IL PRESTIGIOSO PREMIO NOBEL

Quello che per la letteratura viene dato a Dario Fo e a Bob Dylan (e io ci metterei anche Quasimodo, che come “poeta” per me sta allo stesso livello di quei due, se non al di sotto). Quello che per la pace viene dato a una signora africana che ha piantato degli alberi (sic!) e che sostiene a spada tratta le mutilazioni genitali femminili. E a Barack Hussein Obama – preventivamente, cosa che non sta né in cielo né in terra, cioè praticamente glielo hanno dato perché è negro, altre spiegazioni non si trovano – il peggior nemico della pace mondiale dopo Hitler, che ha leccato il culo a tutti i peggiori fondamentalisti islamici e voltato il proprio, di culo, a tutti i più sinceri amici, che ha lasciato affondare e massacrare gli studenti dell’Onda Verde in Iran, al quale Iran ha regalato su un piatto d’argento la bomba atomica finalizzata a cancellare Israele dalla faccia della terra, che ha fatto scatenare le cosiddette primavere arabe con un bilancio, molto provvisorio, di molte centinaia di migliaia di morti. Eccetera. E al terrorista Arafat. E all’Onu, per le cui nefandezze non basterebbe un libro delle dimensioni di Guerra e pace, e, in particolare, nella persona di Kofi Annan. Ecco, quel premio Nobel lì. A chi sarà mai andato quest’anno quello per la letteratura?

Nobel a Gurnah contro il colonialismo. Quello europeo, non quello arabo

Il premio Nobel per la letteratura è stato conferito allo scrittore tanzaniano Abdulrazak Gurnah. Nelle motivazioni c’è la sua “intransigente e compassionevole analisi” degli effetti del colonialismo. Di quale colonialismo si parla? Di quello europeo. Eppure il colonialismo arabo a Zanzibar, in 13 secoli, deportò 12 milioni di schiavi. 

Il premio Nobel 2021 per la letteratura è stato conferito allo scrittore tanzaniano Abdulrazak Gurnah, residente dal 1967 in Gran Bretagna dove ha insegnato inglese e letterature post coloniali presso l’università del Kent fino alla pensione. Gurnah è autore di dieci romanzi e di diversi racconti e saggi. I suoi personaggi, spiega la fondazione Nobel “si trovano in uno iato tra culture e continenti, tra una vita che era e una vita emergente” con il merito di “rifuggire dalle descrizioni stereotipate” e di “aprire il nostro sguardo su un’Africa orientale culturalmente diversificata, sconosciuta a molti in altre parti del mondo”.

La fondazione Nobel ha ragione. Le coste e le isole dell’Africa orientale sono state nei secoli uno straordinario luogo di incontro di etnie, culture e religioni. In quelle del Kenya e del Tanzania è nata e si è sviluppata la società swahili, urbana, una delle poche realtà africane proiettate verso l’esterno, con regolari rapporti commerciali lungo l’Oceano Indiano, fino in Cina, già a partire dall’VIII Secolo, con una lingua antica come quella italiana. Che sia un “melting pot”, un crogiuolo di culture ed etnie, come sostengono alcuni antropologi è opinabile. L’evidenza, lì come in altri contesti, è piuttosto di una supremazia della componente più forte: in questo caso, imposta dalla popolazione arabo-islamica – i Waswahili – e subita dalle tribù bantu originarie e da ogni altra componente via via aggiuntasi, almeno finché la regione non è stata colonizzata da Gran Bretagna e Germania alla fine del XIX Secolo.

Abdulrazak Gurnah è nato nel 1948 a Zanzibar, l’isola da cui per secoli gli arabi, la cui colonizzazione del continente africano è iniziata subito dopo la morte di Maometto nel 632, hanno controllato le coste africane e gestito il commercio sia con l’interno del continente sia con i Paesi asiatici. Gli schiavi erano una delle merci: uomini, donne e bambini comprati o catturati, più di dodici milioni di persone nell’arco di 13 secoli. La tratta degli schiavi è stata proibita sulla costa swahili dalla Gran Bretagna all’inizio del XX Secolo, ma il risentimento, il desiderio di rivalsa delle popolazioni bantù è rimasto vivo. Non si spiega diversamente la feroce rivolta delle popolazioni bantu di Zanzibar che nel 1964, istigate da due partiti di ispirazione comunista (Che Guevara all’epoca si stava illudendo di fare dell’Africa il centro da cui iniziare la rivoluzione comunista mondiale), hanno ucciso da 5mila a 12mila Waswahili su un totale di 22mila. Abdulrazak Gurnah e i suoi famigliari sono tra i sopravvissuti che hanno lasciato l’isola non appena hanno potuto, finendo per ottenere asilo in Gran Bretagna.

Il protagonista di Paradise, il romanzo che lo ha fatto conoscere al grande pubblico anglofono nel 1994, è un ragazzino venduto dal padre per pagare un debito. Descrive  una situazione comune un tempo. Di solito erano le famiglie bantu dell’entroterra swahili a vendere i figli, preferibilmente le femmine, in caso di necessità. Oppure, durante una carestia, scambiavano un figlio con del mais che ai Waswahili della costa non mancava mai. Forse è questo mondo che Gurnah racconta nei suoi libri, insieme alla sua personale esperienza di profugo. La fondazione del Nobel ha deciso di conferirgli il premio “per la sua intransigente e compassionevole analisi degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti”.

Ma quando, riferendosi all’Africa, si dice “colonialismo”, senza specificare, si intende sempre unicamente il colonialismo europeo, non altri, di cui si dimentica o si rifiuta di ammettere l’esistenza. Forse quindi alla fondazione Nobel, di Gurnah, è piaciuto che nei suoi libri descriva i traumi culturali e sociali prodotti dall’impatto con la società occidentale, non quelli patiti a causa della colonizzazione arabo-islamica che pure tante sofferenze ha inflitto e continua a infliggere in Africa, dove l’intolleranza islamica, combinata con il tribalismo, fa vittime e danni anche quando non assume i caratteri estremi del jihad. 

