UN SILENZIO INTRISO DI SANGUE

Vi ricordate lo slogan dei pacifisti al tempo della guerra in Iraq? “Non una sola goccia di sangue per il petrolio”. Bello, vero? Ma poi, si sa, i giorni passano, i tempi cambiano, i fronti cadono, la piazza calmasi, e ci ritroviamo in un tempo in cui per un po’ di petrolio si può passare sopra non solo a fiumi di sangue, ma anche alle donne fatte a pezzi (NOTA: gli stomaci delicati prima di leggere si procurino un po’ di Maalox).

Ursula, il gas azero vale il tuo silenzio sulle donne armene fatte a pezzi?

Il grande attore francese di origine armena Simon Abkarian ha scritto questa bellissima lettera aperta a Ursula von der Leyen e uscita oggi su Le Figaro. La riproduco, perché nessun giornale italiano oserebbe mai pubblicarla. Per oltraggio alla UE? Per implicito tradimento del campo anti-Putin? Per viltà nei confronti degli sgherri della mezzaluna e dei loro crimini?

Cara signora Ursula von der Leyen,
gli artisti non possono rimanere sordi al frastuono del mondo. Come te, che occupi la prestigiosa carica di Presidente della Commissione Europea, siamo tenuti, a modo nostro, a nominarne le convulsioni per alleviarle. Quando i soldati dell’esercito azero violentano, mutilano e fanno a pezzi Gayane Abgaryan, soldatessa armena, non si pongono la questione del valore della luce, dell’ambientazione, dell’impatto delle loro “immagini”. Non fanno domande.
Un soldato sta filmando. Ha il sole alle spalle. La sua ombra si proietta sul cadavere mutilato di Gayane. Le braccia della soldatessa sono legate sopra la testa. Le sue mani non sono visibili. A torso nudo, sembra una sacerdotessa che inarca la schiena e porge un calice invisibile agli antichi dei. Una scritta nera a pennarello ne macchia la pelle bianca. Una pietra è conficcata nell’orbita sinistra, probabilmente perché ha osato prenderli di mira. L’ombra del “cameraman” si allontana, allarga l’inquadratura, vaga su altri cadaveri. Questa volta sono uomini, soldati armeni. Irriconoscibili. È un Golgota. Poi l’uomo che filma ritorna sul cadavere di Gayane. È lei il “fulcro” di quest’opera macabra. La sua pelle color marmo irradia questo triste spettacolo.
Un calcio di stivale ne fa muovere i seni nudi. Un dito sporge dalla bocca e termina con un’unghia colorata di rosa pallido. Il suo, quello di Gayane. Dove sono gli altri? Sotto la giacca? Il dito nella bocca era quello che premeva il grilletto del suo fucile? È per questo che l’hanno tagliato? Per punirla? Gayane era un cecchino. Spengo il video. Ma poi guardo di nuovo e vedo quello che non volevo vedere la prima volta. Le sue gambe non sono sepolte, sono state tagliate all’altezza del bacino. Non ci sono più, le sue gambe. Una Venere di Milo capovolta, un’opera innaturale. Perché tagliarle le gambe? Cerco di capire. Forse spingeva via con i piedi i suoi aggressori che cercavano di violentarla? Immagino le dimensioni della lama che porta all’orribile scena, poi cado sullo sguardo sconvolto di Gayané e mi arrendo.

