LA GRAN PUTTANATA DELL’EMERGENZA CLIMATICA, PARTE QUINTA

L’articolo è un po’ lungo, ma è importante, e non mi va di postarlo a rate.

Clima, le clamorose bufale sugli orsi polari in via di estinzione

Alcune bufale si ripetono ciclicamente. L’integralismo ideologico induce gli ambientalisti e animalisti a credere a fake news

Il Secolo XIX, 31 agosto 2008: “Nove orsi bianchi sono da giorni in balìa delle onde nel mare di Chukchi in Alaska, a quasi cento chilometri dalle coste, dopo che i ghiacci si sono letteralmente sciolti sotto di loro. Sembra che alcuni non ce l’abbiano fatta. E ora è corsa contro il tempo per tentare di salvare quelli che ancora hanno la forza di nuotare. L’allarme era stato lanciato intorno al 20 agosto dal WWF che sta seguendo la situazione e oggi la storia è apparsa anche sul quotidiano britannico Daily Mail dove campeggia una eloquente fotografia, scattata da un elicottero in ricognizione, di un orso bianco che nuota in solitudine in mezzo al mare”.
“Alcuni di questi nove esemplari non si vedono più – ha detto Massimiliano Rocco, responsabile del Programma Traffic/Specie del WWF Italia –, probabilmente non ce l’hanno fatta. Gli altri sono allo stremo e al limite della sopravvivenza. Non possono tornare indietro e riconquistare naturalmente il pack, è impossibile. Bisogna intervenire”. “Perciò – ha riferito Rocco – abbiamo chiesto alle autorità canadesi e statunitensi di intervenire con i loro mezzi per poter anestetizzare gli animali e portarli in salvo”.
“Trovare così tanti orsi polari al largo è il chiaro segno che il ghiaccio su cui vivono e cacciano continua a sciogliersi. Altri orsi potrebbero trovarsi nelle medesime condizioni – aveva detto nei giorni scorsi Geoff York, un biologo del WWF esperto di orsi bianchi –. Se i cambiamenti climatici continueranno a colpire l’Artico, gli orsi polari e i loro cuccioli saranno costretti a nuotare per lunghe distanze per cercare cibo e riparo”.

Immagine straziante

Immagine straziante, quella degli orsi polari e dei loro cuccioli in balia dell’oceano, diffusa dal WWF il 20 agosto 2008, quando l’emisfero nord del pianeta era alle prese con un’estate caldissima e non si faceva fatica a credere che, a causa del caldo, stesse accadendo qualcosa di drammatico. Un’immagine che viene subito ripresa e rilanciata con dovizia di particolari da tutti i mezzi d’informazione, con l’effetto, consapevole o no, di scavare profondamente nella coscienza collettiva e di sensibilizzare i governanti sulla necessità di intervenire immediatamente sui cambiamenti climatici.
Peccato che la notizia sia totalmente inventata.
Le prime denunce in tal senso appaiono sui mezzi d’informazione una settimana dopo il primo annuncio. Ad insospettire i professionisti dell’informazione è il fatto che, dopo il primo drammatico annuncio, non facciano seguito altre puntate (attesissime) della saga degli orsi polari. Perché il WWF ha rinunciato a battere il ferro finché era caldo? Allora il WWF corre ai ripari e promette aggiornamenti “appena possibile”. A stretto giro il professor Richard Steiner, membro del programma di consulenza marina (?) dell’Università dell’Alaska, afferma che gli orsi sono “in serio pericolo perché hanno bisogno di ghiaccio marino, che sta diminuendo”. Secondo Steiner, quanto sta accadendo dovrebbe “convincere chi ancora non crede al riscaldamento globale e all’impatto che sta avendo nell’Artico”.
Ma gli orsi polari, anziché morire affogati, hanno continuato a nuotare, come hanno sempre fatto, fino a tornare sulla terraferma. Nelle zone abitate dagli orsi polari il ghiaccio si scioglie ad ogni stagione estiva, quando per tutti gli animali artici inizia la stagione della riproduzione. E gli orsi, come sempre, trovano conveniente avventurarsi alla ricerca di nuovi territori di caccia, raggiungendo le numerose isole e aree costiere che d’estate sono (ahimè) sgombre dai ghiacci ma in compenso sono sovrappopolate di foche e di cuccioli di foca: è quello il vero obiettivo degli orsi; altro che il ghiaccio polare che si scioglie sotto le loro zampe.
Dopo le prime smentite, la saga degli orsi polari alla deriva si esaurisce in pochi giorni, rimpiazzata dalla catastrofe bancaria (quella sì vera) della Lehman Brothers e dei mutui subprime. Ma non c’è da dubitare che, dal momento dell’annuncio a quello dell’ingloriosa rivelazione della bufala, nelle casse del WWF siano affluiti milioni di dollari sotto forma di versamenti volontari di chi nel frattempo, in tutto il mondo, decideva di devolvere il proprio contributo, doveroso e disinteressato, alla causa della salvezza dei poveri orsi.

Bufale ricorrenti

Anche se sono regolarmente smascherate, le campagne di sensibilizzazione sulla sorte dei poveri orsi polari alla deriva per lo scioglimento dei ghiacci si ripresentano ricorsivamente. Ed è così che, dopo l’avventura natatoria dei nove orsi naufraghi, il problema si è riproposto in termini ancora più drammatici negli anni successivi.
Il 4 marzo 2010 giornali, riviste e blog pubblicano le foto di un piccolo frammento di iceberg avvistato – si dice – a 12 miglia dalle coste della Norvegia sul quale sono appollaiati mamma orsa e il suo cucciolo.

Lo scioglimento lento e inesorabile della banchisa polare ha causato il distacco del pezzo di ghiaccio sul quale sono intrappolati i due orsi (ma perché “intrappolati”, se entrambi sanno nuotare perfettamente?). Si tenta perfino di accreditare l’ipotesi che mamma orsa stia facendo da skipper, cercando in tutti i modi di mantenere stabile il piccolo iceberg per proteggere il suo cucciolo, quasi il cucciolo stesso fosse solubile in acqua. Sul blog i commenti si succedono frenetici e accorati, dando alla vicenda un’aura da telenovela sudamericana: “Possibile che nessuno degli animalisti non abbia almeno cercato di aiutarli? Negli occhi di mamma orsa c’è solo richiesta di aiuto… e tanta paura per il piccolo… che evidentemente non ce la può fare a nuoto e la mamma non lo vuole lasciare…”; “Sono trascorse ore e forse giorni. Mi auguro che li abbiano già salvati. Lascio la mia e-mail per avere la risposta…”. Poi tutto finisce in una bolla di sapone: si tratta dell’ennesima bufala orchestrata dai soliti ambientalisti e animalisti in cerca di fondi.
L’8 ottobre 2016 Lifegate ci informa che i rarissimi orsi polari che giungono sulle coste dell’Islanda, anziché essere abbattuti (!) come si fa di solito, saranno salvati dai droni. In che modo non si riesce a capirlo, visto che i droni possono sollevare al massimo una ventina di chili e un orso pesa alcune tonnellate [c’è una svista: il peso di un maschio adulto va da 350 a 700 chili (in qualche caso può arrivare a pesare quasi una tonnellata), ma la sostanza non cambia]. C’è inoltre da considerare che il fenomeno non è così diffuso da meritare particolare attenzione: secondo uno studio condotto dall’Istituto islandese di storia naturale, durante tutta l’epoca storica (per capirci, da Erik il Rosso ad oggi) gli orsi approdati in Islanda non sono più di qualche centinaio. L’ultimo sbarco di un orso polare (regolarmente abbattuto, in quanto considerato pericoloso per gli umani) è avvenuto nel luglio 2016 a Hvalsnes.
Ma in tutta l’area artica gli avvistamenti di orsi naufraghi alla deriva continuano a succedersi con regolarità. Il 29 aprile 2019 l’agenzia russa Ria Novosti dirama una notizia, certamente degna di fede, secondo la quale un orso polare alla deriva su un iceberg al largo della penisola russa della Chukotka è stato riportato a casa nel Mare di Bering con un elicottero MI-8.