Quanto ai rifugiati e al loro destino, l’ammirazione per l’analisi “intransigente e compassionevole” contenuta nei libri di Gurnah sarebbe condivisibile se non fosse che, come ormai fanno in tanti, lui confonde rifugiati ed emigranti illegali. “L’Europa dovrebbe accogliere gli emigranti con compassione invece che fermarli con il filo spinato – ha detto all’agenzia di stampa Reuters che lo ha intervistato il giorno in cui ha vinto il Nobel – e attualmente il governo britannico si comporta in modo davvero molto brutto con i richiedenti asilo e con chi chiede di entrare nel paese”. Non è che Gurnah non capisca la differenza. Come tutti i sostenitori dei “porti aperti”, delle frontiere aperte la conosce e semplicemente non la accetta. “Sembra così sorprendente al governo britannico – dice – che della gente che arriva da luoghi difficili voglia venire in un paese ricco? Perché si meraviglia tanto? Chi non vorrebbe venire in un paese più prospero? C’è della cattiveria nella sua risposta”.

E, seduto nel suo giardino di Canterbury, all’ombra di un acero – così lo descrive Reuters – parla in toni lirici dell’esperienza di emigrare, di lasciarsi alle spalle la famiglia e una parte della propria vita per vivere in una nuova società in cui si sentirà sempre in parte un estraneo. 

Anna Bono, qui.

Anna Bono è stata ricercatore in Storia e istituzioni dell’Africa presso il Dipartimento di culture, politica e società dell’Università di Torino fino al 2015. Dal 1984 al 1993 ha soggiornato a lungo in Africa svolgendo ricerche sul campo sulla costa swahili del Kenya. Dal 2004 al 2010 ha diretto il dipartimento Sviluppo Umano del Cespas, Centro europeo di studi su popolazione, ambiente e sviluppo. Fino al 2010 ha collaborato con il Ministero degli Affari Esteri nell’ambito del Forum Strategico diretto dal Consigliere del Ministro, Pia Luisa Bianco. Collabora con mass media prevalentemente di area cattolica.

Già, toccare i responsabili del peggiore schiavismo, in atto ininterrottamente da quasi un millennio e mezzo; del peggiore stragismo, in atto ininterrottamente da quasi un millennio e mezzo; del peggiore colonialismo, che in quasi un millennio e mezzo ha ormai invaso circa un quarto del pianeta

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e che, a differenza del colonialismo europeo da un pezzo morto e sepolto, sta continuando tuttora a espandersi guadagnando quartiere dopo quartiere tutte le nostre principali città e capitali – toccare quelli, dicevo, provare a pestare i calli a quei signori lì, richiede coraggio, che il Nostro evidentemente non ha. Molto più facile prendere a schiaffoni chi ti ha accolto, in fuga dalla rabbia di coloro che la tua etnia aveva oppresso e sfruttato colonialmente per secoli; molto più comodo sputare sul piatto che ti è stato offerto quando non avevi niente; molto più redditizio mordere la mano che ti ha nutrito senza chiedere niente in cambio. Com’era quel vecchio proverbio? Quando la merda monta in scranno, o fa puzza o fa danno. Soprattutto quando viene addirittura messa sul piedistallo dal Merdaio Supremo.

barbara

I CRIMINALI ABUSI DEL GOVERNO – PARTE TERZA

E ancora una volta do spazio ai lati oscuri di questo oscuro nonché abusivo governo. Comincio con il vergognoso abuso di potere da parte delle forze dell’ordine, che lasciano gli spacciatori liberi di girare, di assembrarsi, di spacciare, per correre dietro a chi nuota o cammina.

Dagli all’untore, l’avvocato Edoardo Polacco spopola sul web (video)
inseguimento
È partita da qualche settimana la stagione della caccia all’untore. Mentre politici e scienziati di tutto il mondo brancolano nel buio e ci danno indicazioni parziali e contraddittorie, in Italia abbiamo capito dove sta il problema. Questo terribile coronavirus non si riesce a sconfiggere perché c’è qualcuno che si ostina a non restare a casa. Non sono i partigiani dell’ANPI che festeggeranno il 25 aprile, state tranquilli. Per quelli c’è il salvacondotto politico, si sa che anche il virus in fondo è antifascista. E nemmeno ci riferiamo a chi sta in coda ore e ore al supermercato. Perché la spesa bisogna farla comunque, e quello è un rischio calcolato. Ma a chi magari non ce la fa più a stare in casa prigioniero da due mesi. E senza dare fastidio a nessuno, la mattina presto si ritaglia un’ora d’aria. Una passeggiatina anche se magari non ha il cane. Una corsetta timorosa su un lungomare deserto. Una immersione al largo, per chi ha la passione di fare il sub. Apriti cielo. Elicotteri, droni, missili e raggi laser. E spesso giornalisti al seguito. Il che ad essere maliziosi fa pensare male. O come dice l’avvocato Edoardo Polacco, ricorda da vicino una buffonata di Stato.

Edoardo Polacco, usiamo elicotteri e polizia contro gli spacciatori

Avete visto quello lì, quello del gabibbo (Vittorio Brumotti, ndr). Che va in bicicletta a pizzicare gli spacciatori nelle piazze d’Italia. Sono decine di persone, stanno tranquille con le loro dosi di droga. E non si trova una volante della Polizia neanche a pagarla. L’Avvocato Edoardo Polacco è scatenato in un video che vi proponiamo come 7Colli. E che fa effettivamente riflettere. Perché le Forze dell’Ordine stanno facendo un grandissimo lavoro in questo periodo, e non solo. E spesso con risorse scarse. Ma la caccia all’untore lanciata da quello che Porro chiamerebbe il partito unico del virus sta sconfinando nel ridicolo. È questo il senso della denuncia di Polacco, che non si ferma qui. Droni, elicotteri, missili, questo spiegamento di forze non si era mai visto. E poi chi vanno a prendere? Un sub che se ne sta da solo a trecento metri dalla riva. Che ovviamente non può infettare nessuno perché è sott’acqua. Ma chi ha autorizzato un’operazione di quel tipo? Chi pagherà i costi dell’elicottero?

