È A QUESTO CHE SERVE IL FEMMINISMO?

Quel ridicolo femminismo

Chissà come devono sentirsi gli uomini del partito dei Verdi, i Grüne lanciatissimi nel dopo-Merkel, a essere cancellati dalle foto ufficiali per soddisfare la propaganda delle idioti al vertice? La leader dei Verdi, Annalena Baerbock, voleva solo donne attorno a sé.
Strani, questi Verdi. Shafi Sediqi e Fatih Can Karismaz, due colleghi del partito di Baerbock, hanno pubblicizzato un’organizzazione umanitaria salafita e fatto donazioni all’associazione islamica “Ansaar International”, che afferma che il suo obiettivo principale è aiutare i musulmani di tutto il mondo.
Un femminismo impazzito ha spinto Berlino a vietare le immagini pubblicitarie in cui le donne sono raffigurate come “belle, ma deboli, isteriche, stupide, folli, ingenue o dominate dalle loro emozioni”. Secondo Harald Martenstein del Tagesspiegel, questa linea politica “può essere ripresa dal manifesto dei Talebani”. Già, i Talebani…
Nella provincia settentrionale dell’Afghanistan di Balkh hanno appena ucciso una ragazza che indossava “abiti attillati” e non era accompagnata da un parente maschio. Si chiamava Nazanin e aveva 21 anni.
Anziché editare foto per renderle più femministe, le nostre eroine Verdi, che chiedono l’istituzione di un ministero dell’Immigrazione, dovrebbero raccogliere l’appello di chi, come la femminista americana Phyllis Chesler nell’intervista alla mia newsletter, vorrebbe vedere l’Occidente portare in salvo queste donne. Ma come farlo, se il multiculturalismo tedesco è in bancarotta?
Una moschea progressista di Berlino, che ha bandito il burqa e ha aperto le porte alle donne che non indossano il velo, è ora sotto protezione della polizia dopo aver ricevuto minacce dai talebani tedeschi. Terminati i flash dei fotografi, per l’avvocato Syran Ates sono arrivate le minacce di morte. E sei agenti della polizia tedesca sono oggi a sua protezione. Ates non è nuova alle minacce. Chiuse il suo studio legale a Kreuzberg, il quartiere “turco” di Berlino, sospendendo la collaborazione con i due consultori che offrivano assistenza alle donne musulmane dopo che, fuori dal metrò, venne aggredita dal marito di una cliente che voleva divorziare. Le gridò “hure!”, puttana. Seyran Ates si è beccata anche una pallottola alla gola (i segni di quell’attentato se li porta ancora dietro). “Riceve trecento lettere di sostegno al giorno, ma tremila di minacce”, ha rivelato il suo avvocato.
E’ finita sotto scorta la politica socialdemocratica Ekin Deligöz, che aveva lanciato questo appello: “Alle donne musulmane come me dico che nascondere il proprio volto è un segno di inferiorità e di sudditanza: mostrarlo è invece una conquista e un segno di sicurezza delle proprie idee”. Come Fatma Bläser, l’autrice del romanzo Hennamond, vittima di un matrimonio forzato e che gira le scuole tedesche con la polizia per sensibilizzare i giovani. Ha chiesto la protezione della polizia Zana Ramadani, autrice del libro The veiled threat. Non si muove senza scorta Mina Ahadi, che ha fondato il Consiglio degli ex musulmani, ovvero coloro che hanno abbandonato l’islam compiendo “apostasia”, un reato passibile di pena di morte. 
In Germania, non in Afghanistan, criticare il velo islamico sta diventando sempre più difficile, al limite del proibito, proprio per le donne.
L’Università di Francoforte è stata al centro di accese polemiche per una conferenza sul velo islamico. Gli studenti hanno accusato l’ateneo di promuovere l’“islamofobia”, chiedendo il licenziamento dell’antropologa Susanne Schröter, a capo del Centro di ricerca islamico dell’Università e organizzatrice della conferenza. Tra i relatori c’erano Alice Schwarzer, una delle femministe più famose della Germania, e Necla Kelek, una importante critica dell’islam di origine turca. E’ stata aggredita Fatma Keser del Comitato studentesco dell’Università di Francoforte, rea proprio di essersi smarcata dalle proteste contro la conferenza sul velo. “Cagna”, “puttana” e “razzista” sono gli insulti che le sono stati rivolti, come ha confessato la stessa Keser alla Welt.
Franziska Becker, famosa vignettista femminista e storica firma del magazine Emma, è stata accusata di “razzismo e islamofobia” per aver irriso il velo, a ridosso della cerimonia del premio Hedwig-Dohm. Becker, in una intervista al magazine Cicero, ha attaccato “i politicamente corretti e gli ideologicamente testardi interessati a soffocare le discussioni e che etichettano immediatamente come razzisti, anti islamici e così via”. Per certe femministe è più semplice fare photoshop alle foto di partito che battersi perché i Talebani non marcino sotto la Porta di Brandeburgo.
Giulio Meotti, 7/08/2021

È per arrivare a questo che le suffragette che si battevano per il diritto di voto hanno affrontato insulti e sputi e aggressioni e arresti? È per arrivare a questo, e magari anche a questo (l’ultima parte del post in particolare) che generazioni di donne si sono battute chiedendo la parità di trattamento, di stipendio, di dignità? Certo che ad avere il coraggio di chiamarsi femministe da parte di donne le cui battaglie consistono nel tagliare fuori gli uomini dalle foto ci vuole davvero una faccia di tolla spessa dieci centimetri.

barbara