OGGI CI DEDICHIAMO ALLA SCIENZA

Partiamo da quel gran genio del Crisanti, che straparla del vaccino Pfizer in fase ultimativa di sperimentazione senza averne capito un caprifoglio in salmì (non con tutti la menopausa è misericordiosa). Spieghiamogli dunque come funziona la faccenda visto che lui lo ignora.

Umberto Minopoli

Crisanti scambia il progresso, che accorcia i tempi nella preparazione di farmaci e vaccini, per un limite. Dire che per un vaccino occorrevano “prima”, tra i 5 e gli otto anni di preparazione e ora è servito solo 1 anno, è una sconcertante affermazione: reazionaria e “tecnicamente” infondata. Progresso in medicina significa dotazione di risorse, mezzi, personale per la ricerca medica. Che oggi sono enormemente più elevati del passato. Se “prima” occorrevano 5 anni per la scoperta di un farmaco o di un vaccino , oggi i tempi sono accorciati, in modo considerevole, dal progresso nelle tecnologie di indagine e ricerca, dal numero dei ricercatori dedicati, dai mezzi finanziari (investimenti privati e pubblici a disposizione). Le aziende private (Pfeizer, Moderna, Astra Zeneca e tante altre) che hanno lavorato ai vaccini sono una garanzia per chi conosce le procedure di validazione e certificazione delle scoperte su vaccini e farmaci. Loro fanno profitti soltanto se il vaccino o farmaco, su cui hanno investito, risulta efficace. Nessuna azienda può passare all’incasso sui suoi investimenti iniziali se il prodotto della ricerca- farmaco o vaccino- non supera la “fase due”, quella in cui si testano efficacia e controindicazioni. Solo se il prodotto dà confortanti risultati in questa seconda fase può poi godere del supporto finanziario pubblico. Infine la terza fase, il “test sulla popolazione” (volontari) e la verifica degli effetti collaterali. La dotazione di mezzi finanziari e di risorse tecniche, superiori al passato, è stata la novità di oggi. Ed è questo che ha permesso una, relativamente, rapida seconda fase. Ed ha permesso di passare, nel giro di un anno, alla 3 fase: confezionamento del vaccino e test su un campione di popolazione. A differenza di ciò che dicono gli scettici, non sono affatto brevi i tempi della 3 fase. Anzi. Le verifiche di efficacia andavano fatte subito. Nel pieno dell’epidemia. Conta di più un dato invece: il numero del campione e la sua rappresentatività. È il contrario delle bugie (e delle diffidenze) che si raccontano. Sinora si arrivava ad un campione di volontari compreso fra 10 mila e 30 mila persone. Oggi tutti i candidati vaccini contro il Covid registrano più di 40 mila persone sottoposte ai test e qualcuno sta raggiungendo i 60 mila. Mai successo. Infine, precisiamo circa la paura degli effetti collaterali. Anche qui, quanta ignoranza! Il vaccino anticovid è, naturalmente, un nuovo vaccino. Ma rientra in una famiglia di prodotti e di tecniche (uso dell’Rna messaggero o di vettori virali depotenziati o resi innocui) conosciute da tempo. Non siamo a tecniche da Frankstein. La tipologia di tali vaccini non ha mai mostrato particolari problemi di sicurezza. Gli effetti biologici di queste tecniche sono noti. E verificati. E se hanno collateralità la mostrano, esclusivamente, al momento della somministrazione. Cioè nella seconda e terza fase del trial. Che è stata effettuata per alcuni vaccini ed è in via di completamento per altri. Non servono anni per verificare effetti collaterali. Proprio perché il meccanismo cellulare di un vaccino è noto. Non parliamo di un effetto (quello di un vaccino sull’organismo) sconosciuto e misterioso. Ma ampiamente noto. Pochissimi vaccini, infine, nella storia della lotta alle epidemie sono stati volontari e non obbligatori. Quella della libertà di scelta, in un’epidemia in atto, è una stramberia populista. Crisanti, se le autorità farmaceutiche statali autorizzano il vaccino non potrà rifiutare di vaccinarsi. Se vorrà continuare a fare il medico. Non è la sua personale salute il problema. Il problema è l’immunità di gregge.

Piccola nota di colore: il capo dell’equipe medica di MODERNA è israeliano e si chiama TAL ZAKS.