Polacco, l’inseguimento sulla spiaggia è stato ridicolo. E ne risente anche il prestigio dell’Arma

L’avvocato Edoardo Polacco è titolare di un prestigioso studio legale a Roma. E ha voluto registrare un video vestito di tutto punto con la sua toga. Come se fosse un avvocato del Popolo. Quello vero però, e ogni rifermento all’attuale premier è puramente voluto. Il video è ironico, ma anche tremendamente serio. Perché va a fustigare alcuni vecchi vizi italici duri a morire. Dare la colpa agli altri, fare sceneggiate inutili. Farsi prendere dalla sindrome dello sceriffo e comunque godere un po’ nel torturare le altre persone. Ma avete visto quel poveraccio che correva la mattina presto sul bagnasciuga? Tutto deserto, non c’era una persona nel raggio di chilometri. Inseguito e poi braccato fin dentro al paese, con tanto di volanti a sirene spiegate. Una buffonata di Stato, conclude Polacco. E anche una cattiva figura per l’Arma dei Carabinieri, che sicuramente merita di essere impiegata con il proprio prestigio in operazioni diverse da queste. I nostri lettori la potranno pensare ovviamente come vogliono, ma che forse si stia un po’ esagerando se ne stanno accorgendo in molti. Bene i controlli, ma con il dagli all’untore sarebbe il caso di darsi tutti quanti una bella calmata.

Sergio Marchi – 23 Aprile 2020, qui.

 

Proseguo con la vergognosa incapacità del governo di fare alcunché di utile, mentre è bravissimo in tutto ciò che è illegale e anticostituzionale, oltre che responsabile di un gigantesco sperpero di denaro pubblico, mentre già una consistente fetta di popolazione è letteralmente alla fame.

Il moltiplicarsi delle task force certifica l’inadeguatezza del governo: oltre alla competenza manca il coraggio
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E guardate com’è caruccio – qualcuno di nostra conoscenza direbbe caruccetto – il nostro maestrino tra il preside severo e Pierino messo in castigo!

Vogliamo dire una cosa chiara, senza tanti paroloni e senza tirare in ballo filosofia, sociologia, arte della politica? Se qualcosa è certo in questa gestione italiana della crisi Covid-19 è che siamo in mano a troppe persone dalle mani piuttosto tremanti. Non possiamo permetterci che un’intera classe governativa impari a fare il suo mestiere, perdinci! Abbiamo tempi brevi, che non decidiamo noi, esigenze insormontabili di efficacia e di certezza per affrontare la fase due dell’emergenza con la necessaria competenza e diligenza. Come potremmo ancora attendere che chi governa impari pian piano a non fare gaffes, predisponendo invece strutture importantissime e prendendo decisioni efficaci per evitare che, come si suol dire, chi non morirà di virus non muoia di fame? Assistiamo al quotidiano moltiplicarsi di commissioni estemporanee, denominate con il guerresco termine task force, che di guerresco non hanno proprio nulla, almeno dal punto di vista del coraggio, dell’armamento e dell’addestramento. A sentire in tv gli eminenti componenti di dette task force, tutti si accomunano nel mettere le mani avanti e prendere tempo in attesa “dell’arrivo dei dati”. Ma quali dati? Forse quelli che garantiscano loro l’ombrello della impunità personale, nel momento in cui, bene o male, le cose saranno decise e giungerà il giorno del redde rationem? Assistiamo impotenti alle dichiarazioni degli stessi “espertoni” che spiegano meccanismi, definiti salvifici, che prevedono addirittura il tracciamento satellitare di tutti noi, con l’utilizzo di quelle applicazioni informatiche che, fino a ieri, condannavamo unanimemente se introdotte da Apple o Google e che oggi vorrebbero propinarci come conseguenza della fine degli arresti domiciliari. Fino a due mesi fa la privacy era il sommo bene da tutelare ed oggi una scemenza senz’importanza. Ma si rendono conto, oltretutto, che non siamo nemmeno in grado di tracciare efficacemente i soggetti sottoposti al braccialetto elettronico (e sono poche centinaia) in quanto sottoposti a misure di vigilanza penale?

Se non fosse drammatico, verrebbe da ridere considerando che proprio i pretesi paladini delle libertà individuali, quegli esponenti della sinistra che hanno fatto della tutela della privacy una bandiera, facendo persino rimuovere dai documenti d’identità l’indicazione del nostro stato civile, vogliono adesso seguire ogni nostro spostamento, alla faccia del dettato costituzionale, ed imporci precetti giuridici inesistenti quanto inaccettabili. Quali? Il più bestiale è dire: “o installi – volontariamente – l’app immuni oppure non esci di casa nemmeno dopo la riapertura dei cancelli”. Soluzioni tanto gravemente lesive dei diritti fondamentali degli italiani non se ne vedevano da tantissimi anni, e non erano propriamente anni che questi ineffabili governanti abbiano scelto ad esempio e vogliano riportare in auge, se non ricordo male.

Ma le task force, già da sole, bastano ed avanzano a certificare, con tanto di Dpcm, la totale inadeguatezza di chi ci governa. Non esistono  forse già gli stessi ministeri a doversi occupare della regolamentazione particolareggiata delle disposizioni del ministro? Non abbiamo già enti specifici, e persino dotati di facoltà legislativa, come il Dipartimento della Protezione civile, a regolamentare nello specifico l’applicazione delle misure di tutela della pubblica incolumità? Non bastavano, evidentemente, ed al capo Dipartimento hanno dovuto affiancare un super commissario e – poteva mancare? – una apposita task force supra-dipartimentale. Siamo alla follia, all’inarrestabile autoproduzione di strutture burocratiche che si sovrappongono tra loro, il tutto in assenza assoluta del minimo avvallo parlamentare. Altro che colpo di stato, altro che uomo solo al comando! Ma almeno fosse uno solo, l’uomo al comando! Rimosso quello, all’ennesima cavolata commessa, si sarebbe risolto il problema. Avete idea di quanto tempo ci vorrà per toglierci dai piedi i super esperti? E con quali mezzi farlo, dato che, almeno ufficialmente non percepiscono un centesimo per la loro opera, non hanno prestato alcun giuramento (e ricordo che in Italia giurano persino i netturbini) e, nello specifico, non hanno un programma pubblico ed una serie di obiettivi altrettanto pubblici o, quantomeno, conoscibili, da perseguire? Il vero colpo di stato, se proprio vogliamo cercarne uno, è già stato messo in atto da un po’, avendo posto il Parlamento in posizione di assoluta ininfluenza ed avendo completamente stravolto l’organigramma statale di gestione della pubblica difesa. Uno strano e malsano mix di desiderio di protagonismo da una parte e di altrettanto agognata impunità personale, nel caso le cose si mettessero al peggio, contraddistingue i nostri attuali comandanti, quelli che dovrebbero essere sul ponte della nave che ci porti al sicuro dal fortunale, che, tuttavia, assomigliano sempre più al poco coraggioso capitano della nave malamente incagliata a pochi metri dalla riva. Come cambiano le cose entrando in politica e, magari in maggioranza, lo saprà certamente l’ex ufficiale del “torni a bordo, cazzo!”, amaramente constatando, glielo auguro, che la fama dell’eroe a volte passa in fretta, soprattutto quando si scelga di continuare il viaggio su altra nave, con compagni ancor meno coraggiosi del povero capitano di Sorrento, marinai di bassa forza che, non avendo mai minimamente immaginato di doversi confrontare con immensi problemi reali, non sanno far di meglio che delegare ad altri (si spera meno sprovveduti) come portare a casa la pelle. Perché, sia detto per inciso, possiamo nutrire umana comprensione per chi si sia trovato, da un giorno all’altro, a dover fronteggiare questa immensa buriana con pochissimi mezzi, e penso ai tanti “nuovi eroi” di oggi, ai quali auguro che nessuna Procura della Repubblica venga in mente di andare a cercare colpe che non hanno assolutamente, poveracci. Noi facciamo presto a dare una botta di “eroe” a chi non abbiamo messo in condizione di operare senza dover dimostrare eroismo, perché questo dovrebbe essere, salvo poi farlo diventare un fannullone o incapace poco dopo, a piacimento del politico scarica-barile di turno e di una magistratura non sempre all’altezza. Medici ed infermieri senza nemmeno le mascherine messi caoticamente a contatto con decine di pazienti positivi al virus? Tutti eroi, e se muoiono facciamo una bella fiaccolata e siamo a posto.