Simon Abkarian

Nessuno scrittore può raccontare le urla che questa donna deve aver emesso mentre i suoi assassini la facevano a pezzi. Nessuno scultore potrebbe riprodurre le maschere di sofferenza che ne hanno attraversato il volto. Nessun pittore potrebbe catturare la portata del suo dolore. E poi, da dove sarebbero partiti? Dall’occhio, il dito, le gambe? Le hanno spinto qualcosa nella vagina? Se sì, cosa e con quale frequenza? Quanti erano quelli che la trattenevano durante il calvario? Tre? Quattro? Sette? L’hanno violentata dopo averle cavato un occhio? Il corpo mutilato di Gayane suscita in me domande che speravo fossero superate. Mi ritrovo a sperare nel momento finale della sua vita che la libera dal tormento. Il momento in cui la sua anima lascia il corpo e raggiunge le vette dove si annidano i suoi antenati, il momento finale in cui l’ultimo respiro le esce dalla gola tra due colpi di tosse pieni di sangue, lacrime e maledizioni silenziose.
Gli “attori” di questo sinistro “cortometraggio” mi riportano alla realtà. Sono fuori dall’inquadratura, posso solo sentire le loro voci. Non vediamo mai i loro volti, in nessun momento. Poi mi sembra di capire una frase in turco: “È una donna?”. Ridono e giocano sul registro della crudeltà e vi si applicano. Cos’altro possono fare? Dal X secolo, è lo stesso scenario che costituisce l’identità nazionale dei turco-azeri: far soffrire le minoranze, soprattutto la più simbolica di esse, le donne. Qui non ci sono parole o testi che possano mitigare la violenza inaudita che il corpo di Gayané ha subito. Le frasi improvvisate ruotano intorno a una ventina di parole; la stessa retorica razzista anti-armena, insegnata dalle scuole elementari alle superiori. Gayané è morta per difendere la sua patria. Il sole delle montagne splende sulla schiena del suo carnefice che continua a filmare.
Non possiamo vedere i volti dei suoi aggressori, sono contro luce, contro la vita. Gayane è morta mille volte, la sua tortura è l’orgoglio di questi aguzzini in uniforme. Siamo nel 2022? Se questa donna di 36 anni fosse caduta per difendere il suo Paese, avremmo il diritto di dire che conosceva i rischi. In guerra si uccide, si muore. Ma se fosse stata catturata da un esercito convenzionale che si rispetti, avremmo il diritto di aspettarci che sarebbe stata protetta dalle leggi internazionali. Ma sembra che le Convenzioni di Ginevra non siano applicabili in Anatolia, tanto meno nel Caucaso meridionale.
Quello che vediamo in questo video (ce ne sono tanti altri), cara signora Ursula, è un crimine di guerra, un crimine contro l’umanità, un crimine contro la natura che getta la ragione a coronamento dell’orrore.
Un crimine la cui storia dovrebbe essere gridata in un deserto, ma io devo esserne il triste messaggero perché sappiate cosa hanno fatto questi soldati a questa giovane donna. E continueranno. Da un punto di vista simbolico, potremmo dire che è la dittatura a calpestare la democrazia, che è la barbarie a violentare e uccidere il mondo civilizzato, e voi sareste d’accordo… oppure no. Quello che vedo in questo video sono uomini che hanno metodicamente violentato e torturato una donna fino alla morte. Una donna, una madre.
Oh, Ursula von der Leyen, non si preoccupi, non sto facendo appello al suo carattere femminile, al suo cuore o alla sua morale, ovviamente il suo pragmatismo ha avuto la meglio su tutti e tre. Proprio in questo momento, mentre state concludendo i termini del vostro accordo con l’Azerbaigian, il video in questione spopola sui social di Baku. Le riprese e la trasmissione sono un passo avanti, un “progresso” per un Paese che assume e sguazza nella sua barbarie e nel suo sadismo.

