LA STORIA DI UNA DONNA

E tu cominci a leggere, e leggi come leggi tutte le storie di questo genere, di deportazione e dolore, di morte e sopravvivenza… Poi improvvisamente ti viene sbattuto in faccia un nome e letteralmente ti manca il respiro, come se una mano ti avesse colpito violentemente di taglio al centro della gola.

Questa è, ma non solo, la storia di una donna che ha visto tutto. Tonya (Tova) Kreppel nasce a Borysław, allora Polonia, nel 1929. Annessa all’Unione Sovietica nel 1939 ed occupata dai tedeschi nel 1941, Borysław è da subito luogo di eccidi ebraici commessi da ucraini e polacchi in città e nelle foreste limitrofe, mentre l’inverno successivo gran parte della popolazione ebraica muore di stenti o viene deportata a Janowska e nel campo di sterminio di Bełżec. Entro l’estate del 1943 il ghetto di Borysław viene liquidato, assassinando bambini, anziani e malati e deportando i sopravvissuti. Diecimila circa saranno gli ebrei di Borysław uccisi, e tra essi il padre di Tonya, Izchak. Del destino del padre di Tonya sappiamo poco, e solo grazie alla testimonianza trasmessa dalla figlia a Yad Vashem nel 1989.
A quattordici anni Tonya sopravvive, invece, alla liquidazione del ghetto per essere deportata; insieme alla madre Lea riuscirà ad uscire viva da Birkenau e farà l’aliyah a vent’anni per poi conoscere e sposare il profugo tedesco Eliezer Wolferman, da cui avrà due figli, Gadi ed Ilan.
Ben diversa la sorte del suo quasi coetaneo praghese Petr Ginz, nato l’anno prima di lei, deportato a Terezín prima di venire assassinato, sedicenne, a Birkenau. Un sottile filo unisce Tonya e Petr, e non è solo il comune fato di adolescenti nella Shoah, esperienza in cui fu assassinato oltre un milione di bambini e ragazzi ebrei.
Di Petr la sorella Hava ha ritrovato il diario scritto dal ragazzo a Terezín insieme a numerosi articoli e disegni prodotti per il settimanale Vedem (uno dei giornali del ghetto realizzato dai ragazzi stessi tra il 1942 e il 1944, e da Petr diretto), ed in parte pubblicati insieme ai diari praghesi di Petr precedenti la deportazione e rinvenuti dai nuovi proprietari della casa in cui la famiglia Ginz viveva prima della persecuzione nazista.
Era Petr un ragazzo, oltre che dal vivace intelletto, onesto: di lui sappiamo ad esempio che, tredicenne, a deportazioni già iniziate fu convocato nell’ottobre del 1941 dalla polizia praghese per ricevere un premio, meritato per aver consegnato alle forze dell’ordine un mazzo di chiavi smarrito. Una gran paura e grande sconcerto per i tempi folli in cui viveva Petr, pensare di ricevere la chiamata per la deportazione, e vedersi invece consegnare un premio! (clic per ingrandire)

