GUERRA, IL PUNTO DELLA SITUAZIONE

LARRY C. JOHNSON: “L’ESERCITO UCRAINO È STATO SCONFITTO – ORA BISOGNA SOLO ELIMINARE LE ULTIME SACCHE DI RESISTENZA”

Il signor Borrell lo ha detto molto chiaramente: niente compromessi, niente colloqui, niente accordi, niente trattati: la questione si deciderà sul campo di battaglia (ma com’era quella storiella che l’Unione Europea era nata per impedire le guerre? E, a parte questo, che cosa ha a che fare la UE con le questioni fra due stati che non ne fanno parte?); quindi la risposta alla domanda “quando finirà la guerra?” è: o la Russia riuscirà a mettere l’Ucraina in ginocchio al punto da costringerla alla resa incondizionata, come Germania e Giappone nel ’45; oppure grazie alle armi che le inviamo l’Ucraina riuscirà a resistere, e allora prima o poi la Russia supererà un qualche filo rosso stabilito a suo unico e insindacabile giudizio dalla NATO, e se non lo farà basterà inventarsi qualcosa che tanto il popolo bue è disposto a bersi qualunque puttanata purché sia contro l’Anticristo Russo, e allora interverrà direttamente la NATO, molto probabilmente la Cina si vedrà costretta a mobilitarsi a fianco della Russia, e il mondo intero si troverà automaticamente in guerra. Nucleare, beninteso. E non finirà fino a quando non riusciranno a mettere la Russia in ginocchio al punto da costringerla alla resa incondizionata. Nel frattempo l’Ucraina sarà comunque ridotta a un unico ammasso di macerie e a un unico sterminato cimitero – più o meno come l’Italia bombardata sia dai tedeschi che dagli alleati. Io mi auguro caldamente che si realizzi il primo scenario, e credo che ci siano buone ragioni per ritenere realistica la possibilità di vittoria della Russia. Che ovviamente non ha la minima intenzione di ridurre in ginocchio l’Ucraina, ma vista la ferrea determinazione di America+NATO+UE di portarla a questo, potrebbe essere costretta ad arrivarci.
E ora vediamo le considerazioni di qualcuno che alla propaganda e ai proclami e alle chiacchiere da bar preferisce quell’odiatissima cosa che sono l’osservazione e il porsi domande.

Domanda 1– Può spiegarmi perché pensa che la Russia stia vincendo la guerra in Ucraina?
Larry C. Johnson [ex analista presso la C.I.A.)– Nelle prime 24 ore dell’operazione militare russa in Ucraina, l’operatività dei radar ucraini con base a terra è stata ridotta a zero. Senza quei radar, l’aviazione ucraina ha perso la possibilità di eseguire intercettazioni aria-aria. Nelle tre settimane successive, la Russia ha stabilito una No Fly Zone de facto sull’Ucraina. Anche se è ancora vulnerabile ai missili spallati terra-aria forniti agli Ucraini dagli Stati Uniti e dalla NATO, non ci sono prove che la Russia abbia dovuto ridurre il numero dei propri attacchi aerei.
Quello che mi ha colpito è stato l’arrivo dei Russi nei sobborghi di Kiev entro tre giorni dall’invasione. Mi sono ricordato che i nazisti nell’operazione Barbarossa avevano impiegato sette settimane per raggiungere Kiev e altre sette settimane per conquistare la città. I nazisti avevano il vantaggio di non doversi trattenere per evitare vittime civili, anzi erano ansiosi di distruggere le infrastrutture critiche. Eppure, molti cosiddetti esperti militari americani avevano sostenuto che la Russia si fosse impantanata. Quando una colonna di mezzi militari lunga 24 miglia (o 40 miglia, secondo la fonte della notizia) era rimasta ferma a nord di Kiev per più di una settimana, era diventato chiaro che la capacità dell’Ucraina di lanciare operazioni militari significative era stata eliminata. Se la loro artiglieria fosse stata ancora intatta, quella colonna [immobile] sarebbe stata un facile bersaglio per una totale distruzione. Questo non è successo. Se poi gli Ucraini avessero avuto mezzi aerei ad ala fissa o rotante ancora operativi, avrebbero dovuto distruggere quella colonna dall’aria. Questo non è successo. Oppure, se avessero avuto la possibilità di lanciare missili da crociera avrebbero potuto scatenare l’inferno sulla colonna russa, presumibilmente in stallo. Questo non è successo. Gli Ucraini non hanno nemmeno utilizzato la fanteria per attaccare la colonna con i Javelin anticarro appena arrivati dagli Stati Uniti.
La scala e la portata dell’attacco russo è notevole. In tre settimane hanno catturato un territorio più esteso del Regno Unito. Poi hanno iniziato ad effettuare attacchi mirati a città chiave e a installazioni militari. Non abbiamo visto un solo caso in cui un reggimento ucraino o un’unità della dimensione di una brigata abbia attaccato e sconfitto un’unità russa comparabile. Invece, i Russi hanno diviso l’esercito ucraino in piccole unità e hanno tagliato le loro linee di comunicazione. I Russi stanno consolidando il controllo di Mariupol e controllano tutti i porti sul Mar Nero. L’Ucraina è completamente isolata a sud e a nord.
Vorrei far notare che in Iraq, nel 2003, gli Stati Uniti avevano avuto molte più difficoltà a mettere sotto controllo un territorio equivalente, mentre combattevano contro una forza militare molto inferiore e meno valida. Se non altro, questa operazione russa dovrebbe spaventare a morte i leader militari e politici degli Stati Uniti.
La vera grande notizia è arrivata questa settimana con gli attacchi missilistici russi su quelle che erano, di fatto, basi NATO a Yavoriv e Zhytomyr. A Zhytomyr, nel settembre 2018, la NATO aveva organizzato un seminario sulla sicurezza informatica e aveva descritto l’Ucraina come un “partner NATO.” Zhytomyr è stata distrutta con missili ipersonici sabato. Yavoriv ha subito la stessa sorte domenica scorsa. Era il principale centro di addestramento e logistico che la NATO e l’EUCOM usavano per fornire armi e combattenti all’Ucraina. Nella base si sono avute molte perdite tra il personale militare e civile.
Non solo la Russia ha colpito e distrutto le basi che la NATO usava regolarmente dal 2015, ma non c’è stato alcun avvertimento per il raid aereo e nessuna intercettazione dei missili in arrivo.

Domanda 2– Perché i media stanno cercando di convincere il popolo ucraino che il loro esercito può uscire vittorioso nella loro guerra contro la Russia? Se quello che dice è corretto, allora tutti i civili che vengono mandati a combattere l’esercito russo, stanno morendo in una guerra che non possono vincere. Non capisco perché i media vogliano ingannare la gente su una cosa così seria. Cosa ne pensa della situazione?
Larry C. Johnson– Questa è una combinazione di ignoranza e pigrizia. Piuttosto che fare un vero reportage, la stragrande maggioranza dei media (cartacei ed elettronici) così come Big Tech stanno sostenendo una massiccia campagna di propaganda. Ricordo quando George W. Bush era Hitler. Ricordo quando Donald Trump era Hitler. E ora abbiamo un nuovo Hitler, Vladimir Putin. Questo è un copione vecchio e stantio. Chiunque osi sollevare domande legittime viene immediatamente accusato di essere un burattino di Putin o un tirapiedi della Russia. Quando non si possono discutere i fatti, l’unica risorsa è la calunnia.

Domanda 3– La settimana scorsa, il colonnello Douglas MacGregor è stato ospite del Tucker Carlson Show. Le sue opinioni sulla guerra sono sorprendentemente simili alle vostre. Ecco cosa ha detto nell’intervista:
“La guerra è davvero finita per gli Ucraini. Sono stati fatti a pezzi, non c’è dubbio su questo, nonostante quello che sentiamo dai nostri media mainstream. Quindi, la vera domanda per noi a questo punto è, Tucker, abbiamo intenzione di vivere con il popolo russo e il suo governo o abbiamo intenzione di continuare a portare avanti questa sorta di cambio di regime travestito da guerra ucraina? Smetteremo di usare l’Ucraina come un ariete contro Mosca? Che, effettivamente, è quello che abbiamo fatto.” (Tucker Carlson– MacGregor Interview)
È d’accordo con MacGregor che il vero scopo di spingere la Russia in una guerra con l’Ucraina è un “cambio di regime”? Inoltre, è d’accordo sul fatto che l’Ucraina viene usata dagli Stati Uniti come base organizzativa per portare avanti una guerra per procura contro la Russia?
Larry C. Johnson – Doug è un grande analista, ma non sono d’accordo con lui – non credo che ci sia nessuno nell’amministrazione Biden abbastanza intelligente da pensare e pianificare in questi termini strategici [dietro Biden e dietro l’amministrazione ci sono i pupari, però]. A mio parere, gli ultimi 7 anni sono rappresentativi dell’inerzia dello status quo della NATO. Quello che voglio dire è che la NATO e Washington, hanno creduto di poter continuare ad avanzare verso est, fino ai confini della Russia senza provocare una reazione. La NATO e l’EUCOM eseguivano regolarmente esercitazioni, compreso l’addestramento “offensivo,” e fornivano attrezzature. Credo che i rapporti negli Stati Uniti, secondo cui la CIA stava fornendo addestramento paramilitare alle unità ucraine che operano nel Donbass, siano credibili. Ma ho difficoltà a credere che, dopo le nostre debacle in Iraq e Afghanistan, a Washington siano improvvisamente apparsi degli strateghi del calibro di Sun Tzu a tirare le fila.
A Washington c’è un’aria di disperazione. Oltre a bandire tutto ciò che è russo, l’amministrazione Biden sta cercando di intimorire la Cina, l’India e l’Arabia Saudita. Non vedo nessuno di questi Paesi mettersi in riga. Credo che la squadra di Biden abbia fatto un errore fatale cercando di demonizzare tutto ciò che è russo, cose e persone. Se non altro, questo sta unendo i Russi dietro Putin e sono pronti a sostenerlo in una lunga lotta.
Sono scioccato dall’errore di calcolo di pensare che le sanzioni economiche alla Russia l’avrebbero messa in ginocchio. È vero il contrario. La Russia è autosufficiente e non dipende dalle importazioni. Le sue esportazioni sono fondamentali per il benessere economico dell’Occidente. Se blocca le esportazioni verso l’Occidente di grano, potassa, gas, petrolio, palladio, metalli nichelati e altri minerali chiave, le economie europee e statunitensi saranno devastate. E questo tentativo di dominare la Russia con le sanzioni ha reso ancor più probabile che il ruolo del dollaro statunitense come moneta di riserva internazionale finisca nella pattumiera della storia.

