QUEI VIDEO STRAPPALACRIME

Prima guardatelo, poi vi dico.

La madre muore di parto e il cuore viene donato al ragazzo con la maglietta nera. Vedi la reazione del bambino… emozionante

Prima considerazione: il bambino avrà sicuramente almeno un mese, se non altro per dare tempo al trapiantato (vero che non si direbbe?) di riprendersi: per un mese intero ha sempre continuato a piangere, sempre sempre sempre? Seconda considerazione: per tutto quel mese è stato circondato da persone che continuavano a passarselo di mano in mano ogni dieci secondi senza dargli un attimo di tregua (e ci credo che non smette di piangere povera creatura)? Terza considerazione: il bambino da dentro la pancia impara a riconoscere un pezzo di carne o il ritmo di un battito? E un cuore batte sempre con lo stesso ritmo in qualunque corpo si trovi? Conclusione: ma questa gente è così incapace di vedere tutte le cose commoventi VERE da avere bisogno di inventarsele, e così privi di fantasia da inventare simili cagate da una parte, e da commuoversi a guardarle dall’altra?

barbara

LA PAPESSA

No, non Giovanna: Asia. Argento, naturalmente. Che dimostra quanto avessero ragione i nostri antichi saggi a sostenere che la parola è d’argento e il silenzio è d’oro. Le sue parole – chiamiamole così – ve le faccio raccontare da questo pacato e misurato articolo.

Ora, stravolgiamo un attimo la consecutio giornalistica: per una volta facciamo una premessa e poi i fatti, perdonateci. Si può criticare quello che ha fatto Asia Argento o d’ora in poi qualsiasi cosa viene detto contro quello che dice o fa (attenzione, non contro di lei) viene considerato sessismo, violenza di genere e “Weinstein-style”? Ora i fatti, e capirete il perché di questa premessa: dopo aver cavalcato tra le prime la denuncia anti-Weinstein in quella che nel giro di poche settimane è divenuta “Molestopoli”, l’attrice provocatrice e figlia di Dario Argento ha partecipato e condotto durante il Torino Film Festival un rituale satanico-demoniaco di chiara dimensione blasfema. Era molto attesa la bella Asia dopo le polemiche per le violenze sulle donne, gli attacchi alla stampa e alla politica e la conseguenze “fuga” in America, per il grande ritorno in Italia. E invece… ha preso parte al misterioso (e misterico) Trabalho de Concentracao (una sorta di rito pagano) diretto dal regista Bertrand Bonello che di fatto metteva cd in sottofondo e osservava il dispiegarsi delle “scene” ben poco originali. Un misto di rituali pagani, provocazioni blasfeme e “luoghi comuni” contro la fede cristiana che a bizzeffe se ne ritrovano su YouTube. Lei, la regina della performance, è in mezzo ad altre “ancelle” con gli occhi chiusi e le mani sulle ginocchia: all’improvviso inizia ad intonare un canto per invocare una “particolare divinità”. «Lady Lesbian Jesus come, and rise the dead», che tradotto per i meno anglofoni risuona come “Signora Gesù Lesbica, vieni tra noi e resuscita i morti”.

DÀ ANCHE LA COMUNIONE PAGANA

Lo spettacolo, se così si può chiamare, dovrebbe essere un richiamo horror e uno sberleffo contro la religione: ma l’atmosfera è confusa, per come la racconta oggi il Fatto Quotidiano, «e dopo circa 20 minuti dall’inizio, lo spettacolo tocca il punto più alto: dopo la benedizione di incensi, liquidi e candele, gli adepti si mettono in fila per ricevere la comunione pagana, che permette di liberarsi dai mali». Eh sì, il rito prevedeva anche questo: una Asia “papessa” che si faceva segnare il segno della croce come gli antichi cavalieri celtici e poi distribuiva “ostie” blasfeme in cui la carne di Cristo veniva “tramutata” in un passe-partout per liberarsi da presunti mali. Asia Argento appare stanco dopo tutto quello sforzo emotivo, quella trance imposta e subita, quello spettacolo preparato “ad arte” per stupire: «Per la libertà di tutti gli spiriti, chiosa l’attrice esausta al microfono. «Donne, uomini, bimbi. Per portare pace qui». Ecco, ha stupito poco più di 80 persone, di cui la maggior parte con l’accredito stampa essendo all’interno di una manifestazione cinematografica. Insomma, noi non eravamo lì, ma forse basta questo per capire che la chiusura più degna a questa arte-flop l’avrebbe fornita il compianto ragioner Fantozzi. «Questo Trabalho de Concentracao è una….», beh, continuate voi con l’immaginazione.