Ma non sarà altrettanto fortunato di Tonya, che vivrà a lungo e morirà solo due mesi dopo il figlio più piccolo, Ilan. Malata da tempo di Alzheimer, mi piace pensare che Tonya non abbia avuto la consapevolezza di essere sopravvissuta al figlio. Non così il padre Eliezer, che perirà tre anni dopo Ilan.
È proprio Ilan a legare Petr Ginz e Tonya Kreppel, Ilan che solo divenendo pilota miliare cambia il proprio cognome ebraicizzandolo in Ramon.
Ilan Ramon, colonnello, il più giovane aviatore nella Mivtza Opera, l’operazione Opera (o Babilonia) in cui il 7 giugno 1981 l’aviazione israeliana bombarda in un’ardita operazione, mettendolo fuori uso, il reattore nucleare di Osirak in cui si sta preparando l’atomica irachena. Ilan guida l’F-16A di coda Netz 243, nella posizione più pericolosa, ed ha la grande responsabilità di pianificare il viaggio in un’epoca in cui ancora non esiste il rifornimento in volo e uno dei principali problemi è avere carburante a sufficienza. Ma questo non è l’unica difficoltà: la flottiglia viene avvistata sul golfo di Aqaba dallo yacht di re Hussein di Giordania il quale cerca di far avvisare gli iracheni, ma fortunatamente il messaggio non sarà recapitato. In meno di due minuti gli aerei israeliani riusciranno nella missione e faranno ritorno in Israele richiamandosi in radio l’un l’altro alle parole profetiche di “Sole, fermati ancora su Gibeon, e luna sulla valle di Ayalon” (Yehoshua 10:12).
Ilan Ramon, primo astronauta israeliano tragicamente perito nell’incidente dello space shuttle Columbia a sedici minuti dall’atterraggio, nella missione spaziale dove si era recato con la consulenza del rabbino Chabad Zvi Konikov, il quale lo aveva aiutato ad organizzare la kasherut dei pasti e l’osservanza dello Shabbat (problema non da poco, per questo ebreo che si dichiarava laico ma riteneva di rappresentare, nello spazio, il popolo ebraico: un ciclo di notte e giorno in orbita dura novanta minuti, e bastano dieci ore e mezzo per completare una settimana! Dopo un consulto con altri rabbini, fu deciso che Ilan avrebbe osservato lo Shabbat secondo l’orario del luogo di partenza, Cape Canaveral). Ilan aveva portato con sé nello spazio, tra le altre cose, anche: una copia ed una miniatura di un Sefer Torà, una scultura con un filo spinato ed una mezuzà a ricordare la Shoah, un dono del Rebbe Lubavitcher ed il disegno Paesaggio lunare di Petr Ginz.
petr-ginz-original
Ma ci sono almeno altre due donne ed un altro diario in questa storia. Una è Rona, la moglie di Ilan e madre dei loro quattro figli, il maggiore dei quali morirà ventunenne sei anni dopo il padre, come lui pilota eccellente, in un incidente di volo. L’altra è Sharon Brown, anch’ella madre di quattro figlie ed esperta della polizia scientifica israeliana cui viene chiesto di recuperare il testo dei diari di Ilan Ramon, una quarantina di pagine inspiegabilmente sopravvissute all’esplosione dello shuttle senza prendere fuoco, precipitate per chilometri, rovinate da insetti ed agenti atmosferici per due mesi prima di essere rinvenute in un campo texano. Delle trentasette pagine ritrovate, alcune concernono gli argomenti di cui l’astronauta desiderava parlare nei collegamenti pubblici dallo spazio, altre il testo del Kiddush per lo Shabbat, note tecniche sul volo precedenti la partenza, ed infine annotazioni personali e pensieri privati. Che questo diario sia sopravvissuto, un po’ come quello di Petr e di tanti ragazzi assassinati nella Shoah, ha del miracoloso. Chissà se Rona riterrà di volerci far conoscere, come già le due pagine con le note tecniche ed il Kiddush esposte all’Israel Museum a Gerusalemme, anche i pensieri di Ilan. Io nel frattempo me lo immagino così, in attesa dell’Olam HaBà, mentre conversa con suo nonno assassinato nel 1943, sua madre, suo figlio e Petr Ginz. Chissà quante cose avranno da dirsi.

Sara Valentina Di Palma

(16 giugno 2016)

Lo sgomento, oltre che per le vite perdute, per quel disegno di un bambino di Terezin disperso nello spazio… Chi non lo ricorda?