Domanda 4– Fin da quando aveva pronunciato il suo famoso discorso di Monaco, nel 2007, Putin si è sempre lamentato dell’”architettura della sicurezza globale.” In Ucraina possiamo vedere come questi importanti problemi di sicurezza possano evolvere in una guerra vera e propria. Come sapete, a dicembre Putin aveva fatto una serie di richieste relative alla sicurezza della Russia, ma l’amministrazione Biden aveva fatto spallucce e non aveva mai risposto. Putin voleva garanzie scritte che l’espansione della NATO non avrebbe incluso l’Ucraina (la sua adesione) e che i sistemi missilistici nucleari non sarebbero stati schierati in Romania o Polonia. Pensa che le richieste di Putin siano irragionevoli?
Larry C. Johnson– Penso che le richieste di Putin siano abbastanza ragionevoli. Il problema è che il 99% degli Americani non ha idea del tipo di provocazione militare che la NATO e gli Stati Uniti hanno portato avanti negli ultimi sette anni. Al pubblico è sempre stato detto che le esercitazioni militari erano “difensive.” Questo, semplicemente, non è vero. Ora abbiamo la notizia che la Defense Threat Reduction Agency (DTRA) stava finanziando i biolaboratori in Ucraina. Immagino che Putin potrebbe accettare dei sistemi missilistici nucleari statunitensi in Polonia e Romania se Biden accettasse che sistemi russi comparabili siano dispiegati a Cuba, in Venezuela e in Messico. Quando vediamo il problema in questi termini possiamo cominciare a capire che le richieste di Putin non sono né folli né irragionevoli.

Domanda 5– I media russi riferiscono che missili russi “ad alta precisione, aviolanciati” hanno colpito una struttura in Ucraina occidentale “uccidendo più di 100 tra truppe locali e mercenari stranieri.” Apparentemente, il centro di addestramento delle operazioni speciali si trovava vicino alla città di Ovruch, che è a soli 15 miglia dal confine polacco. Cosa può dirci di questo incidente? La Russia ha voluto inviare un messaggio alla NATO?
Larry C. Johnson – In breve – SÌ! Gli attacchi dell’esercito russo in Ucraina occidentale durante la scorsa settimana hanno scioccato e allarmato i funzionari della NATO. Il primo attacco è arrivato domenica 13 marzo a Yavoriv, nell’Ucraina Occidentale. La Russia ha colpito la base con diversi missili, alcuni pare ipersonici. Più di 200 persone sono state uccise, tra cui militari americani e britannici e personale dell’intelligence, con centinaia di feriti. Molti hanno subito lesioni catastrofiche, come amputazioni, e sono in ospedale. Eppure, la NATO e i media occidentali hanno mostrato poco interesse nel riferire su questo disastro.
Yavoriv era un’importante base avanzata della NATO. Fino a febbraio (prima dell’invasione russa dell’Ucraina), l’U.S. 7th Army Training Command operava da Yavoriv. La Russia non si è fermata lì. ASB Military News riferisce che la Russia ha colpito un altro sito, Delyatyn, a 60 miglia a sud-est di Yavoriv (giovedì, credo). Ieri, la Russia ha colpito Zytomyr, un altro sito dove in precedenza la NATO aveva una base. Putin ha inviato un messaggio molto chiaro: le forze della NATO in Ucraina saranno viste e trattate come combattenti. Punto.

Domanda 6 – Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è stato esaltato dai media occidentali come un “leader di guerra” ed un moderno “Winston Churchill.” Quello che i media non dicono ai loro lettori è che Zelensky ha fatto una serie di passi per rafforzare la sua presa sul potere, dando , allo stesso tempo, un colpo mortale alle fragili istituzioni democratiche dell’Ucraina. Per esempio, Zelensky ha “bandito undici organi di informazione di proprietà dell’opposizione” e ha cercato di impedire la candidatura di Viktor Medvedchuk, il capo del più grande partito di opposizione in Ucraina, accusandolo falsamente di “finanziare del terrorismo.” Questo non è il comportamento di un leader seriamente dedito alla democrazia. Qual è la sua opinione su Zelensky? È davvero un “leader patriottico” come i media vorrebbero far credere?
Larry C. Johnson– Zelensky è un comico e un attore. Neanche molto bravo, a mio parere. L’Occidente sta cinicamente usando il fatto che sia ebreo come un diversivo, evitando di dire che in Ucraina è presente un notevole numero di neo-nazisti (e intendo veri nazisti, che ancora celebrano i risultati ottenuti dalle Waffen SS ucraine, che avevano combattuto a fianco dei nazisti tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale). I fatti sono chiari: sta bandendo i partiti politici dell’opposizione e chiudendo i media dell’opposizione. Immagino che questa sia la nuova definizione di “democrazia.”

Domanda 7 – Come andrà a finire? C’è un eccellente post sul sito Moon of Alabama intitolato “Quale sarà la geografia dello stato che uscirà dalla guerra in Ucraina.” L’autore del post, Bernard, sembra pensare che l’Ucraina, alla fine, sarà divisa lungo il fiume Dnieper “e a sud lungo la costa, dove vive la maggioranza della popolazione etnica russa.” Dice anche questo:
“Questo eliminerebbe l’accesso dell’Ucraina al Mar Nero e creerebbe un ponte di terra verso la Transnistria, la regione separatista moldava che è sotto la protezione russa. Il resto dell’Ucraina sarebbe uno stato senza sbocchi sul mare, per lo più agricolo, disarmato e troppo povero per diventare a breve termine una nuova minaccia per la Russia. Politicamente sarebbe dominato dai fascisti della Galizia, che costituirebbero un grosso problema per l’Unione Europea.”
Cosa ne pensa? Putin imporrà all’Ucraina condizioni di questo tipo per rafforzare la sicurezza della Russia e porre fine alle ostilità o è più probabile uno scenario diverso?
Larry C. Johnson– Sono d’accordo con Moon of Alabama. L’obiettivo primario di Putin è quello di mettere in sicurezza la Russia dalle minacce straniere e divorziare dall’Occidente. La Russia ha le risorse fisiche per essere uno stato sovrano indipendente e sta realizzando questa visione.
Mike Whitney, qui.

Altre considerazioni estremamente interessanti che contraddicono radicalmente le fanfaronate degli ucrainofili (o dobbiamo chiamarli nazistofili?) possiamo leggerle qui. E a proposito di nazisti e affini, vi ricordate il linciaggio di Ramallah? Vi ricordate la telefonata della moglie di uno dei massacrati che, avendo sentito alla radio notizia di disordini chiama il marito per assicurarsi che sia tutto a posto e uno dei massacratori prende il cellulare e dice: “Tuo marito? Lo stiamo uccidendo”? Beh, i nazisti ucraini riescono a fare anche di peggio: provvedono loro a chiamare per annunciare la lieta novella.

La mamma del soldato russo riceve la videochiamata, appare il suo volto, lei crede che sia il figlio e pronuncia il suo nome “Iliusha, Iliusha” (diminutivo di Ilija) con tono allarmato.
Il militare ucraino ride e dice “Slava Ucraina”, “Gloria all’Ucraina”.
La mamma dice “non c’è Iliusha?”.
Lui risponde. “E’ morto. Ha fatto tre errori: si è perso, si è perso in Ucraina, è morto come un cane”. E ride.
Si vede il volto della madre impietrita che inizia a tremare. Lui dice: “cosa ti succede, perché ti tremano le labbra?”.
La mamma, con un altro telefonino, chiama una ragazza, probabilmente la fidanzata del figlio. E’ la ragazza a continuare a parlare con il militare ucraino. La ragazza dice alla madre: “Questo è un bastardo”. Poi rivolta al soldato: “Non crediamo a quello che dici. Facci vedere il nostro ragazzo”.
Lui risponde: “Non è rimasto niente di questo qui, è rimasto solo il culo, la gamba è staccata dal corpo, per fortuna è rimasto solo il telefono per chiamarvi e dirvi che lo stronzo fottuto non c’è più”.
La ragazza dice: “Sei tu che al posto della testa hai il culo”.
Lui ride: “E’ il vostro ragazzo che dove aveva la testa adesso ha il culo, grazie all’artiglieria ucraina”.
Si sente il pianto disperato della madre.
La ragazza dice: “Facci vedere il nostro ragazzo”.
Lui dice: “Cosa devo farvi vedere che lo stanno mangiando i cani, non abbiamo tempo per seppellire i vostri russi, li lasciamo finire ai cani, da un lato c’è la gamba, dall’altro la testa, è tutto sparso”.
La madre piange e chiude la conversazione.
Il soldato ucraino ride.

Non è propaganda russa, è girato dalla parte ucraina, da qualcuno che riteneva di potersene vantare.

E magari godetevi anche quest’altro spettacolo dei nazisti buoni che leggono Kant

Poi c’è il papa che ha l’idea di far portare la croce nella via crucis a donne ucraine e russe insieme, ma l’ambasciata ucraina contesta l’iniziativa. E l’amica

Maria Teresa Leone

opportunamente commenta:

A loro andava bene solo Gott mit uns.

Ora una nota amena, per rispondere agli alti lai del comico e dei ciarlatani di casa nostra:

Elena Squarci

Guardavo prima su canale 5 l’inviata ripresa davanti ad una decina di cavalli di frisia, in realtà unici particolari che evocavano la guerra in quel video, perché sullo sfondo c’era una città tranquilla, Kiev, nella più esplicita normalità: bei palazzi tutti intatti, negozi aperti, fontane con gente seduta sui bordi a parlare, traffico intenso di auto e bus, e dietro un tizio curioso che fotografava la troupe al di quà. Ma l’inviata parlava di stragi, bombe e disperazione, e di come quel cattivone di Putin se ne andrebbe in giro con la valigetta dei codici di lancio (portata dalla guardia del corpo!): in verità uno strano modello con due manici, nessuna catena da polso, ma soprattutto solo una cerniera per proteggere il contenuto. Un’altra cosa che non mi è chiara è come questi ‘inviati’ – sicuramente tutti premi pulitzer, tutti indipendenti – riescano sempre a sapere, soltanto dopo poche ore dalle presunte stragi e bombardamenti sui civili, il numero esatto dei morti. Il miracolo dei pallottolieri da guerra. Ci rendiamo conto in che mani è la cronaca di questa guerra? Della serie la butto lì tanto chi verifica?

E a proposito del comico, più prezzemolo di Galli e Pregliasco (che non smette di dare ordini a destra e a manca)

Il resto domani, che qua di roba ce n’è anche troppa, ma prima di chiudere, il solito salto in Russia, con questi due meravigliosi artisti e con quella cosa miracolosa che è il valzer, capace perfino di resuscitare i morti… almeno per un po’. E magari impariamo che per concederci un valzer è sempre il momento giusto, anche in mezzo alla guerra

barbara

PER CHI AVESSE INTENZIONE DI ANDARE ALL’ESTERO

e avesse poi la malaugurata idea di volere anche rientrare in Italia: preparatevi.