Niccolò Magnani, 01 dicembre 2017, qui.

Se invece preferite qualcosa di più tosto, andate a leggere dagospia, con un significativo video e altrettanto significative immagini della nostra pulzella.
E poi scusate, ma bisogna proprio che lo dica: così penzolanti non le ho neanche io a sessantasei anni.
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barbara

IL MOMENTO È DELICATO

Questo libro ce l’ho perché me lo hanno dato in omaggio su non ricordo quale acquisto. Sono sedici racconti. C’è quello che non ha il coraggio di presentarsi all’esame perché non ha studiato e poi non ha il coraggio di presentarsi a casa e allora va sul Tevere e guarda uno che pesca che poi gli regala due buste di pesci e lui li porta alla sua ragazza e dice che vuole sposarla e lei si arrabbia perché a ventisei anni non è neanche capace di prendersi la responsabilità di dare un esame e allora lui riprende il motorino e va a Ostia per liberare i pesci ma poi si ricorda che sono di acqua dolce e allora li butta in una fontana. E c’è quello che sa che sarà bocciato e allora prende il treno per andare a Genova a imbarcarsi e sul treno incontra una ragazza che ha la fobia del buio e a cui piace studiare e poi siccome lei conosce Genova e lui no lo accompagna al porto. E c’è quella che adora fare pompini ma poi le dicono che all’università è famosa per fare pompini a tutti e la chiamano idrovora e allora decide di non farne più e da questa decisione nasce un casino pazzesco con un sacco di morti ammazzati. E c’è il cantante famoso che sente bussare e pensa che sia un fan e invece è un’aragosta gigante che gli entra dentro e lo fa stonare in maniera orribile. E c’è il chirurgo plastico strafatto di coca che pensa di avere la polizia alle calcagna per via delle quantità industriali di cocaina che ha e allora ne nasconde un sacchetto intero nella tetta dell’attrice famosa al posto del silicone e poi per recuperare il malloppo escogita un piano che a lui sembra geniale e invece finisce per ammazzarla e la cocaina non la recupera lo stesso.
Poi c’è anche mezza pagina divertente quando il marito fedifrago per cancellare le tracce dell’unico ma molto consistente tradimento praticamente distrugge mezza casa, e questo è tutto.
E in più bestemmia.

Niccolò Ammaniti, Il momento è delicato, Mondadori
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barbara

 

O GENTILONI, CI SEI O CI FAI?

Immaginate che qualcuno dica: “Siccome so benissimo che Chessman non è l’uomo della luce rossa, se il mese prossimo mi chiedono di rivotare, voto per la sua innocenza”. Peccato che il mese prossimo non ci sarà nessunissima votazione, perché il processo è concluso, la sentenza è stata pronunciata e Chessman ha finito di respirare nella camera a gas.
Ecco, ora il nostro ineffabile ministro Gentiloni ci racconta che “Se le stesse proposte ci saranno ripresentate ad aprile, il governo italiano passerà dall’astensione al voto contrario”. Ma vede, tesorodolce, ad aprile non verranno ripresentate le stesse proposte, perché quelle proposte lì sono già state presentate, e sono già state votate e, grazie anche a lei, sono state approvate. Perché mai dovrebbero essere ripresentate? E le parole del signor Gentiloni non sono, come è stato scritto, “Parole ferme e inequivocabili”, bensì parole da corazzata Potiomkin.
(e se qualcuno mi riprende l’articolo e se lo pubblica senza citarmi, vado lì e gli frantumo i gioielli di famiglia)

barbara

I PIÙ STRANI RITI DI TUTTO IL MONDO

Dove si apprende che praticamente fino ai nostri nonni il cannibalismo rituale e non solo rituale è stato intensamente praticato in tutto il mondo, da stupirsi perfino che l’umanità ne sia sopravvissuta. E che praticamente non c’è nostra abitudine, dal banchetto funebre alle feste in famiglia, che non sia una sorta di cannibalismo simbolico. E poi racconta di cose strane che succedono in giro per il mondo, da immolazioni rituali a omicidi rituali di vario genere, evirazioni, con fonti come “ha riferito un viaggiatore”, “racconta un antropologo”, “riporta un articolo di una rivista”, “un missionario ha sentito dire”, “a un diplomatico inglese è accaduto”…
Insomma, il libro fa cagare; quindi, visto che mi sono sacrificata io, voi ve lo potete risparmiare.