Ursula von der Leyen con Aliyev

Devi posare accanto alla tua preda, che è diventata un trofeo, prenderla a calci, oltraggiarla a morte, brandire i suoi resti, crocifiggerla sulla porta che separa i nostri due mondi. Voi fate parte di una di esse. Quale? Come il gas azero, questi video dell’indicibile circoleranno presto in Europa. Quando stringerete di nuovo la mano ad Aliyev, il vostro partner “affidabile”, con cui ridete e scherzate allegramente, non dimenticate che state firmando un patto con il peggio che la dittatura ha prodotto e che state facendo un accordo contrario alle aspirazioni democratiche dell’Europa. Così facendo, state soffocando l’omicidio di Gayané e tutti quelli che seguiranno. Lei, la cui posizione richiede un’assoluta e indiscutibile correttezza politica, è quindi complice di questa barbarie senza nome. Willy Brandt si starà rivoltando nella tomba. Che triste naufragio. Temo il giorno in cui, di disillusione in disillusione, non sarò più in grado di scrivere la parola democrazia e sarà a causa di persone come voi.
Nonostante le loro uniformi, che sono quelle di un esercito convenzionale, i soldati azeri si comportano come orde barbare. Si uniscono al campo dell’Isis. Ricorda, signora, la micidiale “messa in scena” dei jihadisti che decapitano, bruciano e lapidano uomini e donne inermi? Finché le forze curde, comprese le donne, non li hanno fermati a Kobane. C’è un solo obiettivo in questo video che questi soldati senza onore hanno “fatto”: spaventare. Provocare lo stordimento degli armeni. Farli fuggire dalle loro terre ancestrali. Gli azeri sono protetti innanzitutto dal loro personale militare. Sono la triste eco del loro generale in capo, Ilham Aliyev, che vede gli armeni come cani da scacciare. Non siamo più esseri umani, ma subumani animalizzati.
Sanno che nessun governo o ente li perseguirà. Sanno di essere l’alternativa al gas russo. Perché altrimenti rischierebbero di alienarsi la comunità internazionale, altamente selettiva? Come i loro fratelli maggiori negazionisti in Turchia, stanno perpetuando una tradizione di femminicidio che è stata ritualizzata e celebrata per secoli. E non è solo il corpo della donna che si vuole possedere e distruggere, ma il grembo stesso che dà vita e racchiude in sé la storia del popolo armeno. Il grembo materno: è lì, in questa “terra”, che vogliono piantare il loro stendardo con la mezzaluna. Le donne greche, curde, assire, yazidi, alevite e caldee lo sanno fin troppo bene, signora. Per questi uomini dalla mentalità testicolare con cui fate affari, l’atto di coraggio è la conquista e la devastazione del corpo femminile. Così soggiogato, posseduto, contaminato e sfregiato, avrebbe (secondo la loro illusione) fatto perdere al nemico onore e virilità.
È una castrazione che passa attraverso il corpo della donna conquistata, sottomessa, servile, domata, strisciante, implorante, umiliata, uccisa, massacrata. Gayane non è sfuggita al suo tempo, non è scappata, non gli ha voltato le spalle. Avanzava, armi in mano, all’indietro in questa favola chiamata Storia, che da secoli si costruisce vomitando se stessa. Il corpo di Gayané, che si oppone agli invasori, si incarna come un territorio che essi devono penetrare, conquistare, devastare. Un Paese che devono prendere con la forza, smembrare e dal quale devono cancellare ogni traccia che attesti chi era. Devono sfigurare Gayane, farle pagare la sua audacia di donna fino a renderla irriconoscibile, fino a devastarla come queste case diroccate, senza porte né finestre, senza tetti né case, come queste chiese sventrate che sono diventate parcheggi, stalle o moschee, questi cimiteri rivoltati dai bulldozer, queste khatchkar (stele) polverizzate con il martello pneumatico, questi campi che sono tornati a essere terre desolate, queste antiche città che sono state ribattezzate e rinominate in fretta e furia.
No, ai loro occhi Gayane non sarà mai abbastanza morta. Devono gioire della sua morte finché la polvere e il nulla non si contenderanno il suo nome. Signora Von der Leyen, perché non condannare questi “cortometraggi” dell’orrore che piacciono tanto ai soldati dell’esercito azero? Perché finanziate e “coproducete” il prossimo “lungometraggio”, quello che racconterà la caduta definitiva del popolo armeno? Come potete accettare una sceneggiatura così scadente? Perché lo fate? Per il gas azero? È la stessa cosa di quello russo e lei lo sa!
Pubblicata da Giulio Meotti

Già, il gas russo va sottoposto a sanzione perché Putin “invade” terre altrui, bombarda e uccide; quello immacolato dell’immacolatissimo Aliyev, invece, è praticamente acqua santa, e la limpida coscienza dei nostri burocrati non si lascerà certo distrarre da un po’ di stragi, non importa quanto vaste, non importa quanto feroci. Se poi le vittime oltretutto sono delle semplici donne, perché mai dovrebbero occuparsene? Ursula, dopotutto, è abituata a farsi lasciare in piedi, senza fare una piega, mentre gli uomini si accomodano sulle sedie d’onore: quale prova migliore del fatto che le donne, lassù, valgono meno di zero?

