QUELLE ORRENDE STRAGI IN AMERICA

per colpa del libero commercio delle armi.

La California: al primo posto nel porre limiti alle armi, sempre al primo posto nelle sparatorie di massa – Breitbart News

Un rapporto dell’FBI sugli “incidenti con le sparatorie” nel 2021 mostra che la California è lo Stato al primo posto per tali incidenti, 6 in totale

La California è al primo posto per quanto riguarda le restrizioni sulle armi, come ha osservato Everytown for Gun Safety, un’organizzazione affiliata a Mike Bloomberg.
Secondo l’FBI, nel 2021 si sono verificate 61 sparatorie con “tiratori attivi” in tutti gli Stati Uniti (un aumento di oltre il 50% rispetto all’anno precedente) e 12 di esse rispondevano alla definizione di “omicidi di massa“.
L’FBI definisce un “tiratore attivo” come uno o più individui attivamente impegnati ad uccidere o a tentare di uccidere persone in un’area popolata. La definizione implica l’uso di un’arma da fuoco da parte del tiratore. L’aspetto “attivo” della definizione implica intrinsecamente la natura continua di un incidente, e quindi la possibilità che la risposta influisca sull’esito, mentre un “omicidio di massa” viene definito come tre o più uccisioni in un singolo incidente.
La California ha guidato la classifica della nazione con 6 sparatorie di massa su 12. Sin dal 1982, la California ha registrato il maggior numero di sparatorie di massa, 20, rispetto al secondo posto della lista, la Florida, con 12.
La California però dispone di controlli universali sui precedenti, di un divieto sulle c.d. “armi d’assalto”, di un divieto sui caricatori ad alta capacità di proiettili, di un periodo di attesa di 10 giorni per l’acquisto di armi, di una una legge c.d. “Red Flag” che prevede il sequestro temporaneo delle armi da fuoco di una persona che si ritiene possa rappresentare un pericolo per gli altri o per se stessa, di requisiti per la registrazione delle armi, di un requisito di “giusta causa” per il rilascio di un permesso per il porto d’armi, di un divieto di portare un’arma in un campus universitario anche per autodifesa, di un divieto per gli insegnanti di introdurre armi da fuco nei campus per la difesa propria personale e della classe, di un requisito di controllo sui precedenti anche per l’acquisto delle munizioni e di un limite al numero di armi che un cittadino rispettoso della legge possa acquistare mensilmente, tra gli altri controlli. Inoltre, l’acquisto di munizioni è consentito solo se effettuato tramite un fornitore approvato dallo Stato.
Per confronto, in Wyoming, che dispone di un “Constitutional Carry” che consente di portare liberamente con sé le proprie armi, non c’è alcuna violenza con le armi da fuoco.

BreitbartNews.com, qui.

Sarebbe quindi ora di smetterla di scambiare leggende e utopie con la realtà: non fa bene a nessuno.
Aggiungo questo articolo di Giulio Meotti, che condivido totalmente.

Contro il male c’è solo un uomo buono con un fucile

L’unica notizia positiva nella strage di Uvalde è un padre di famiglia che si stava tagliando i capelli e quando ha saputo dell’attacco ha preso l’arma del barbiere ed è corso a salvare i bambini

Jacob Albarado al centro in camicia e con il fucile davanti alla scuola di Uvalde