Jacques Marcireau, , Mondadori
strani riti
barbara

SPUBBLICITÀ PROGRESSO

Quando vivevo nel domani

Proposta per un sottotitolo: “Perché la merda esiste: sappiatelo”.

L’ebreo avido, l’ebreo imbroglione, l’ebreo opportunista, l’ebreo insensibile, l’ebreo rozzo, l’ebreo cinico, l’ebreo sporcaccione, l’ebreo incivile, l’ebreo tonto, l’ebreo terrorista … Gli ebrei sgradevoli esistono, naturalmente – chi di noi non ne ha incontrati? – e anche gli ebrei farabutti: non è certo questo il problema. Il problema è che Linda Grant sembra ignorare totalmente l’esistenza di ebrei di altro tipo, e infatti solo ebrei di questo genere incontriamo nel suo romanzo, quasi interamente ambientato nella Palestina mandataria del 1946, alla vigilia della nascita dello stato di Israele. Per fortuna, anche nel peggiore degli ebrei può accadere che sopravviva un rimasuglio di umana coscienza, e così i nostri ebrei, se non altro, sono in grado di riconoscere “il grande male che abbiamo inflitto agli arabi rubando loro la terra”, “l’atteggiamento colonialista, identico a quello dei britannici”, “l’abominevole patriottismo”, “l’agghiacciante arroganza” e, verso la fine del romanzo, ai giorni nostri, “abbiamo distrutto Beirut” e “le testimonianze dei palestinesi sulle atrocità commesse dal nostro esercito. Storie strazianti. A volte le porta a casa per farmele leggere, ma io non riesco granché a tollerarle: mi viene il vomito a pensare che qualcuno possa fare certe cose, specialmente se è un ebreo”. C’è anche un “incidente” provocato dalla controparte: “Hamas ha messo un ordigno in un caffè e l’esplosione ha fatto schizzare frammenti di dolci in tutto il quartiere”, così sul muro è rimasta una macchia oleosa.
Quanto al romanzo, se fosse un tema scolastico scriveremmo: “Tema piuttosto confuso e sconclusionato”: la storia si trascina per un po’ in una certa direzione, poi l’abbandona per prenderne un’altra lasciando parecchi conti in sospeso, che non saranno saldati mai più per concludersi, senza alcun nesso con alcunché, con un’imprecazione contro “questo maledetto clima” di Israele.
Evitare accuratamente di regalarlo a chi non sia già antisemita di suo: potrebbe fare danni irreparabili. Evitare accuratamente anche di leggerlo se si è deboli di stomaco: sempre per via dei suddetti irreparabili danni.

barbara

POICHÉ DETESTO LE BUFALE

E soprattutto quando oltre ad essere delle bufale sono anche delle mastodontiche vaccate, talmente cretine che ti chiedi come sia possibile che qualcuno si beva simili stronzate, ogni tanto mi diverto a farne a pezzi una. Oggi vi tocca questa.

Dolci momenti

Quando nasce un bambino è già nata un’emozione

Nel cuore di ciascuno di noi c’è una “voce che sa”,
nel cuore?! Ah già, è vero: avremmo giurato che questa roba avesse a che fare col cervello, ma Aristotele ci garantisce che parte tutto dal cuore, quindi dev’essere senz’altro così che stanno le cose

una canzone capace di ricordarci ciò che più apprezziamo e desideriamo, qualcosa che sapevamo fin dalla nostra infanzia.
Noi tutti tutti? Sette miliardi e rotti più tutti quelli di prima a partire da Neanderthal? Compreso Hitler? Compreso Idi Amin Dada che conservava le teste dei nemici nel frigorifero? Compresi i sordomuti che la musica non la conoscono?