barbara

EUROPA: LA RAPIDA ESPANSIONE DELLA DHIMMITUDINE

di Judith Bergman

  • Uno degli aspetti più preoccupanti di questa dhimmitudine che si sta espandendo rapidamente è l’applicazione de facto delle leggi islamiche sulla blasfemia. Le autorità locali europee utilizzano i “discorsi di incitamento all’odio” per impedire qualsiasi giudizio critico nei confronti dell’Islam, anche se l’Islam rappresenta una idea, non una nazionalità né un’appartenenza etnica. Lo scopo convenzionale della maggior parte delle leggi contro i discorsi di odio è quello di proteggere le persone dall’odio e non dalle idee.
  • Il Foreign Office britannico, che sembra ignorare la disperata lotta delle donne iraniane per la libertà e che è rimasto vergognosamente in silenzio durante le recenti proteste popolari contro il regime iraniano, ha distribuito sorprendentemente alle sue dipendenti il velo islamico invitandole a indossarlo. E questo mentre almeno 29 donne iraniane sono state arrestate per aver contestato l’uso dell’hijab, e probabilmente sono state sottoposte a stupri e ad altre torture, come avviene nelle carceri iraniane. Ciononostante, le parlamentari britanniche e lo staff del Foreign Office hanno celebrato iniquamente il velo come una sorta di strumento contorto di “empowerment femminile”.
  • Le misure contro il jihad sono state ostacolate dai leader occidentali ovunque subito dopo l’11 settembre. Il presidente George W. Bush ha dichiarato che “l’Islam è pace”. Il presidente Obama ha rimosso ogni riferimento all’Islam nei manuali di addestramento dell’FBI che i musulmani consideravano offensivi. L’attuale leadership di New York City ha ammonito i newyorkesi, subito dopo l’attacco a Manhattan dell’ottobre 2017, a non collegare l’attentato terroristico all’Islam. La premier britannica Theresa May ha affermato che l’Islam è una “religione di pace”.