Baricco unplugged

Nell’ottobre del 2019 Alessandro Baricco pubblica il libro “The Game”, nel quale analizza la rivoluzione digitale alla luce della sua opera precedente, “I Barbari”, nella quale ha regalato all’umanità perle di saggezza secondo le quali i no-global sarebbero la nostra assicurazione contro il fascismo e il videogame Space Invaders [mamma mia quanto ci ho giocato! Ogni tanto ci torno ancora] sarebbe uno dei miti fondativi di quella che lui chiama “insurrezione digitale” e che fa ascendere nientemeno che all’opera di Alan Turing, dimostrando così di conoscere quest’ultima solo attraverso Wikipedia. Ma nel 2019 citare Alan Turing “fa fino”, anche quando si confonde la “macchina di Turing” (astratta) con uno smartphone. Paradigma dell’“insurrezione digitale”, secondo Baricco, è proprio l’i-Phone. Non si tratta affatto, come pensano in molti, di uno dei più classici strumenti di conformismo e omologazione. Secondo Baricco, “in quel tool uscivano allo scoperto e trovavano forma i tratti genetici che l’insurrezione digitale aveva sempre avuto […]. In quel telefono […] moriva il concetto novecentesco di profondità, veniva sancita la superficialità come casa dell’essere, e si intuiva l’avvento della post-esperienza. Quando Steve Jobs scese dal palco, qualcosa era arrivato a compimento”. Bella immagine: ricorda un po’ le seghe mentali di Bonito Oliva sulla trans-avanguardia [e io concordo con quel tale immeritatamente dimenticato: E le masturbazioni celebrali Le lascio a chi è maturo al punto giusto, Le mie canzoni voglio raccontarle A chi sa masturbarsi per il gusto] Nello stesso anno 2019 l’editore di Baricco trova conveniente stimolare uno spin-off di tanta profondità di pensiero con la pubblicazione del volume “The Game Unplugged”, realizzato commissionando testi eterogenei sulle tematiche del web ad un parterre autorale giovane quanto variegato. Uno di questi contributi è una riflessione a voce alta sulle difficoltà di coinvolgere il pubblico sui temi del riscaldamento globale, difficoltà che, a quanto pare, finisce col giustificare alcuni giochetti disinvolti. Ma solo per il bene dell’umanità. Nel testo si fa riferimento esplicito ad un video pubblicato su Instagram il 5 dicembre 2017 dal fotografo naturalista Paul Nicklen nel quale si vede un orso bianco che si trascina, magro ed emaciato, sull’isola di Baffin, nell’Artico canadese, in un paesaggio desolato privo di neve e ghiaccio. È solo un vecchio orso giunto alla fine della sua esistenza per cause naturali (anche gli orsi polari muoiono…). Ma Nicklen preferisce scrivere che “la popolazione dei 25 mila orsi polari rischia l’estinzione entro la fine del secolo” a causa della riduzione dei ghiacci artici. Si tratta della campagna di lancio del progetto Tide dell’organizzazione ambientalista sì-profit Sea Legacy.
Due giorni dopo, il filmato di Nickelen è ripreso integralmente da National Geographic che lo correda di un tappeto musicale di impronta decisamente noir e di una didascalia rivelatrice: “Ecco che aspetto ha il cambiamento climatico”. Le parole “cambiamento climatico” sono evidenziate in giallo e diventano così il cuore di una notizia (fasulla) che attribuisce l’agonia del vecchio orso ai cambiamenti climatici. In breve tempo il video diventa il contenuto più condiviso di sempre su National Geographic con 2,5 miliardi di visualizzazioni.

Danni permanenti

Finalmente, il 12 dicembre un servizio diramato dalla BBC, realizzato con il supporto di alcuni studiosi, chiarisce come stanno effettivamente le cose: l’orso ripreso nel filmato è evidentemente affetto da malanni che con i cambiamenti climatici non c’entrano niente e si muove in un territorio nel quale i ghiacci perenni non ci sono mai stati.
Qualche giorno dopo, recependo anche le inattese rimostranze di Nicklen e di Sea Legacy, la redazione di National Geographic è costretta ad ammettere di avere forzato il significato del filmato. Ma il succo delle prolisse giustificazioni è che la colpa dell’accaduto (manco a dirlo) è dei “negazionisti”, che “costringono” chi ha veramente a cuore le sorti del pianeta ad operazioni disinvolte di questo genere per sensibilizzare gli animi!
I danni causati da mistificazioni come queste si creano in un attimo e, purtroppo, sono permanenti. I tempi di reazione ai messaggi terroristici sul clima e sulle sorti del Pianeta veicolati attraverso Instagram, Facebook, Twitter e Youtube polarizzano l’attenzione per pochi secondi ma lasciano convinzioni (errate) che durano per sempre.
Lo smontaggio di una fake news, che si tratti di orsi o di altro, richiede preparazione, ricerca e riflessione, ma non ha mai lo stesso appeal emotivo di una fake news che si gioca interamente sull’impatto emotivo. La verità è dunque destinata a soccombere nel breve termine e a non essere più recuperabile neppure nel medio e lungo termine.
Un esempio eclatante è dato dal ricordato contributo a “The Game Unplugged” che, anziché evidenziare i guasti causati da certa ideologia pseudo-ambientalista, si conclude con una elaborata apologia sul perché i catastrofisti del clima siano costretti, per il bene dell’umanità, a ricorrere a mezzucci come le falsificazioni per affermare la “verità vera”, senza alcun riguardo per la verità scientifica.
L’autore del contributo citato conclude così le sue brillanti riflessioni: “Viviamo nell’inerzia di una società costruita attorno ai combustibili fossili, e gli istinti e le abitudini che in questo sistema ci sono serviti per prosperare ci stanno portando alla distruzione […] Davanti ai dati non ci dovrebbe essere spazio per le interpretazioni […] Non eravamo destinati all’apocalisse, e se siamo finiti in piena crisi climatica ci sono delle responsabilità precise, politiche ed economiche”.
Si giunge così a rovesciare completamente ogni logica, a dimostrazione del fatto che contro il fanatismo e il ciarpame ideologico non ci sono ragioni scientifiche che tengano. Del resto – come continuano a spiegarci coloro che hanno capito tutto – tutto è relativo, anche la verità.
Se oggi si effettua una ricerca in Internet, le notizie relative ai nove orsi naufraghi e al loro confratello emaciato dell’isola di Baffin si ritrovano ancora lì tali e quali, senza essere corredate di alcun riferimento stabile alle smentite che nel frattempo le hanno ridicolizzate.