A nessuno dei tanti componenti delle troppe task force, la maggior parte dei quali boiardi di stato o imprenditori d’assalto, verrà certamente in mente la soluzione perfetta, semplicemente perché non esiste. Andrà a finire, nella sostanza, come nessuno riuscirà ad impedire che vada, e la bastonata formidabile che questa crisi assesterà all’economia, che purtroppo è fatta assai più di rispettabili famiglie di gente che lavora e assai meno di poco rispettabile spread, ce la porteremo addosso per chissà quanto tempo. Ma una cosa, una sola, vorrei consigliare a quelli che se la facevano addosso dalla gioia per tante belle facce nuove, per l’onestah, per gli apritori del Parlamento come fosse una scatoletta di sardine (queste ultime, nel frattempo, divorate dai pescecani). Adesso le facce nuove, i giovani, gli onestih, li avete sul ponte di comando (oddio, un po’ affollato) e quindi siate fiduciosi e tranquilli. Magari il braccialetto elettronico sarà solo l’inizio e la vostra dignità continuerà ad essere offesa da un imbecille che multa il vecchietto per tre bottiglie di vino nella borsa, ma questi formidabili nuovi politici, alla peggio, nomineranno sempre nuove task force, secondo la bisogna. E il Parlamento? Più che aprirlo come una scatoletta, è stato ingloriosamente messo nel cesso. Ma andrà tutto bene.

Roberto Ezio Pozzo, 25 Apr 2020, qui.

E concludo con lo sfacelo della democrazia.

Quel virus illiberale che ha colpito la democrazia

Come credevamo di essere immuni, così riteniamo di essere democratici per natura. Si tratta di due errori grossolani. Il virus, che immaginavamo dall’altra parte del mondo, è arrivato e ha messo in crisi il nostro servizio sanitario. Il governo, a sua volta, ha trasformato una chiara difficoltà sanitaria in una crisi istituzionale adottando provvedimenti illiberali che hanno impoverito il Paese sia economicamente sia moralmente. Fare ora la storia di come si sia giunti fin qui serve, forse, a poco. Invece, ciò che è utile tener presente è che da questa situazione data – illibertà e povertà – non si trova e si fatica a rintracciare una celere via d’uscita, mentre lo stesso governo è tenuto a galla dall’emergenza. Le forze pauperiste – il M5S e ampi spezzoni della sinistra – ostacolano la ripresa delle attività spingendo così l’Italia verso la trasformazione nel Venezuela del Mediterraneo che guarda a Oriente. L’opposizione, purtroppo, non è migliore del governo e non ha capito che niente è come prima, ragion per cui vanno ripensati sovranismo, europeismo ed antieuropeismo. C’è bisogno di un fronte liberale e occidentale che capisca che in gioco c’è molto ma molto di più della salute: in gioco ci sono la libertà individuale e il destino della ex democrazia italiana.

Il Covid-19 non è la causa della crisi. L’epidemia è l’occasione che ha accelerato lo sfarinamento nazionale ma lo sfarinamento era già in atto da molto tempo. Il Coronavirus non si è abbattuto su un Paese di sana e robusta costituzione ma su una democrazia che già era fragile di suo e non ha trovato di meglio da fare che abolire la Costituzione. L’epidemia contagiando lo stesso corpo istituzionale ha messo in luce quanto si intuiva ma non si aveva il coraggio di confessare a sé stessi: l’Italia è stata per mezzo secolo una democrazia non per sua virtù ma soltanto grazie al contesto internazionale e al ruolo che le veniva concesso di recitare. Mutato lo scenario internazionale ecco venir fuori tutta la debolezza della democrazia italiana, tanto sul piano politico-istituzionale quanto (ed è inevitabile) sul piano culturale.

Le scuole o culture politiche che hanno caratterizzato la vita civile italiana dal dopoguerra alla fine del comunismo e oltre sono state i due grandi partiti di massa: la Dc e il Pci. Ma nessuno dei due era realmente ispirato da una cultura democratica. Al contrario, il loro obiettivo era quello di impossessarsi della macchina statale per piegarla agli interessi del proprio blocco sociale. La concezione che l’anima comunista e l’anima cattolica avevano dello Stato era quella di uno Stato-partito o di uno Stato-chiesa ossia una istituzione salvifica in cui gli italiani in genere potevano identificarsi per essere governati ed accuditi dalla nascita alla morte all’insegna del paternalismo e del primato della sicurezza come facoltà di badare ai propri interessi mettendo in conto i debiti allo Stato. Le forze laiche – la cosiddetta terza forza, i liberali, i repubblicani, i socialdemocratici, il tardo socialismo di Craxi – hanno inciso per come hanno potuto e la loro influenza culturale in alcuni momenti, si pensi alla stessa genesi della Costituzione, è stata anche superiore alle loro forze e alle legittime attese. La democrazia italiana è stata a tutti gli effetti il risultato della divisione del mondo con gli accordi di Yalta.