In Africa orientale
Primo inconfondibile marchio di fabbrica della bufala: in Africa orientale dove? Egitto? Sudan? Eritrea? Gibuti? Etiopia? Somalia? Kenia? Tanzania? Mozambico? Guai a precisare dove, non sia mai che possa capitare qualcuno in grado di dire io là ci sono stato e questa puttanata non l’ho mai sentita

c’è una tribù
secondo inconfondibile marchio di fabbrica della bufala: quale tribù? Da quando in qua le tribù sono anonime? Solo che a fare un nome potrebbe capitare qualcuno a dire io quella tribù la conosco benissimo e lì questa puttanata non esiste. E, ovviamente, guai a fare il nome dell’antropologo che avrebbe documentato questa cosa (in uno dei vari siti in cui si trova questa storia, il rito viene attribuito alla tribù Himba – di circa 12.000 membri – residente in Namibia, ossia nell’Africa Occidentale, e costituita da pastori nomadi. In nessuno studio sulla tribù Himba è fatto cenno all’usanza di cui qui si parla)

che crede che questa canzone esista prima ancora della nascita. In quella tribù, la data di nascita di un bambino non è il giorno in cui viene al mondo e neppure il giorno del suo concepimento, come accade in altre tribù,
davvero queste tribù africane analfabete sanno calcolare il momento del concepimento? E hanno delle date, ossia un calendario? E addirittura una “data di nascita”? Magari anche un Ufficio Anagrafe in mezzo alla foresta tra l’oleandro e il baobab? Io in Somalia ho conosciuto un sacco di gente che non aveva la più pallida idea di quanti anni avesse, per non parlare di una roba marziana come una “data di nascita”…

ma l’attimo in cui nella mente della madre è nato il pensiero di quel bambino. Conscia della propria intenzione di concepire un figlio con un certo uomo, la madre va nella boscaglia e si siede sotto un grande albero. Rimane seduta e ascolta attentamente fino a quando ode la canzone del bambino che spera di mettere al mondo.
Quindi in questa fantomatica tribù non esistono bambini nati per sbaglio, non esistono persone che cedono alla tentazione di una botta di ormoni e si ritrovano in attesa di un figlio senza averne prima cercato la canzone, nessuno fa l’amore se non ha già programmato di avere un figlio e trovato la “sua canzone”. Resterebbe poi da capire se questo “certo uomo” con cui la donna ha deciso di concepire un figlio sia stato informato di questa sua intenzione. Resterebbe da capire se sia previsto il suo consenso. Resterebbe da capire che cosa succede quando, dopo avere avuto un figlio, la donna decide di averne un altro: va di nuovo nella boscaglia per trovare la sua canzone seduta sotto un grande albero (grande, mi raccomando, se no la canzone non arriva), e nel frattempo dell’altro figlio chi si occupa? Del marito chi si occupa? E se una coppia è sterile, cosa ne è della canzone trovata a cui non segue un bambino? O forse le coppie sterili lì non esistono?

Dopo averla udita, torna al villaggio e la insegna a colui che sarà il padre, così potranno cantarla insieme mentre faranno l’amore,
cioè, questi qui mentre scopano cantano? Tutto il tempo? E in tutte le capanne del villaggio tutti scopano cantando e tutto il villaggio sa chi sta scopando e deve assistere in diretta a tutti i trombamenti di tutti? Porca zozza!

invitando il bambino a unirsi a loro.

Dopo il concepimento la donna canta la canzone al bimbo che porta in grembo, poi la insegna alle donne anziane che faranno da levatrici, così che durante il travaglio e nel momento miracoloso della nascita il bambino venga salutato con la sua canzone.
Quindi lì non esistono aborti e nessun bambino nasce morto.

Dopo ogni nascita, tutti gli abitanti del villaggio
villaggio? Non era un’intera tribù?

imparano la canzone del nuovo membro della tribù
cioè, quanti membri ha questa tribù? Cinquecento? Mille? Tremila? E ognuno di loro sa tutte le canzoni di tutti gli altri? E se le ricorda per tutta la vita? E non sbaglia mai la canzone di uno con quella di qualcun altro? Cazzarola!

e gliela cantano quando cade o si fa male.
Quindi in quella tribù non succede mai che due persone si facciano male contemporaneamente, visto che intorno a ogni persona che si fa male ci sta tutta la tribù a cantare la sua canzone.

La canzone viene cantata anche nei momenti di trionfo, durante i rituali e le iniziazioni. Quando il bambino diventa adulto la canzone entra a fare parte del cerimoniale del suo matrimonio, e alla fine della sua vita i suoi cari si raccolgono intorno a lui e gliela cantano per l’ultima volta.
E naturalmente tutta questa tribù vive di rendita, visto che sono tutti impegnati costantemente a cantare per ogni persona del villaggio che nasce, che cade, che si fa male, che fa qualche cosa di bello, che fa qualche cosa di brutto, che è felice, che è triste, che si sposa, che muore (a proposito: perché per tutta la vita canta tutta la tribù mentre quando crepa cantano solo “i suoi cari”?)