“Uvalde è uno dei più grandi scandali delle forze dell’ordine nella storia degli Stati Uniti”. Così la veterana del giornalismo americano Peggy Noonan sul Wall Street Journal racconta quanto è successo nella scuola elementare in Texas teatro dell’ultima strage. “I bambini, alcuni già uccisi, altri no, erano rimasti intrappolati nelle aule e 19 poliziotti si erano radunati appena fuori. L’attacco è durato così a lungo, hanno detto i testimoni, che l’uomo armato ha avuto il tempo di schernire le vittime prima di ucciderle. Gli studenti chiamavano i servizi di emergenza e chiedevano aiuto. Gli agenti non si sono mossi per un’ora. Un popolo che ama parlare all’infinito di sensibilità, ma non è abbastanza sensibile da salvare i bambini dall’altra parte della porta. Mio Dio, non ho mai visto un paese così bisognoso di un eroe”.
Gli attacchi politici e ideologici alla polizia in questi due anni (“razzismo sistemico”, “uso brutale della forza” etc..) dal caso George Floyd l’hanno forse paralizzata? Una domanda che molti si stanno facendo.
Alla scuola di Uvalde, in Texas, la polizia era paralizzata mentre l’assassino Salvador Ramos era dentro la scuola. L’unica notizia positiva quella mattina è arrivata da un agente della polizia di frontiera in pensione, Jacob Albarado, che in quel momento si trovava dal barbiere. “C’è un tiratore attivo. Aiuto. Ti amo”, gli ha scritto la moglie insegnante dentro la scuola. “Ho chiesto al mio barbiere se avesse un’arma”, ha raccontato Jacob alla CBS News. “Mi sono comportato come un marito e un padre”. Sua moglie gli ha fatto sapere che era uscita, ma la loro figlia era ancora rinchiusa nel bagno. “Non sapevo quale bagno”, ha detto Albarado. “Dobbiamo portare i bambini fuori di qui”, ha detto Albarado agli agenti appena accorso sul posto. “Questo è il nostro momento”.
“La sola cosa necessaria per il trionfo del male è che le brave persone non facciano niente”, disse già Edmund Burke, che a differenza di Jean-Jacques Rousseau non pensava affatto che fossimo tutti buoni e che la società ci corrompe.
“La migliore difesa contro un assassino con una pistola è un difensore con una pistola”, ha scritto il Wall Street Journal, raccontando come anche nella strage alla sinagoga di Poway, in California, fu uno dei “buoni” armato a fermare lo stragista. “Una scena terrificante si è svolta in un Walmart a Springfield” racconta ancora la National Review. “Un uomo con un fucile tattico, una pistola e più di 100 cartucce è entrato. La polizia si è precipitata, ma quando sono arrivati ​​la crisi era finita. Un ex pompiere aveva estratto la sua arma e teneva l’uomo sotto tiro. Un bravo ragazzo con una pistola ha evitato una potenziale crisi”.
Lo stesso avvenne la mattina dell’11 settembre 2001, quando tutto il sistema americano collassò e le sole buone notizie arrivarono dal volo 93. Todd Beamer era un venditore di software per la Oracle con una casetta a Cranbury, nel New Jersey. L’11 settembre uscì alle cinque del mattino diretto all’aeroporto di Newark, facendo piano per non svegliare i bambini e la moglie incinta del terzo figlio. Quando gli attentatori dirottarono il suo volo, Todd chiese all’operatrice telefonica di recitare il 23esimo salmo: “Se dovessi camminare in una valle oscura…”. Poi quella frase: Let’s roll, alla carica. Todd disse let’s roll, riappese il telefono e insieme ad altri altri si avventò sui kamikaze, impedendo che l’aereo fosse lanciato sulla Casa Bianca (si schiantarono in Pennsylvania). Todd sapeva che quel giorno non ci sarebbe stato happy end. Ma nel loro sacrificio, lui e gli altri passeggeri diedero all’America un messaggio di speranza.
Akash Bashir è il primo “Servo di Dio” nella storia della Chiesa in Pakistan. Il giovane laico ha offerto la sua vita in sacrificio per salvare la vita di centinaia di cristiani all’interno della chiesa cattolica di San Giovanni nel distretto di Youhanabad a Lahore il 15 marzo 2015, bloccando un attentatore suicida e morendo con lui. Prestava servizio volontariamente nella sicurezza fuori dalla chiesa. Era in servizio al cancello della chiesa quando ha notato un uomo che cercava di entrare con una cintura esplosiva sul corpo. Akash abbracciò l’uomo, inchiodandolo a terra e tenendolo alla porta d’ingresso, vanificando il piano del terrorista di compiere un massacro di cristiani dentro la chiesa. L’attentatore suicida si è così fatto esplodere e Akash Bashir è morto con lui. Le sue ultime parole furono: “Sto per morire, ma non ti lascerò entrare”.
Sulle porte dei supermercati, dei teatri, dei cinema, dei grandi magazzini, delle scuole, delle sinagoghe e dei centri commerciali di Israele una guardia durante la Seconda Intifada fu l’ultima linea per proteggere i civili. Duecento persone che si trovavano in un supermercato a Gerusalemme devono la loro vita a Haim Smadar. Un ebreo tunisino emigrato in Israele quando aveva due anni. “Tu non entri, noi due moriremo qui”, disse Haim fermando una donna imbottita di esplosivo. Alla moglie Shoshana aveva detto: “Se un attentatore suicida volesse entrare nella mia scuola, io lo fermerei con il mio corpo”. Smadar faceva la guardia anche in una scuola. La moglie lo ricorda così: “Il suo nome era Haim ed è esattamente ciò che ha donato a così tante persone… la vita”.