Confesso, anch’io all’inizio ero piuttosto scettica proprio per il fatto dei tempi brevi, poi lui mi ha spiegato con pazienza perché lo scetticismo non ha ragione di essere. E mi ha anche spiegato perché, a differenza di me, è molto preoccupato per la seconda ondata e ritiene indispensabile il vaccino (“capiscimi, sono di Bergamo”). Ho già postato un importante articolo suo sul tema, qualche giorno fa, e oggi vi segnalo quest’altro.

Proseguo con l’ineffabile signora Sandra Zampa, sottosegretario (sì, con la “o”) alla Salute, di cui già avevamo apprezzato il pensare rigorosamente scientifico, che adesso ci spiega che per Natale se, e sottolineo se, la situazione risulterà molto migliorata, potremo sì pranzare insieme, ma solo con parenti di primo grado

Quindi niente fratelli, niente nonni, niente zii, niente nipoti, per non parlare – diocenescampieliberi – di cugini, e, suppongo, neanche i coniugi che sono congiunti (“affetti stabili” con cui nella prima ondata era consentito trombare ma adesso non più), ma non parenti.

Passo a Maria Rita Gismondo, quella del covid banale influenza, quella che attenzione attenzione, il vaccino ci rende OGM, vade retro Satana. Leggo adesso queste interessantissime note.

A febbraio, era una banale influenza per tutti: virologi da palcoscenico, direttori sanitari, lo stesso Cnr… Un mese dopo, l’aveva detto solo lei [che evidentemente non si è accorta che in quel mese era cambiato qualcosina]. L’hanno crocifissa e lei ricambia scrivendo un libro sull’infodemia. Maria Rita Gismondo, direttore del laboratorio Microbiologia clinica, virologia e bioemergenze del polo universitario L. Sacco di Milano, è l’autrice di “Ombre allo specchio – bioterrorismo, infodemia e il futuro dopo la crisi” edito da La nave di Teseo. [Mi pare giusto: quale cosa più urgente da fare, nel bel mezzo di una pandemia, dello scrivere un libro per vendicarsi dei propri critici?]

Ci riproviamo. Il Covid-19 è “poco più grave di un’influenza” – la frase scandalo – solo perché lei è una donna?

Guardi, non sono una femminista sfegatata, mio padre voleva un maschio e io sono venuta su testarda e ribelle, ma la domanda mi tocca sul vivo, lo ammetto. [Mi autorizzate a mandarla a cagare?]

Bene, adesso ci spiega, anche se con un ragionamento contorto assai, che vengono contati come morti tutti quelli che escono dalla terapia intensiva, sia che ne escano coi piedi in avanti, sia che vengano spostati ad altri reparti in quanto migliorati, ascoltare per credere:

Molto scientifiche anche le dichiarazioni del conticino nostro del 25 febbraio 2020

Poi abbiamo finalmente una ineccepibile e inconfutabile documentazione sulla vera nascita del virus

sul migliore metodo scientifico per garantire la distanza di sicurezza

sul metodo, rigorosamente scientifico, con cui vengono approntati i dicipiemme che governano la vita di 60 milioni di persone

e sul modo migliore per affrontare un’epidemia.

Concludo con un sano proposito, che condivido al 100%.

Marco Taradash

– Hai sentito?
– ?
– La Destra propone una limitazione agli spostamenti di chi ha più di 70 anni. L’idea è di Toti ed è stata condivisa da Fontana e Cirio
– Per il nostro bene?
– Certo
– Domani passo da te
– A fare?
– Andiamo a ritirare il porto d’armi
– Ok, ti aspetto alle 8.

E badate che ho cominciato a essere addestrata all’uso delle armi da quando avevo sette anni, quindi regolatevi.

barbara

L’APPELLO DI UN MEDICO IN PRIMA LINEA

Letteralmente, perché quella che si sta combattendo è una guerra, con bollettini dei caduti ogni giorno più drammatici. (È un po’ lunga, ma leggetela, vi prego)