Moduli e privacy   

Trovandomi in Svizzera, ho dovuto compilare il dPLF – digital passenger locator form – il nuovo documento digitale richiesto da oggi per entrare in Italia dall’estero.
Ci ho messo una buona mezz’ora per la mole delle informazioni richieste e alcune incongruenze. Per esempio è necessario indicare il secondo numero di telefono, campo obbligatorio. E chi non ce l’ha? Dopo vari tentativi, ho inserito per due volte lo stesso numero, ed è stato accettato.
Ma al di là dell’incombenza in sé, mi è parsa una misura preoccupante per la nostra libertà, una forma di controllo alla “1984”, il profetico “Big Brother is watching you” di George Orwell. Mi sono vaccinata con entusiasmo, non sono una cospirazionista, non credo alle potenze occulte che ci manipolano, ai complotti di entità oscure che vogliono prendere il controllo del mondo. E sono convinta che sia necessaria qualche forma di tracciamento per evitare un nuovo picco del Covid, soprattutto in periodo di vacanze estive e di rinato turismo internazionale. Infatti ho scaricato, appena sono uscite, l’app Immuni e anche la corrispondente SwissCovid, per i periodi in cui soggiorno in Svizzera. Ma queste app, che sono state studiate bene, garantiscono l’anonimato, e le informazioni rimangono sul telefono dell’utente, salvo nel caso in cui non sia necessario tracciare le persone con cui ha avuto contatti, se si dovesse palesare la malattia.
Il dPLF invece, che forse andrebbe definito dPCL – passenger control form – va compilato online, fornendo il numero di targa, se si viaggia in macchina, l’indirizzo di residenza e quello di destinazione, l’orario di partenza e di arrivo previsto e anche eventuali tappe intermedie – e se si cambia itinerario o si è vittime di qualche contrattempo che provoca un cambiamento di programma? – il numero della carta di identità, i membri del proprio nucleo famigliare, se ci accompagnano, il proprio indirizzo email e il numero di telefono e un contatto telefonico in caso di emergenza… Tutte queste informazioni vengono poi spedite a un cervellone, non si sa dove, che ci restituisce il formulario compilato da stampare e portarsi dietro, con il codice QR, senza il quale teoricamente almeno non è possibile varcare la frontiera, imbarcarsi su un treno, su un autobus, su un aereo o su una nave. L’autocertificazione precedentemente richiesta era un modulo che si scaricava da Internet e si compilava, con l’obbligo di tenerlo con sé ed esibirlo in caso di controllo – la mia esperienza e quella di parecchi amici è che i controlli fossero sporadici. E comunque, come per tutti i documenti cartacei, si suppone che dopo un po’ finissero nel cestino… Stavolta invece è evidente che tutto finisce nell’insaziabile bocca di un supercomputer, che potrà verificare, anche a distanza di anni, i nostri movimenti, i nostri soggiorni, le nostre scappatelle amorose, i nostri viaggi di piacere o di lavoro. È una necessità sanitaria, o uno strumento – potenzialmente pericoloso – di controllo della popolazione, che in futuro potrebbe cadere in mano di parti politiche estremiste, di investigatori privati, dei servizi segreti, di tecnici capaci di hackerare il sistema, o più semplicemente di qualcuno che fa ricerche su di noi?
Basta alzare lo sguardo per vedere il numero di telecamere che ci spiano in ogni momento. I nostri telefoni cellulari, grazie al sistema di localizzazione, di pagamento digitale, dei cookies di navigazione, sono diventati una fonte di informazioni accessibile a chiunque sulla nostra vita privata, i nostri gusti, i nostri acquisti, le nostre ricerche. Ora arriva anche il Big Brother che ingoia tutte le informazioni sui nostri spostamenti da e per l’estero. Si tratta, va chiarito subito, di un formulario richiesto dalla Comunità Europea al quale l’Italia ha aderito con grande sollecitudine. Mi chiedo se, prima di farlo entrare in vigore, non sarebbe stato giusto aprire un pubblico dibattito, come si sta facendo in Svizzera, che non ha ancora aderito. Comprendere qual è la “corazza” normativa che garantirà la riservatezza dei nostri dati. A chi andranno in mano? Che cosa succederà nel futuro? Con che criteri saranno catalogati? Quali pericoli presentano per la nostra privacy?
Sì è molto discusso sul cosiddetto “passaporto vaccinale” che garantirebbe libertà di movimento ai vaccinati. Pare non sia stato ancora approvato per le proteste di chi rifiuta il vaccino ma si ritiene discriminato dal fatto di non poter godere della libera circolazione concessa agli altri. Ma il passaporto, magari unito al tampone, mi sembra darebbe maggiori garanzie sanitarie del dPLF senza comportarne i rischi di violazione della privacy.
Forse dovremmo chiederci seriamente a quanta libertà siamo disposti a rinunciare per i benefici della sicurezza, sia essa sanitaria o di altro tipo. Per chi come me ha vissuto una lunga vita sentendosi libera, il dPFL è una seccatura a livello psicologico. Ma i nostri figli e i nostri nipoti, in che mondo vivranno? E non c’è il rischio che, come nel bellissimo film “Truman show”, un giorno scopriranno di non vivere la realtà, ma un mondo fasullo come un set televisivo, manipolati, fin dalla nascita, da un deus ex-machina di cui nemmeno sospettano l’esistenza?

Viviana Kasam, ‍‍24/05/2021, qui.

Mi sto sempre più chiedendo se non arriverà il giorno in cui dovremo concludere che Orwell era un ingenuo dilettante.

barbara

E SIAMO AL DISASTRO

Grazie all’Europa e grazie al novello Churchill che la Provvidenza ci ha fatto incontrare.

Una Caporetto annunciata a Bruxelles: Conte e Gualtieri hanno perso tempo per obiettivi inutili e irrealistici

Dal decreto liquidità al decreto gassosità: “liquidi” evaporati

Il governo italiano ha mancato tutti gli obiettivi che si era prefissato e che qui, a scanso di equivoci, non abbiamo mai comunque considerato particolarmente desiderabili e certamente nemmeno realistici, perché in conflitto con la dura realtà dei trattati e le inscalfibili e arcinote posizioni della Germania e di altri Paesi del centro e nord Europa. Per altro, obiettivi che ha ritenuto di perseguire senza alcun mandato da parte del Parlamento (quello olandese, per dire, si è espresso due volte prima dell’Eurogruppo), senza nemmeno una discussione parlamentare. Il presidente Conte e il ministro Gualtieri non si sono nemmeno presentati. Lo faranno il giorno prima del Consiglio dei capi di stato e di governo che dovrà ratificare le proposte dell’Eurogruppo, ma è chiaro che il pacchetto è chiuso e solo qualche dettaglio potrà essere ridiscusso o aggiunto. E questo, l’umiliazione del nostro Parlamento, l’emergenza democratica, è forse l’aspetto più amaro della vicenda e più grave della condotta del nostro governo.
Potevate risparmiarvi di trattenere il fiato fino a ieri sera in attesa delle conclusioni dell’Eurogruppo, più volte rinviate questa settimana, leggendo lunedì scorso, 5 giorni fa, l’articolo di Musso per Atlantico dal previdente titolo: “La Caporetto italiana a Bruxelles: da Conte e Gualtieri, a Draghi”, dove veniva spiegato già tutto:
Il governo italiano ha condotto in Europa una trattativa e la ha persa. Cercava una garanzia sul rifinanziamento del debito pubblico. I Paesi del Nord vogliono che alla bisogna provveda il risparmio italiano, che sanno sovrabbondante. La loro vittoria è sancita dalle nuove condizioni di accesso al MES, uguali alle vecchie. Il ministro Gualtieri è di fronte a scelte drastiche e non può a lungo rinviarle. Mario Draghi ha già presentato il manifesto per il dopo-Gualtieri.
E come già lunedì ci sembrava scontato, alla fine è passato il “pacco” franco-tedesco, già concordato nei punti fondamentali da Parigi e Berlino domenica scorsa (nein Mes senza condizionalità, nein Coronabond): Mes, Bei, SURE, questi i tre pilastri, a cui se ne affianca come vedremo un quarto ma ancora tutto da definire e a medio termine. Sul Mes un’unica concessione: linea di credito con l’unica condizione di sostenere “il finanziamento dei costi, diretti e indiretti, sanitari, di cura e prevenzione dovuti alla crisi del Covid-19“. “Afterwards”, dopo l’emergenza, non vere e proprie condizioni, ma un richiamo agli impegni con la Commissione sul Patto di stabilità. Dirette o indirette, comunque dovrà trattarsi di spese di “healthcare, cure and prevention” e relative al Covid-19, non di sostegno all’attività economica per i costi del periodo di lockdown, mentre nella bozza di conclusioni di martedì 7, all’inizio dell’Eurogruppo, c’era almeno il riferimento a “other economic costs” relativi alla crisi. Il testo di ieri sera è quindi addirittura peggiorativo.
Per il supporto all’economia, condizionalità piena, cioè alle condizioni già previste. Riassume così il ministro olandese Hoekstra: “The ESM can provide financial help to countries without conditions for medical expenses. It will also available for economic support, but with conditions. That’s fair and reasonable.” E ci sembra di trovare riscontro nel testo ufficiale.
E gli Eurobond, o Coronabond? Non ci sono, nemmeno di striscio nel testo che ha valore legale. Il contentino sarà che nella lettera ai leader Ue che accompagna le conclusioni dell’Eurogruppo il presidente Mario Centeno spiegherà che alcuni Paesi sono a favore dei Coronabond e altri contrari.
Come dicevamo, c’è un quarto strumento, chiamato Recovery Fund, che però è ancora tutto da definire: servirà per sostenere la ripresa “provvedendo al finanziamento attraverso il budget Ue di programmi volti a riavviare l’economia in linea con le priorità europee e assicurando solidarietà agli stati membri più colpiti”. Più avanti si parla di “innovative financial instruments” ed è molto probabile che oggi leggerete o sentirete da molte parti che in realtà sono proprio questi i sospirati Coronabond.
Come ha spiegato il ministro Hoekstra, si tratta di una formulazione “deliberatamente vaga” così che tutte le parti possano leggerci quello che vogliono e infatti il ministro Gualtieri si è affrettato ieri sera a rivendicare di aver “messo sul tavolo i bond europei”. La realtà è che quello sulla mutualizzazione del debito resta un “dibattito fantasma”.
Il vero dramma è che il premier Conte e il ministro Gualtieri hanno perso tre settimane preziose, forse decisive per salvare la nostra economia, infilandosi in un lacerante negoziato per obiettivi inutili, se non dannosi (Mes), e comunque irrealistici (Coronabond), considerando le red lines storiche degli interlocutori. Una strategia basata sull’illusione che ha caratterizzato tutti i governi di centrosinistra, europeisti, e cioè che un governo percepito come “amico” a Bruxelles, Berlino e Parigi, sarebbe stato ricompensato con la fantomatica “solidarietà” europea. Una visione infantile della politica e del gioco degli interessi nazionali che ha fatto credere per lustri ai nostri eurolirici che si sarebbe potuto derogare dai trattati all’occorrenza e che, prima o poi, la Germania avrebbe fatto cadere il suo tabù sulla condivisione del debito, che invece resiste persino sotto i colpi della pandemia più grave degli ultimi cento anni. Sia chiaro che se Berlino dovesse trovarsi costretta a scegliere tra fine dell’euro e condivisione del debito, sceglierebbe la prima…
Ma basta prendersela con olandesi e tedeschi. L’Olanda fa l’Olanda. La Germania, la Germania. Chi chiede Mes “light” o senza condizioni, chi Eurobond, chi acquisti illimitati della Bce, non ha letto i trattati che abbiamo firmato e non ha capito nulla dell’unione in cui siamo finiti e che fino a ieri celebrava, spacciandola per quello che non è, e non è mai stata. Sui “dibattiti fantasma” l’europeismo nostrano ci ha campato per 20 anni. Ora, capolinea.
Non sembra ci siano le condizioni politiche perché il governo italiano acceda alla linea di credito del Mes, nemmeno nei termini “light” fissati per i costi sanitari dell’emergenza. Voci dal Pd e dai 5 Stelle già assicurano che non hanno intenzione di usarlo (ma allora, ancora più assurdo questo braccio di ferro sulle condizioni). Ora la nuova linea del fronte è rappresentata dagli acquisti dei titoli da parte della Bce dopo il varo del nuovo programma ad hoc per l’emergenza pandemia. Ma siamo proprio sicuri di poterci contare? Saranno illimitati e incondizionati? Anche qui dipenderà dai nostri amici a Berlino, se saranno disposti a chiudere un occhio e per quanto tempo. Sul QE e gli acquisti della Bce è sempre vigile la Corte di Karlsruhe e a Francoforte non ci sono più le spalle larghe di Draghi, ma su questo torneremo presto qui su Atlantico.
Nel frattempo, ad oltre un mese dalle prime misure di contenimento, non è ancora arrivato un euro alle imprese e ai lavoratori, proprio in attesa, o meglio nell’illusione del miracolo a Bruxelles. Il decreto cd liquidità – annunciato lunedì dal premier Conte, come suo solito via proclama video, e pubblicato in GU solo ieri – dovrebbe essere ribattezzato decreto gassosità, vista la completa evaporazione dei “liquidi” tra le parole di lunedì e i testi di ieri.
Il decreto è di fatto senza liquidi, essendo – incredibile ma vero – a saldo zero, mentre poco aggiunge, sulle garanzie alle piccole e medie imprese, alle misure già introdotte nel decreto “Cura Italia”. Si tratta di prestiti bancari – non di indennizzi, che molti altri governi hanno già pagato – tra l’altro nemmeno a tasso zero, come emerge da una circolare di ieri dell’Abi, ma saranno le banche a fissarlo e le imprese dovranno anche versare delle commissioni a Sace per la garanzia.
Per un’analisi più dettagliata vi rimando all’intervento del professor Alberto Dell’Acqua, che ospitiamo oggi, ma la sostanza del decreto è che si chiede alle aziende di indebitarsi – pur essendo soprattutto le piccole e medie già fortemente indebitate – per coprire le perdite dovute ad una chiusura, per quanto legittima e opportuna, decisa comunque dallo Stato per motivi di salute pubblica.
E a quanto pare ci eravamo sbagliati, una “potenza di fuoco” in effetti c’è nel decreto: le tasse da pagare a giugno. Ulteriore beffa, le scadenze fiscali sono rinviate di soli due mesi. Cosa che ha fatto infuriare Carlo Bonomi (Assolombarda): “Se facciamo indebitare le imprese per pagare le tasse vuol dire che non abbiamo capito nulla”.
Il rischio è che il pensiero di moltissimi imprenditori sarà quello di chiudere, quando scopriranno che i “liquidi” del decreto sono i loro soldi, un anticipo (da restituire con gli interessi) di ricavi futuri e incerti. Se non possiamo permetterci ciò che altri governi stanno già facendo per sostenere l’economia, benissimo, lo so dica, vuol dire che non possiamo permetterci di restare chiusi, addirittura fino al 3 maggio, con tutte le conseguenze del caso…
Federico Punzi, 10 Apr 2020, qui.