Un mare di cazzate

Il mare delle cazzate che circolano in rete sugli orsi polari non sembra avere limiti. Ecco di seguito alcune perle veicolate da LifeGate, public company di consulenza sul modello “People-Planet-Profit” creata nel 2000 dalla famiglia Roveda, dopo avere accumulato una fortuna vendendo prodotti biologici:

– “Dobbiamo dire addio all’orso polare? Simbolo dello scioglimento dei ghiacci, oggi il loro numero è drasticamente in diminuzione a causa delle temperature bollenti che si registrano nell’Artico” (19 marzo 2014).
– “Gli orsi polari hanno iniziato a cacciare i delfini per colpa dell’uomo. Il riscaldamento globale sta portando alcuni orsi polari a cibarsi di delfini. Il fenomeno inedito è stato osservato da alcuni ricercatori norvegesi” (12 giugno 2015).
– “L’agonia degli orsi polari racchiusa in una foto. Una fotografia scattata alle Svalbard mostra con cruda chiarezza il fenomeno dello scioglimento dei ghiacci artici che sta minacciando la sopravvivenza degli orsi (e di tutti noi)” (11 settembre 2015).
– “La purezza genetica dell’orso polare e del grizzly è minacciata dal riscaldamento globale che ne sta sovrapponendo gli areali favorendone l’ibridazione” (26 maggio 2016).
– “Un nuovo pericolo per gli orsi polari, i cuccioli sono minacciati da agenti inquinanti. Secondo uno studio italiano i contaminanti organici persistenti alterano il latte delle femmine avvelenando i piccoli orsi polari” (7 gennaio 2017).

Apprendiamo così che – si badi bene, per colpa dell’uomo – gli orsi polari sono in via di estinzione (non è vero), mangiano i delfini (mangiano qualunque animale capiti loro a tiro) e scopano con i grizzly (un solo esemplare ibrido è stato finora documentato in natura nel 2006).
Quindi sono solo cazzate: ma chi si incarica di farlo notare al numerosissimo popolo che continua a frequentare acriticamente il web e a nutrire le proprie convinzioni preconcette con queste “verità” rivelate?
L’allarme sull’estinzione degli orsi polari fu lanciato dai proto-ambientalisti negli anni Sessanta. Sotto accusa erano allora le colonie umane dell’Artico che cacciavano gli orsi per cibarsi della loro carne. Poi si scoprì che la popolazione degli orsi polari era in netta crescita. Ma oggi possiamo dirlo solo sottovoce, altrimenti rischiamo di offendere ambientalisti e animalisti e di essere classificati tra i “negazionisti” del cambiamento climatico. E così, nel sito del WWF l’orso polare è tuttora classificato come “specie in via di estinzione”: erroneamente, dato che, secondo i dati scientifici, la popolazione degli orsi polari è triplicata nel mezzo secolo che separa il 1960 dal 2010, che la specie non ha predatori (ormai neppure l’uomo) e che può contare su riserve di cibo vivo costituito da specie tutt’altro che in via di estinzione.
Ma incurante della verità scientifica, il WWF ha meritoriamente deciso di offrire a tutti la possibilità di adottare un orso polare. Lo si può fare pagando una somma compresa tra i 30 e i 125 euro all’anno: meno di quanto costi adottare a distanza un cucciolo di uomo del Terzo Mondo.

La pelle dell’orso

L’ennesimo allarme sulla sorte degli orsi polari fu lanciato nel 2015 in seguito alla comparsa di una campagna pubblicitaria della Arsu Systems Corporate, azienda che attraverso il proprio sito web, promuoveva l’uso della pelle di orso polare come coibente naturale per isolare dal freddo le abitazioni. Hans Jansson, sedicente amministratore delegato dell’azienda, dichiarava nel sito (tuttora accessibile online) che la sfida per un futuro sostenibile passava per una nuova idea di architettura, e in quell’ambito l’uso delle pelli degli orsi polari – naturali e biodegradabili al 100% – apriva possibilità notevoli, sulla scia di quanto da sempre avevano scoperto e praticato le popolazioni Inuit. Il sito offriva quindi la possibilità di chiedere un preventivo gratuito per isolare termicamente la propria abitazione con pelli di orso polare ricorrendo a tre diverse linee di prodotto: il Furpro30, pellicce di cuccioli di orso di età inferiore a tre anni, adatte per l’isolamento delle intercapedini interne e dei controsoffitti; il B-tech28, pellicce di orsi di età compresa fra i tre e i dieci anni, idonee per l’isolamento di intercapedini e soffitti non praticabili; il Bearrier22, pellicce di orsi di età maggiore di dieci anni, ideali per facciate ventilate, cappotti termici e coperture.
Immediatamente si scatenò sul web la campagna #weareall bears (siamotuttiorsi) che chiedeva a gran voce l’oscuramento immediato del sito della Arsu Systems. Salvo poi accorgersi che si trattava di una campagna di comunicazione provocatoria lanciata dalla multinazionale dell’isolamento termico per l’edilizia Ursa (dal cui anagramma la denominazione Arsu dell’azienda incriminata) in collaborazione con Italian Climate Network e Tribe Communication. Il vero obiettivo della campagna era promuovere l’Ursa Award: best project for a better tomorrow, un bando per un progetto architettonico innovativo ecosostenibile, volto al risparmio energetico e di ridotto impatto ambientale.
Il linguaggio olistico scelto per la campagna, che voleva essere ironicamente provocatorio, aveva trovato terreno fertile nei ristrettissimi spazi lasciati all’immaginazione dal fanatismo ambientalista e animalista, finendo con lo scatenare l’ira della parte più indottrinata del web, ormai divenuta, purtroppo, maggioranza schiacciante.
Lo scherzo della Arsu Systems prosegue. Nella pagina Facebook della Arsu si legge oggi quanto segue: “Siamo davvero delusi dal fatto che la nostra missione non ti sia chiara. Ci dedichiamo a salvare il pianeta e il futuro dei nostri figli. Il modo migliore per farlo è assicurare che i nostri edifici siano isolati termicamente e utilizzare materiali biodegradabili e fonti rinnovabili. Gli insulti non cambieranno la nostra determinazione e soprattutto non faranno nulla per aiutare il nostro pianeta. Voglio cogliere l’occasione per ringraziare i nostri clienti in tutto il mondo che credono in noi e che ci stanno supportando con i loro ordini”.
Ma parallelamente – e incredibilmente – prosegue anche la campagna contro la Arsu Systems di #weareallbears, che continua ad esortare gli aderenti a fermare un inesistente massacro di orsi polari.