Arnaud Beltrame è il tenente colonnello della gendarmeria francese che cercò di disarmare il terrorista islamico negli attacchi a Trebes e Carcassone, offrendosi come ostaggio al posto di una donna in un supermercato. Padre Jean-Baptiste, che lo conosceva, ricorda “l’importanza che Beltrame dava alla guerra spirituale che stava attraversando la Francia. La fede del jihadista gli ha ordinato di uccidere. La fede di Arnaud di salvare vite umane”. Racconta la moglie: “Ho trovato una frase scritta da lui, in cui dice che è pronto, che l’ora di Dio sarà la sua”. Beltrame ora riposa nel cimitero di Ferrals-les-Corbières, dove c’è sempre qualcuno che va a deporre fiori sotto una croce e una frase: “Chi osa vince”.
Lo scorso 27 ottobre in aula a Parigi, dove si svolgeva il processo ai terroristi che gli avevano ucciso la figlia Nathalie al teatro Bataclan di Parigi, Patrick Jardin ha detto: “C’è stato l’intervento di questo coraggioso poliziotto che a rischio della sua vita è entrato nel Bataclan e con le sole armi di servizio ha ucciso questa feccia di Samy Amimour. Colgo l’occasione per ringraziare questo poliziotto, questo eroe e condividere con lui tutta la mia ammirazione. A sei anni da questa tragedia ancora non riesco a capire come i soldati in servizio davanti al Bataclan abbiano potuto rimanere inerti alle grida di terrore e agli appelli disperati delle vittime”.
17 famiglie delle vittime hanno fatto causa allo stato francese perché otto soldati delle pattuglie antiterrorismo “Sentinelle” armati di fucili d’assalto e che si trovavano proprio fuori al Bataclan mentre all’interno si svolgeva la strage sono stati avvertiti dai superiori di non intervenire. Il fatto che questi soldati non siano intervenuti è già stato oggetto di molte discussioni, racconta Le Monde. Un brigadiere di polizia chiamato sul posto quella sera ha detto di aver chiesto ai soldati di entrare. Ma la questura ha risposto: “Negativo, non siamo in zona di guerra”. Il portavoce del governatore militare di Parigi, Guillaume Trohel, ha detto: “Quella sera la situazione era molto confusa. Prima di dare una missione a qualcuno, devi sapere cosa sta succedendo! Non puoi inviare un’unità alla cieca”. Il generale Le Ray ha invece detto: “Non è pensabile mettere in pericolo i soldati nell’ipotetica speranza di salvare altre persone. Non sono destinati a gettarsi nella bocca del lupo”.
Insomma, quella sera anche il sistema francese è collassato.
La rock band americana Eagles of Death Metal si esibiva sul palco del Bataclan quando i terroristi dell’Isis hanno sterminato 89 persone in un tiro al piccione. Per settimane, la Francia si è stretta attorno a questo gruppo di anarcoidi californiani di Palm Desert dalla barba folta, la voce arrochita dal fumo, i capelli a spazzola, i tatuaggi e la cultura da middle America, quella della frontiera, dove si gioca a testa o croce con l’esistenza. Poi, intervistato dalla tv francese iTélé, il frontman Jesse Hughes ha scioccato il pubblico di europei: “Non posso permettere che i cattivi l’abbiano vinta. La legge francese che limita le armi ha forse fermato la morte di una sola f…a persona al Bataclan? So che molte persone non saranno d’accordo con me, ma le armi possono rendere le persone uguali, o almeno così avrebbe potuto essere quella notte. Finché rimarrà anche solo una persona con una pistola, tutti dovrebbero averne una. Perché non ho mai visto morire una persona che aveva una pistola. Ho visto invece morire persone che forse avrebbero potuto vivere”. Hughes è tornato a scuotere la Francia con una intervista apparsa sul magazine Taki. “A una ragazza davanti a me hanno sparato e la testa le è esplosa”, racconta il musicista. “Avevo suoi pezzi di ossa e denti in faccia. Quando hanno sparato i primi proiettili, la gente mi ha guardato. Non avevano mai sentito un colpo di pistola in vita loro”.
In un mondo ideale nessuno dovrebbe andare in giro armato e soltanto lo stato dovrebbe gestire una crisi simile. Ma nel mondo reale, come a Uvalde, mentre venti poliziotti stavano con le mani in mano e la politica aveva fallito, un uomo buono con un’arma ha fatto la differenza. Dentro al Bataclan erano armati solo gli assassini dell’Isis e fuori l’esercito non intervenne.
La società occidentale ha bisogno di tanti Jacob Albarado, Arnaud Beltrame, Todd Beamer, Akash Bashir e Haim Smadar. Perché la civiltà è separata dall’abisso da una crosta molto sottile e ci sono uomini chiamati a proteggerla. Come in un detto del Talmud Babilonese: “Ci sono malvagi che da vivi sono come morti. Ci sono giusti che da morti sono sempre vivi”.
Giulio Meotti