Poi, volendo, anche al di fuori delle istituzioni, in fatto di Europa ci sarebbe anche questa cosa qui.

Ugo Volli

Poi qualcuno parla ancora di “Unione Europea”
Paola Farina

Si comprende ora perché Israele abbia dato l’incarico del reperimento del materiale sanitario “strategico” al Mossad e non alla protezione civile.

Traduzione dallo svedese.

𝐋𝐀 𝐅𝐑𝐀𝐍𝐂𝐈𝐀 𝐇𝐀 𝐁𝐋𝐎𝐂𝐂𝐀𝐓𝐎 𝐋𝐀 𝐅𝐎𝐑𝐍𝐈𝐓𝐔𝐑𝐀 𝐃𝐈 𝟓 𝐌𝐈𝐋𝐈𝐎𝐍𝐈 𝐃𝐈 𝐌𝐀𝐒𝐂𝐇𝐄𝐑𝐈𝐍𝐄 𝐏𝐑𝐎𝐃𝐎𝐓𝐓𝐄 𝐃𝐀𝐋𝐋’𝐀𝐙𝐈𝐄𝐍𝐃𝐀 𝐒𝐕𝐄𝐃𝐄𝐒𝐄 𝐌𝐎𝐍𝐋𝐘𝐂𝐊𝐄 𝐄 𝐃𝐄𝐒𝐓𝐈𝐍𝐀𝐓𝐄 𝐀𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐏𝐀𝐆𝐍𝐀 𝐄 𝐀𝐋𝐋’𝐈𝐓𝐀𝐋𝐈𝐀

Pubblicato venerdì 3 aprile alle 05:43 da Sverigesradio:

Nuove tensioni all’interno dell’UE causate dalla mancanza di un coordinamento sulle forniture ospedaliere che ha posto le nazioni una in competizione con l’altra
Molnlycke (azienda svedese di forniture medicali) si è lamentata con il governo svedese chiedendo di esercitare pressioni sulla Francia poiché 5 milioni di mascherine destinate a Spagna e Italia sono tutt’ora bloccate in questo Paese dal 5 marzo, a causa del sequestro di 6 milioni di maschere e ancora non si sa nulla.
Secondo l’opinione di Richard Twomey CEO dell’azienda sanitaria svedese Mölnlycke in una intervista alla stampa, la sua azienda sta avendo grossi problemi nella distribuzione di milioni di maschere e guanti di gomma in Italia e Spagna. Il problema è iniziato dal momento in cui la Francia ha emesso un decreto che blocca l’esportazione dei prodotti sanitari e non possono più utilizzare il loro magazzino principale a Lione (la produzione è in Cina e distribuiscono tramite tre magazzini principali nell’UE) per distribuire maschere in Italia.
“È estremamente inquietante. Nulla di ciò che inviamo ad altri paesi, in transito attraverso la Francia, può essere spedito fuori dal Paese”
L’azione francese ha drasticamente ostacolato la possibilità di fornire maschere per il viso, guanti protettivi e altre attrezzature usa e getta agli ospedali dell’Europa meridionale. “In futuro, la spedizione delle merci dalle nostre fabbriche in Cina destinate alla Spagna o all’Italia, dovranno ora essere spedite in Belgio e da lì via aerea, oppure via camion aggirando la Francia”
Un altro problema è che la forza lavoro non può più muoversi liberamente oltre i confini. La Polonia ha chiuso il confine con la Repubblica Ceca.
Richard Twomey afferma che metà della forza lavoro nella Repubblica Ceca attraversa quotidianamente il confine dalla Polonia. Quando i lavoratori non riescono più a lavorare, la produzione di attrezzature mediche destinate a essere utilizzate anche in Svezia, viene così interrotta.
“Ma quando adesso diversi Paesi dell’UE guardano principalmente al proprio orto, durante una crisi infuocata come questa, rischiano di mettere a rischio la vita di altri”.
Anders Wennersten
anders.wennersten@sverigesradio.se

E infine la ciliegina sulla torta, con fiocchi di panna e riccioli di cioccolata. Buon divertimento.

Poi la cosa più sconvolgente è leggere in giro “Lo avete visto?! Avete visto come ha asfaltato Salvini e la Meloni?!?! Ma quanto ho goduto!!” Già, perché il principale compito di un governo, specialmente nell’ora più buia eccetera, con un virus che impazza e uccide, le strutture sanitarie al collasso, sessanta milioni di persone agli arresti domiciliari e l’economia a un passo dalla catastrofe, è asfaltare due membri dell’opposizione. Complimenti vivissimi per il senso civico.

barbara

COME E PERCHÉ IL COVID 19 È DIVENTATO UN’EMERGENZA MONDIALE

Coronavirus, cronaca di un insabbiamento: un manipolo di giornalisti coraggiosi inchioda Pechino

I 15 giorni durante i quali un’epidemia locale si è trasformata in pandemia, per la manifesta volontà di insabbiamento e disinformazione del Partito Comunista Cinese

Chi un giorno racconterà la vera storia del coronavirus dovrà partire da due mattoncini di puro giornalismo che ci arrivano da terre cinesi. Quel che sappiamo sui primi passi dell’epidemia che sta sconvolgendo il pianeta lo dobbiamo finora soprattutto a un quotidiano di Hong Kong e a un sito di informazione di Pechino. Il primo è lo storico South China Morning Post (SCMP), che il 27 febbraio ha pubblicato un dettagliato resoconto della diffusione del Covid-19, frutto del lavoro di cinque reporters inviati a Wuhan dal 3 al 23 gennaio, quando la città venne isolata. Il secondo è una piattaforma digitale di carattere economico che si sta accreditando come la fonte più autorevole per conoscere dall’interno l’evoluzione della crisi sanitaria in corso, in un contesto proibitivo per la libera informazione come quello della Cina continentale: si chiama Caixin Global e i suoi aggiornamenti in tempo reale sono ormai diventati un riferimento a livello internazionale. Mentre a Hong Kong la stampa è ancora relativamente indipendente, Il Caixin Global sa di giocare con il fuoco: facendo un uso molto accorto dei dati in suo possesso, genera articoli difficilmente attaccabili dal punto di vista oggettivo, rinunciando alla critica diretta all’operato del regime. Allo stesso tempo, però, le sue informazioni permettono al lettore di leggere tra le righe di una realtà opaca, condizionata dalle logiche del potere autoritario. Un esempio concreto. Dalla pubblicazione degli aggiornamenti in tempo reale dei contagiati e dei deceduti provincia per provincia si deduce che, dove i funzionari hanno agito tempestivamente e in certi casi al margine delle direttive e delle tempistiche di Pechino, le conseguenze dell’epidemia sono state meno drammatiche. Il ragionamento sotteso conduce direttamente alle responsabilità dei vertici del Partito Comunista Cinese, Xi Jinping in testa, nella gestione delle prime fasi dell’emergenza, notoriamente decisive.

