E QUANDO (12/2)

E quando nella casa (casetta. Casettina. In effetti il mio appartamento è più grande) di Ben Gurion in mezzo al deserto (oggi non più, ma a quel tempo lo era) Franco ha proposto di cantare tutti insieme HaTikvah. Ho chiesto espressamente l’autorizzazione a cantare anch’io (per metà della mia vita ho pensato di essere la persona più stonata del pianeta. Poi è salito alla ribalta Jovanotti e mi sono dovuta autorelegare al secondo posto. Che è comunque una posizione non da poco). HaTikvah è una cosa talmente emozionante che mi emoziono perfino quando, stonatissima, la canto io. E quelle cinquanta persone strette in una stanza, alcune intonate e alcune no, appassionate, emozionate, unite in quel coro spontaneo, mi hanno fatto pensare – spero che a qualcuno l’accostamento non appaia irrispettoso – a quest’altro coro,

soprattutto per le parole finali del rabbino: “Am Israel chai, the children of Israel still live”: loro erano vivi, e dopo settantadue anni noi eravamo lì, in Terra d’Israele, in mezzo al deserto fatto fiorire anche da loro e dagli altri sopravvissuti, vivi, a testimoniare la realizzazione di quella speranza.

E quando presso la tomba di Ben Gurion mi sono fatta un mezzo pianto insieme a Simonetta, perché certe emozioni sono troppo forti per riuscire a restare dentro, soprattutto quando si è vicini a qualcuno che le condivide, e in qualche modo devono uscire. Poi naturalmente abbiamo smesso, ed eccoci qui, belle e sorridenti.
con Simonetta

E quando ho chiesto ad Avi,
Avi 1
Avi 2
il nostro addetto alla sicurezza e paramedico, mitra in spalla e zaino di pronto soccorso al seguito, di misurarmi la pressione perché in questo periodo è molto ballerina e devo tenerla controllata per potere, in caso di necessità, aggiustare il dosaggio delle pastiglie, e lui ha risposto “Se vuoi vengo a misurartela in camera tutte le sere” (ohibò, è vero che mi sono sempre piaciuti giovani e che il mio ex più giovane potrebbe essere mio figlio, ma di questo potrei tranquillamente essere la nonna) (che comunque se ci fosse stato il minimissimo sospetto che lui parlasse sul serio, se ci fosse stato il minimissimo sospetto che io potessi prendere in considerazione l’idea, ad entrambi sarebbero stati cavati gli occhi seduta stante) (e avrei anche dovuto darle ragione).

E quando Emanuela ha incominciato a raccontare. È stato a Timna, durante la cena, che abbiamo consumato nel ristorante presso questo laghetto (foto di Martina),
lago Timna
arrivandoci per questo sentiero costeggiato da grandi candele di citronella.
sentiero lago Timna
Ha incominciato a raccontare, dicevo, e ho pensato eccone un’altra che vuole far sapere quanto è brava. E ha continuato a raccontare e ho pensato ah beh, però. Ed è andata avanti a raccontare e più andava avanti più mi diventava difficile contenere l’emozione. E sempre più diventava chiaro che non stava facendo la bella statuina, ma trasmettendo – con modestia, con umiltà – una conoscenza che nessuno di noi aveva. Quando ha finito di raccontare le ho chiesto di scrivere quello che aveva raccontato, per metterlo nel blog. Metterò anche le foto, e un video, e i link ai documenti, ma il racconto voglio che sia quello suo, palpitante, emozionato ed emozionante, come lo abbiamo sentito noi, in quella notte in mezzo al deserto, perché le azioni che danno un senso alla parola “umanità” non vanno mai nelle prime pagine dei giornali, ed è quindi giusto trovare per loro altri spazi.

E quando alla cena di Shabbat abbiamo cantato Shalom Aleichem e mi è tornata alla mente la volta che è stata cantata nel mikveh di Siracusa,
mikveh Siracusa
con voce bassa e profonda che riecheggiava tra le volte, io appoggiata a una di quelle colonne, e improvvisamente dal petto mi è scoppiato fuori un grosso singhiozzo.

E quando Shariel Gun, direttore generale del KKL Italia, appena saliti sull’autobus che dal Ben Gurion ci avrebbe portati al mar Morto, ha provveduto a informarci che “sull’autobus c’è uaifai, che immagino che in Italia si dirà vafa”, e io non solo non ho capito la battuta, ma non ho neanche capito che era una battuta, fino a quando un compagno di viaggio non mi ha detto che “ci ho messo un po’ prima di capire la battuta del vaf(f)a che si dice in Italia”.