“In una delle costanti mail che ricevo dalla mia direzione sanitaria a cadenza più che quotidiana ormai in questi giorni, c’era anche un paragrafo intitolato “fare social responsabilmente”, con alcune raccomandazioni che possono solo essere sostenute.
Dopo aver pensato a lungo se e cosa scrivere di ciò che ci sta accadendo, ho ritenuto che il silenzio non fosse affatto da responsabili. Cercherò quindi di trasmettere alle persone “non addette ai lavori” e più lontane alla nostra realtà, cosa stiamo vivendo a Bergamo in questi giorni di pandemia da Covid-19.
Capisco la necessità di non creare panico, ma quando il messaggio della pericolosità di ciò che sta accadendo non arriva alle persone e sento ancora chi se ne frega delle raccomandazioni e gente che si raggruppa lamentandosi di non poter andare in palestra o poter fare tornei di calcetto rabbrividisco.
Capisco anche il danno economico e sono anch’io preoccupato di quello. Dopo l’epidemia il dramma sarà ripartire. Però, a parte il fatto che stiamo letteralmente devastando anche dal punto di vista economico il nostro SSN, mi permetto di mettere più in alto l’importanza del danno sanitario che si rischia in tutto il paese e trovo a dir poco “agghiacciante” ad esempio che non si sia ancora istituita una zona rossa già richiesta dalla regione, per i comuni di Alzano Lombardo e Nembro (tengo a precisare che trattasi di pura opinione personale).
Io stesso guardavo con un po’ di stupore le riorganizzazioni dell’intero ospedale nella settimana precedente, quando il nostro nemico attuale era ancora nell’ombra: i reparti piano piano letteralmente “svuotati”, le attività elettive interrotte, le terapie intensive liberate per creare quanti più posti letto possibili. I container in arrivo davanti al pronto soccorso per creare percorsi diversificati ed evitare eventuali contagi. Tutta questa rapida trasformazione portava nei corridoi dell’ospedale un’atmosfera di silenzio e vuoto surreale che ancora non comprendevamo, in attesa di una guerra che doveva ancora iniziare e che molti (tra cui me) non erano così certi sarebbe mai arrivata con tale ferocia. (apro una parentesi: tutto ciò in silenzio e senza pubblicizzazioni, mentre diverse testate giornalistiche avevano il coraggio di dire che la sanità privata non stava facendo niente).
Ricordo ancora la mia guardia di notte di una settimana fa passata inutilmente senza chiudere occhio, in attesa di una chiamata dalla microbiologia del Sacco. Aspettavo l’esito di un tampone sul primo paziente sospetto del nostro ospedale, pensando a quali conseguenze ci sarebbero state per noi e per la clinica. Se ci ripenso mi sembra quasi ridicola e ingiustificata la mia agitazione per un solo possibile caso, ora che ho visto quello che sta accadendo.
Bene, la situazione ora è a dir poco drammatica. Non mi vengono altre parole in mente.
La guerra è letteralmente esplosa e le battaglie sono ininterrotte giorno e notte.
Uno dopo l’altro i poveri malcapitati si presentano in pronto soccorso. Hanno tutt’altro che le complicazioni di un’influenza. Piantiamola di dire che è una brutta influenza. In questi 2 anni ho imparato che i bergamaschi non vengono in pronto soccorso per niente. Si sono comportati bene anche stavolta. Hanno seguito tutte le indicazioni date: una settimana o dieci giorni a casa con la febbre senza uscire e rischiare di contagiare, ma ora non ce la fanno più. Non respirano abbastanza, hanno bisogno di ossigeno.
Le terapie farmacologiche per questo virus sono poche. Il decorso dipende prevalentemente dal nostro organismo. Noi possiamo solo supportarlo quando non ce la fa più. Si spera prevalentemente che il nostro organismo debelli il virus da solo, diciamola tutta. Le terapie antivirali sono sperimentali su questo virus e impariamo giorno dopo giorno il suo comportamento. Stare al domicilio sino a che peggiorano i sintomi non cambia la prognosi della malattia.
Ora però è arrivato quel bisogno di posti letto in tutta la sua drammaticità. Uno dopo l’altro i reparti che erano stati svuotati, si riempiono a un ritmo impressionante. I tabelloni con i nomi dei malati, di colori diversi a seconda dell’unità operativa di appartenenza, ora sono tutti rossi e al posto dell’intervento chirurgico c’è la diagnosi, che è sempre la stessa maledetta: polmonite interstiziale bilaterale.