In un Paese dove il potere costituito non deve rendere conto a nessuno delle sue azioni e in cui lo scrutinio dell’opinione pubblica è praticamente inesistente, il lavoro di pochi giornalisti alieni alle logiche della propaganda rappresenta l’unica possibilità di rompere la barriera della censura.
La ricostruzione della catena di eventi, azioni ed omissioni che hanno determinato la propagazione del virus dalla Cina al resto del mondo è un fattore centrale non solo dal punto di vista sanitario ma anche da quello politico. Assume quindi una speciale rilevanza l’articolo che il Caixin ha pubblicato pochi giorni fa, il cui titolo recita: “Come sono stati individuati, trasmessi e occultati i primi indizi di un virus simile alla SARS“. In patria la versione online è durata poche ore, finché la polizia di Internet l’ha fatta rimuovere dal sito: ma alcuni utenti hanno avuto il tempo di salvarne una copia e di diffonderla in rete. Sulla pagina internazionale l’analisi è disponibile a pagamento. Perché è un documento importante? Perché mette insieme, grazie a un incredibile lavoro di indagine, i tasselli finora disponibili del mosaico coronavirus, dai primi casi manifestatisi a metà dicembre fino al coprifuoco sanitario di Wuhan. A differenza dei colleghi di Hong Kong, però, i giornalisti del Caixin non si limitano alla cronaca degli avvenimenti ma rivelano chiaramente la volontà di insabbiamento da parte delle autorità cinesi. Di seguito i passaggi fondamentali della vicenda, secondo la ricostruzione dell’articolo (occhio alle date).

– La prima notizia di un potenziale caso di polmonite atipica risale al 15 dicembre, quando un sessantacinquenne che lavora al mercato del pesce di Wuhan accusa sintomi di febbre alta e indisposizione. Tre giorni dopo entra in ospedale dove viene trattato con antibiotici ma senza esito. Il 24 dicembre (sono passati già nove giorni dai primi sintomi) un campione del suo fluido polmonare è inviato al Guangzhou Weiyuan Gene Technology Lab., che comincia a lavorare sulla sequenza genetica del virus. Il 27 dicembre il laboratorio contatta l’ospedale di Wuhan e comunica che si tratta di un nuovo coronavirus, di cui ricava un genoma quasi completo, senza peraltro rilasciare un report ufficiale.

– Prima della fine di dicembre l’ospedale di Wuhan raccoglie almeno nove campioni da altrettanti pazienti con polmonite e li manda a differenti laboratori. Il 30 dicembre il Beijing Boao Medical Laboratory informa che i test confermano che si tratta di un virus della famiglia della SARS. Tecnicamente è un errore, come si scoprirà più avanti, ma il richiamo alla nota malattia mette in allarme lo staff medico di Wuhan. È in base a questa informazione che Li Wenliang, un oftalmologo dello stesso ospedale, pubblica attraverso la piattaforma WeChat la notizia secondo cui “ci sono sette casi confermati di SARS provenienti dal mercato del pesce della città e attualmente in isolamento”. Nei giorni successivi Li Wenliang riceve la visita della polizia che lo costringe a firmare un documento in cui ritratta le sue dichiarazioni. Un mese dopo il medico muore in circostanze sospette, ufficialmente a causa dello stesso virus la cui esistenza aveva contribuito a rivelare.

– Tra l’1 e il 3 gennaio il Beijing Boao Medical Laboratory completa l’intera sequenza del virus. Ancora una volta la scoperta non viene annunciata pubblicamente. Sono giorni decisivi per la prevenzione del contagio ma ufficialmente non esistono ancora informazioni sulla malattia. Lo stesso giorno il professor Zhang Yongzhen del Shanghai Public Health Clinical Center riceve i campioni e il 5 gennaio conferma i risultati già ottenuti da altri laboratori, aggiungendo due elementi fondamentali: si tratta di un virus mai visto prima ed è trasmissibile attraverso le vie respiratorie. Zhang Yongzhen comunica i risultati alle autorità sanitarie competenti di Shanghai e raccomanda che vengano adottate misure di prevenzione pubbliche.

– Nel frattempo però succede qualcosa. Il primo giorno dell’anno, il responsabile di uno dei laboratori incaricati delle analisi riceve una telefonata da un ufficiale del Dipartimento di sanità della provincia dell’Hubei che gli ordina di distruggere i campioni in suo possesso e di interrompere la ricerca. Lo avverte che qualsiasi fuga di notizie dovrà essere riportata agli organi competenti. Il 3 gennaio, proprio mentre si isola la sequenza genetica completa, dagli uffici del Ministero della sanità (da Pechino, quindi) arrivano direttive vincolanti sull’utilizzo dei campioni: nessun invio ai laboratori senza autorizzazione degli organismi centrali, soppressione immediata di quelli esistenti, divieto di pubblicazione di qualsiasi informazione su test e attività sperimentali. Passano altri otto giorni – cruciali – senza che le autorità rendano pubblico quello che ormai in ambiente medico tutti conoscono come un nuovo e pericoloso coronavirus. Zhang Yongzhen, a quel punto, decide di pubblicare autonomamente il genoma del virus (è l’11 gennaio) nel database della GenBank e sul sito della GISAID Initiative. Per la prima volta l’informazione è condivisa a livello mondiale. La stessa sera Pechino annuncia finalmente che le informazioni sul coronavirus saranno inviate all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ventiquattro ore dopo, il laboratorio del professor Zhang Yongzhen viene chiuso per “rettifiche” e, ad oggi, non è stato riaperto.

Conclusione. Dal 27 dicembre all’11 gennaio, sia la popolazione cinese che la comunità internazionale sono state tenute all’oscuro dal governo di Pechino dell’esistenza, delle caratteristiche e del pericolo di diffusione del nuovo coronavirus. Il Partito Comunista ha deliberatamente deciso di occultare gli avvertimenti degli specialisti e i risultati delle prove effettuate. Quindici giorni probabilmente decisivi per il contenimento dell’epidemia, durante i quali un problema locale si è trasformato in fenomeno globale, per la manifesta volontà di insabbiamento e disinformazione delle autorità.

Nel frattempo, secondo i dati ufficiali, più di tremila operatori sanitari hanno contratto il virus in Cina e una decina di medici sono morti. Chi ha provato a denunciare l’opera di manipolazione e propaganda del regime (avvocati, professori e attivisti per i diritti umani) è stato arrestato o ridotto al silenzio. Ma Jian, scrittore dissidente proibito in Cina, ha scritto sul Guardian:

“Negli ultimi 70 anni, il Partito Comunista Cinese ha condannato il suo Paese a una serie di catastrofi provocate dall’uomo, dalla Grande Carestia, alla Rivoluzione Culturale, al massacro di Piazza Tiananmen, alla forte repressione dei diritti a Hong Kong e in Tibet, all’internamento massivo di Uiguri nello Xinjiang. L’omertà e la corruzione ufficiali hanno moltiplicato il numero delle vittime di calamità naturali, dal virus Sars al terremoto del Sichuan”.

L’agenzia statale di notizie Xinhua invece celebra la pubblicazione di un libro in cui si sottolineano “la dedizione, la missione, la visione strategica e la leadership” di Xi Jinping nella “battaglia contro il Covid-19“, che si dà già per vincente.

Ma anche da noi c’è chi esalta l’esempio cinese come modello di gestione delle crisi e delle emergenze, ignorandone le responsabilità, le omissioni e le reiterate violazioni dei codici di condotta. “Qual è il costo della menzogna?”, si chiedeva l’ex membro dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica Valery Legasov a proposito del disastro di Chernobyl? Aggiungerei altre domande: qual è il costo del relativismo morale, della connivenza ideale con le dittature, del masochismo intellettuale delle democrazie, dell’incultura delle nostre classi dirigenti e delle nostre opinioni pubbliche?

 Enzo Reale, 2 Mar 2020, qui.

Ma anche se, grazie ai lodatissimi cinesi la situazione è abbastanza drammatica, non è però disperata: oltre alla tecnologia e alla ricerca di cui ho parlato ieri, abbiamo anche altri motivi di cauto ottimismo, come si usava dire una volta: abbiamo per esempio il sindaco di Firenze che ha la geniale idea di un meraviglioso fine settimana, tre interi giorni, di ingresso gratuito ai musei, in modo da richiamare più gente possibile, sia prima in coda che poi dentro, che dimostreranno che Firenze è ancora una città viva. Poi c’è l’Unione Europea che, come tutti abbiamo potuto constatare, si è prodigata per venire in aiuto ai Paesi membri in difficoltà. E poi, dulcis in fundo, abbiamo la magnifica scoperta di Vincenzo D’Anna (Presidente – ancora non si sa come né perché – dell’Ordine dei Biologi Italiani), antivaccinista convinto

(e si noti la profonda competenza della questione) nonché persona di raffinatissima educazione e rispetto

oltre che giustificazionista nei confronti dello stupro di donne perché “vestite in modo provocatorio” (il video non lo metto, ma potete trovarlo in youtube), la scoperta dicevo, che il corona-virus diffuso in Italia è diverso da quello cinese, “un virus padano esistente negli animali allevati nelle terre ultra concimate con fanghi industriali”. Vero che adesso vi sentite molto meglio?

barbara

BREXIT

Che è quella cosa orrendissima votata da vecchi ignoranti che niente sanno e niente capiscono e che porterà la Gran Bretagna alla catastrofe.

Brexit è qui per restare: smontati stereotipi e pregiudizi, la sfida è solo all’inizio

Smentiti quelli che “Brexit non si farà mai”, ecco l’altro volto della Brexit, quello positivo e liberale che eurolirici e disfattisti hanno preferito non vedere, perché rischia di mostrare che c’è vita al di fuori dell’Ue.

Il fatidico giorno, dunque, è arrivato: finisce gennaio ed inizia Brexit. Dopo un lungo e politicamente drammatico parto il Regno Unito esce ufficialmente dall’Unione europea. È un passaggio epocale, uno stato membro che esce dal blocco. Impensabile anche a poche ore dalla chiusura delle urne il 23 giugno 2016, quando il divorzio non era stato preso davvero in considerazione nella sua totalità, ma solo come un’eventualità giudicata per lo più remota, mentre l’esito del referendum ha finito per scatenare un forte terremoto nello status quo contemporaneo, seguito da lì a pochi mesi dall’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Ipotesi irrealizzabili per i più, nei dibattiti e nelle analisi, nel susseguirsi di opinioni e previsioni. Invece, è successo e sta succedendo.

