E ANCHE IL NEW YORK TIMES CELEBRA LA FESTA DELLA MAMMA

Certo, questo genere di prestazioni non è una novità per la celebre e “prestigiosa” testata. Una delle più clamorose è stata senz’altro quella relativa a Tuvia Grossman, per ricordare la quale ripropongo un mio post di sette anni fa, in cui inserirò qualche nota in corsivo.

Il 30 settembre 2000 il New York Times pubblicava questa foto
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ripresa dai giornali di tutto il mondo. La didascalia spiegava: “Un poliziotto israeliano e un palestinese sul Monte del Tempio”. Il poliziotto era effettivamente un poliziotto israeliano, ma il ragazzo con la faccia ridotta a una maschera di sangue non era un palestinese e, per inciso, i due non si trovavano neppure sul Monte del Tempio [Chiunque abbia visto il Monte del Tempio anche solo in fotografia, vi ha mai visto qualcosa del genere?
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Ma per certe “prestigiose” testate non sono certo insignificanti dettagli come questi a far vacillare le certezze dei redattori]
Il ragazzo, in realtà, era Tuvia Grossman, ebreo americano: stava viaggiando su un taxi quando una banda di palestinesi aveva preso a sassate il taxi, tirato giù di peso Tuvia e lo avevano picchiato e bastonato fino a ridurlo nelle condizioni in cui appare nella foto.
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Riuscito a sfuggire ai suoi aggressori, aveva raggiunto il poliziotto israeliano, fotografato nel momento in cui, col bastone e con le urla e con la faccia feroce, cercava di tenere a bada i palestinesi nell’attesa che arrivassero i soccorsi [senza sparare, si noti bene, anche se avrebbe potuto benissimo farlo, e risolvere così la situazione in pochi secondi]. Il New York Times, contattato dal padre del ragazzo che aveva spiegato come stavano in realtà le cose, qualche giorno dopo aveva pubblicato una rettifica, ma non tutti gli altri giornali hanno provveduto a ristabilire la realtà dei fatti.
Questa, nel secondo giorno della cosiddetta intifada, è stata la prima opera di disinformazione in quest’ultima guerra terroristica contro Israele. Molte altre ne sono seguite: il caso del bambino Mohammed al Durra, colpito a morte da pallottole palestinesi nel corso di uno scontro a fuoco (iniziato dai palestinesi, giusto per amor di precisione) e messo in conto a Israele (vale inoltre la pena di ricordare che il bambino era solito uscire tutti i giorni per andare a tirare sassi contro i soldati israeliani. Vale anche la pena di ricordare che quando erano previsti scontri Arafat faceva chiudere le scuole e mandava gli autobus per portare i bambini a fare da scudi umani ai cecchini, e che tale pratica è cessata solo in seguito a un energico intervento della regina di Svezia). [E ricordiamo anche i risultati delle successive indagini, le immagini del bambino che si muove dopo essere “morto” e tanti altri dettagli del genere]. Il caso di Rachel Corrie della quale, per dimostrare che era stata uccisa intenzionalmente, è stata fatta circolare la foto in cui risulta ben visibile col suo giubbotto catarifrangente, salvo dimenticarsi di dire che quella foto risaliva ad almeno due ore prima della morte (mentre non è mai stata pubblicata la foto presa due settimane prima in cui la “pacifista”, con la faccia stravolta dall’odio, insegna ai bambini palestinesi a bruciare la bandiera americana). Il caso della bambina israeliana fotografata mentre contempla le macerie della sua casa distrutta dai razzi palestinesi, con la didascalia: “Bambina palestinese contempla le macerie della sua casa distrutta dagli israeliani”. Il caso dell’inglese “colpito alle spalle dagli israeliani”, mentre fronteggiava gli israeliani e alle sue spalle c’erano i palestinesi. Il caso del “massacro” di Jenin con migliaia di morti, poi con centinaia di morti, alla fine con 52 morti di cui i quattro quinti combattenti, a fronte di 23 morti israeliani. Eccetera eccetera. Eccetera.

Di tutto ciò che è stato ordito in seguito è impossibile fare anche solo un succinto riassunto, trattandosi di decine di migliaia di menzogne, bufale, taroccamenti, falsificazioni, omissioni, capovolgimenti, invenzioni di sana pianta. Per questo, anche se sappiamo che assomiglia molto a una battaglia persa in partenza, non ci stancheremo mai di far sentire la nostra voce.
ISRAELE, SIAMO CON TE!

barbara

Il silenzio dei pacifisti

Non stupisce neanche un po’ l’atteggiamento dei “pacifisti” su ciò che sta accadendo in Siria. Non si è visto partire nessun aereo per Damasco e nessuna Flottiglia per aiutare i rivoltosi che combattono contro il dittatore sanguinario di Damasco; nessun noto vignettista ha trovato giusto dedicare un fiore ai bambini vittime del massacro di Hula e le associazioni umanitarie, sempre pronte a criticare Israele, hanno aspettato mesi per esprimere le loro timide condanne. Per non parlare della comunità Internazionale che ancora non riesce a trovare un accordo per fermare la carneficina del governo di Bashar al Assad. Una vergogna che non sorprende e che ci ricorda come per certi “pacifisti” i morti non siano mai tutti uguali.
Daniel Funaro, studente (Moked)