Predatori e prede

A margine delle notizie fasulle sui rischi di estinzione degli orsi polari, c’è da rilevare che anche il rapporto predatorio tra uomo e orso negli ultimi anni si è invertito. Se è vero che alcune popolazioni artiche sono tuttora autorizzate a cacciare gli orsi per cibarsene, negli ultimi decenni lo hanno fatto sempre meno, preferendo le foche, il pesce e altri cibi, mentre per contro si registra un numero crescente di esseri umani attaccati e uccisi dagli orsi polari.
Molti attacchi si verificano alle isole Svalbard, dove i turisti si recano spesso proprio per vedere gli orsi polari, nonostante il territorio sia letteralmente tappezzato di cartelli di avvertimento che invitano a non avventurarsi oltre senza un’arma da fuoco efficiente e carica. Nell’agosto 2011 un gruppo di studenti britannici di età compresa tra 16 e 23 anni nel corso di un viaggio organizzato dalla British Schools Exploring Society è stato attaccato da un orso polare alla periferia della cittadina di Longyearbyen. Il bilancio è stato di un ragazzo morto e altri quattro gravemente feriti. All’8 agosto dell’anno scorso risale la notizia dell’aggressione mortale subita da una turista francese.
Gli attacchi degli orsi polari sono all’ordine del giorno in Groenlandia, Islanda, Alaska, Canada e Russia. Il 1° settembre 2016 si diffuse in rete la notizia che un gruppo di cinque climatologi russi del servizio Sevgidromet era assediato nella base artica russa di Troynoy, isola dell’arcipelago di Izvesty Tsik, nel mare artico di Kara, da un branco comprendente una dozzina di orsi polari. Il 31 agosto il branco si era avvicinato alla base e aveva sbranato un cane da slitta. In breve tempo i ricercatori avevano esaurito la scorta di razzi di segnalazione, utilizzati per allontanare gli orsi. Erano stati quindi costretti ad interrompere le attività all’aperto, in attesa dell’arrivo della nave appoggio, che tuttavia sarebbe giunta solo dopo un mese. L’SOS dei ricercatori russi fu comunque raccolto dalla nave russa Akademik Tryoshnikov, che riuscì a raggiungerli e a rompere l’assedio degli orsi, rifornendo gli scienziati di cibo e bengala.
La portavoce di Sevgidromet, Yelena Novikova, non perse l’occasione per attribuire il comportamento anomalo (?) degli orsi al cambiamento climatico: “Il ghiaccio recede velocemente – spiegò la Novikova – e gli orsi non hanno il tempo di nuotare fino alle altre isole. Ma a Troynoy non c’è cibo e perciò sono andati alla stazione meteo”. La domanda sorge spontanea: ma di cosa campavano gli orsi di Troynoy prima dello scioglimento stagionale dei ghiacci, visto che sull’isola gli orsi polari ci sono sempre stati?
La notizia più recente risale allo scorso 17 gennaio, quando un orso polare, dopo avere dato la caccia ad altre persone, ha attaccato e ucciso una madre ventiquattrenne e il suo bambino di un anno a Wales, nella penisola di Seward, Alaska. Anche in questo caso, l’emittente KTUU, nel dare la notizia dell’aggressione, ne ha attribuito la responsabilità al cambiamento climatico, che costringerebbe (perché mai?) gli orsi ad avvicinarsi alle aree antropizzate.
Di fronte al fervore degli ambientalisti e degli animalisti, l’ONU ha addirittura anticipato i tempi e nel 2005 ha istituito la “Giornata internazionale dell’orso polare”, che cade ogni anno il 27 febbraio. Si accompagna idealmente alla “Giornata internazionale del gatto nero” (che cade il 17 novembre); il quale purtroppo, come l’orso polare, non sarà mai consapevole di tanta considerazione. E non manca neppure la “Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente nella guerra e nei conflitti armati” (che cade il 6 novembre). Qual è il significato di quest’ultima ricorrenza? Non mi viene in mente altro: “Ammazzatevi pure, gente, ma non inquinate!”.
Ugo Spezia, 28 gennaio 2022, qui.

E chissà se l’uranio impoverito che Londra vuole dare ai nazisti inquinerà o no.

barbara

LA GRAN PUTTANATA DELL’EMERGENZA CLIMATICA, PARTE TERZA

Clima, la grande bufala sulle colpe dell’uomo: non c’è prova scientifica

La verità scientifica sull’evoluzione del clima terrestre, quella che emerge dallo studio delle carote di ghiaccio e dei sedimenti marini, è incontrovertibile. Le conclusioni ricavate dagli studiosi possono talvolta differire tra loro marginalmente, ma non nella sostanza. Quindi, a meno che non si voglia deliberatamente travisare la verità scientifica, si deve riconoscere che il clima della Terra è costantemente in fase di cambiamento, che cambiamenti anche drammatici si sono verificati più volte nel lontano e nel recente passato e che non esiste alcuna evidenza scientifica del fatto che i suddetti cambiamenti dipendano dalle attività umane. Anzi: esiste evidenza del contrario. Chi oggi vuole convincerci che il clima sta cambiando per colpa dell’uomo e delle sue emissioni di CO2 lo fa senza produrre alcuna prova scientifica. Chi sfodera periodicamente grafici “a mazza da hockey” che mostrano una temperatura costante per duemila anni schizzare improvvisamente alle stelle nell’ultimo secolo lo fa elaborando i dati sulla base di algoritmi errati.

Bufale sul clima

I fautori dell’“origine antropica a tutti i costi” si concentrano oggi nell’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’ONU, un organismo che non è scientifico ma politico: lo si può capire facilmente dall’aggettivo “intergovernmental” e dal fatto che i membri del panel sono nominati dalla politica e non dalla comunità scientifica.
Dato il proprio mandato politico, l’IPCC ha affrontato fin dall’inizio il problema senza considerare tutte le variabili scientifiche che lo condizionano, a cominciare dall’irraggiamento solare. Sembra incredibile, ma in tutti i documenti elaborati finora dall’IPCC si dà per scontato che l’irraggiamento solare sia rimasto costante per centinaia di migliaia di anni, assunzione in netto contrasto con ogni evidenza scientifica. Del resto, l’IPCC dichiara di non fare ricerca, ma di “analizzare e valutare”, con metodi propri, i risultati delle ricerche fatte da altri, con la finalità dichiarata (e orientata) di “evidenziare i rischi associati ai cambiamenti climatici indotti dalle attività umane”.
Il fatto che i cambiamenti climatici siano “indotti dalle attività umane” non è quindi oggetto di discussione e dimostrazione, ma un assunto di base, un presupposto che motiva l’esistenza stessa dell’IPCC.

Carenze di metodo

Se istituisco un gruppo di lavoro e lo incarico di evidenziare i rischi del “cambiamento climatico di origine antropica”, se lo finanzio lautamente e se lo perpetuo nel tempo per tre decenni distribuendo incarichi di carattere diplomatico, stipendi esentasse e un’ampia visibilità internazionale, sarà ben difficile che quel gruppo di lavoro non trovi alcuna prova (reale o presunta) delle origini antropiche del cambiamento climatico. Diverso sarebbe se incaricassi quel gruppo di studiare “le origini” (e basta) del cambiamento climatico. In questo secondo caso il gruppo di lavoro potrebbe analizzare obiettivamente tutte le cause del cambiamento climatico, incluse, se ci sono, quelle antropiche.
Anche la tesi che l’IPCC, nel valutare le ricerche condotte da altri, non “condizioni” le ricerche stesse è palesemente fasulla: le “valutazioni” dell’IPCC, infatti, violano il normale processo scientifico, in quanto introducono una forzante ideologica presupponendo le origini antropiche dei fenomeni osservati, anche se chi ha svolto quelle ricerche non ha menzionato affatto (e talvolta ha escluso) l’origine antropica dei fenomeni stessi.
Altra circostanza non abbastanza conosciuta è che le tesi dell’IPCC sono elaborate all’interno di un contesto di tipo politico, con metodi di tipo politico che giungono fino alla revisione critica su base politica delle risultanze scientifiche.
Quest’ultima prassi è comunemente adottata, ad esempio, nella redazione dei “Summary for Policymakers”, pubblicazioni di sintesi dell’IPCC-pensiero che diventano il “vangelo climatico” sul quale i politici sono chiamati ad assumere le loro decisioni. Chi partecipa ad un processo del tipo descritto, anche se in origine è uno scienziato, assume una posizione che non è più scientifica, ma politica.
Considerato tutto ciò, c’è da chiedersi perché mai le dogmatiche tesi sul clima elaborate in seno all’IPCC dell’ONU dal 1990 in poi siano riuscite ad influenzare le politiche dell’Unione Europea e dei paesi membri tanto profondamente da condizionare negativamente l’economia del continente europeo e il tenore di vita di 450 milioni di cittadini. La risposta è che dietro queste scelte devono esserci altri interessi: sono quegli interessi che, negli ultimi decenni, sono riusciti a mobilitare la politica convincendola a sposare tesi che non hanno nulla di scientifico e che anzi contraddicono la scienza.