Sebbene l’Europa non faccia parte del mondo musulmano, molte autorità europee sembrano tuttavia sentirsi obbligate a sottomettersi all’Islam in modi più o meno sottili. Questa sottomissione volontaria sembra essere senza precedenti: storicamente parlando, dhimmi è un termine arabo che designa un non musulmano conquistato, il quale accetta di vivere come un cittadino “tollerato” di seconda classe, sotto il dominio islamico, sottomettendosi a un insieme di leggi speciali e umilianti e di richieste degradanti da parte dei suoi padroni islamici.
In Europa, la sottomissione alle richieste dell’Islam, nel nome della “diversità” e dei “diritti umani”, avviene volontariamente. Ovviamente, questa sottomissione all’Islam è molto paradossale, poiché i concetti occidentali di “diversità” e di “diritti umani” non esistono nei testi fondanti dell’Islam. Al contrario, questi testi stigmatizzano nei termini più forti e suprematisti coloro che rifiutano di sottomettersi al concetto islamico della divinità, Allah, come infedeli che devono convertirsi, pagare la jiziya – la tassa sulla “protezione” – o morire.
Uno degli aspetti più preoccupanti di questa dhimmitudine che si sta espandendo rapidamente è l’applicazione de facto delle leggi islamiche sulla blasfemia. Le autorità locali europee utilizzano i “discorsi di incitamento all’odio” per impedire qualsiasi giudizio critico nei confronti dell’Islam, anche se l’Islam rappresenta una idea, non una nazionalità né un’appartenenza etnica. Lo scopo convenzionale della maggior parte delle leggi contro i discorsi di odio è quello di proteggere le persone dall’odio e non dalle idee. Sembrerebbe quindi che le autorità europee non abbiano alcun obbligo giuridico di perseguire le persone per le critiche mosse all’Islam, soprattutto perché la legge islamica della Sharia non è parte integrante della normativa europea. Ma lo fanno fin troppo volentieri.
L’esempio più recente di questo tipo di dhimmitudine arriva dalla Svezia, dove un pensionato è stato condannato per aver definito l’Islam su Facebook una ideologia “fascista”. La disposizione di legge in base alla quale l’uomo è stato accusato, (Brottsbalken [Codice Penale] capitolo 16, § 8,1 ), parla esplicitamente di “incitamento” (testualmente in svedese: “hets mot folkgrupp”) contro gruppi di persone per la loro “razza, colore della pelle, nazionalità, origine etnica, fede o preferenza sessuale”. Tuttavia, la disposizione legislativa non criminalizza le critiche alla religione, all’ideologia o alle idee, perché le democrazie occidentali, quando erano vere democrazie, non criminalizzavano il libero scambio delle idee.
La dhimmitudine in Europa si manifesta anche in molti altri modi. In occasione della giornata mondiale dell’hijab, un evento annuale che si svolge a febbraio, istituita nel 2013 da Nazma Khan – la quale è originaria del Bangladesh e immigrata negli Stati Uniti – “per combattere ogni forma di discriminazione contro le donne musulmane attraverso la sensibilizzazione e l’istruzione”, molte parlamentari britanniche hanno deciso di indossare l’hijab. Tra queste c’erano Anne McLaughlin, la laburista Dawn Butler – ex ministra ombra per le Donne e le Pari opportunità – e Naseem Shah. Inoltre, il Foreign Office britannico, che sembra ignorare la disperata lotta delle donne iraniane per la libertà e che è rimasto relativamente in silenzio durante le recenti proteste popolari contro il regime iraniano, [1] ha distribuito sorprendentemente alle sue dipendenti il velo islamico invitandole a indossarlo. Secondo l’Evening Standard, una e-mail interna inviata allo staff diceva:
“Ti piacerebbe provare a indossare un hijab o capire perché le donne musulmane indossano il velo? Partecipa al nostro evento. Velo gratis per tutte quelle che decidono di indossarlo per tutto il giorno o parte della giornata. Le donne musulmane, insieme alle credenti di molte altre religioni, scelgono di portare l’hijab. Molte vi trovano liberazione, rispetto e sicurezza. #StrongInHijab. Join us for #WorldHijabDay”.
E questo mentre almeno 29 donne iraniane sono state arrestate per aver contestato l’uso dell’hijab, e probabilmente sono state sottoposte a stupri e ad altre torture, come avviene nelle carceri iraniane. Ciononostante, le parlamentari britanniche e lo staff del Foreign Office hanno celebrato iniquamente il velo come una sorta di strumento contorto di “empowerment femminile”.
L’episodio sopra citato non sorprende affatto: la Gran Bretagna è piena di alcuni degli esempi più sconcertanti di dhimmitudine. Gli stupri di massa di minori perpetrati in molte città inglesi da parte di bande musulmane vanno avanti da anni e le autorità ne sono a conoscenza, ma non mettono fine a questi crimini per paura di apparire “razzisti” o “islamofobi”.
La dhimmitudine emerge chiaramente anche negli sforzi compiuti dalle autorità britanniche per scusare o spiegare le consuetudini praticate dalle comunità musulmane britanniche. Il comandante della polizia Ivan Balchatchet, responsabile della lotta contro i crimini d’onore, le mutilazioni genitali femminili (MGF) e i matrimoni forzati, ha scritto di recente una lettera in cui afferma che il motivo per il quale non è stata ancora inflitta alcuna condanna nei confronti di coloro che praticano le MGF (che sono state dichiarate illegali nel 1985), nonostante si stimi che in Inghilterra e nel Galles 137 mila donne e ragazze hanno subito tali mutilazioni, è che il reato ha “numerose sfumature”. Balchatchet si è in seguito scusato per questa dichiarazione:
“Mi scuso per questa lettera (…) Le MGF sono l’orribile abuso di bambine. È inaccettabile che non ci siano stati casi perseguiti con successo. Occorre collaborazione, è qualcosa che deve cambiare”.
Allo stesso modo, secondo dati recenti, centinaia di casi di violenze “d’onore” e di matrimoni forzati che avvengono a Londra restano impuniti. Le cifre mostrano che tra il 2015 e il 2017, la polizia ha registrato 759 crimini “d’onore” e 256 matrimoni forzati solo nella capitale britannica – ma soltanto 138 persone sono finite sotto processo. Diana Nammi, direttrice esecutiva della Iranian & Kurdish Women’s Rights Organisation, che offre rifugio alle vittime, ha dichiarato:
“Ciò che rende il fenomeno così allarmante è che le cifre ottenute grazie alla trasparenza nella pubblica amministrazione mostrano che, allo stesso tempo, dal momento che i matrimoni forzati sono penalmente punibili dal 2014, molte più persone in pericolo chiedono aiuto”.
La dhimmitudine peraltro non porta “solo” a perpetrare diffusamente stupri su minori, mutilazioni genitali femminili e delitti “d’onore” davanti agli occhi deliberatamente ciechi delle autorità nazionali, ma anche a ostacolare gli sforzi antiterrorismo. In una recente intervista alla televisione di stato svedese Svt, Peder Hyllengren, un ricercatore dello Swedish Defense College, ha dichiarato:
“Diversamente da altri paesi europei, si rischia di essere considerati razzisti. Qui, tale questione è controversa quanto l’importanza che assume la lotta contro il nazismo e l’estremismo di destra. Ma in Svezia ci è voluto molto tempo prima di ammettere che parlare di jihadismo è come parlare di nazismo”.
Hyllengren è troppo severo con la Svezia: le misure contro il jihad sono state ostacolate dai leader occidentali ovunque subito dopo l’11 settembre, quando il presidente George W. Bush dichiarò che “l’Islam è pace”. Il presidente Obama ha rimosso ogni riferimento all’Islam nei manuali di addestramento dell’FBI che i musulmani consideravano offensivi. La premier britannica Theresa May ha affermato che l’Islam è una “religione di pace”. L’attuale leadership di New York City ha ammonito i newyorkesi, subito dopo l’attacco a Manhattan dell’ottobre 2017, a non collegare l’attentato terroristico all’Islam.
Più recentemente, Max Hill, un avvocato della Corona incaricato dal Parlamento britannico di guidare una commissione indipendente per la revisione delle leggi anti-terrorismo, ha affermato che è fondamentalmente “sbagliato” usare l’espressione “terrorismo islamista” per descrivere gli attacchi compiuti in Gran Bretagna e altrove. Secondo quanto riferito dall’Evening Standard, Max Hill ha detto che la parola terrorismo non dovrebbe essere collegata a “nessuna delle religioni del mondo”, piuttosto dovrebbe essere usata l’espressione “terrorismo ispirato dal Daesh”. L’anno scorso, Max Hill aveva opinato che alcuni jihadisti di ritorno dalla Siria e dell’Iraq avrebbero dovuto sottrarsi a qualsiasi azione giudiziaria perché “ingenui”.
In Germania, la dhimmitudine ora è un fenomeno talmente profondo che di recente il ministro della Famiglia ha affermato che le aggressioni sessuali da parte dei migranti musulmani potrebbero essere evitate invitando nel paese le madri e le sorelle degli immigrati islamici già arrivati in Germania. Questa è stata la risposta del ministro tedesco a una interrogazione presentata al Bundestag in merito a quali “concrete misure educative e di prevenzione del pericolo” il suo ministero stava pianificando per “proteggere e informare a lungo termine le donne e le ragazze degli attacchi fisici e sessuali potenzialmente fatali aumentati in misura sproporzionata e perpetrati dal 2015” da parte dei migranti. Ecco la patetica risposta del ministro:
“…Da un lato ciò riguarda gli alloggi in cui vivono i giovani rifugiati non accompagnati. E ovviamente (…) sì (…) anche la cultura maschilista dalla quale essi spesso provengono. (…) Nei loro paesi di provenienza, tale cultura non è tenuta nascosta e si tenta di parlarne, e ovviamente di influenzarli, è abbastanza ovvio. (…) Abbiamo qui la relazione di un esperto, il professor Pfeiffer, il quale fornisce dei punti di partenza molto precisi (…) noi dobbiamo lavorare con i giovani e sappiamo che i ricongiungimenti familiari sono importanti (…) lui [il professore] dice che la stessa cosa vale per i giovani uomini autoctoni e per quelli provenienti da altri paesi, sono più facili da gestire se hanno vicino a loro le madri e le sorelle”.
L’Europa è piena di altri esempi recenti di dhimmitudine, offerti da innumerevoli attori statali e commerciali. C’è stata la rimozione di un crocifisso da parte in un giudice tedesco che presiedeva un processo a carico di un afgano accusato di aver minacciato un altro musulmano che voleva convertirsi al Cristianesimo; il brand di abbigliamento H&M ha ritirato dei calzini dal mercato la cui stampa ricorderebbe la parola “Allah” scritta in arabo capovolta, dopo alcune lamentele da parte di musulmani; un tribunale francese ha fatto cadere le accuse di istigazione all’odio a carico di un sospetto omicida musulmano, che aveva confessato di aver ucciso la sua vicina di casa ebrea, una donna di 66 anni da lui torturata prima di essere defenestrata al grido di “Allahu Akbar”. Secondo quanto riferito, due anni prima dell’omicidio, l’uomo aveva chiamato “sporca ebrea” la figlia della vittima.
E la lista è lunga. Sheikh Yusuf Qaradawi, il leader spirituale dei Fratelli Musulmani, che ha affermato che l’Europa sarà conquistata non con la spada, ma con la dawa*, probabilmente non potrebbe essere più felice. L’Europa si genuflette per esaudire il suo desiderio.