Una lunga strada e siamo solo all’inizio – Brexit per troppo tempo e in modo errato è stata descritta come l’affermazione del populismo Oltremanica, come il trionfo delle bugie e delle paure sui dati di fatto e sulla realtà, come la costruzione di nuovi muri per isolarsi dal resto del mondo di fronte ai sempre più consistenti flussi migratori verso l’Europa. Parafrasando il poeta settecentesco irlandese Jonathan Swift, è stato commesso l’errore di scambiare le voci degli ambienti cosmopoliti londinesi per il sentimento della nazione. Eppure, il Regno Unito è sempre stato fondamentalmente poco incline all’europeismo e, negli ultimi anni di convivenza, la strategia di Bruxelles di dare vita ad un’unione sempre più profonda e ramificata ha riacceso quegli stessi animi che sembravano – sembravano – sopiti durante i mandati di Tony Blair e agli inizi dell’avventura da primo ministro di David Cameron, che infatti decise di scommettere in modo pesante per consacrare il suo operato garantendo che con la sua rielezione del 2015 il popolo avrebbe avuto la facoltà di esprimersi sulla permanenza nell’Ue. Poco più di un anno dopo avrebbe rassegnato le sue dimissioni.

Cos’è stata e cosa sarà questa benedetta Brexit? Se per gli strenui difensori del modello europeista resta un errore irreparabile, per i britannici è stata ed è una sonora richiesta di take back control inoltrata all’establishment, oltre che una stagione mai vissuta in precedenza di scontri e divisioni che hanno aggiunto ulteriori scosse telluriche ad un sistema impreparato, al punto da non sapere come procedere, dando fiato ai disfattisti. Termini come crisi istituzionale, emergenza nazionale e tracollo economico si sono diffusi come una pandemia, mentre la vita di tutti i giorni andava avanti. Theresa May che giocava male le carte in mano, mancando di una chiara strategia per le contrattazioni e di una solida maggioranza parlamentare; i Comuni che dettavano l’agenda e poi finivano per non trovare un accordo; l’Ue che imponeva continui diktat nella speranza che l’Articolo 50 venisse definitivamente revocato; le strade di Londra che si riempivano di manifestati pro e contro – soprattutto contro – Brexit; il luogo comune che il popolo si fosse pentito della sua scelta, unitamente all’idea che la democrazia sia sopravvalutata, quando non in grado di garantire l’esito sperato.

Tirare dritto – Proprio quando sembrava naufragare contro un bianco scoglio di Dover, Brexit è invece proseguita, suggellata dal trionfo di Boris Johnson alle elezioni di dicembre. Pragmatismo anglosassone: andiamo avanti e passiamo oltre, abbiamo perso fin troppo tempo. C’era un nuovo accordo con l’Ue (che sembrava impossibile ottenere), c’era un candidato con le idee chiare e ottusamente a favore dell’addio, quindi denigrato sulla pubblica piazza da chi era ancora fermo al 13 giugno 2016, e c’era una proposta alternativa che non avrebbe dato scampo, quella presentata dal fallimentare Jeremy Corbyn di ricominciare da capo, con un secondo referendum. L’esito è stato lampante e improvvisamente è calato il silenzio: Brexit è scomparsa dai titoli, dai talk show politici, dalle cronache marziane di chi aveva confuso le voci degli ambienti cosmopoliti londinesi per quelle dei quattro angoli del regno, accettata a malincuore dagli hooligans del fusionismo europeo, tornati però a farsi vivi a ridosso del fatidico termine.

Il processo di messa in atto del referendum è stato così lungo e penoso che a Bruxelles anche coloro che non volevano il distacco della Gran Bretagna (ed erano nettamente la maggioranza) stanno ora tirando un respiro di sollievo”, ha commentato dalle colonne del Messaggero domenica scorsa Romano Prodi, convinto che Londra abbia fallito nel tentativo di dividere la grande famiglia europeista. È una sua legittima convinzione, ma che il voto del 2016 avesse quell’intento è tutto da dimostrare.

Out and into the world – C’è chi piuttosto guarda a Brexit con attenzione, curiosità e interesse, senza farne una barricata ideologica – come Capezzone, Punzi e altri autori hanno tentato di fare ormai due anni e mezzo fa in “Brexit. La sfida” (Giubilei Regnani, 2017). Sono molti coloro che cercano un’alternativa alla sovrastruttura architettata nei corridoi di Bruxelles, spesso soggetta alla diarchia Berlino–Parigi. Non sono per forza contrari al concetto in sé di collaborazione economica e politica tra gli stati membri, ma si augurano che venga messo un freno alla seconda. Credono che l’identità dei Paesi sia un punto di forza e non un peso e che si possano ottenere benefici dalle relazioni con gli altri senza dover per forza adeguarsi a linee guida che non giocano a favore dei propri interessi nazionali. Confidano nel pluralismo e guardano con sospetto alle armonizzazioni forzate a colpi di direttive. Sono i connotati di quella che noi di Atlantico abbiamo definito da tempo la Brexit liberale di Johnson, il quale ora ha i numeri per mantenere la promessa e per riproporli durante le trattative che caratterizzeranno il periodo di transizione che inizierà con lo scoccare della mezzanotte.

Non è certo escluso che tra le anime di quel popolo che nel 2016 ha scelto il Leave trovino spazio quelle ancorate ad un passato che non può tornare e all’isolazionismo autarchico, ma non sono mai state maggioranza, se non per un certo sensazionalismo mediatico e la stravaganza di alcuni suoi portavoce. Tanto può bastare a chi si accontenta di soffermarsi sulla superficie e preferisce non scavare a fondo, per tirare affrettate conclusioni, ma in un momento storico come quello in atto il buon senso dovrebbe suggerire di non cadere in tentazione. Out and into the world era lo slogan degli euroscettici britannici già negli Anni Settanta, riposto in seguito in un cassetto, ma non nel dimenticatoio, quanto tra le cose da conservare perché potrebbero sempre tornare utili. La vita dopo Brexit proseguirà in modo meno tenebroso di quanto si prospettava – e qualcuno probabilmente si augurava. Non mancheranno nemmeno le scorte alimentari sugli scaffali dei supermercati. Si concretizzerà invece un’alternativa che aiuterà a considerare nuove vie e ad esplorare nuove strade, non per radere al suolo ciò che c’è quanto piuttosto per migliorare e tenere il passo dei tempi che cambiano. Sempre ammesso che se ne abbia il coraggio.

Dario Mazzocchi, 31 Gen 2020, qui.

Già, pare che ci sia vita là fuori, oltre l’Unione Europea: chi mai l’avrebbe immaginato!

Brexit, Dio strabenedica gli inglesi

I 72 inglesi lasciano Bruxelles cantando tenendosi per mano, agitando bandierine della Union Jack.

Che invidia. Non solo per chi ha saputo sottrarsi alla tagliola, è uscito dalla trappola di una dannata superburocrazia perversa e maligna, quanto per l’orgoglio di un popolo: hanno votato, si sono divisi, si sono scannati, ma alla fine quel che il popolo aveva deciso, hanno fatto. C’era solo da trovare l’uomo giusto e l’hanno trovato nella figura bizzarra ma nient’affatto sprovveduta di Boris Johnson.

Lezione di vita ad altre nazioni parolaie, ed ogni riferimento non è affatto casuale. Hanno sviluppato gli anticorpi anche contro loro stessi, contro la loro parte disfattista e fanatica, contro i divi ipocriti alla Hugh Grant, contro i cantanti sciocchi (ne hanno anche loro), contro i profeti di sventura: neppure Greta avrebbe saputo escogitare scenari così catastroficamente demenziali, dal crollo della Finanza a quello dei diritti umani, e per fortuna non hanno fatto in tempo a caricarci sopra pure il coronavirus. Ma leggetevi il bel libro di Daniele Capezzone e Federico Punzi, “Brexit – la Sfida. Il ritorno delle nazioni e della questione tedesca“!

Niente di quanto minacciato è mai avvenuto nel lungo periodo della difficile transizione, niente accadrà di peggiore; è la sconfitta nella sconfitta di una Unione che, lo sappiamo benissimo tiene per le palle l’informazione continentale, la corrompe, la lusinga, ma non può nulla di fronte alla prova dei fatti. L’Inghilterra, sempre euroscettica nei 47 anni della complicata convivenza, torna a respirare, scrive una pagina nuova e programma un futuro geostrategicamente più equilibrato, più libero e dunque eccitante. Altri restano prede di una sindrome di Stoccolma, o di Strasburgo e di Bruxelles, che i cittadini non capiscono, non gradiscono; da noi, dettano legge due partiti al potere, uno scomparso, l’altro senza investitura, forte dei propri fallimenti e di alchimie di un potere sempre più rinserrato nel conformismo europeista, che è un populismo alla rovescia ma molto più deleterio.

Ma qui di BoJo non se ne vedono, i grillini, già forsennatamente antieuropei, si sono subito accomodati nella mangiatoia, lo stesso Salvini ha completamente abbandonato i propositi bellicosi con la scusa di voler sanare la eurometastasi da dentro, quanto a dire il risibile entrismo leninista. Gli inglesi si celebrano, come allo stadio, e ne hanno ben donde; addio, Unione che non sai risolvere un problema che sia uno e tutti li peggiori, addio Unione antisemita, comprensiva col terrorismo palestinese e il fondamentalismo islamico, addio coacervo iperliberista in economia ma spietatamente dirigista nei diritti civili e sociali, addio costruzione del conformismo più soffocante, cattedrale di politicamente corretto ricattatorio.

Addio, sovraistituzione che mentre il continente veniva invaso da milioni di disperati, aggredito da crisi globali, insidiato da attacchi culturali e religiosi volti unicamente a snaturarlo, per rinnegarlo, per cancellarlo, sa solo escogitare una dieta sostenibile di locuste e bacche, da punizione biblica, sa insufflare programmi scolastici all’insegna del genderismo in età prescolare, alluvionarci con raccomandazioni, prescrizioni, norme sulla misura dei pedalini o le dimensioni delle vongole, oppure stabilire, pensa te l’urgenza, uno standard unico per i caricatori dei telefonini.

Addio, europeismo a due, Francia e Germania, e il conto lo pagano gli altri, lo sconta l’intero Mediterraneo a più di lista. Addio, so long, bye bye. Poi dice che l’Inghilterra ha riscritto il rock, inventato il pop sperimentale, lanciato il punk, e noialtri sempre fermi al melodramma circolare, all’eterno ritorno del Sanremo delle cere, lottizzate ma cere.

Invidia, sì. Perché, parafrasando Fichte, “un popolo può ciò che deve; se dice non posso, è segno che non vuole”. Dio strabenedica gl’inglesi! Gli ex europarlamentari di Gran Bretagna si prendono per mano e cantano il loro inno di libertà. Noi cantiamo l’eterno inno di sudditanza e, a larga ma impotente maggioranza, neppure sappiamo perché.

Max Del Papa, qui.

Sì, invidia. Checché ne dicano le cornacchie male auguranti, anch’io provo proprio una profonda, sana invidia. E infine un commento dal fronte.

La situazione e’ gravissima.
Mancano medicinali e generi di prima necessita’. Con le sterline non si riesce a comprare neanche la cicoria. L’inflazione e’ al 200%. I cambiamenti climatici hanno improvvisamente accelerato i propri effetti. A Trafalgar Square si registrano 48 gradi. Si attende l’invasione delle cavallette che stanno attraversando la manica in questi minuti. I cittadini europei restano barricati in casa per timore di ritorsioni xenofobe degli squadroni neonazisti di Boris Johnson e Nigel Farage. Un gruppo di italiani e’ stato rapito e costretto a mangiare la pizza con l’ ananas e la carbonara con la panna.
Seguono aggiornamenti.