Pensiero unico sul clima

La confutazione delle bufale sui cambiamenti climatici e sulle loro cause ha sempre prodotto reazioni scomposte in seno all’universo ambientalista che ruota intorno all’IPCC. Ma che la verità scientifica sia diventata un nemico da combattere è una novità recente. Una novità che assume aspetti inquietanti.
A prendere posizione contro quelli che definisce “negazionisti del cambiamento climatico” è il colosso americano Google, che il 7 ottobre 2021, con la “risposta n. 11221321” di Google Ads“, ha deciso di chiudere la piattaforma ai contenuti promozionali che “contraddicono il consenso scientifico consolidato sull’esistenza e le cause dei cambiamenti climatici”. Nel mirino di Google “i contenuti che fanno riferimento al cambiamento climatico come a una bufala o a una truffa, affermazioni che negano che le tendenze a lungo termine mostrino che il clima globale si sta riscaldando e affermazioni che negano che le emissioni di gas serra o le attività umane contribuiscano al cambiamento climatico”.
Su quale base scientifica è stata assunta da Google questa drastica decisione? Ma naturalmente sulle tesi (politiche e non scientifiche) dell’IPCC: “Abbiamo consultato fonti autorevoli sull’argomento delle scienze climatiche – scrive Google – inclusi gli esperti che hanno contribuito ai report di valutazione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite”.
Dobbiamo dunque attenderci che, nel prossimo futuro, dalla piattaforma Google spariscano le opinioni scientificamente fondate per lasciare spazio al “pensiero unico” di matrice IPCC-ambientalista. Ed ecco trovato un nuovo metodo, del tutto inedito, per perpetuare le tesi dogmatiche dell’IPCC sul clima.

Reazioni

Di fronte al dogmatismo e all’atteggiamento impositivo dell’ONU-IPCC, il sistema scientifico internazionale ha cominciato a reagire in modo fermo.
Nel 2019, su iniziativa dell’ingegnere e geofisico olandese Guus Berkhout e del chimico-fisico e giornalista scientifico olandese Marcel Crok, oltre 700 scienziati hanno sottoscritto e inviato ai leader mondiali una lettera aperta di richiamo alla realtà. Più recentemente, il 2 gennaio 2023, quando i sottoscrittori del manifesto erano saliti a 1.500 circa, lo stesso Guus Berkhout ha indirizzato una lettera aperta al Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres richiamandolo all’ordine sulla necessità di abbandonare una linea dogmatica e intransigente che non tiene conto della verità scientifica e che rischia di condannare i paesi industriali ad una recessione di durata pluridecennale, che produrrebbe immani sofferenze alla popolazione mondiale, tanto ingiustificate quanto inutili al fine di stabilire un impossibile e velleitario sistema di governo del clima terrestre.
Non credo che l’Onu possa fare marcia indietro su un disegno politico avviato tre decenni fa senza perdere la faccia di fronte al mondo. Ma forse i governi dei paesi europei potrebbero cominciare a rivedere le loro posizioni.
Aspettiamo e speriamo…
Ugo Spezia, 9 gennaio 2023, qui.

3. Fine (ma in realtà continua)

A questo punto direi che ci sta bene questa considerazione.

Giovanni Bernardini

CASE

Tizio compra una casa pagandola, poniamo, 100.000 euro. La compra rispettando tutte le leggi, i regolamenti e gli usi in essere, pagando tutte le tasse dovute.
Per comprare la casa Tizio ha contratto un mutuo con la sua banca ed ora paga regolarmente le rate.
Tutto OK, direbbe una persona normale. Le rate che Tizio paga alla banca riducono il suo reddito disponibile ma lui può godere del bene che con tanti sacrifici ha acquistato.
Invece NO.
A Bruxelles un branco di burocrati decide che la casa di Tizio non è “a norma energetica”. O Tizio fa ristrutturare il suo immobile, spendendo, diciamo, 40.000 euro o perde il diritto di poterlo vendere. La casa che Tizio ha intenzione di lasciare ai figli all’improvviso vale ZERO, a meno che Tizio non sborsi 40.000 euro.
E se non li ha? Semplice, può contrarre un altro mutuo con la banca, così il suo reddito disponibile diminuisce ancora.
Fantascienza? NO, realtà, la realtà di una UE sempre più in preda a deliri ideologici.
E’ chiaro che obbligare tutti a spendere cifre decisamente alte per ristrutturare case acquistate in maniera perfettamente legale viola in maniera clamorosa il principio della irretroattività della legge. Una legge vale dal momento in cui è approvata in poi, non può riferirsi ad eventi del passato.
Qualche Pierino può affermare che “si tratta di salvare il pianeta”, quindi tutto va bene.
Salvare il pianeta? Ma… scusate, la direttiva UE pretende che tutte le abitazioni debbano rientrare nella classe E entro il 2030. Però la nuova eroina verde, Greta Thunberg, ci ha assicurato che nel 2030 ci sarà la fine del mondo… e allora? La direttiva arriva tardi… quindi… lasciateci almeno morire in pace…
Salvare il pianeta? Ma… gli abitanti della UE sono 447 milioni, di questi diciamo una cinquantina di milioni sono interessati dalla direttiva. Nel “pianeta” siamo in 6 MILIARDI [in realtà 8 abbondanti]. Davvero la ristrutturazione di qualche milione di abitazioni “salverà il pianeta”? Non scherziamo…
Salvare il pianeta? Ma… da oltre 40 ANNI i vari governi, e la UE in testa, impongono sempre nuove norme, su tutto. E, malgrado questo diluvio, questa valanga di norme i media strombazzano ogni 5 minuti che la fine del mondo è dietro l’angolo. Forse qualcosa non va…
Salvare il pianeta? Ma… la direttiva dice che le case non ristrutturate continueranno ad “uccidere il pianeta”, solo… non potranno essere vendute. E allora? Di che razza di “salvataggio” si tratta? Se fossero coerenti i burocrati UE dovrebbero stabilire che le case non ristrutturate dovranno essere abbattute ed i loro proprietari costretti a vivere sotto i ponti, magari incarcerati e condannati all’ergastolo per “omicidio del pianeta”.
Sarcasmi a parte, la direttiva sulle abitazioni non “salva” un bel niente. Si tratta dell’ennesima misura burocratica, illiberale, non democratica che si cerca di imporre ai cittadini europei ed italiani in particolare.
Spero solo che l’Italia sappia opporsi adeguatamente.

Aggiungo, a proposito degli eventi estremi che imperversano ai nostri giorni, questa splendida foto

ricordando che le cascate del Niagara si trovano sul 43° parallelo, quello che attraversa Spagna Francia Italia (per la precisione poco a sud dell’isola di Capraia) Croazia, Mediterraneo e Adriatico. Così, giusto per.
E concludo con quest’altra foto che vale un Perù della “piccola Greta”, diventata nel frattempo culona, con la faccia bolsa di chi si nutre male, e sempre con l’espressione ebete.

barbara

LA GRAN PUTTANATA DELL’EMERGENZA CLIMATICA 2

Perché sembra che i sacerdoti dell’emergenza climatica dimentichino una cosa di non trascurabile importanza: TUTTE le civiltà si sono sviluppate nei periodi caldi o nelle zone calde.