Il Salmo 23, per chi non lo conoscesse, è questo

E non c’è niente da fare, quando le armi stanno da una parte sola, va sempre a finire male. Quando invece anche i buoni riescono ad averne un po’, qualcosa cambia di sicuro.

barbara

VISTO CHE CI SONO TUTTE QUESTE ARMI IN CIRCOLAZIONE

qualcuno avrebbe un bazooka da prestarmi un momento? Che io avrei una buona idea su chi scaricarlo.

Il comandante che ha preso la decisione di non fare irruzione in classe pensava che “non ci fossero bambini a rischio” (qui)

Un’ora intera fuori da un’aula in cui qualcuno sta sparando all’impazzata, bambini che urlano, maestre che urlano, ma chi mai potrebbe pensare che lì dentro ci siano bambini a rischio? Anzi no, non un  bazooka: morirebbe troppo in fretta.
Aggiungo le considerazioni fatte in questo articolo, che mi sembrano ragionevoli.

Confrontarsi con il male sulla scia della sparatoria alla scuola di Uvalde

Tratto e tradotto da un articolo di Joel B. Pollak per Breitbart News

Martedì sono andata a prendere mio figlio alla scuola elementare pubblica ed ho avuto lo stesso pensiero che sicuramente hanno avuto milioni di genitori in tutta l’America: Sono fortunata a fare questo.
Perché in quel momento, le mamme e i papà di Uvalde, in Texas, aspettavano, e aspettavano, fuori dalla scuola dei loro figli, figli e figlie che non sarebbero mai più tornati a casa.
Non ci è voluto molto perché i Democratici chiedessero il controllo delle armi ed incolpassero i Repubblicani per la sparatoria di massa. Dopo tutto, è un anno di elezioni.
Almeno questa volta non hanno incolpato il “suprematismo bianco” o Fox News per quegli omicidi.
Come ha scritto l’editorialista del Los Angeles Times, con un notevole senso di incredulità, sia l’autore della sparatoria che la maggior parte delle vittime erano latinos: “Ho subito pensato: sarà stato il solito suprematista bianco. […] Quando invece ho scoperto che la persona che martedì ha ucciso 19 bambini di quarta elementare e due insegnanti a Uvalde, in Texas, aveva un nome… mi si è chiuso lo stomaco. […] Quando è uno dei tuoi che uccide un suo simile, cosa succede?”.
“Allora cosa?”
Allora forse si può smettere di cercare delle persone da incolpare e di trovare modi sempre nuovi per collegare crimini orribili a delle persone che non hanno nulla a che fare con l’evento, ma con le quali si hanno dei disaccordi politici.
E smetterla di attaccare i “pensieri e le preghiere“, che sono un modo reale ed utile di affrontare e mostrare empatia.
L’impulso costante a demonizzare l’altra parte ha reso la nostra politica grossolana al punto da rendere impossibile la cooperazione. I nostri leader non riescono nemmeno a tenere una conferenza stampa.
Non ci sono risposte facili. Tutti noi vogliamo sapere cosa si può fare per fermare le sparatorie nelle scuole.
Non posso parlare a nome di tutti i possessori di armi, ma anch’io mi sono chiesto se nuove leggi sul controllo delle armi potrebbero aiutare.
La risposta che ottengo sempre è che il controllo delle armi sarebbe impossibile da attuare.
Negli Stati Uniti ci sono centinaia di milioni di armi ed ogni anno se ne vendono milioni. E se il 2020 ci ha insegnato qualcosa, è che la nostra società rifiuta l’applicazione aggressiva della legge, soprattutto nelle comunità delle minoranze.
Di solito, in caso di sparatorie di massa, è difficile individuare una legge specifica che possa aver fatto la differenza. Ma forse a Uvalde non è così.
Una legge della California ha recentemente impedito ai giovani tra i 18 e i 20 anni di acquistare fucili semiautomatici, come quelli usati dall’uomo armato in Texas. Tuttavia, questa legge è stata annullata all’inizio di questo mese dal super-progressista Nono Circuito come una violazione del Secondo Emendamento.
Come ha notato lo studioso Jonathan Turley, la Costituzione è un ostacolo al controllo delle armi più grande della c.d. “lobby delle armi”.
Personalmente, se la Costituzione non fosse un ostacolo, probabilmente vieterei i videogiochi sparatutto, specialmente quelli in prima persona, prima di vietare le armi. La proliferazione di questi videogiochi è iniziata all’inizio degli anni ’90 ed ha coinciso con la comparsa delle sparatorie di massa nelle scuole.
La maggior parte dei giocatori capisce perfettamente che i videogiochi sono solamente fantasia. Ma se anche solo alcuni decidessero di sperimentare le loro fantasie di gioco nella vita reale, i risultati potrebbero essere devastanti.