Stando così le cose non è possibile meravigliarsi – lo dico prima di tutto a me stesso – se oggi la vecchia, stanca e stantia democrazia del passato si è rapidamente trasformata in una democrazia dittatoriale o in un regime dispotico in cui tutte ma proprio tutte le libertà civili sono state sospese con un banale comunicato (televisivo), esattamente come avviene nella classica tecnica del colpo di Stato descritta a suo tempo da Malaparte (un altro arci-italiano che della democrazia, tutto sommato, non sapeva che farsene ma che sapeva pur sempre guardare in faccia la realtà e non temeva la verità come, invece, ne hanno paura i suoi e miei connazionali). C’era da aspettarselo da un Paese in cui la cultura politica non è mai uscita dal dibattito strumentale intorno all’ombelico del fascismo e dell’antifascismo senza riuscire mai a uscire e riveder le stelle di una libertà che costa doveri e fatica perché mette in scacco l’idea schiavistica dei totalitarismi novecenteschi che or ora ritornano sotto altra natura.

Come andrà a finire? Pensare di ritornare alla situazione precedente è ingenuo. La libertà una volta accantonata non si riapre come se fosse un ombrellone. Gli italiani, del resto, si sono rifugiati sotto l’ombrellone statale con il convincimento che garantisca l’ombra della sicurezza, anche mettendo in conto l’impoverimento sociale, già visibile a occhio nudo nelle strade deserte e depresse, e un governo assoluto che grava sul corpo e sull’anima per chi ce l’ha. Così avanza l’antica arte della dissimulazione onesta e persino le amicizie e le antiche abitudini cambiano sapore.

Giancristiano Desiderio, 23 aprile 2020, qui.

E a proposito del 25 aprile, più sopra evocato
bologna-rimini
E torno a ripetermi: dobbiamo ribellarci. Con la scusa di salvarci dal virus ci fanno morire di fame, di altre malattie che non saremo più in grado di curare, e infine di qualunque abuso il delirio di onnipotenza di questa gente abbia voglia di suggerire.

barbara

MISCELLANEA

1. Prossimamente anche da queste parti
big brother
dove comunque i blocchi su FB sono già da molto la regola.

2. Le priorità

Perdonaci Asia Bibi, perché leggo che trascorrerai un altro Natale chiusa in una stanza assieme ai tuoi ex carcerieri. Perdonaci, ma gli inglesi se la fanno sotto della reazione dei propri musulmani se ti accogliessero. Perdonaci, ma per il Vaticano è solo “un problema interno del Pakistan”. Perdonaci, ma per le femministe è prioritario non far morire la Carmen di Bizet per combattere il femminicidio. Perdonaci, ma per i giornalisti ormai è solo tutto un farsi i pompini a vicenda, come direbbe Mr Wolf in Pulp Fiction. Perdonaci, ma per la nostra classe politica l’impegno a tirarti fuori è durato il tempo di un tweet raccatta voti. Perdonaci, ma non ce la facciamo davvero più in Occidente a batterci per qualcosa che non sia l’apertura domenicale dei negozi e la coperta scaldasonno. Ma tranquilla, cara Asia Bibi, la pagheremo cara. Giulio Meotti

3. La vergognosa apartheid antipalestinese
Questo è Muhammad Wahaba,
Muhammad Wahaba 1
bambino palestinese del campo profughi “Al-Bard” in Libano. E’ morto
Muhammad Wahaba 2
a causa del rifiuto degli ospedali libanesi di prestargli, in quanto palestinese, le cure mediche di cui aveva bisogno (e mentre gli ospedali libanesi si rifiutano di curare palestinesi, migliaia di palestinesi vengono accolti ogni giorno negli ospedali israeliani). Alla fine di questo post qualche ragguaglio sulla condizione dei palestinesi in Libano.

4. I tunnel libanesi
che penetrano in territorio israeliano: guardate come sono belli!
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tunnel 3
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E come potrebbero non esserlo, con tutti i milioni di dollari che ci hanno investito! (Ma una penetrazione armata in uno stato sovrano non era un’azione di guerra, una volta? O forse lo è anche adesso ma si fa eccezione quando si tratta di Israele?)

5. Nel frattempo hamas
manda in scena i suoi deliziosi bambini
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6. E intanto dall’Europa gli ebrei continuano a scappare a decine di migliaia.

barbara

LA BADOGLIEIDE

(e il re)

Composta nell’aprile del 1944 a Narbona, una borgata della Valle Grana incastrata tra la cima Crosetta (2194 m) e la rocca Cernauda (2284 m), da un gruppo di partigiani tra cui Nuto Revelli e Dante Livio Bianco, anime della Resistenza cuneese (qui).

barbara

MA VERAMENTE CHARLIE HEBDO BERSAGLIA L’ISLAM?

Quello che segue è il consuntivo delle prime pagine di Charlie Hebdo in dieci anni di attività, oltre cinquecento numeri:
Charlie Hebdo
L’islam, come si può vedere, è in assoluto il tema meno bersagliato. Ciononostante l’islam è stato l’unico, tra i bersagli di Charlie Hebdo, a reagire facendo una strage: qualcuno ha ancora il coraggio di dire che l’islam non c’entra? Che il problema non è l’islam? Che chiunque, se gli insultano la mamma, è pronto a tirare un pugno?
In seguito alla strage i charlini hanno deciso che non avrebbero più attaccato l’islam: decisione sicuramente sensata, ché davvero sarebbe insensata la scelta di andare incontro a morte sicura per una questione di principio; ma se oltre al buon senso ci fosse anche un minimo di onestà intellettuale, avrebbero deciso di non attaccare più neanche il cristianesimo, né l’ebraismo, né nessun altra religione al mondo: risparmiare unicamente l’islam perché quelli, a differenza degli altri, ti fanno fuori e tu ti caghi addosso dalla paura, non è buon senso, è vigliaccheria e ipocrisia della peggior specie.
Adesso, in occasione del primo anniversario della strage, hanno avuto la geniale idea di pubblicare questa vignetta.
charlie
E, in un certo senso, possiamo anche dire che effettivamente corresponsabile della strage – fermo restando che i primi responsabili sono gli assassini che l’hanno messa in atto – è “un” dio. Peccato che quello rappresentato nella vignetta non sia quel dio lì che ordina ai suoi seguaci di mettere a morte chi insulta l’islam nonché tutti gli infedeli in generale. Anzi, a dirla tutta, non è neppure un dio generico, a significare che sono le religioni in sé a fare danni: quello è un dio specifico, perché a rappresentare Dio come un vecchio con la barba e con sulla testa un triangolo (una cosa con TRE lati e TRE angoli) con un occhio al centro c’è una religione sola. Che ha commesso la sua bella botta di crimini in passato, che del tutto innocente non è neanche oggi, ma che non va in giro a massacrare chi la critica. E dunque, oggi più che mai,