Così il cambiamento climatico ha fatto sviluppare le civiltà

È interessante porre in relazione l’andamento delle temperature medie annuali nel periodo post-glaciale con alcune tappe significative dello sviluppo della civiltà umana. Esiste infatti una evidente correlazione tra i cambiamenti climatici, lo sviluppo e la scomparsa di molte civiltà.
I dati climatici mostrano che, dopo la fine dell’ultima glaciazione, intorno all’anno 6250 a.C. le temperature medie annuali iniziarono a crescere e continuarono a crescere per un lunghissimo periodo, rimanendo per oltre 3000 anni al di sopra della temperatura media post-glaciale. Durante questo periodo, noto ai paleo-climatologi come “optimum climatico post-glaciale”, il progressivo miglioramento del clima rese abitabili anche le latitudini nordiche e, al contrario, rese gradualmente meno facile la sopravvivenza alle latitudini più meridionali, soggette a un progressivo processo di inaridimento e desertificazione.
Grazie all’optimum climatico, nei territori nordici si svilupparono le popolazioni, di ceppo indoeuropeo, che affiancarono progressivamente e sostituiranno in gran parte quelle di ceppo non indoeuropeo che in epoca precedente avevano colonizzato le latitudini mediterranee e mediorientali.

Civiltà nordica

L’optimum climatico post-glaciale determinò l’impressionante sviluppo della civiltà del bronzo nordica, che irrompe nello scenario della civiltà umana in maniera improvvisa, nettamente più tardi delle civiltà mediterranee e mediorientali. In Danimarca, Svezia, Norvegia e Germania settentrionale si sviluppa una civiltà che appare fin dall’inizio del tutto autonoma rispetto alle civiltà già riconoscibili nei territori più meridionali. 
Così parlò dell’optimum climatico e della civiltà nordica Pia Laviosa Zambotti (1898-1965): “[È] l’epoca climatologicamente migliore che i paesi nordici abbiano mai conosciuto e che giustifica il quadro di elevata cultura allora raggiunto dalla Scandinavia (…) È nell’ambito di questo lungo e favorevolissimo periodo climatico che si sviluppa l’ascesa della cultura nordica con l’affermazione in linea progressiva delle civiltà di Maglemose, di Ertebölle, dei dolmen, delle tombe a corridoio e infine le ricche manifestazioni culturali dell’età del bronzo”.
La realtà dell’optimum climatico è confermata da numerosi studi, e in particolare dallo studio dei pollini presenti nelle stratificazioni di terreno studiate dai paleontologi. L’evidenza scientifica mostra complessivamente che i ghiacciai continentali si erano ridotti a un’estensione molto minore di quella attuale e che il Mare Artico era libero dai ghiacci. Alle alte latitudini, la temperatura media estiva era più elevata di diversi gradi centigradi rispetto a quella attuale. In particolare, nell’area scandinava si erano stabilite condizioni climatiche tali da permettere lo sviluppo delle foreste di latifoglie e addirittura la coltivazione della vite.

Tracollo climatico

Ma il periodo dell’optimum climatico ebbe improvvisamente fine intorno al 3000 a.C., quando le temperature medie annuali precipitarono di 1 °C nel breve volgere di pochi secoli. Questo periodo è noto ai climatologi come “tracollo climatico”. Scrisse in proposito Pia Laviosa Zambotti; “Quasi improvvisamente, la temperatura precipita: entriamo nella fase subatlantica con clima umido e freddo (…) Entriamo nel clima freddo del postglaciale, il quale, coincidendo nella fase massima con l’età del ferro, arginerà e condannerà all’abbandono tutte le più promettenti energie della cultura nordica”.
Stando ai dati climatici desumibili dalle carote di ghiaccio e dai sedimenti, il peggioramento del clima fu molto rapido: iniziò e si compì nell’arco temporale di pochi secoli, influendo in modo determinante sulla vita delle popolazioni, che furono costrette a spostarsi verso sud alla ricerca di condizioni climatiche meno estreme. Iniziò così la grande migrazione che portò le popolazioni di ceppo indoeuropeo a soppiantare gradualmente le popolazioni di origine non indoeuropea che popolavano l’Europa centro-meridionale, l’altopiano iranico e l’India.
Fu questa grande migrazione a diffondere in Europa le popolazioni indoeuropee che la occupano tuttora.

Civiltà cretese

Il tracollo climatico fu seguito da un nuovo periodo di riscaldamento del clima che si manifestò a partire dal 2700 a.C. e culminò intorno al 1300 a.C.. Durante questo periodo di riscaldamento (detto “periodo caldo minoico”) nacque e si sviluppò nel Mediterraneo la civiltà cretese, chiamata dal suo scopritore, l’archeologo britannico Arthur Evans, “civiltà minoica”.
Le evidenze archeologiche inducono a ritenere che questa civiltà si sia ulteriormente sviluppata in seguito all’innesto di una popolazione di ceppo indoeuropeo proveniente dall’esterno – che parlava un dialetto greco e acquisì in loco la scrittura nota come “Lineare B”, decifrata da Michel Ventris nel 1953 –  su un substrato antropico di ceppo non indoeuropeo preesistente, che parlava una lingua sconosciuta e utilizzava la scrittura nota come “Lineare A”, tuttora non decifrata.
La civiltà cretese fu dunque la prima civiltà indoeuropea a svilupparsi nel Mediterraneo, riuscendo a dare vita ad una rete commerciale marittima che raggiunse il Nord-Africa, la Fenicia (l’attuale Libano) e le coste del Mar Nero. Anche lo sviluppo di questa civiltà fu propiziato da un miglioramento del clima di cui si trova testimonianza nelle carote di ghiaccio e nei sedimenti marini.

Civiltà romana

Del resto, in un’epoca in cui l’uomo dipendeva totalmente dalla natura, è logico pensare che il clima dovesse avere un’influenza determinante sullo sviluppo delle attività umane e in definitiva della civiltà. Questa assunzione sembra confermata da quanto visto sullo sviluppo della civiltà nordica e sullo sviluppo della civiltà cretese. Ma altre conferme vengono dal confronto tra l’andamento della temperatura media annuale e lo sviluppo di civiltà molto diverse e molto distanti nel tempo, come quella romana e quella vichinga.
I dati ricavati dalle carote di ghiaccio e dai sedimenti marini mostrano che il periodo caldo minoico fu seguito da un periodo di raffreddamento del clima durante il quale le temperature medie annuali si mantennero comunque al di sopra della temperatura media post-glaciale. Intorno al 750 a.C. iniziò un nuovo periodo di riscaldamento che culminò intorno al 100 a.C. [quindi il riscaldamento era abbastanza vicino al picco quando, nel 218 a. C. Annibale attraversò le Alpi con gli elefanti, cosa assolutamente impossibile oggi] e che si esaurì intorno al 300 d.C., accompagnando la nascita e lo sviluppo della civiltà romana. Per questo motivo i climatologi chiamano questo periodo “periodo caldo romano”.
La civiltà romana emerge dalle popolazioni indoeuropee di ceppo latino e sabino che popolavano il Lazio centrale e che vivevano a stretto contatto con la popolazione non indoeuropea degli Etruschi. A partire dal VII secolo a.C. questa civiltà si stacca nettamente dal contesto locale, sotto la guida, secondo la tradizione, di quattro re latini e sabini e di tre re etruschi e, successivamente, con un proprio originale ordinamento di tipo repubblicano. Si deve probabilmente alle condizioni climatiche favorevoli se Roma riuscì ad imporsi e a dare vita, nell’arco di pochi secoli, all’impero che segnerà per sempre la storia del mondo.