No, neanche io sono sorpresa, in effetti: anche i pacifisti, come l’Onu, hanno cose più importanti da fare che denunciare i massacri veri, soprattutto da quando siamo diventati piuttosto bravini a smascherare tutte le loro bufale, costringendoli a inventarne sempre di nuove. E c’è davvero da dire che in questo campo abbiamo visto cose che voi umani neanche vi immaginate. Abbiamo visto, per esempio, le foto di curdi bestialmente seviziati nelle carceri iraniane, scattate e fatte uscire, a rischio della vita, da coraggiosi dissidenti e pubblicate nel sito delle donne iraniane in Italia, e scippate poi dai pallestinari per spacciarle per immagini di palestinesi selvaggiamente torturati nelle carceri israeliane. Abbiamo visto l’ebreo americano linciato quasi a morte da una banda di palestinesi fatto passare per palestinese bastonato dal cattivissimo poliziotto israeliano. Abbiamo visto un povero neonato libanese “appena estratto dalle macerie” brandito dieci volte dallo stesso “soccorritore” in dieci posti diversi, in dieci orari diversi, davanti a dieci fotografi diversi, sempre con quel patetico e commovente ciuccio appeso al collo – incredibilmente senza un solo granello di polvere – per non parlare delle migliaia di foto tarocche sulle operazioni in Libano che la Reuters è stata costretta a ritirare, dal fumo degli incendi moltiplicato alla donna con la cicatrice sulla guancia che leva le braccia al cielo disperata per la distruzione della propria casa — davanti a quattro case diverse, ma che i nostri bravi pallestinari continuano infaticabilmente a riciclare. E abbiamo visto la bambina di Gaza affetta da rarissima e devastante malattia della pelle che i genitori hanno accettato di far riprendere e mettere in rete nella speranza che la vedesse qualcuno in grado di diagnosticare e curare la sua malattia, oscenamente sfruttata per presentarla come vittima del famigerato fosforo bianco, perché per le anime nere del filopallestinismo il rispetto umano – e più ancora quello per l’infanzia, è più sconosciuto del terzo mistero di Fatima. E infatti c’è anche la bambina ferita in un incidente domestico diventata vittima, anche lei, dei suddetti perfidissimi. E il sangue di una vacca al mattatoio trasformato in sangue del fratello – assassinato dagli sporchi giud sionisti, beninteso. E da sei anni stiamo assistendo alla colossale bufala dei corpi anneriti dal solito famigerato fosforo bianco, bufala demolita sei anni fa in un laboratorio tedesco, documentata in un documentario trasmesso dalla ARD. Io l’ho visto, e ho visto anche il video messo a suo tempo in youtube, ma poi, chissà come mai, lo hanno fatto sparire (il nero, per chi fosse interessato a saperlo, era fuliggine). E ciononostante da sei anni stanno continuando a farle girare, anche se il falso è stradocumentato, perché chi mai sta a badare a insignificanti sciocchezze quali fatti e prove e documentazioni? E l’immagine dell’“abitante di Gaza a terra trascinato da un soldato israeliano a cavallo”. E si tratta, sì, effettivamente di Gaza. E il soldato è effettivamente israeliano. E l’uomo a terra è effettivamente  un abitante di Gaza. Solo che, ecco, non è un palestinese, bensì uno degli ottomila ebrei fatti deportare da Sharon nella ridicola illusione di averne in cambio la pace, e ricevendone invece un esponenziale aumento di guerra e terrorismo e morte e distruzione. E il povero palestinese fermato e perquisito e infine ucciso a sangue freddo senza una sola ragione al mondo. Quella volta ci abbiamo messo mesi prima di riuscire a scovare la sequenza completa, dalla quale era stata opportunamente eliminata l’immagine fondamentale: quella in cui gli viene trovata addosso la cintura esplosiva, allontanata poi dal robot, costringendo i soldati a sparargli prima che avesse il tempo di farla detonare (risposta). E i pacifisti uccisi con pallottole alla schiena sparate dagli israeliani che gli stavano di fronte mentre dietro ci stavano i palestinesi. Eccetera eccetera. Ma il lavoro più duro, per i poveri pacifisti, arriva quando non c’è nessun fatto, nessun elemento da poter manomettere per sfruttarlo in chiave antiisraeliana. E allora tocca inventare di sana pianta: trovare immagini orripilanti di altri fatti, di altri luoghi, di altri tempi, per esempio, e ritagliarle accuratamente fino a non lasciare intorno ad esse un solo millimetro atto a far identificare il luogo, il tempo, gli autori, e presentate immancabilmente come “prove” delle efferatezze israliane: teste mozzate di bambini posate a terra, corpi orrendamente carbonizzati, corpi squarciati come solo il più efferato sadismo può fare… Che con solo mezza briciola di buon senso e di onestà uno potrebbe chiedersi: ma se queste foto sono state scattate per documentare la disumana ferocia sionista, non sarebbe stato meglio allargare il campo, cambiare inquadratura, in modo che risultasse inequivocabilmente chi sono le vittime, chi sono i carnefici, qual è il luogo dell’azione? Se ci fosse mezza briciola di onestà, appunto. E alle immagini vanno poi aggiunte le storie amene, come quella del francescano ucciso nella basilica della Natività, costringendo il giorno dopo il povero frate a telefonare a mezzo mondo per rassicurare parenti e amici e superiori. O del ragazzino palestinese sparito da casa e dato immdiatamente per assassinato dai sionisti, e tornato poi a casa, dopo la scappatella, vivo e vispo come un grillo – absit iniuria verbis. E naturalmente non può mancare, in questa sia pur limitatissima carrellata di bufale, quella che con linguaggio d’altri tempi e d’altri luoghi potremmo chiamare la madre di tutte le bufale: l’emergenza umanitaria a Gaza.
No, decisamente i poveri pacifisti, oberati da tanto lavoro, non possono trovare il tempo per occuparsi di ciò che accade in Siria. O in Iran.

barbara