je ne suis pas Charlie

barbara

CARA NOA

Lettera aperta di Deborah Fait

Cara Noa,
Ero fresca di aliyah quando, nel lontano 1996, a Tel Aviv, sono andata al teatro Habima per un tuo concerto. La tua voce ti aveva già resa famosa in Italia, paese da cui venivo, e l’idea di vedere dal vivo un’artista che, per la sua bravura, portava lustro a Israele, mi emozionava. Quando sei apparsa sul palcoscenico, tutta vestita di bianco, mi sono resa conto che c’era qualcosa che non andava, il teatro era stracolmo ma gli applausi non arrivavano, sei stata accolta da un gelo che si poteva tagliare col coltello. Hai cantato una prima canzone, benissimo come sempre, e sei tornata dietro le quinte seguita da qualche fischio. Io mi sentivo imbarazzatissima perché non capivo bene il motivo di tale freddezza nei confronti di un’artista così brava e per giunta israeliana.
Il mio vicino di poltrona mi ha spiegato l’arcano: avevi fatto alcune dichiarazioni molto forti incolpando praticamente tutto Israele per l’assassinio di Izhak Rabin, avvenuto un paio di mesi prima, e avevi in un certo senso giustificato il terrorismo palestinese. Israele che per quella tragedia aveva pianto tutte le sue lacrime, non te lo aveva perdonato e da quel momento ebbe inizio il difficile e sofferto rapporto con il tuo popolo. Poi sei tornata sul palcoscenico con un foglio in mano, nel silenzio generale e con voce un po’ tremante, hai letto una lettera di scuse a Israele. All’improvviso, come una cannonata, è scoppiato un applauso così forte da far tremare il teatro. Eravamo tutti in piedi a gridare il tuo nome colla gola chiusa e le lacrime agli occhi.
Quanto poco ci vuole per commuovere gli israeliani, basta un po’ d’amore in mezzo all’odio che ci circonda. Era tutto finto? Erano scuse interessate? La tua storia di questi ultimi 20 anni dice di sì. Dopo quel concerto hai continuato imperterrita a fare la pacifinta e a esprimere giudizi velenosi contro Israele. Da alcuni giorni i media italiani e soprattutto i social network, parlano di come tu sia stata contestata al tuo ritorno in Israele, sei stata apostrofata a male parole e, sempre a parole, minacciata. Non doveva accadere ma, come si dice, chi la fa l’aspetti!
Nessuno ti ha sfiorata eppure in Italia parlano di “Noa aggredita, Noa assalita all’aeroporto di Tel Aviv”. Sono incapaci di usare le parole giuste, ai nostri nemici fa gioco imbrogliare la gente. Gad Lerner, dal suo blog, fa anche di più e di meglio, se no non sarebbe Gad Lerner cioè uno che non sopporta Israele, che come altri ex comunisti odia la nostra democrazia, che al pari di altri ritiene Israele responsabile di ogni male del mondo. Lerner, oltre a strepitare istericamente che eri stata aggredita in Israele, non incolpa solo i due che ti hanno insultata, ma tutti gli israeliani, ci accusa di razzismo e arriva a demonizzare, senza nominarlo, l’unico premier democraticamente eletto, con voti liberi e democratici, di tutto il Medio Oriente e anche di qualche nazione europea… e chi ha orecchie da intendere intenda!
Nessuno ti ha aggredita, Noa, nessuno ti ha assalita, tu lo sai e dovresti dirlo, dovresti gridarlo forte per farti sentir bene fino in Italia dove vanno a nozze ogniqualvolta possono accusare Israele. Sei stata presa a male parole, “nemica di Israele” ti hanno gridato, “ la pagherai”. Io al posto tuo incomincerei a farmi un sano e doveroso esame di coscienza. Cara Noa, perché ti consideriamo, e mi ci metto anch’io, “nemica di Israele”? Per quale motivo un’artista del tuo calibro, che dovrebbe renderci gonfi di orgoglio, ci fa vergognare?
Vediamo un po’:
Anni fa hai cantato davanti al Papa la più bella canzone israeliana, quella che tocca nel profondo il cuore di tutti noi, “Jerushalayim shel Zahav – Gerusalemme d’oro”, eravamo felici, ecco la Noa che amiamo, avevamo pensato, e poi? Poi hai usato la censura, con un colpo di forbici, hai profanato il capolavoro di Naomi Shemer, hai offeso la sua memoria e tutto il popolo di Israele, togliendo l’ultima strofa, quella che fa:

”Siamo ritornati alle cisterne d’acqua, al mercato e alla piazza,
uno shofar risuona sul Monte del Tempio, nella Città Vecchia.
E nelle grotte che ci sono nella roccia splendono mille soli:
torneremo a scendere verso il Mar Morto, sulla strada di Gerico”.