Civiltà vichinga

Un ultimo esempio della stretta correlazione esistente tra le condizioni climatiche e lo sviluppo delle civiltà umane riguarda la nascita e la crescita della civiltà vichinga.
Come si è visto, il tracollo climatico verificatosi intorno al 3000 a.C. ebbe l’effetto di arrestare bruscamente lo sviluppo della civiltà nordica. Ma tra il 750 e il 1100 d.C. la temperatura tornò a livelli più elevati. I ghiacciai terrestri e marini tornarono a ritirarsi rendendo nuovamente abitabili le latitudini nordeuropee. Grazie alle nuove favorevoli condizioni climatiche, in queste aree, e in particolare sulle coste della Scandinavia e della Germania settentrionale, si sviluppò la civiltà vichinga, che ebbe i suoi caratteri salienti nella navigazione e nella pirateria.
Approfittando del fatto che il Baltico e l’Atlantico del nord erano tornati ad essere sgombri dai ghiacci, i Vichinghi riuscirono a raggiungere e a colonizzare l’Islanda e la Groenlandia, che all’epoca doveva essere libera dai ghiacci, visto che fu chiamata “Gruenland”, ovvero “terra verde”. I Vichinghi giunsero anche a fondare almeno una colonia nel continente americano, sulla costa settentrionale dell’isola di Terranova, terra che essi chiamarono Vinland, come riferiscono le saghe nordiche. I resti della colonia vichinga di Vinland furono scoperti e riportati alla luce tra il 1960 e il 1968 dagli studiosi norvegesi Helge e Anne Stine Ingstad, che dimostrarono così come l’America fosse stata raggiunta dai Vichinghi quattro secoli prima di Colombo.
Ugo Spezia, 7 gennaio 2023, qui.

2. continua

E non è un caso che le prime civiltà fiorite nel mondo siano queste

e qualcosa di utile ci dice anche questo elenco delle dieci città più antiche, ossia della loro latitudine:

Aleppo, 13.000
Gerico, 12.000
Matera, 10.000
Çatalhöyük (Turchia), 9.500
Atene, 7.000
Ur, (Mesopotamia), 6.000
Uruk (idem), 5000
Damasco, 4.500
Gerusalemme, 4000
Varanasi (India) 3.500 (qui)

Ma “loro” continueranno pervicacemente a negare che freddo = miseria fame morte e caldo = vita e benessere perché, come noto, se i fatti non concordano con l’ideologia, vanno cancellati i fatti. E per curiosità ho digitato “caldo” in google immagini e ho trovato centinaia di immagini di sofferenza estrema, più qualche ricetta in lingua spagnola (in spagnolo brodo si dice caldo): niente villeggianti in spiaggia, niente giochi in acqua, niente gioiosi tramonti estivi, in estate nessuno è felice e nessuno sta bene; poi ho digitato freddo e, accanto ad alcune immagini di sofferenza ho trovato anche meravigliosi paesaggi innevati, facce sorridenti, pupazzi di neve, bambini felici… E non si può neanche dire che Quos vult Iupiter perdere dementat prius, perché qua i dementi stanno mandando in rovina noi.

barbara

LA GRAN PUTTANATA DELL’EMERGENZA CLIMATICA, PARTE PRIMA

e della sua pretesa origine antropica.

La verità sul clima? È sempre cambiato (e l’uomo non c’entra)

Il clima sulla Terra non è mai stato stabile e uguale a sé stesso, ma ha attraversato continue fasi di cambiamento. La temperatura media della Terra è aumentata e diminuita con il trascorrere del tempo e di questo continuo cambiamento abbiamo dimostrazioni scientifiche definitive nelle risultanze dei carotaggi effettuati nei ghiacciai e nei sedimenti oceanici.
I ghiacciai si sono formati progressivamente attraverso la deposizione di strati di neve. Ad ogni nevicata la neve ha trascinato con sé le sostanze che in quel momento erano presenti nell’atmosfera, intrappolando bolle d’aria aventi la composizione chimica e isotopica dell’atmosfera di allora. Queste bolle d’aria contengono anche impurità rappresentative del particolato sospeso nell’atmosfera. Le bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio sono dunque vere e proprie “capsule del tempo” che consentono di ricavare una grande mole di informazioni sulla composizione dell’atmosfera e del particolato e, attraverso questi dati, sulle temperature medie che regnavano sulla Terra nelle diverse epoche.
Ad ogni stagione invernale, durante la quale la neve si depositava, faceva seguito una stagione estiva durante la quale parte della neve depositata si scioglieva. Ma la maggior parte della neve caduta durava fino all’inverno successivo, quando era ricoperta da nuove nevicate. Gli strati di neve si sono così accumulati gli uni sugli altri. Ogni strato ha ricoperto il precedente intrappolando per sempre le sostanze che componevano l’atmosfera. Ogni strato ha aumentato la pressione sugli strati caduti in precedenza comprimendoli progressivamente e trasformandoli in ghiaccio compatto. Con il trascorrere dei millenni, lo spessore del ghiacciaio è aumentato fino a raggiungere, in alcune aree, migliaia di metri. Ogni strato del ghiacciaio ha conservato intatte le informazioni relative alla composizione dell’atmosfera, informazioni che sono oggi disponibili per studiare l’evoluzione del clima.

Carote di ghiaccio

Con una trivella cilindrica chiamata carotatrice è possibile scavare in profondità nel ghiacciaio portando in superficie il ghiaccio che lo costituisce: si ottengono in tal modo cilindri di ghiaccio del diametro di circa dieci centimetri e di lunghezza teoricamente illimitata, grazie all’estrazione di carote successive, ciascuna delle quali, singolarmente, può essere lunga fino a circa 35 metri. Le carote sono poi tagliate in sezioni lunghe un metro che sono racchiuse in cilindri di metallo, a loro volta depositati, ordinati secondo la profondità di estrazione, in magazzini refrigerati in cui la temperatura è mantenuta a – 36 °C.
Ogni strato delle carote di ghiaccio contiene campioni dell’atmosfera che esisteva all’epoca in cui lo strato si è formato. Studiando la composizione delle minuscole bolle d’aria si riesce a ricostruire la temperatura media che regnava sulla Terra nel periodo in cui lo strato di ghiaccio si è formato.
I siti in cui si estraggono e si studiano le carote di ghiaccio si trovano in tutte le zone fredde.
Alcuni di essi si trovano in Groenlandia. Uno di questi siti, denominato GISP2, ha consentito di estrarre e studiare strati di ghiaccio formatisi tra il presente e circa 130 mila anni fa.
Altre ricerche sulle carote di ghiaccio sono state effettuate nell’ambito del progetto EPICA (European Project for Ice Coring in Antarctica), un consorzio di dieci paesi finanziato dall’Unione Europea che ha portato a termine tra il 1996 e il 2003 una perforazione nel ghiaccio antartico profonda tre chilometri il cui strato più antico risale a 740 mila anni fa.

Sedimenti oceanici

Informazioni sull’evoluzione del clima della Terra possono essere estratte anche dal carotaggio dei sedimenti oceanici. In questo caso si studia la stratificazione del materiale fine che si deposita con continuità sul fondo degli oceani fino a costituire strati dello spessore di migliaia di metri. All’interno di questi sedimenti si conservano limi di origine minerale e biologica che intrappolano i resti dei microorganismi che un tempo vivevano nelle acque degli oceani e sui fondali marini. Analizzando lo spessore e la composizione dei singoli strati e la composizione isotopica dell’ossigeno e del carbonio contenuti nei microrganismi, i ricercatori sono in grado di ricostruire in modo dettagliato i cambiamenti climatici avvenuti nel corso degli ultimi 66 milioni di anni.
La carota denominata “MD012443”, campionata nell’Atlantico in corrispondenza del Margine Iberico, ha consentito di ricostruire un profilo della temperatura media dell’oceano relativo agli ultimi 400 mila anni, profilo che è risultato praticamente identico a quello ricavato per il medesimo periodo dall’analisi delle carote di ghiaccio antartico estratte nell’ambito del progetto EPICA.