barbara

HANNA GREENFIELD: L’EROINA DELLA STORIA DELL’OLOCAUSTO

Prof. Livia Bitton-Jackson

Il 16 agosto 1943 le SS deportarono gli ebrei del ghetto di Bialystok al campo di sterminio di Treblinka. Per qualche ragione sconosciuta 1.196 bambini furono strappati dalle braccia dei loro genitori e trasferiti nel ghetto di Terezin in Cecoslovacchia. “La storia di questi bambini è stato oggetto della mia ricerca negli ultimi 50 anni,” ha scritto la ricercatrice ed editore, Hannah Greenfield.
Ma il campo delle ricerche di Hannah Greenfield include molti altri aspetti dell’Olocausto – uno straziante arazzo di eventi, persone e dolore. Hannah Greenfield, nata Hannah Lustigova, era parte integrante, l’anima stessa, del soggetto che lei indagava.
A differenza di altri sopravvissuti, molti dei quali rifiutano di affrontare il doloroso compito di ricordare, Hannah ha coraggiosamente sondato i più angoscianti recessi della memoria e li ha registrati per le generazioni future. Hannah credeva che si debbano studiare i mali del passato, in modo da non ripeterli. Era un’educatrice per eccellenza, impegnata in molti diversi aspetti dell’educazione, non solo scrivendo.
Hannah Greenfield era un membro del Consiglio del Museo del Ghetto di Terezin, dove un programma da lei istituito per insegnare ai bambini cechi la tolleranza ed educarli sull’Olocausto, è stato utilizzato con migliaia di giovani ogni anno. Come fondatrice del fondo Greenfield Hana, la sua attività si è estesa in numerosi campi di ricerca. Sue pubblicazioni sono apparse in molte lingue, tra cui: ebraico, polacco, francese, yiddish, inglese, tedesco e ceco. Il suo originale studio sul destino dei bambini di Bialystock fu pubblicato per la prima volta in Inghilterra alla conferenza dell’Università di Oxford del 1988 con i titoli: “Assassinio a Yom Kippur,” “Documenti” e “Scambio e rapina”, pubblicati poi nel suo libro di memorie, “Frammenti di memoria da Kolin a Gerusalemme” (Gefen Jerusalem 1998; edizione riveduta, 2006). Lei e suo marito Murray Greenfield sono stati co-fondatori della casa editrice Gefen.
Nata a Kolin, Cecoslovacchia, Hanko Lustigova era giovane quando per la prima volta si trovò esposta a terribili avvenimenti. Quando il governatore nazista dei territori occupati di Boemia e Moravia, Reinhard Heydrich, venne assassinato nel maggio 1942, ci fu un’ondata di brutali rappresaglie. Molti cechi furono rastrellati e fucilati e l’intero villaggio di Lidice fu cancellato dalla carta geografica.
Ma un crimine di guerra commesso sulla scia dell’assassinio è meno conosciuto. Il 10 giugno 1942, fu emanato l’ordine di uccidere 1.000 ebrei. Tuttavia, poiché il trasporto era stato organizzato in fretta, vennero messe sul treno 1050 persone. Dato che l’efficienza tedesca era quella che era, 50 persone furono fatte scendere dal treno, fra cui Hannah, la madre e la sorella. Loro e gli altri 47 furono fatti marciare per tre chilometri fino al ghetto di Terezin; degli occupanti del treno non si seppe più nulla.
A Terezin la madre di Hannah lavorò come infermiera in una casa per bambini. Amava i bambini e sentiva un profondo bisogno di prendersi cura di loro. E così accadde che alla vigilia di Yom Kippur, il 7 ottobre 1943, fu tra i 53 medici e infermieri che accompagnarono i 1.196 bambini dal ghetto di Bialystok e dal ghetto di Terezin alle camere a gas di Auschwitz.
Sei mesi più tardi, Hannah fu deportata ad Auschwitz, impreparata all’orrore che la accolse lì. Quando  chiese cosa ne fosse stato dei trasporti arrivati prima di lei, ricevette la risposta classica: “Su per il camino”. La risposta l’ha spinta a dedicare il resto della sua vita a cercare e registrare l’orrore della storia dell’Olocausto.
Hannah è scomparsa quest’anno il 27 gennaio a Tel Aviv dopo una lunga malattia.
Yehi zichrah baruch. (Qui, traduzione mia)
Greenfield
barbara