Hai avuto paura Noa? Hai temuto che ti considerassero troppo sionista? Andiamo avanti con le perle uscite dalla tua bocca. Durante la commemorazione dei caduti nel giorno del ricordo, Yom haZikaron, hai detto di voler ricordare anche i “caduti” palestinesi! Quali caduti, Noa? Quelli che venivano in mezzo a noi per farci esplodere? Hai offeso le famiglie “orfane” di figli, padri, sorelle, madri, tutti i morti in guerra e per terrorismo, hai di nuovo offeso tutto Israele. Perché? Sei diventata la paladina del pacifismo israeliano, cieco come tutti i pacifismi del mondo. Quel pacifismo ipocrita, che urla al razzismo se Netanyahu invita legittimamente ad andare a votare per contrastare il voto arabo che avrebbe potuto far vincere la sinistra, e poi, senza vergogna, insulta i religiosi ebrei, li demonizza, li accusa di essere un pericolo per Israele, invita la gente a non fare offerte, come si usa, per le famiglie indigenti, se ebree ortodosse. E’ questo il tuo pacifismo, Noa? Come puoi essere complice di un simile orrore?
La tua indiscussa bravura, la tua voce, la tua musica avrebbero potuto far amare Israele nel mondo invece hai scelto l’altra strada, quella del “mi vergogno di quella che sono… perdonatemi se sono israeliana… cercherò di farvelo dimenticare…”
Ma non ti è servito a niente, Noa, chi odia Israele odia anche te e lo dimostrano tutte le contestazioni di cui sei stata oggetto in Italia:
-Ti hanno contestata a Lecce durante la notte della Taranta, il comunicato dice: “Ci chiediamo perché la direzione artistica della Notte della Taranta avalli la complicità di Noa con i crimini dell’esercito di Israele. Ci chiediamo perché le amministrazioni pubbliche (Regione Puglia e Provincia di Lecce), finanzino questo evento senza prendere in considerazione il fatto che la presenza di Noa legittimi il regime di apartheid israeliano.” Questo perché avevi scritto ai tuoi “amici palestinesi” mettendoli in guardia dal fanatismo di Hamas. Che ingenua, Noa, come potevi pensare che i palestinesi considerassero fanatico un gruppo di terroristi che tanto amano! http://www.forumpalestina.org/news/2009/Agosto09/24-08-09NoaContestata.htm
– Ti hanno contestata al San Carlo di Napoli per lo stesso motivo. http://osservatorioiraq.it/campagne-e-iniziative/la-cantante-israeliana-noa-contestata-al-san
– Ti hanno contestata a Firenze. C’erano tutti, estrema sinistra, sinistra moderata, fascisti storici, filopalestinesi, neonazisti del BDS, associazioni pacifiste toscane, tutti a strillare del “genocidio di Gaza”. http://www.controradio.it/cantante-noa-contestata-firenze-durante-concerto/
Perché non hai mai avuto il fegato, Noa, di metterti a gridare che non esisteva nessun genocidio, che era guerra, che sono loro, gli arabi, a voler eliminare noi! Perché non lo hai mai avuto questo coraggio? Perché chi può far sentite la voce giusta di Israele, non solo agli addetti ai lavori, politici e media, ma anche al popolo, a tanti tutti insieme durante un concerto, non lo fa? Perché? Ci vuole coraggio è vero, ma, cara Noa, alla fine il coraggio paga, non ha cachè, non aumenta il conto in banca ma ti fa sentir bene, felice, soddisfatta, orgogliosa di te. Purtroppo a te questo coraggio manca e hai scelto la strada più facile, quella del “io non sono come loro, i sionisti guerrafondai… io amo i nemici di Israele…”
Ma nemmeno questo ti serve a niente perché hai il marchio, Noa, il marchio della “vergogna”, per loro: sei israeliana, sei ebrea. Dovunque tu vada a cantare in Italia, là sei, sei stata e sarai contestata solo perché israeliana, Noa, fattene una ragione. Loro, i tuoi contestatori, se ne fregano se tu predichi la pace, se ne strafregano se tu vuoi commemorare i terroristi palestinesi nel Giorno del Ricordo dei caduti per Israele. A loro, a quelli che tu consideri compagni, interessa solo una cosa: sei israeliana, sei ebrea e questo è sufficiente per odiarti e impedirti di cantare. Il boicottaggio dell’odio, Noa, il boicottaggio dei pacifascisti, Noa. Non ti fa schifo tutto questo? Non ti faceva schifo quell’Arafat che tu difendevi mentre ci ammazzava? Non ti fanno schifo quei palestinesi che ballano di gioia ad ogni morto israeliano, all’attentato alle Torri Gemelle e ad ogni disgrazia che accade nel mondo occidentale che tanto odiano? Non ti fa schifo sentire Abu Mazen parlare di pulizia etnica se Giudea e Samaria diventassero arabe? Non ti fa schifo sentir minacciare di distruzione il tuo Paese? Non ti fa schifo renderti conto di quanto il mondo ci odi solo perché esistiamo? Non ti fa schifo pensare che tutti, da Obama alla Merkel, stanno tentando di rendere nullo il voto popolare e democratico di Israele? Non ti fa schifo sentirti nemica del tuo Paese, dove sei nata, dove hai fatto il soldato, dove hai studiato canto per diventare l’artista che sei? Non ti fa schifo sapere che quelli cui ti assimili hanno, per la quarta volta, imbrattato la bandiera di Israele, la tua, la mia bandiera, esposta, tra le tante, a Milano per l’Expo? Non ti fa schifo sentirti vicina a quelle centinaia di fanatici andati ad applaudire Omar Barghouti, il capo di quel movimento fascista che vuole l’eutanasia di Israele?
Per quale pace ti batti, per quale pace offendi Israele, per quale pace tenti inutilmente di scrollarti di dosso quel marchio indelebile, Noa? Per me, e come me tanti, quello è un marchio di orgoglio. Quando qualcuno mi guarda male, quando qualcuno mi offende, lo guardo negli occhi, a testa alta: “Sì, sono israeliana, sono ebrea… problemi?”
Mi dispiace per te, Noa, sei disprezzata dai nostri comuni nemici perché israeliana e, a causa di un’ideologia malata e vigliacca, sei disprezzata anche dagli israeliani. Su una pagina facebook in ebraico, una giovane, Gila Avidan, pur condannando quelli che ti hanno offesa all’aeroporto Ben Gurion, suggerisce di considerarti “inesistente, invisibile”. Sì, diventerai invisibile per noi, Noa, e lo trovo molto triste. Non è un peccato?
Se tu usassi la tua arte e il tuo talento per far amare Israele, per renderci orgogliosi di te come avremmo voluto, se tu capissi che i nostri nemici sono anche i tuoi nemici, dei tuoi figli, di ogni ebreo e di Israele! Difendere Casa, Noa, è un dovere dell’anima, soprattutto se la casa è costantemente minacciata. Ognuno dovrebbe farlo come può, come sa, chi scrivendo, come me e altri meglio di me, chi rischiando la vita come i nostri soldati, fratelli e sorelle, figli e figlie di tutti noi. Per difendere anche te e i tuoi figli, la tua casa e la tua famiglia come quelle di tutti gli israeliani, anche arabi. Se tu capissi, Noa!