Evoluzione del clima

I dati derivanti dallo studio delle carote di ghiaccio e dei sedimenti marini consentono di avere informazioni sull’evoluzione del clima terrestre. In particolare, l’analisi delle carote di ghiaccio GISP 2 estratte in Groenlandia ha consentito di ricostruire l’andamento della temperatura media atmosferica dalla fine dell’ultima glaciazione, conclusasi circa diecimila anni fa, ad oggi.
Nel diagramma, l’andamento della temperatura media annuale è espresso come “anomalia termica”, ovvero come allontanamento della temperatura media annuale (linea blu) dalla temperatura media dell’intero periodo post-glaciale (linea rossa). In altri termini, il diagramma evidenzia di quanti gradi centigradi, nel corso del tempo, la temperatura media annuale si è allontanata, in più o in meno, dal valore medio post-glaciale, posto convenzionalmente pari a 0 °C.
La prima considerazione che possiamo esprimere è che, a partire dalla fine dell’ultima glaciazione, la temperatura media annuale ha oscillato intorno alla temperatura media con variazioni aventi un’ampiezza complessiva di 1,5 °C. Per quanto ampie possano essere state le variazioni climatiche che si sono verificate nel periodo post-glaciale, esse non hanno mai determinato temperature medie annuali al di fuori di questo ristretto intervallo. È una circostanza, questa, che può essere letta in modo allarmante o rassicurante. In chiave pessimistica, si può dire che una variazione limitata a 1,5°C può causare catastrofi climatiche; in chiave ottimistica si può affermare che, negli ultimi diecimila anni, anche la variazione climatica più estrema non ha comportato variazioni della temperatura media eccedenti di più di 1,5 °C la temperatura attuale.

“Mai così caldo”?

La seconda considerazione è che, come mostrano i dati, oggi non ci troviamo affatto in un periodo caratterizzato da temperature medie annuali particolarmente elevate. Anzi, è vero il contrario. Considerando l’andamento delle temperature negli ultimi 3.500 anni, periodo che coincide con l’intera epoca storica, notiamo che le temperature medie annuali sono diminuite complessivamente di circa 1 °C.
Le temperature medie annuali sono aumentate e diminuite più volte toccando un massimo intorno al 1300 a.C., un minimo intorno al 750 a.C., un nuovo massimo intorno al 100 a.C., un nuovo minimo intorno al 700 d.C. e un nuovo massimo intorno all’anno 1000 d.C..
Dall’anno 1000 in poi la temperatura media annuale è diminuita fino all’anno 1850 e solo successivamente a quella data ha ripreso a crescere, rimanendo tuttavia al di sotto della temperatura media post-glaciale.
Durante tutta l’epoca storica (dal 1500 a.C. ad oggi) il trend delle temperature medie annuali (linea azzurra tratteggiata nel grafico) evidenzia un netto calo, che colloca la temperatura attuale al di sotto della media post-glaciale di circa 0,3 °C.
La terza considerazione è che le temperature medie attuali sono certamente superiori a quelle degli anni intorno al 1850, ma restano ben al di sotto delle temperature più elevate raggiunte in passato. Questa circostanza fa giustizia di quanto si legge spesso a proposito delle temperature che non sarebbero mai state così calde.
Se dunque è vero che i cambiamenti climatici ci sono (ma ci sono sempre stati, anche prima dell’era industriale) essi non sono affatto liquidabili come un “riscaldamento globale”: quello attualmente in corso è un riscaldamento che sta ponendo fine ad un lungo periodo di raffreddamento (quello che i climatologi hanno chiamato “piccola età glaciale”) e che tende a far risalire la temperatura media annuale verso il valore medio post-glaciale, che non è stato ancora raggiunto.
Ugo Spezia, 7 gennaio 2023, qui, con i grafici.

1. continua

Fra i commenti ho trovato questo, magnifico, di tale NitFo

Il primo grafico non mente, è sempre colpa dell’uomo: l’ultima impennata fuori controllo delle temperature, addirittura +12 gradi, è avvenuta 150.000 anni fa. Guarda caso proprio quando l’uomo ha iniziato ad accendere sistematicamente fuochi davanti alle caverne, facendo impennare le emissioni di CO2. A quei tempi alcuni ecofessi volevano vietare l’accensione dei fuochi, starnazzando “non c’è più tempo!” e gettando succo di bacche per deturpare le pitture rupestri. Avrebbero condannato la razza umana a una non evoluzione e a grugnire per sempre nelle caverne.
Per fortuna, le persone a quei tempi erano molto più intelligenti di oggi.

E poi propongo questa riflessione, di puro buon senso

Giovanni Bernardini

ESTREMO

E’ mattina presto. Come tutti i diversamente giovani sono piuttosto mattiniero [facciamo quasi tutti, va’]. Sorseggio il caffè ed intanto guardo distrattamente la TV, in attesa del primo notiziario. Uno spot pubblicitario attira la mia attenzione. Ci invitano a comprare una stufa elettrica. “Vi tiene caldo anche durante i fenomeni climatici estremi”, sussurra una voce sensuale. E sul teleschermo appaiono le immagini della neve che cade, lenta lenta.
Ecco, una nevicata sarebbe un “fenomeno climatico estremo”!
Tutto è ormai “estremo”. Il freddo come il caldo. La pioggia come la siccità, la neve come la sua assenza.
Per non essere “estremo” il clima dovrebbe essere perfettamente a misura d’uomo. Dovrebbe nevicare solo sulle piste da sci, piovere, leggermente, solo sui campi coltivati ed il vento dovrebbe ridursi a piacevole brezza. Tutto ciò che non quadra con questa melassa climatica è qualificato “estremo” ed addebitato all’”umana follia” ed al “consumismo compulsivo”.
Nessuno è sfiorato dal dubbio che il concetto di “estremo” si riferisce a valori ed esigenze umane nei confronti delle quali la natura è assolutamente indifferente. Per NOI un uragano o un terremoto sono qualcosa di “estremo”, ma a ben vedere le cose si tratta di normalissimi fenomeni naturali. Spiacevoli, addirittura tragici per noi, è vero, ma chi lo ha detto che la natura debba sempre e comunque esser “piacevole” per noi?
Se il dibattito sui mutamenti climatici si liberasse della insopportabile melassa ideologica che oggi lo caratterizza si potrebbe cominciare ad affrontare seriamente i problemi. Sarebbe un gran bel passo avanti.

Il paragone che mi viene più ovvio, per la religione dell’emergenza climatica, è con la religione islamica: una religione fondamentalista, estremamente pericolosa, assolutista, che si manifesta con il lavaggio del cervello, che si realizza attraverso il martirio degli adepti e i sacrifici umani dei miscredenti, che usa come strumento per diffondersi il terrorismo, che a qualcuno costa moltissimo in termini economici, e a qualcun altro rende moltissimo al cubo. Se non ci ribelliamo in massa verremo sommersi, e in questo sì che il conto alla rovescia corre a velocità folle.

barbara