo in liceità di ogni espressione, il sano dissenso in intollerante conformismo politically correct . Questi occidentali «odiatori di sé» sono complici. Hanno svenduto alla sottomissione la libertà per cui mai personalmente lottarono o pagarono. Questa è la triste fotografia dell’inadeguatezza politica e culturale di molti europei. È un clima che richiama l’ascesa del nazismo. Possiamo crederci o no, ma ciò che colpisce l’Europa oggi è l’inevitabile reiterazione di problemi che Israele ha da decenni: sopravvivere allo jihadismo che nutre menti, cuori e attese politico-religiose di troppi musulmani, anche se non di tutti. Come non sentirsi profondamente vicini anche alle famiglie delle vittime musulmane degli attacchi parigini? Il dramma è che, con cieca ignoranza, la cultura laicista considera, semplificandolo, l’Islam politico realtà consimile e analoga a cristianesimo ed ebraismo e alle loro storie, anch’esse non prive di ombre. Le cose non stanno così. Finiamola con il mantra buonista, esorcistico dei problemi nell’immediato ma amplificante gli stessi nel tempo, della «religione di pace». Si vedano le piazze dei Paesi Islamici giubilanti per i fatti parigini, come per Charlie, per i morti ebrei, per le Twin Towers. Che dire dei Buddha monumentali abbattuti dai talebani? Non insultiamo l’intelligenza con «questo non è Islam». Basta con sensi di colpa anacronistici per crociate e colonialismo: la city di Londra, mezza Parigi e i nuovi grattacieli milanesi sono oggi di proprietà islamica. L’Islam politico ha armi potenti. Alla convenienza ora si aggiunge il terrore. Alcuni ritengono, paralizzati da paure economiche, demografiche e belliche, di patteggiare con i mandanti del terrore, proponendo maggiore «inclusione» e «integrazione», giustificando l’intollerabile e pensando che, venendo a patti col male, si scongiuri il peggio. Non funziona così: arretrando si arretra sempre più. Veniamo agli ebrei. Noi siamo i primi nemici. Ogni attacco in Europa riguardò anche gli ebrei. Solo che, per sconvolgere i nostri concittadini in Europa, il nostro sangue non è bastato e non ha avuto importanza. Tutti ricordano Charlie Hebdo. E i morti di Tolosa? Di Bruxelles? Del ristorante kasher di Parigi contestuale a Charlie? Cari europei, ammettiamolo, si trattò solo di ebrei. Di irriducibili rompiscatole che turbano, con la nostra storia di persecuzione in Europa, la buona coscienza di questo crepuscolare continente. Nulla di più allettante, quindi, di trasferire sensi di colpa e inquietudini identitarie verso un disappunto censorio su Israele per la questione palestinese. Ma non è una questione palestinese, è anzitutto una questione islamico-politica. È per questo che, in definitiva, indipendentemente dagli errori di entrambe le parti, non si procede nel necessario cammino verso la pace.
Gli ebrei, ora come in passato, sarebbero causa dei mali del mondo. Se non ci fosse Israele, sostengono molti — musulmani e non — , vi sarebbe pace con l’Islam. È falso. È una «verità apparente» trasformata in dogma. I jihadisti lo sanno bene e sosterranno questa tesi avvelenata e allettante per far credere che solo così tornerà a esservi pace, anche in Europa. Fu la tentazione delle Chiese cristiane arabe con il panarabismo. I risultati? Fuggiti gli ebrei, purtroppo muoiono loro, tra silenzi e balbettii dei cristiani d’Occidente. Settant’anni fa l’Europa ebbe paura e molti capi di governo pensarono che si potesse scendere a patti. Conosciamo le conseguenze. Erodiamo la libertà e le singole libertà e ancora cederemo. Indeboliamo il cristianesimo e l’ebraismo europei e offriremo ai nostri comuni odiatori, tutt’altro che sprovveduti, nuovi strumenti di sopraffazione e d’odio.
Concittadini, da 2000 anni in Europa dimorano gli ebrei, maltrattati, trasformati in mostri, additati come colpevoli di nefandezze, uccisi in camere a gas. Oggi siamo biasimati in quanto israeliani o filo-israeliani. Tuttavia, durante 20 secoli, mai gli ebrei, se non nei deliri degli antisemiti, auspicarono la fine della religione cristiana o la sovversione di cultura e istituzioni occidentali (vi furono al massimo esasperazione e disperazione per le persecuzioni subite). Parimenti mai gli ebrei invocarono — o suggerirono ad altri — la fine dell’Islam o dei Paesi Islamici. Oggi il cristianesimo è vilipeso e perseguitato, si vogliono annientare le nostre libertà e sovvertire le nostre istituzioni laiche. Ritengo inusitato e colpevolmente utopistico che alcuni invitino a fronteggiare questa violenza inaudita e dilagante senza il ricorso alla forza legittima e necessaria.
L’Europa potrebbe in un futuro risultare inospitale per gli ebrei (in Francia è già realtà). Questo è uno degli obiettivi dei jihadisti. Se così dovesse essere, l’Europa diverrà un territorio desolato e inospitale per tutti coloro che amano e difendono la propria e l’altrui libertà. E non ci sarà nemmeno spazio per i musulmani onesti e pacifici (ahimé troppo silenti). Per fronteggiare il presente, occorrono saldo spirito razionale, energia e coraggio. L’alternativa è tra libertà e sottomissione (ai Fratelli Musulmani, Hamas, Isis, Al Qaeda, Iran, Hezbollah et similia). Tutti noi, con la viltà, otterremo solo sottomissione. Mai libertà. Circa gli autori dei massacri, i loro compagni e chi applaude loro, come si può pensare che l’Unico e Onnipotente, buono e giusto, tolleri o gradisca questa furia omicida e le sofferenze ingiuste e blasfeme inflitte alle Sue creature?
(Corriere della Sera, 18 novembre 2015)

Mi sembra una delle cose più lucide scritte in questi giorni, e quindi ve lo propongo.

barbara

E A PROPOSITO DEL POST PRECEDENTE

ho scoperto adesso che ricorre in questi giorni il tredicesimo anniversario della morte del generale Massu; ritengo che valga la pena, nel bene e nel male, di ricordare questo personaggio, e lo faccio con questo articolo di “Repubblica”.