Da Federico De Palma, via Betta Maselli

In Alto Adige comunque la carbonara l’hanno sempre mangiata con la panna (e con lo speck, vi rendete conto? Con lo speck!), d’altra parte quelli, come tutti i crucchi, fanno anche il purè con patate latte e sale e basta, di cosa vogliamo meravigliarci?
brexit
barbara

LETTERA APERTA ALLA RESPONSABILE ESTERI DELL’UNIONE EUROPEA, SIGNORA FEDERICA MOGHERINI

Gentilissima signora Federica Mogherini
Per lo show di insediamento, e la vergognosa storia dei suoi selfi con gli autori della repressione e del terrorismo internazionale, il regime degli ayattollah aveva momentaneamente sospeso le esecuzioni riprendendo subito dopo. Ieri abbiamo ricevuto la triste notizia delle esecuzioni di massa incluso un giovanissimo ragazzo che all’epoca dei fatti aveva soli 15 anni. ( alireza Tajik. Shiraz).
Signora Mogherini il suo viaggio in Iran non solo [non] ha prodotto vantaggi a favore dei diritti umani bensi ha prolungato la sofferenza di 35 detenuti, condannati a morte, che hanno dovuto sopportare 5 giorni di isolamento in attesa dell’esecuzione.
In poche parolea se lei non ci fosse andato avrebbe risparmiato loro 5 giorni interminabili di sogni, incubi, sofferenze e qualcos’altro. [che cosa sia il “qualcos’altro” che tutti i prigionieri devono subire nelle prigioni iraniane, lo sappiamo fin troppo bene. Soprattutto le donne ancora vergini, perché secondo l’islam una donna che muore vergine va automaticamente in paradiso, e quindi devono evitare che una condannata a morte abbia questa gratificazione almeno post mortem, ndb]
Signora Mogherini lei e la sua politica chamberliniana porterà sicuramente una macchia nera nella storia contemporanea. Lei avrà sulla sua coscienza, premesso che ne abbia un briciolo nel suo portafoglio, la sofferenza e la morte di chi resterà vittima di queste barbarie fatte nel nome dell’islam.
Sappi che fin quando non manderemo il regime degli ayattollah nella pattumiera della storia non la perdoneremo mai e mai.
Resteremo la voce dei soldati italiani uccisi a Nassiria da coloro con cui lei si è divertita con i selfi!
Resteremo la voce dei senza voce
Resteremo la voce di Atefeh Rajabi, impiccata il 15 agosto del 2004 quando lei si stava prendendo il sole da qualche parte di questa terra!
Signora Mogherini per fare bene il suo lavoro ci vogliono uomini col cuore DONNA e non donne col cuor UOMO!
Sono sicuro che l’ambasciatore Giulio Terzi avrebbe declinato l’invito e l’avrebbe rimandato al mittente.
davood karimi, presidente dell’associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia

Voglio aggiungere due parole su Atefeh Rajabi, del cui assassinio ricorrerà fra pochissimi giorni il tredicesimo anniversario. Rimasta orfana di madre molto piccola, un fratello annegato (pare), padre drogato, si prende cura dei nonni ottantenni, che da parte loro invece la ignorano. Stuprata da un uomo di cinquantun anni, viene processata per crimini contro la castità; sottoposta per tre mesi a stupri e torture di ogni sorta (al punto da doversi muovere a quattro zampe per il dolore causato dalle torture che le impedisce di camminare), “confessa” di avere avuto ripetuti rapporti sessuali con il cinquantunenne. Quando si rende conto che non ha alcuna speranza di scampare alla condanna a morte, si toglie in segno di sfida l’hijab, poi si toglie anche le scarpe e le scaglia contro il giudice. Il 15 agosto 2004 viene impiccata. Non aveva ancora compiuto diciassette anni.
(clic per ingrandire)

atefeh 2
atefeh 3
Buon anniversario, signora Mogherini (già ricordata in questo blog qui e qui)

barbara

DA INCORNICIARE

desiriel
Sarò limitato io che non faccio parte delle famose elìte ma se da anni ad ogni voto, referendum, elezione o lotteria a sorteggio da Lisbona al Baltico tutti i popoli (l’Austria non conta perché hanno truccato i conti – Stalin diceva che le elezioni non le decide chi vota ma chi conta i voti) votano sistematicamente contro l’Europa, i Trattati Europei e qualsiasi cosa abbia a che fare con decisioni prese dall’Europa, qualche motivo ci sarà ?
Invece niente. Come automi dell’era Brezneviana eccoli lì tutti a ripetere il solito mantra (“ci vuole più Europa”) del Partito Unico: Popolari, Socialisti / Socialdemocratici, Liberali tutti insieme, tutti uguali, ormai non governano, non decidono, non guidano gli eventi come dovrebbe fare una vera dirigenza politica. Vanno al traino di lobbisti, BCE e banche complici, Obama, superburocrati, trattati sempre più convulsi, ottusi e incomprensibili per inerzia. Negoziano il TTIP in segreto e una Malmstrom qualsiasi si permette di rispondere a chi le porta milioni di firme contrarie che lei “non risponde ai popoli europei”.
Non riescono più a vincere nemmeno le elezioni per i rappresentanti di gestione della spazzatura del quartiere, fanno ovunque Grandi Coalizioni che giorno dopo giorno si squagliano come neve al sole (soprattutto i socialisti).
E nonostante che abbiano ancora in mano le leve del potere e del ricatto, che abbiano dalla loro parte la propaganda del 90% dei mass-media ideologizzati e compiacenti, che da anni mandino avanti il terrorismo psicologico del “Extra UE nulla salus”, l’Armageddon e il cul-de-sac in cui loro per primi ci hanno ficcato fregandosene.
La Brexit meritava anche solo per questo: vedere personaggi come Juncker e Schultz in piena crisi di panico che minacciano il popolo che da solo ha tenuto testa all’Invincible Armada, a Napoleone e a Hitler. Se c’è una cosa che un grande corpo politico non può permettersi è la farsa e il senso del ridicolo. (qui)

Come si suol dire: condivido anche le virgole.

barbara

E POI LEGGI ANCHE qui.

È ESAGERATO RIEVOCARE GLI ANNI TRENTA?

Ebrei messi al bando dal vertice dell’Unione Africana

Rifiutate le dichiarazioni programmatiche di sostegno da parte delle nazioni africane; i rappresentanti della Lega Araba esigono che siano mandati via gli “israeliani” per poter iniziare il summit.
La cerimonia di apertura del 23° vertice dell’Unione Africana di giovedì a Malabo stava per cominciare con la dichiarazione, da parte di un certo numero di Stati partecipanti, in sostegno dei tre ragazzi israeliani rapiti, finché il cattivo sangue non ha portato le tensioni allo stato di ebollizione.
“Non avevo mai assistito a una tale forma di razzismo e di antisemitismo. Siamo stati umiliati”, hanno dichiarato alcuni degli ebrei presenti, i quali hanno lasciato la Guinea Equatoriale di fretta, dopo aver anticipato il loro volo.
«Tutto è iniziato quando uno dei delegati arabi, dall’Egitto, ci ha avvicinati a cena la sera prima dell’apertura, chiedendoci cosa facessero qui, indicando gli uomini che indossavano la chippà”, ha detto l’imprenditrice israeliana Yardena Ovadia, che aveva organizzato l’invito della delegazione ebraica al summit.
Ovadia, che ha stretti legami con il presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang, ha detto di aver spiegato al delegato che lei e i suoi amici erano ebrei provenienti dagli Stati Uniti, ma non israeliani. Il giorno seguente, i rappresentanti della Lega Araba si sono rifiutati di entrare nella sala fino a quando tutti gli ebrei (o come li chiamavano loro, la “delegazione israeliana”) non fossero andati via.
“Eravamo già seduti nella sala conferenze”, ha detto Ovadia. “quando i capi della Lega Araba hanno annunciato il boicottaggio della conferenza fino a quando la ‘delegazione israeliana’ nono fossa andata via. Abbiamo dichiarato ufficialmente che siamo Americani e non Israeliani, ma non è servito a nulla.”
“C’era una rappresentante del Congresso degli Stati Uniti con noi. Era scioccata e ha detto che seguirà una dichiarazione ufficiale del governo”, ha aggiunto Ovadia.
Quattordici delegati della delegazione della Conferenza dei presidenti delle maggiori organizzazioni ebraiche americane si sono alzati e hanno lasciato la sala, e la cerimonia di apertura è stata posticipata di un’ora.
Era in programma la partecipazione del presidente palestinese Mahmoud Abbas, ma questi si è fatto sostituire dal suo vice. Il Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon era nella hall, così come il presidente egiziano al-Sisi, nonché il primo ministro spagnolo, quattro ministri iraniani, e di altri dignitari stranieri.
Lo scontro con la “delegazione israeliana”, è stato avviato dal presidente della Mauritania.
Il rappresentante dell’Autorità palestinese, ha detto nel suo discorso al vertice che gli ebrei hanno sperimentato un olocausto, ma che attualmente stavano istigando un olocausto contro il popolo palestinese. Una dichiarazione rilasciata dal capo della delegazione ebraica ha detto che nessun orecchio avrebbe potuto assorbire tali parole minacciose.
“Nel nostro hotel ci sono quattro ministri iraniani di alto livello”, ha detto Ovadia. “Sono stati molto cordiali fino al giorno dell’apertura del vertice. Poi ci hanno sbattuto la porta in faccia ingiustificatamente. Ciò non rimarrà senza risposta.”
Ha aggiunto: “Il presidente della Guinea Equatoriale ci ha chiamato per scusarsi personalmente e ha invitato la Conferenza dei presidenti di delegazione a una cena speciale, ma noi avevamo già riprogrammato il loro volo privato di rientro e già erano andati via.” (qui, traduzione FDD)


Gravissimo atto antisemita alla Unione Africana. ONU ed UE silenti

Quanto successo ieri al summit dell’Unione Africana che si teneva a Malabo, in Guinea Equatoriale, è davvero uno dei fatti di antisemitismo più gravi mai avvenuti nella storia della Istituzioni mondiali, non tanto per l’evidente manifestazione di antisemitismo alle quali ci si è fatta l’abitudine, quanto piuttosto per la sostanziale indifferenza dimostrata da ONU e rappresentanti europei.

L’antefatto

Una delegazione di ebrei americani era stata invitata al summit dell’Unione Africana dal Presidente della Guinea, ma quando la delegazione si è presentata è stata subito attaccata dalla delegazione della Lega Araba che si è rifiutata di entrare in sala fino a quando gli ebrei non se ne fossero andati. Alla Lega Araba si sono uniti anche alcuni stati africani e, naturalmente, l’Iran. Tutto questo nel più completo silenzio del Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-Mon e dei tantissimi rappresentati dell’Unione Europea presenti. Solo pochi minuti prima durante l’apertura dei lavori il Presidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Obiang, aveva fatto una dichiarazione a sostegno dei tre ragazzi israeliani rapiti da Hamas.