Ora, spiegatemi quale virus influenzale causa un dramma così rapido. Perché quella è la differenza (ora scendo un po’ nel tecnico): nell’influenza classica, a parte contagiare molta meno popolazione nell’arco di più mesi, i casi si possono complicare meno frequentemente, solo quando il VIRUS distruggendo le barriere protettive delle nostre vie respiratorie permette ai BATTERI normalmente residenti nelle alte vie di invadere bronchi e polmoni provocando casi più gravi. Il Covid 19 causa una banale influenza in molte persone giovani, ma in tanti anziani (e non solo) una vera e propria SARS perché arriva direttamente negli alveoli dei polmoni e li infetta rendendoli incapaci di svolgere la loro funzione. L’insufficienza respiratoria che ne deriva è spesso grave e dopo pochi giorni di ricovero il semplice ossigeno che si può somministrare in un reparto può non bastare.
Scusate, ma a me come medico non tranquillizza affatto che i più gravi siano prevalentemente anziani con altre patologie. La popolazione anziana è la più rappresentata nel nostro paese e si fa fatica a trovare qualcuno che, sopra i 65 anni, non prenda almeno la pastiglia per la pressione o per il diabete. Vi assicuro poi che quando vedete gente giovane che finisce in terapia intensiva intubata, pronata o peggio in ECMO (una macchina per i casi peggiori, che estrae il sangue, lo ri-ossigena e lo restituisce al corpo, in attesa che l’organismo, si spera, guarisca i propri polmoni), tutta questa tranquillità per la vostra giovane età vi passa.
E mentre ci sono sui social ancora persone che si vantano di non aver paura ignorando le indicazioni, protestando perché le loro normali abitudini di vita sono messe “temporaneamente” in crisi, il disastro epidemiologico si va compiendo.
E non esistono più chirurghi, urologi, ortopedici, siamo unicamente medici che diventano improvvisamente parte di un unico team per fronteggiare questo tsunami che ci ha travolto. I casi si moltiplicano, arriviamo a ritmi di 15-20 ricoveri al giorno tutti per lo stesso motivo. I risultati dei tamponi ora arrivano uno dopo l’altro: positivo, positivo, positivo. Improvvisamente il pronto soccorso è al collasso. Le disposizioni di emergenza vengono emanate: serve aiuto in pronto soccorso. Una rapida riunione per imparare come funziona il software di gestione del pronto soccorso e pochi minuti dopo sono già di sotto, accanto ai guerrieri che stanno al fronte della guerra. La schermata del pc con i motivi degli accessi è sempre la stessa: febbre e difficoltà respiratoria, febbre e tosse, insufficienza respiratoria ecc… Gli esami, la radiologia sempre con la stessa sentenza: polmonite interstiziale bilaterale, polmonite interstiziale bilaterale, polmonite interstiziale bilaterale. Tutti da ricoverare. Qualcuno già da intubare e va in terapia intensiva. Per altri invece è tardi…
La terapia intensiva diventa satura, e dove finisce la terapia intensiva se ne creano altre. Ogni ventilatore diventa come oro: quelli delle sale operatorie che hanno ormai sospeso la loro attività non urgente diventano posti da terapia intensiva che prima non esistevano.
Ho trovato incredibile, o almeno posso parlare per l’HUMANITAS Gavazzeni (dove lavoro) come si sia riusciti a mettere in atto in così poco tempo un dispiego e una riorganizzazione di risorse così finemente architettata per prepararsi a un disastro di tale entità. E ogni riorganizzazione di letti, reparti, personale, turni di lavoro e mansioni viene costantemente rivista giorno dopo giorno per cercare di dare tutto e anche di più.
Quei reparti che prima sembravano fantasmi ora sono saturi, pronti a cercare di dare il meglio per i malati, ma esausti. Il personale è sfinito. Ho visto la stanchezza su volti che non sapevano cosa fosse nonostante i carichi di lavoro già massacranti che avevano. Ho visto le persone fermarsi ancora oltre gli orari a cui erano soliti fermarsi già, per straordinari che erano ormai abituali. Ho visto una solidarietà di tutti noi, che non abbiamo mai mancato di andare dai colleghi internisti per chiedere “cosa posso fare adesso per te?” oppure “lascia stare quel ricovero che ci penso io”. Medici che spostano letti e trasferiscono pazienti, che somministrano terapie al posto degli infermieri. Infermieri con le lacrime agli occhi perché non riusciamo a salvare tutti e i parametri vitali di più malati contemporaneamente rilevano un destino già segnato.