Dal momento che abbiamo il Primo Emendamento, non ci potrà mai essere un divieto legale. Spetta dunque solamente ai genitori.
Alcuni a Sinistra chiedono che il Secondo Emendamento venga abrogato, o almeno modificato. Questo non accadrà. Dovrebbero essere d’accordo tre quarti degli Stati. E non lo faranno mai.
I redattori della Costituzione hanno deciso molto tempo fa che il rischio dietro all’avere una cittadinanza armata, con tutto il potenziale di crimine e di disordine, fosse più utile come garanzia finale contro la tirannia. Il risultato è una società più libera e più imprenditoriale, ma anche un po’ più pericolosa. Questo è il compromesso.
È più sensato quindi “indurire il bersaglio” proteggendo le scuole piuttosto che aspettarsi che i politici approvino un controllo sulle armi che in qualche modo sopravviva ai tribunali ed agli scoraggianti ostacoli alla sua attuazione.
Ma personaggi famosi – come l’allenatore dei Golden State Warriors Steve Kerr – e i politici Democratici ambiziosi – come il membro del consiglio scolastico di Los Angeles Nick Melvoin – hanno attaccato la “lobby delle armi” ed i Repubblicani. Hanno persino sostenuto gli sforzi per togliere la polizia nelle scuole. La sicurezza degli studenti non è la loro priorità.
Ciò che ha reso la sparatoria di Uvalde così difficile da trattare, a parte l’orrore puro, è che sembra sfidare le soluzioni politiche convenienti per tutti. “Controllo delle armi?”. L’assassino ha comprato le sue armi legalmente. “Guardie armate?”. Le prime notizie – poi smentite – parlavano di un agente nella scuola. “Leggi c.d. red-flag?”. L’assassino non aveva precedenti penali, almeno da adulto.
Poi, giovedì, abbiamo appreso che non c’era nessun addetto alla sicurezza, che l’uomo armato è entrato nell’edifico da una porta lasciata aperta e che la polizia ha aspettato per un’ora prima che una squadra della pattuglia della frontiera arrivasse ed entrasse nell’edificio facendo fuori il tiratore.
Quindi, possiamo proteggere le nostre scuole. Ma in troppi casi, abbiamo scelto di non farlo.
Il rappresentante Eric Swalwell (Democratico della California) ha addirittura dichiarato questa settimana alla MSNBC che i genitori dovrebbero dire ai loro figli di avere paura dopo Uvalde. Chiunque non lo facesse sarebbe “un bugiardo”, ha detto. Meglio traumatizzarli intanto che aspettano il controllo delle armi.
Ed è così che molti Democratici hanno reagito: sbandierando leggi fallimentari sul controllo delle armi ed incolpando i loro avversari politici dei morti (anche se si scopre che comunque quelle leggi non sarebbero servite a niente).
Ma è stato il governatore del Texas Greg Abbott (Repubblicano) ad avvicinarsi di più alla spiegazione della sparatoria di Uvalde, quando ha detto che un’ondata di malvagità è passata sulla città e che l’assassino aveva il male nel cuore.
Non è una spiegazione che molti di noi sono più abituati a sentire. Più siamo istruiti, più tendiamo a rifiutare le distinzioni tra il bene e il male, etichettandole come “semplicistiche” o “pericolose“.
Solo un Sith parla per assoluti“, si diceva in Star Wars. Ed è generalmente vero che il mondo è complesso. Ma è anche vero che il bene e il male esistono.
Il modo migliore per combattere il male è promuovere il bene, nella nostra società come dentro di noi. Dobbiamo ricordarci l’un l’altro – e soprattutto ai nostri giovani – che c’è davvero un modo migliore per vivere, ed è la vita che i nostri testi giudaico-cristiani ci descrivono.
Possiamo fare fatica a vivere all’altezza di quel modello e possiamo desiderare di allontanarci da esso in tutti i modi possibili. Ma le sue virtù rimangono la migliore guida per una vita che sia buona. Anche se le scoprite al di fuori della religione, sarà difficile migliorarle.
Il male è ovunque. Il suo potenziale esiste in ogni momento. Ma non è come strillare che esiste il “razzismo sistemico”. Il fatto che ci sia il razzismo nella nostra società non significa che la società stessa sia razzista. L’America è stata fondata sulla libertà e sull’uguaglianza. Possiamo comunque scegliere di trattare ogni individuo in modo equo, indipendentemente dalla sua razza.
Allo stesso modo, il male non deve definirci. Possiamo scegliere il bene, anche quando ciò significa correre dei rischi.
E questo è il punto di partenza. Non riporterà indietro i bambini di Uvalde. Ma farà progredire il nostro Paese.
BreitbartNews.com, qui.

