Il troppo stroppia, lo dicevo sempre ai miei scolari: ragazzi, non lasciatevi attrarre dalla tentazione di dire tutto quello che sapete su un argomento per mostrare quanto siete bravi, perché l’unica cosa che ne può venire fuori è una schifezza terrificante. E questo libro di Eco è la prova più lampante di quanto avessi ragione. Qui c’è troppo di tutto: interminabili infilate di parole dotte e inusuali, interminabili infilate di pagine di disquisizioni teoriche praticamente sul nulla, interminabili infilate di pagine di dettagli sui meccanismi degli oggetti via via incontrati (che non riescono, comunque, a far capire come diavolo siano fatti), interminabili infilate di pagine di elucubrazioni che più contorte non si potrebbe immaginare (leggi: seghe mentali), interminabili infilate di pagine che raccontano una storia che non è mai avvenuta ma che il protagonista immagina possa avvenire intorno al suo fratellastro che lui sa benissimo non essere mai esistito… Dove la parola chiave è “interminabili”. Nel senso che proprio non riesci a terminarle, all’inizio ci provi, ti impegni, ti sforzi, ce la metti tutta, ma alla fine ti devi arrendere all’evidenza: non è nelle possibilità umane leggere fino in fondo quella roba, per cui dopo un po’ prevale il senso pratico, e quando arrivi all’inizio di uno di questi brani guaniformi, prendi e salti, mezza pagina, una pagina, quattro pagine… Il tutto per raccontare una specie di storia senza capo né coda, fabbricata (è l’unica spiegazione che si riesce a trovare) come pretesto per mostrare quanto è bravo e quante cose sa.
In una recente occasione, pur lasciandolo chiaramente capire, avevo evitato di usare direttamente l’espressione, ma qui è proprio impossibile evitarla: questo libro è una cagata pazzesca.