Il seguito
Il rappresentante della ANP è arrivato a congratularsi per questa scelta in quanto, a sua detta, «gli ebrei hanno sperimentato l’orrore dell’olocausto ma stanno attuando un olocausto contro il popolo palestinese». Quando qualcuno gli ha fatto notare che un olocausto è lo sterminio di un popolo e che, solo nei territori contesi i palestinesi sono quintuplicati negli ultimi 20 anni e che quindi non c’è alcun olocausto, il rappresentante palestinese ha abbandonato l’aula.

Il vergognoso silenzio delle Istituzioni mondiali
Tutto questo è avvenuto nel completo e vergognoso silenzio delle maggiori istituzioni mondiali, a partire dall’ONU e dall’Unione Europea, quasi si trattasse di “silenzio-assenso”. Ormai le manifestazioni di antisemitismo e di odio verso Israele vengono sostanzialmente accettate e persino avvallate. Andrebbe ricordato a certi personaggi che ieri stavano allegramente pranzando insieme a un gruppo di “grandi violatori di Diritti Umani”, gente persino ricercata dal Tribunale Penale Internazionale per crimini di guerra e genocidio, che il 100% dei rappresentanti della Lega Araba rappresentano Stati in cui non esiste il concetto di Democrazia e di Diritti Umani. Ormai le istituzioni mondiali hanno perso anche l’ultimo barlume di dignità.
Claudia Colombo (qui)

Poi magari, volendo, ci sarebbe anche questo.

barbara

QUESTA, A CASA MIA, SI CHIAMA GUERRA

Bruxelles come Wannsee?
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,
questa notizia l’avete potuta leggere suoi giornali di oggi, IC ve la riporta in un’altra pagina, ma dovete perdonarmi se io ve ne do un piccolo commento ulteriore, diciamo per amor di discussione. Dunque è successo che… i paesi dell’America latina, già offesi con l’Europa per non aver accolto con onori adeguati il presidente boliviano, hanno intimato alla Gran Bretagna di etichettare le sue stoffe in maniera che sia chiaro se provengono o no dalle Falkland, che loro chiamano Malvinas e considerano abusivamente occupate da Sua Maestà Britannica, anche se gli abitanti sono inglesi da generazioni e vogliono restare tali. Se la Gran Bretagna non garantirà sulle etichette che neanche un filo delle sue lane rinomate viene dalle numerose pecore delle Falkland, nessuna stoffa o abito inglese potrebbe più entrare nei loro negozi…
No, non è andata così, mi confondo. Allora, sentite. Gli Usa, che non riconoscono l’occupazione turca di Cipro Nord, hanno deciso che prima di dare qualunque aiuto alla Turchia vogliono la garanzia che neanche un cent finirà a Nicosia e dintorni. Il governo turco deve inserire una clausola speciale contenente questo impegno su ogni accordo di collaborazione scientifica e culturale, su ogni vite di forniture all’esercito, su qualunque finanziamento americano.
No, non è accaduto, mi sbaglio di nuovo. È la Russia che non è contenta dell’occupazione internazionale di Bosnia e Kossovo ai danni della sua sorella Serbia, e non approva l’ampliamento dell’Unione Europea ai paesi baltici che una volta erano sovietici, a voler essere sicura che il gas che vende agli Stati europei non prenda queste destinazioni non gradite. È la Spagna, che rivendica Gibilterra, a non voler vendere più il suo vino e i suoi pomodori alla Gran Bretagna senza l’assicurazione che non finiranno nella fortezza dove finisce l’Europa…
Che confusione… mi sono sbagliato ancora. Ecco. Ci sono un paio di occupazioni particolarmente sensibili sul piano dei diritti umani. La Cina in Tibet, paese di antica civiltà, sta facendo una vera e propria pulizia etnica e un  genocidio culturale. L’enorme Russia fa una guerra di sterminio alla piccola Cecenia fin dai tempi della gioventù di Tostoj, che la raccontò in un libro più di un secolo e mezzo fa. L’Unione Europea, così sensibile ai diritti umani, ha deciso di non collaborare assolutamente con queste occupazioni e di condizionare ogni accordo con questi paesi alla fine di queste guerre che non è sbagliato definire coloniali. E inoltre ha anche stabilito che non darà più aiuti di sorta a Turchia, Iraq, Iran, Pakistan, Nigeria, Sudan, fino a che non finiranno le stragi di cristiani… Boicotterà la Russia (di nuovo) se continuerà ad armare il governo siriano e anche il Qatar se lo farà coi ribelli islamisti… Romperà gli accordi col Marocco che occupa l’ex Sahara spagnolo da decenni, in spregio alle risoluzioni dell’Onu che gli hanno imposto di tenere un referendum che mai si riesce a fare…

No, la notizia non è questa. Nessuna di quelle che vi ho elencato. La sensibilità dei grandi paesi e dell’UE per ingiustizie e stragi è molto bassa, la loro politica umanitaria del tutto subordinata alla convenienza economica e geopolitica. Pensate che l’Unione Europea si rifiuta ostinatamente di mettere sulla lista nera non uno Stato, ma un movimento che ha compiuto e preparato spesso attentati terroristici anche sul suo territorio, perché dice di non essere tanto sicura e in realtà ha paura di rappresaglie sui suoi soldati che sono stanziati del tutto inutilmente in un territorio dove dovrebbero sorvegliare e contribuire a disarmare questo movimento terrorista, ma ne sono neutralizzate e talvolta vergognosamente cacciate e disarmate loro. Sto parlando di Hezbollah e del Sud Libano. Mi vergogno profondamente del fatto che fra i paesi europei che si oppongono all’iscrizione di Hezbollah nella lista dei terroristi  stia in prima fila l’Italia, su spinta di un ministro che una volta passava per difensore dei diritti umani e ora fa la stessa politica di D’Alema. Sto parlando di Emma Bonino, naturalmente, il più grande bluff del nuovo governo.
C’è un’eccezione a questa cinica indifferenza della politica internazionale per occupazioni vere o presunte e violazioni dei diritti umani, anch’esse vere o presunte. È Israele. È di questo che volevo parlarvi. L’Unione Europea ha appena deciso nei confronti di Israele quel che non è stato mai deciso da nessuno rispetto a Russia e Cina, Gran Bretagna e Turchia, delle stragi di cristiani e delle occupazioni di Cipro e del Sahara spagnolo. È Israele, che non solo l’Unione e i paesi europei cercano di destabilizzare dall’interno finanziando ONG che praticano vari tipi di “resistenza” ai confini della legalità, ma di cui pretende di stabilire i confini anche contro gli accordi di cui l’Unione Europea dovrebbe essere fra i garanti. Non solo sul piano giuridico infatti i territori al di là della linea verde non sono stati attribuiti a nessuno (ma esistono le deliberazioni della Società delle nazioni che fondavano il mandato britannico secondo cui essi dovevano essere dedicati allo “stanziamento – o se volete, “colonizzazione”: settling – ebraico”), ma negli accordi di Oslo, di cui l’Unione Europea è fra i garanti, si dice esplicitamente che la definizione dell’appartenenza dei territori sarà decisa da negoziati fra le parti. Ora l’Unione Europea ha deciso non solo che le merci prodotte oltre le linea verde non devono essere marcate come prodotti israeliani, ma che tutti gli accordi economici, culturali, scientifici ecc. fatti dall’Unione o da qualunque paese europeo con Israele devono escludere esplicitamente ogni contatto con gli insediamenti oltre la linea verde (anche Gerusalemme Est e il Golan, che sono stati annessi come parte del territorio israeliano), ogni ricaduta favorevole per loro, ogni forma di collaborazione. Cioè l’Unione Europea ha deciso di poter decidere lei quali sono i confini di Israele.
È una mossa tipicamente coloniale. L’Unione Europea fa quel che facevano le grandi potenze ottocentesche in Cina e in Africa, dispone del territorio di un altro stato sovrano. Sul piano sostanziale, questo è un atto di guerra. L’Unione Europea ha in sostanza dichiarato guerra a Israele per costringerlo ad applicare delle politiche e delle delimitazioni territoriali che sono contrarie alla volontà e anche alle leggi israeliane. Includendo il Golan e Gerusalemme, che per le leggi israeliane sono parte del territorio nazionale e non possono essere discriminati, ha reso impossibile ogni forma di collaborazione da parte di Israele. È importante notare che tutto ciò è accaduto con una delibera che non è stata votata da nessun parlamento né discussa pubblicamente nella politica europea: questo è caratteristico dell’assenza di democrazia, dell’autoreferenzialità politica dell’UE. È possibile che i ministri degli esteri degli stati europei abbiano approvato questo gesto, non mi meraviglierebbe se Bonino, immemore delle posizioni pro-Israele che i radicali (una volta?) tenevano, avesse firmato. Ma certo non se n’è parlato nel Parlamento italiano, né nella nostra sfera pubblica, né probabilmente nel Parlamento Europeo, grande monumento inutile all’inesistenza della democrazia nel funzionamento concreto dell’Unione.
Questo deficit c’è dappertutto. Ma in questo caso è particolarmente grave, perché una guerra europea contro Israele dovrebbe far pensare. L’ultima volta che in tutta Europa, poco meno del territorio attuale dell’Unione Europea, si decise una guerra contro quello che allora era Israele, cioè gli ebrei europei, lo si fece a una conferenza tenuta in un’amena località di villeggiatura a una decina di chilometri da Berlino, il Wannsee. Era il 20 gennaio 1942, parteciparono certi signori in divisa nera che si chiamavano Heydrich, Müller, Eichmann, e stabilirono le modalità della “soluzione finale del problema ebraico”. Sono passati settant’anni, ma l’Europa è sempre lì, a occuparsi degli ebrei (e oggi del loro stato) in maniera diversa da tutti gli altri problemi; a discriminarli e boicottarli, in definitiva a cercare di eliminare quel fastidio che è la presenza ebraica nel loro mondo. Forse anche Bruxelles non è così lontana da Wannsee.

La frase che ho posto come titolo non vuole riecheggiare quella scritta da Ugo Volli in questo testo: è quella che mi è venuta in mente, spontaneamente, nel leggerlo, perché quanto intrapreso dall’Unione Europea è un atto di guerra a tutti gli effetti, secondo le norme del diritto internazionale. E se qualcuno ha voglia di misurare esattamente l’estensione della malafede dell’Unione Europea e di tutti coloro che agiscono nello stesso modo, dia un’occhiata qui alla lista dei territori contestati, o contesi che dir si voglia, nel mondo. Non occorre che la leggiate, sarà sufficiente che la facciate scorrere con la rotellina del mouse. Buon divertimento.

barbara