UN GIORNO SOLO, TUTTA LA VITA

Al tavolo principale, i due nonni ancora viventi di Jason ed Eleanor furono presentati l’uno all’altra per la prima volta. Anche in questa circostanza il nonno dello sposo si sentì travolto dall’immagine della donna che gli stava di fronte: decenni di distanza la separavano dalla nipote, ma aveva un aspetto familiare. Lui lo percepì immediatamente, dall’istante in cui la guardò negli occhi.
«Io l’ho già vista» riuscì infine a dire, benché avesse ormai la sensazione di parlare a un fantasma, non a una persona appena incontrata. Il suo corpo reagiva in una maniera viscerale che non comprendeva affatto; si rammaricò di aver bevuto un secondo bicchiere. Gli si rivoltava lo stomaco. Aveva il fiato corto.
«Temo che si sbagli» disse garbatamente la donna. Non voleva apparire scortese, ma anche lei aveva atteso con ansia per mesi le nozze della nipote, e non voleva essere distratta dai festeggiamenti della serata. Mentre osservava la ragazza che fendeva la folla, le molte guance che le si rivolgevano per un bacio e le buste premute in mano sua e di Jason, dovette darsi un pizzicotto: sì, era tutto vero, e lei era ancora viva per vederlo.
Ma quel vecchio lì accanto non si arrendeva.
«Sono abbastanza certo di averla già vista da qualche parte» ripeté.
Lei si voltò e a quel punto gli mostrò anche più chiaramente il viso. La carnagione di piuma. I capelli d’argento. Gli occhi azzurro ghiaccio.
Ma fu l’ombra di un qualcosa di bluastro, sotto il tessuto trasparente della manica, a fargli correre un brivido nelle vene stanche.
«La sua manica…» Il dito che si tese a sfiorare la seta tremava.
Lei fece una smorfia quando lui le toccò il polso, il disagio ben visibile in volto.
«La sua manica, posso?» Si stava comportando in maniera maleducata, e lo sapeva.
Lei lo guardò dritto in faccia.
«Potrei vedere il suo braccio?» ripeté lui. «Per favore.» In tono quasi disperato, stavolta.
Lei ormai lo fissava, gli occhi piantati negli occhi.
Come in trance, si tirò su la manica. Sull’avambraccio, accanto a un piccolo neo bruno, c’erano sei numeri tatuati.
«Adesso ti ricordi di me?» chiese lui, tremante.
Lei lo squadrò di nuovo, come rivestendo di carne e ossa uno spettro.
«Lenka, sono io» disse lui. «Josef. Tuo marito»

Oltre sei decenni di separazione. E in quei decenni la guerra, le deportazioni sui carri merci, i campi, le marce della morte, il disperato tentativo di sopravvivere, le notizie errate che fanno credere ad entrambi che l’altro sia morto, il faticoso ricostruirsi una vita. La pagina che ho riportato sopra è l’inizio del libro: quello che segue è la ricostruzione, in parallelo, di quanto avvenuto fino a quel momento.
Molti gli eventi autentici inseriti in questo romanzo, come quello degli artisti di Terezin, il “ghetto modello”, la “città che Hitler ha regalato agli ebrei”: mentre eseguivano i lavori commissionati dai tedeschi, riuscivano ad eseguire anche numerosi disegni che documentavano la realtà del campo, rubando a rischio della vita – e molti infatti l’hanno persa per questo – frammenti di tela e di carta, mozziconi di matita o di carboncino, e nascondendoli poi in barattoli che venivano sepolti, e recuperati dopo la liberazione. Come Leo Haas
Haas
Haas 2
e altri.
terezin
terezin 2
E molti anche i personaggi autentici.
Quando hai letto le prime tre pagine sai già che entrambi i protagonisti sono sopravvissuti, sai già che alla fine riescono a ritrovarsi: non hai dunque l’ansia del “come va a finire”. E tuttavia non è un libro di cui puoi dire lo leggo un po’ alla volta che adesso ho altro da fare: come lo prendi in mano devi proprio continuare a leggere fino alla fine.
E ricorda sempre che le camere a gas non sono mai esistite
Zyklon B 1
Zyklon B 2
e che l’antisemitismo è un’invenzione. Assolutamente (da oggi, comunque, ce n’è uno in meno)

Alyson Richman, Un giorno solo tutta la vita, Piemme
Un-giorno-solo
barbara