Non ricordo i nomi, né i tempi, e neppure il luogo, ma ricordo perfettamente il fatto: una donna assassinata dall’uomo che l’aveva stuprata, come punizione per averlo denunciato. Il crimine – il secondo, dico – è stato reso possibile dal fatto che l’uomo, dopo la condanna, si trovava agli arresti domiciliari. Arresti che scontava presso la madre, che viveva, se ricordo bene, nello stesso quartiere, se non addirittura nello stesso condominio, della vittima. E ora rileggete con me, lentamente: STU.PRO – AR.RE.STI DO.MI.CI.LIA.RI. Pacca sul culo un anno e mezzo di galera e 10.000 euro di risarcimento e l’obbligo di seguire dei corsi di rieducazione. Il crimine sarebbe quello di violenza sessuale nei confronti della candida e casta signorina le cui doti ho già mostrato qui ma siccome sono generosa ve ne offro ancora qualche altra dimostrazione
Questa invece è la versione vergine violata del post aggressione (perfino, oltre alla rinuncia al suo amatissimo rossetto rosso fuoco, le calze nere opache da suora laica!)
Ora, il solo discutere se la pacca sul culo possa configurarsi come violenza sessuale lo troverei delirante, ma si può configurare come molestia sessuale? Per rispondere a questa domanda mi viene bene ricordare il Catechismo: una delle sette opere di misericordia invita a “sopportare pazientemente le persone moleste”. Perché pazientemente? Perché il sopportarle richiede pazienza? Perché la molestia, per sua natura, si prolunga nel tempo. Quella del datore di lavoro che insidia la dipendente è una molestia, quella del tizio che mi segue per strada, standomi addosso e allungando le mani e profferendo oscenità è una molestia, il palpeggiamento (e chiariamo anche questo: un palpeggiamento è diverso da una palpata tanto quanto il fissare una persona è diverso dal gettarle uno sguardo) come quello di cui ho parlato nel post sopra linkato, subito sull’autobus da me e da varie altre bambine interminabilmente e ripetutamente, quello è una molestia – e qui siamo, direi, anche al limite della violenza. La pacca sul sedere NO. Non è una cosa da fare, è un gesto cafone, volgare, sgradevole, spregevole, da ricompensare con un sonoro ceffone, NON un crimine da punire con galera più annessi e connessi. E soprattutto NON dovrebbe essere un comodo trampolino su cui costruire una carriera. Una carriera che la signorina, come ampiamente documentato, aveva fin dall’inizio tentato di intraprendere con una interminabile serie di esibizioni del proprio culo. E altro
Quella sentenza è una cosa oscena e abominevole e un crimine contro la giustizia, oltre che uno schiaffo in faccia alle vittime di violenze vere, che spero venga ribaltata in sede di appello. In attesa del quale desidero dedicare alla signorina Greta Beccaglia questa deliziosa canzoncina
PS: ma a me, se per caso mi venisse in mente di chiamarla zoccola, quanti anni mi appiopperebbero?
L’Onu sapeva ma ha ignorato volutamente la cosa perché l’utilizzo di funzionari locali era l’unico modo per ottenere aiuti in zone pericolose a cui il personale internazionale non poteva accedere.
La cooperante Danielle Spencer in un’intervista alla Bbc (Guarda il video) nella quale rivela che le donne siriane sono state sistematicamente abusate da operatori umanitari in cambio di aiuti, ha dichiarato senza giri di parole che “L’Onu e il sistema in genere hanno deciso di sacrificare il corpo delle donne”. “E’ un problema che si conosce da sette anni” e, nonostante l’Onu negli anni abbia documentato il fenomeno in diversi rapporti, la questione è stata “volutamente ignorata”. “Qualcuno ha deciso che andava bene che il corpo delle donne fosse sfruttato e violato al fine di consegnare aiuti a più persone”.
Nonostante gli avvertimenti sugli abusi già tre anni fa, un nuovo rapporto mostra non è cambiato nulla in Siria.