E quando mi sono messa a raccontare a una compagna di viaggio un certo episodio, e per chiarire le circostanze ho spiegato che fino a non molto tempo fa vivevo in mezzo alle Alpi e lei mi interrompe dicendo: “Tu hai tenuto una conferenza a Udine!”

E quando la signora P., ultraottantenne (un bel po’ ultra, credo) si è incazzata con me e con Marisa e si è messa a strepitare “io mi sono rotta i coglioni, cazzo!” (Poi Pierre, un po’ per l’impegno che ci ha messo, un po’ per talento naturale, non solo l’ha rabbonita, ma alla fine è riuscito anche a farla ridere, anche se cercava testardamente di continuare a fare il muso)

E questi siamo tutti noi, alle spalle il deserto e davanti le tombe di Ben Gurion e di sua moglie Paula (purtroppo il sistema che mi aveva insegnato Giovanni per rendere le immagini cliccabili per ingrandire non funziona più. Se lui o chiunque altro mi può insegnare un sistema alternativo gliene sarò grata)
tutti Sde Boker
barbara

LE MIE AVVENTURE IN TERRA D’ISRAELE

E la prima che devo citare è quella con la matematica. Il mio amore per la matematica risale alla prima infanzia e devo dire che è stato, per fortuna, un amore discretamente ricambiato. E dunque succede che alla prima delle nostre uscite serali si prende chi una cosa e chi un’altra e poi alla fine si chiede il conto, sul quale va calcolata la mancia del 10% e, per non complicarci la vita coi calcoli individuali, si divide in parti uguali tra i presenti. Uno tira fuori la calcolatrice, fa il conto e dice: “25 shekel”. Io immediatamente dico no, vengono solo 3 shekel di mancia, dobbiamo metterne 27. Rifà il conto, viene di nuovo 25, io insisto, qualcuno dice che però forse effettivamente ho ragione io, e alla fine anche la calcolatrice ammette che è così. Le volte successive è stato deciso che era meglio lasciar fare i conti a me, ma ugualmente qualcuno, non fidandosi troppo, prendeva la calcolatrice, e mentre quello stava digitando il totale io davo il risultato – e dopo che al totale aveva aggiunto il dieci per cento e poi diviso per il numero di presenti, si confermava che il mio calcolo era esatto. E queste sono soddisfazioni, lasciatemelo dire.

La scalata. Prima vi mostro la foto nuda
scalata 1
poi quella con la freccia che indica il punto di passaggio.
scalata 2
Nella prima parte ci sono quei gradini scavati nella roccia che rendono la salita abbastanza agevole, ma nella parte più in alto ci sono solo i massi, e ancora peggiore è la parte che non si vede, mentre migliora un po’ nella discesa
scalata 3
Considerando che questo viaggio è stato la mia prima uscita “tosta” dopo l’incidente di gennaio e con vari segni dell’incidente ancora presenti in tutto il corpo, direi che non mi posso lamentare delle mie prestazioni.

Poi c’è stata la traversata del mar Rosso. Sono stata un po’ meno brava di Mosè, e non sono riuscita a farlo aprire del tutto, come potete vedere,
mar Rosso
ma insomma alla fine sono riuscita comunque ad approdare.

E concludo con gli incontri ravvicinati di un tipo che è meglio non prendersi troppa confidenza perché potrebbe anche andare a finire non troppo bene.
gatto
barbara

TIMNA

Il parco geologico di Timna, nel sud di Israele, a poche decine di chilometri da Eilat, è sicuramente una delle meraviglie di Israele (sì, lo so, di meraviglie in Israele ce ne sono tante, ma pur tra le tante meravigliose meraviglie, Timna spicca). Sede delle più antiche miniere di rame del pianeta (IV millennio a.C.), varrebbe da solo un viaggio in Israele. Vi si possono ammirare, oltre ai resti del tempio in cui pregavano i minatori,
tempio
straordinarie formazioni naturali, come le “colonne di re Salomone”,
colonne 1
colonne 2
colonne 3
colonne 4
colonne 5
il “fungo”,
fungo
una specie di sfinge,
sfinge
e una serie infinita di panorami mozzafiato, di cui vi offro solo una ridottissima scelta.
Timna 1
Timna 2
Timna 3
Timna 4
Timna 5

POST SCRIPTUM. Nel resoconto di questo viaggio non parlerò di Yam HaMelach – il mar Morto, oggi ribattezzato, non a torto, Sea of Life: ne potete trovare in abbondanza foto e racconti qui, alla voce “secondo viaggio” e, soprattutto, molto meglio di quanto mai potrei raccontarlo io, in questo straordinario concentrato di emozioni.

barbara