Vergognose invece le strumentalizzazioni politiche dei dem, che fanno quasi pensare che non aspettassero altro che una strage, le cui cause vanno cercate in ben altro che nella legge sulle armi (come se fosse poi tanto difficile procurarsi armi illegalmente) visto il modo famelico in cui si sono buttati sulla vicenda. I dem e la stampa prona. Per fortuna c’è anche chi rifiuta la politicizzazione della tragedia

E naturalmente il petulante giornalista, di fronte al rifiuto del politico di accettare la provocazione, non trova di meglio che accusarlo di non avere argomenti, ritornello che conosciamo fin troppo bene. Vergogna a tutti coloro che di fronte a una tragedia, invece che offrire vicinanza ai parenti delle vittime e ai sopravvissuti e poi, a corpi sepolti, interrogarsi seriamente sui mali della società che portano a queste esplosioni (ho letto da qualche parte che in Svizzera la concentrazione di armi personali sarebbe perfino maggiore che in America, e tuttavia non sentiamo storie di questo genere: ci sarà qualche motivo?) e studiare i modi di porvi rimedio, cercano il modo di trarne vantaggio politico – più o meno come quel nostro politico che si augurava che sulla nave bloccata morisse un bambino per poterne poi accusare, e possibilmente incriminare, l’avversario politico. Peccato che questa feccia, la vergogna non sa proprio che cosa sia.

barbara