Non esistono più turni, orari. La vita sociale per noi è sospesa.
Io sono separato da alcuni mesi, e vi assicuro che ho sempre fatto il possibile per vedere costantemente mio figlio anche nelle giornate di smonto notte, senza dormire e rimandando il sonno a quando sono senza di lui, ma è da quasi 2 settimane che volontariamente non vedo né mio figlio né miei familiari per la paura di contagiarli e di contagiare a sua volta una nonna anziana o parenti con altri problemi di salute. Mi accontento di qualche foto di mio figlio che riguardo tra le lacrime e qualche videochiamata.
Perciò abbiate pazienza anche voi che non potete andare a teatro, nei musei o in palestra. Cercate di aver pietà per quella miriade di persone anziane che potreste sterminare. Non è colpa vostra, lo so, ma di chi vi mette in testa che si sta esagerando e anche questa testimonianza può sembrare proprio un’esagerazione per chi è lontano dall’epidemia, ma per favore, ascoltateci, cercate di uscire di casa solo per le cose indispensabili. Non andate in massa a fare scorte nei supermercati: è la cosa peggiore perché così vi concentrate ed è più alto il rischio di contatti con contagiati che non sanno di esserlo. Ci potete andare come fate di solito. Magari se avete una normale mascherina (anche quelle che si usano per fare certi lavori manuali) mettetevela. Non cercate le ffp2 o le ffp3. Quelle dovrebbero servire a noi e iniziamo a far fatica a reperirle. Ormai abbiamo dovuto ottimizzare il loro utilizzo anche noi solo in certe circostanze, come ha recentemente suggerito l’OMS in considerazione del loro depauperamento pressoché ubiquitario.
Eh sì, grazie allo scarseggiare di certi dispositivi io e tanti altri colleghi siamo sicuramente esposti nonostante tutti i mezzi di protezione che abbiamo. Alcuni di noi si sono già contagiati nonostante i protocolli. Alcuni colleghi contagiati hanno a loro volta familiari contagiati e alcuni dei loro familiari lottano già tra la vita e la morte.
Siamo dove le vostre paure vi potrebbero far stare lontani. Cercate di fare in modo di stare lontani. Dite ai vostri familiari anziani o con altre malattie di stare in casa. Portategliela voi la spesa per favore.
Noi non abbiamo alternativa. E’ il nostro lavoro. Anzi quello che faccio in questi giorni non è proprio il lavoro a cui sono abituato, ma lo faccio lo stesso e mi piacerà ugualmente finché risponderà agli stessi principi: cercare di far stare meglio e guarire alcuni malati, o anche solo alleviare le sofferenze e il dolore a chi non purtroppo non può guarire.
Non spendo invece molte parole riguardo alle persone che ci definiscono eroi in questi giorni e che fino a ieri erano pronti a insultarci e denunciarci. Tanto ritorneranno a insultare e a denunciare appena tutto sarà finito. La gente dimentica tutto in fretta.
E non siamo nemmeno eroi in questi giorni. E’ il nostro mestiere. Rischiavamo già prima tutti i giorni qualcosa di brutto: quando infiliamo le mani in una pancia piena di sangue di qualcuno che nemmeno sappiamo se ha l’HIV o l’epatite C; quando lo facciamo anche se lo sappiamo che ha l’HIV o l’epatite C; quando ci pungiamo con quello con l’HIV e ci prendiamo per un mese i farmaci che ci fanno vomitare dalla mattina alla sera. Quando apriamo con la solita angoscia gli esiti degli esami ai vari controlli dopo una puntura accidentale sperando di non esserci contagiati. Ci guadagniamo semplicemente da vivere con qualcosa che ci regala emozioni. Non importa se belle o brutte, basta portarle a casa.
Alla fine cerchiamo solo di renderci utili per tutti. Ora cercate di farlo anche voi però: noi con le nostre azioni influenziamo la vita e la morte di qualche decina di persone. Voi con le vostre, molte di più”.
Per favore condividete e fate condividere il messaggio. Si deve spargere la voce per evitare che in tutta Italia succeda ciò che sta accadendo qua.