Visto il rispetto che le viene tributato, anche noi desidereremmo profondamente udire quella canzone
? Noi chi? No, scusate, ma se state cercando di chiamarmi in causa avete sbagliato indirizzo

perché ci faccia da guida nella vita. Purtroppo, però, siamo stati distratti e trascinati sulla “piazza del mercato”.
Tutti noi sette miliardi e rotti tranne quella “tribù” dell’ “Africa Orientale”?

Le nostre esistenze sono complicate, viviamo in un mondo dominato dal materialismo, dall’ambizione, orientato verso ciò che è esteriore, e non sappiamo più ascoltare.
Soprattutto gli aborigeni dell’Australia e i pigmei delle foreste dell’Africa centrale: un materialismo, guarda, un consumismo, un’esteriorità che se non avessi visto coi miei occhi non riuscirei a crederci.

E’ difficile essere in contatto con il cuore quando si è troppo occupati.
Eccerto: lo sanno tutti che i popoli primitivi delle foreste e delle savane hanno molto meno da fare di noi, anzi, a dirla tutta, non hanno un cazzo da fare dalla mattina alla sera. Posso dire vaffanculo? Ok: VAFFANCULO. E posso dire anche andate a cagare? Ok: ANDATE A CAGARE.

Da: “Il libro del cuore”, R. Carlson e B. Shield, Ed. Sperling & Kupfer (qui)

barbara

L’ISOLA DEL GIORNO PRIMA

Il troppo stroppia, lo dicevo sempre ai miei scolari: ragazzi, non lasciatevi attrarre dalla tentazione di dire tutto quello che sapete su un argomento per mostrare quanto siete bravi, perché l’unica cosa che ne può venire fuori è una schifezza terrificante. E questo libro di Eco è la prova più lampante di quanto avessi ragione. Qui c’è troppo di tutto: interminabili infilate di parole dotte e inusuali, interminabili infilate di pagine di disquisizioni teoriche praticamente sul nulla, interminabili infilate di pagine di dettagli sui meccanismi degli oggetti via via incontrati (che non riescono, comunque, a far capire come diavolo siano fatti), interminabili infilate di pagine di elucubrazioni che più contorte non si potrebbe immaginare (leggi: seghe mentali), interminabili infilate di pagine che raccontano una storia che non è mai avvenuta ma che il protagonista immagina possa avvenire intorno al suo fratellastro che lui sa benissimo non essere mai esistito… Dove la parola chiave è “interminabili”. Nel senso che proprio non riesci a terminarle, all’inizio ci provi, ti impegni, ti sforzi, ce la metti tutta, ma alla fine ti devi arrendere all’evidenza: non è nelle possibilità umane leggere fino in fondo quella roba, per cui dopo un po’ prevale il senso pratico, e quando arrivi all’inizio di uno di questi brani guaniformi, prendi e salti, mezza pagina, una pagina, quattro pagine… Il tutto per raccontare una specie di storia senza capo né coda, fabbricata (è l’unica spiegazione che si riesce a trovare) come pretesto per mostrare quanto è bravo e quante cose sa.
In una recente occasione, pur lasciandolo chiaramente capire, avevo evitato di usare direttamente l’espressione, ma qui è proprio impossibile evitarla: questo libro è una cagata pazzesca.

Umberto Eco, L’isola del giorno prima, Bompiani
isolagiornoprima
barbara

IL ROSSO E IL BLU

Che sono i colori con cui una volta si segnavano, rispettivamente, gli errori lievi e quelli gravi. Ed è anche il titolo di un libro sulla scuola di cui tutte le recensioni dicevano cose strepitose, anzi è talmente piaciuto che ci hanno anche fatto un film, e così l’ho comprato. Beh, è una mastodontica ciofeca (a voi, per dirne una, risulta che vent’anni fa la gente comprava le Lacoste e poi staccava il coccodrillino perché a mostrare che avevano una maglietta da un sacco di soldi avevano paura di fare la figura dei burini?) (A voi, per dirne un’altra,  capita di nominare Charlie Chaplin in una classe delle superiori e trovare che nessuno lo ha mai sentito nominare?). Una mastodontica ciofeca, ho detto; però devo confessare che la tentazione di usare l’espressione villaggiana sulla corazzata Potëmkin è stata forte. Molto forte.

barbara