Muore Massu, il generale della battaglia d’Algeri

PARIGI – «Sono un soldato e obbedisco», amava ripetere il generale Jacques Massu, scomparso sabato sera a 94 anni. Ma a volte il protagonista della battaglia d’Algeri non riusciva a tener la lingua a posto. Avrebbe potuto essere un eccellente uomo politico, di quelli che «fanno titolo», ma dopo essere andato in pensione rifiutò più volte un seggio di deputato: «L’ambiente politico non conviene al mio genere di bellezza». Non stimava gli uomini politici, tranne uno, ovviamente un militare: il generale de Gaulle. Massu fu uno dei primi a rispondere all’appello del 18 giugno 1940, quello con cui da Radio Londra de Gaulle chiamava la Francia a rifiutare l’armistizio e l’avvento del regime pétainista. Figlio e nipote di militari, sconosciuto capitano di stanza nel nord del Ciad, Massu divenne così l’uomo di fiducia del maresciallo Leclerc, luogotenente di de Gaulle. È l’inizio di una lunga epopea: nel marzo ’41, Leclerc e Massu strappano agli italiani l’oasi libica di Cufra e pronunciano il loro giuramento: «Deporremo le armi solo quando i nostri bei colori sventoleranno sulla cattedrale di Strasburgo». Promessa tenuta: la divisione Leclerc libera Parigi il 25 agosto 1944 e tre mesi dopo conquista il capoluogo alsaziano. Finito il conflitto mondiale, Massu viene spedito in Indocina, poi passa in Nordafrica, dove prende il comando dei paracadutisti. Di nuovo in Francia nei primi anni ’50, Massu diventa generale e nel 1957 il governo del socialista Guy Mollet lo manda ad Algeri. È il secondo, grande capitolo della sua vita militare, la tragica battaglia d’Algeri. Dotato di poteri di polizia, con oltre seimila uomini a disposizione, Massu deve mettere fine agli attentati e annientare l’organizzazione politica del Fronte di liberazione nazionale. In nove mesi, utilizzando tutti i mezzi, compresa la tortura, Massu ristabilisce l’ordine. Ma in quelle tragiche settimane scrive anche una delle pagine più nere della storia francese. Ha obbedito, certo, ma lui stesso nel 2000 si rammarica «di essere stato costretto a condurre quest’azione di polizia». Cattolico praticante, invita la Francia a pentirsi. A differenza di altri generali in pensione, che giustificano l’uso della tortura in Algeria, Massu la condanna: «La tortura non è indispensabile in tempo di guerra. Si potrebbe benissimo farne a meno. Quando ripenso all’Algeria, tutto questo mi affligge, perché faceva parte di una certa atmosfera». Un atteggiamento che dimostra la contraddittorietà dell’uomo Massu: «Era un personaggio complesso – ha commentato ieri Gillo Pontecorvo, l’autore de “La battaglia d’ Algeri”. Aveva dati positivi, ma rappresentava anche un pesante elemento regressivo e reazionario». Difensore dell’«Algérie francaise», richiamato a Parigi per aver criticato de Gaulle, Massu sarà rapidamente “riabilitato” e finirà la sua carriera come capo delle forze francesi di stanza in Germania. E lì sarà protagonista di un altro fatto storico: il 29 maggio 1968, mentre la Francia è in preda alla rivolta, de Gaulle scompare. Parte in elicottero e va a Baden Baden, per parlare con Massu. Un episodio mai veramente chiarito. L’indomani, de Gaulle rientra, tiene alla radio un discorso inflessibile e poco dopo un milione di persone sfilano sugli Champs-Elysées per sostenerlo: il Maggio finisce con il trionfo del generale. Cosa si dissero i due uomini? Massu ha detto un giorno che forse lo avrebbe rivelato ai suoi figli, perché lo rendessero pubblico dopo la sua morte. Se non lo ha fatto, avrà portato con sé nella tomba un misterioso tassello della storia francese recente.

GIAMPIERO MARTINOTTI 28 ottobre 2002

Massu, in Algeria, ha combattuto contro degli organizzatissimi terroristi. Che combattevano per una causa giusta, ossia la liberazione della propria patria dagli occupanti stranieri (e che nessuno si azzardi a fare immondi quanto insostenibili paragoni), ma lo facevano per mezzo di spietate stragi di civili. E di quanto ha fatto – altrettanto spietatamente – per fermarli, Massu si è pentito, ha giudicato la propria condotta e l’ha condannata. Dalle nostre parti giusto un paio d’anni fa è morto uno che le stragi le ha perpetrate su civili innocenti, e fino al suo ultimo giorno di vita si è dichiarato fiero delle proprie azioni. Checché ne dicano gli animalisti, che mettono sullo stesso piano tutti gli appartenenti al regno animale, la differenza fra uomini e vermi c’è, e si vede. Eccome se si vede.

barbara