Dott. Daniele Macchini, chirurgo Humanitas Gavazzeni, Bergamo

Spero che la leggano in molti, e spero che qualcuno si riscuota dal tragicamente incosciente pensiero magico “se gli mostro che non ho paura, il virus mi lascia in pace”.
PS: in realtà il titolo che ho dato a questo post è piuttosto fuorviante, perché in questo momento sono tutti in prima linea.

barbara

POCO PIÙ DI UNA BANALE INFLUENZA

Coronavirus, l’operatrice socio sanitaria: «Le cure, i dolori, la paura. Vi racconto i miei 10 giorni in terapia intensiva»

«Sono ricoverata da dieci giorni. Le mie condizioni sono peggiorate: sono svenuta in due occasioni, sono a letto sotto ossigeno e assumo la terapia mattina e sera, oltre a quella endovenosa fissa. La febbre da due giorni non c’è più, ma i polmoni hanno bisogno di aiuto…». Ospedale di Cremona, reparto Malattie infettive. Alessandra ha 56 anni, lavora come operatrice socio sanitaria nella Rsa di Maleo. Viene da Codogno, ha due figli e una nipotina. Alessandra è attaccata notte e giorno all’ossigeno, non può parlare. Racconta la sua esperienza scrivendo dal cellulare: «L’unico collegamento che mi è rimasto con il mondo».

Quando ha scoperto di essere positiva al coronavirus?
«Mi è venuta la febbre dopo una notte al lavoro: mal di ossa, tosse leggera, curata come influenza, tachipirina e mucolitico».

Ma non è guarita…
«Ogni giorno peggioravo. Ho chiamato il 112, ma non avevo avuto contatti con persone infette. Dopo 9 giorni di febbre alta i miei figli hanno richiamato un po’ arrabbiati. È arrivata l’ambulanza, erano tutti con la tuta…».

Quel giorno Codogno era già zona rossa.
«Ho avuto un primo ricovero a Cremona in un poliambulatorio adibito ad ospedale da campo con brandine della Protezione civile. Ho fatto li i primi esami. Quando ho avuto il risultato mi hanno spedita negli infettivi».

Cosa ha pensato quando le hanno detto la diagnosi?
«Sembrava di stare in un girone dell’inferno. Te lo dicono ma non capisci cosa ti aspetta ed è meglio così. La cura ti ammazza. Piega il tuo corpo, il mal di stomaco con nausea e vomito è lancinante, la febbre ti fa bruciare».

E adesso come sta?
«Lunedì è stata la mia giornata peggiore. Impotente davanti al ricovero di mio marito, in terapia subintensiva a Lodi. Non vedevo via d’uscita. Mi sentivo soffocare. Avrei voluto urlare, perché a Lodi è già ricoverato anche mio papà…»

Per coronavirus?
«Polmonite, non ha ancora l’esito del tampone».

Si è chiesta come ha contratto il Covid-19?
«La bidella della scuola di mia nipote è risultata positiva. Le parlavo mattina e pomeriggio. Anche l’impiegata della Rsa dove lavoro è stata contagiata e ricoverata sempre qui a Cremona. Ma l’ho saputo dopo. Oppure l’ho preso altrove senza saperlo…».

In ospedale avete informazioni di quel che succede intorno?
«Non è ammessa alcuna visita. La stanza ha due letti, ma la tv è girata verso l’altro letto, solo lì c’è l’auricolare. Il tempo non passa mai».

E i medici?
«Entrano al mattino per la visita e sono gentili e disponibili. Il personale anche, ma ha disposizione di entrare il meno possibile. A volte bussano dal vetro…».

Chi c’è in stanza con lei?
«Una signora molto più giovane, è ricoverata da 12 giorni. Si è aggravata, non riusciamo a parlare. Anche il mangiare… tu vorresti finirlo, invece dopo due cucchiai hai già nausea».

A cosa si pensa per superare questo momento?
«Ai miei due figli, a mio marito. Ha 58 anni, con i suoi splendidi occhi azzurri ha rallegrato le nostre vite da quando ci siamo sposati. A maggio saranno 33 anni… A mia nipotina di 8 anni che mi ha mandato via telefono un disegno. Ha riprodotto la stanza e le terapie, tutto con l’immaginazione. Ora capisce?».

Cosa?
«Spero di essere stata chiara: questa non è una banale influenza».
Cesare Giuzzi, qui.

E questi sono i numeri aggiornati a ieri.
tabella
Naturalmente sono più che legittimi i dubbi sui numeri della Cina, ritengo che siamo tutti autorizzati a sghignazzare su quelli dell’Iran, forse qualche perplessità su quelli di Francia e Germania è giustificata, ma purtroppo i nostri sono drammaticamente veri, e si noti che i morti in più, che il giorno prima erano 28, ieri sono diventati 41, con un incremento del 68% abbondante in un giorno. Dai, su, ammaliamoci tutti, così poi siamo tutti immunizzati e non dobbiamo pensarci più.

barbara