La vicenda di Noa, così come di tutti i vigliacchi suoi simili, dimostra nel modo più lampante che nutrire il coccodrillo, spesso, non serve neppure a farsi mangiare per ultimi: il coccodrillo non distingue tra cibo amico e cibo nemico. E va a finire più o meno come in quella faccenda della guerra e del disonore. E adesso guardatevi questo interessante scambio (clic per ingrandire)
scambio
POST SCRIPTUM: in una cosa dissento da Deborah: a me la sua voce non è mai piaciuta.

barbara

LETTERA APERTA A UN AMICO FRANCESE

Sono venuto a dirti che me ne vado…
la mia valigia è chiusa,
sistemati gli affari
e parto senza voltarmi indietro
come dice così bene Verlaine al vento cattivo
sono venuto a dirti che me ne vado.
Quando ti ricorderai dei tempi andati
del tempo in cui io e te si era amici
forse verserai una lacrima
e ti dispiacerà che io non ci sia più.
Per quanto non sia neppure certo
che tu ne abbia provato dispiacere.
Non ti domandavo, peraltro, grandi cose
non mi aspettavo che scendessi in strada
sarebbe stato pericoloso, non me lo sarei perdonato
ma una parola, un segno, una condanna, una protesta,
un grido venuto dal cuore sarebbe bastato a rendermi felice
e non per quello che accade laggiù,
ma proprio qua, sotto casa tua.
Dimmi, non ti ricorda nulla?
Vetri rotti e croci uncinate,
orde che sfilano urlando?
Mi sarebbe piaciuto che tu ti alzassi,
che si levassero all’unisono le nostre voci
per gridare «Mai più».
Di non amarmi potrei perdonarti
ma non di aver lasciato col tuo silenzio
che tutto questo ricominciasse,
e di aver loro permesso di urlare
che io da qui me ne devo andare
ma è troppo, troppo tardi, amico mio,
i lupi sono ormai dentro Parigi!
Volti velati e kefiah,
accompagnati dalla falce
da République a Bastille
contratti i volti e pieni di odio
Sono venuti a cento e a mille
per battere le strade della Francia
del bel paese della vostra infanzia
che poi era anche il mio
ma questo era tanto tempo fa.
Sono venuto a dirti che me ne vado.
Sì, è vero che ti ho amato,
ho rifatto la valigia per l’ennesima volta
e sul serio, questa volta
perché ora è giunto il momento
di separarci per sempre.
Quale che sia la mia destinazione
Canada, America
o la terra di Sion
vi sarò più sicuro
che nel paese in cui sono nato.
Sono venuto a dirti che me ne vado
ti lascio il paese più bello
e quando, minacciato a tua volta,
un giorno dovrai lasciarlo
non dimenticare di spegnere la luce:
quella di Diderot e d’Alembert,
quella de Montaigne e Zola
quella di Hugo e Badinter
che brillava di mille fuochi
per la sua cultura, la sua tolleranza,
la sua Libertà, la sua Fraternità e soprattutto la sua Laicità.

Consapevole che la mia pur volenterosa traduzione non può minimamente rendere la struggente poesia del testo originale, ve lo posto qui di seguito, con la speranza che siano in molti a poterlo apprezzare.

Lettre ouverte à un ami français

Je suis venue te dire que je m’en vais…
Ma valise est bouclée,
Mes affaires sont réglées
Et je pars sans me retourner
Comme dit si bien Verlaine au vent mauvais
Je suis venue te dire que je m’en vais.
Quand tu te souviendras des jours anciens
Du temps où toi et moi étions copains
Peut-être verseras-tu une larme
Et regretteras que je ne sois plus là.
Quoiqu’il ne soit même pas certain
Que tu en conçoives du chagrin
Je n’te demandais pas grand-chose pourtant
Je n’attendais pas de toi que tu descendes dans la rue
C’eut été dangereux, je m’en serais voulu
Mais un mot, un signe, une condamnation, une protestation,
Une clameur venant du cœur aurait suffi à mon bonheur
Et pas pour ce qui se passe là-bas
Mais là, juste en bas de chez toi.
Ça n’te rappelle rien, dis-moi ?
Vitres brisées et croix gammées
Hordes hurlantes et défilés ?
J’aurais aimé que tu te lèves,
Qu’en un seul cri nos voix s’élèvent
Pour scander « Plus jamais ça »
Je t’aurais pardonné de ne pas m’aimer
Mais pas d’avoir par ton silence
Permis que tout ça recommence,
Et les avoir laissé crier
Que je dois d’ici me barrer
Mais il est bien trop tard, l’ami
Les loups sont entrés dans Paris !
Visages voilés et Keffieh,
Accompagnés de la faucille
De la République à la Bastille
Visage haineux et grimaçant
Ils sont v’nus des mille et des cents
Pour battre le pavé de France
Du beau pays de votre enfance
Qui fut aussi le mien pourtant
Mais cela c’était il y a longtemps.
Je suis venue te dire que je m’en vais
Oui il est vrai que je t’aimais,
J’ai refait ma valise une énième fois
Et c’est pour de bon cette fois
Car à présent l’heure a sonné
De nous séparer à jamais
Quelle que soit ma destination
Le Canada, les USA
Ou le pays de Sion
J’y serai plus en sécurité
Que dans l’pays où je suis née.
Je suis venue te dire que je m’en vais
Je te laisse le plus beau des pays
Et quand à ton tour menacé
Un jour tu devras le quitter
N’oublie pas d’éteindre la lumière
Celle de Diderot et d’Alembert
Celle de Montaigne et de Zola
Celle d’Hugo et de Badinter
Qui brillait de mille feux
Par sa culture, sa tolérance,
Sa Liberté, sa Fraternité et surtout sa Laïcité.

Perché prima tocca agli ebrei; poi, uno alla volta toccherà a tutti gli altri: lo insegna la Storia, e lo insegna tutto ciò che stiamo vedendo intorno a noi.

barbara

UNA COSA DA NIENTE

Ve ne avevo già parlato qui. Oggi ve ne riparlo per informarvi che ora è disponibile anche come e-book su Amazon, al prezzo di euro 3,99, per tutti coloro che hanno un po’ meno soldi a disposizione ma non vogliono rinunciare alla buona lettura.

barbara

RITRATTO DELL’EROE DA GIOVANE

Prima

Ehi, pecorella, sei venuto a sparare? Per quello che guadagni non ne vale la pena…
Che pecorella sei?
Hai un numero, un nome? Mi sa che sei illegale… Sei venuto per sparare, vuoi sparare?..
Pecorella, ascolta, io pago anche per te. Vi siete divertiti, eh
Fatti riconoscere. Io non so chi sei. Parla. Noi ci divertiamo un sacco a guardare voi stronzi…

Dopo

Avete presente l’espressione “cagarsi addosso dalla paura”?

barbara