[1] Il segretario agli Esteri Boris Johnson si è limitato a dire:
“…ci dovrebbe essere un dibattito significativo sulle questioni legittime e importanti, che i manifestanti stanno sollevando e speriamo che le autorità iraniane lo permettano. (…) Le persone dovrebbero essere in grado di avere la libertà di espressione e di manifestare pacificamente nel rispetto della legge. (…) Noi (…) chiediamo a tutti gli interessati di astenersi dalla violenza e di osservare gli obblighi internazionali sui diritti umani”.

(Gatestone Institute, 7 aprile 2018 – trad. Angelita La Spada)

* Seguirà prossimamente post esplicativo

Ne ho scelto uno, che denuncia una situazione che si va facendo via via più insostenibile – come del resto ho ripetutamente documentato con testimonianze e video – mostrando alcuni esempi, ma se ne potrebbero fare mille altri. Poi, con governi e sinistre che condannano all’ostracismo, quando non peggio, non solo chi grida al lupo ma anche chi si permette educatamente di dire scusate, mi è semblato di vedele un lupo, o che provvede a informare che il lupo si nutre abitualmente di carne, meravigliamoci che la gente si butta a destra. (I sistemi proposti dalle destre per risolvere o almeno arginare il problema non vi piacciono? Benissimo: alzate le chiappe e trovate voi qualcosa di meglio, invece di scaldare i cuscini delle vostre poltrone coi vostri nobili deretani e blaterare a vanvera)

barbara

AGGIORNAMENTO
Il settimanale francese Le Point è stato a Molenbeek, Bruxelles, a incontrare i fondatori di un partito islamico il cui nome è l’acronimo di Integrità, Solidarietà, Libertà, Autenticità, Moralità. Detto così sembrerebbe il programma di molti partiti italiani. Ma questo – che alle ultime municipali ha preso il 4 per cento – propone la sharia (legge di Allah) in una indefinita forma occidentale che prevede bus separati per uomini e donne (in rimedio alle molestie), la proibizione del consumo degli alcolici, il velo per le donne ammesso in tutti i luoghi pubblici, la reintroduzione della pena di morte. Il resto verrà, secondo i proclami, ma tanto basta per porre la democrazia di fronte al suo eterno dilemma: fino a quale punto la tolleranza può accettare partiti che negano le basi della tolleranza? Fino a quale punto può estendere la libertà di opinione, con la prospettiva che evolva in azione liberticida? Il partito islamico spaventa perché è un nemico che viene da fuori, mentre riteniamo di avere gli anticorpi per combattere i nemici interni, individuati solamente negli eredi delle tradizioni totalitarie del Novecento. Ed è un errore gravissimo. Anche i nostri partiti, quasi tutti, si ripromettono apertamente di indebolire i capisaldi della democrazia occidentale, dalla presunzione di innocenza alla libertà di mandato (cioè la libertà dei parlamentari di dissentire dal capo), e lo fanno in un tripudio di elettori interessati a sistemare le cose nei modi più bruschi. Ecco, se il nemico esterno vincerà, sarà perché avrà già vinto il nemico interno.
Mattia Feltri, La Stampa