Gli operatori umanitari hanno detto alla Bbc che lo sfruttamento è così diffuso che alcune donne siriane si rifiutano di recarsi nei centri di distribuzione perché sanno cosa viene chiesto loro in cambio di cibo, medicine e beni di prima necessità.
Un lavoratore ha affermato che alcune agenzie umanitarie stavano chiudendo un occhio sullo sfruttamento perché l’utilizzo di terzi e funzionari locali era l’unico modo per ottenere aiuti in zone pericolose della Siria a cui il personale internazionale non poteva accedere.
Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) ha condotto una valutazione della violenza di genere nella regione lo scorso anno e ha concluso che l’assistenza umanitaria veniva scambiata con il sesso in vari governatorati in Siria.
Il rapporto, dal titolo “Voices from Syria 2018”, ha rivelato che: “Sono stati forniti esempi di donne o ragazze che sposano funzionari per un breve periodo di tempo solo per “servizi sessuali” per ricevere in cambio semplicemente dei pasti caldi.
“Donne e ragazze ‘senza protettori maschili’, come le vedove, le divorziate, o donne sfollate con i mariti dispersi, erano considerate particolarmente vulnerabili e quindi prese di mira”.
Danielle Spencer, una consulente umanitaria che lavora per un ente di beneficenza, ha raccontato le testimonianze terribili di un gruppo di donne siriane in un campo profughi in Giordania nel marzo 2015.
Le hanno raccontato come gli uomini dei consigli locali in aree come Dara’a e Quneitra avessero offerto loro aiuti per il sesso.
“Le donne e le ragazze devono essere protette quando cercano di ricevere cibo, sapone. L’ultima cosa di cui hai bisogno mentre vivi l’inferno è un uomo di cui dovresti fidarti e da cui ricevere aiuto, che pretende rapporti sessuali in cambio di un aiuto umanitario”.
Ha continuato, la cooperatrice affermando che tutti sapevano: “Queste donne in realtà non potevano andare senza essere stigmatizzate, si presumeva che se andassi a queste distribuzioni, ti saresti prostituita in cambio di aiuti”.
Pochi mesi dopo, nel giugno 2015, l’International Rescue Committee (IRC) ha intervistato 190 donne e ragazze a Dara’a e Quneitra. La sua relazione suggeriva che circa il 40% aveva dichiarato che la violenza sessuale si verificava quando accedevano ai servizi, compreso l’aiuto umanitario.
Difficile commentare l’orrore di uno scandalo simile. Difficile da credere che il desiderio di abusare del corpo di una donna da parte di alcuni uomini non si fermi di fronte a nulla, neppure a chi ha fame e ha perso tutto…
Sebastiano Nino Fezza, Globalist, 27 febbraio 2018, qui.
Ma un #metoo, un tubino nero, un discorso strappalacrime anche per quelle donne siriane costrette a subire rapporti sessuali in cambio di aiuti umanitari, se poffà?
Signore asie, signore gwynnette, signore angeline, signore rose e signore rosanne eccetera eccetera, voi che sapete quale terribile dramma sia la violenza sessuale, voi che sapete che cosa significa dover scegliere fra sesso violento e morte per fame, voi che avete subito sulla vostra povera carne martoriata le stesse identiche, IDENTICHE, IDENTICHE inenarrabili violenze subite da queste donne, la vostra voce anche per queste donne, no? Le vostre denunce anche per queste donne, no? Le vostre apparizioni di fronte alle telecamere coi riflettori puntati anche per queste donne, no? Un discorsino piccolo piccolo? Tre parole? Dodici secondi? No? Niente niente?
E Lei, signora Onu, che un giorno sì e l’altro pure si mette in cattedra per condannare Israele per le sue “violazioni”. Lei che ha approvato ben due risoluzioni di condanna contro l’Egitto PER AVERE CONCLUSO LA PACE con Israele. Lei che si è resa responsabile della strage di Srebrenica. Lei che dopo avere scelto di ignorare gli avvertimenti sull’imminente genocidio in Ruanda, ha rifiutato di chiamarlo genocidio per non essere costretta a intervenire, come il Suo regolamento avrebbe imposto. Lei che ha fornito cibo in cambio di sesso, non solo con donne ma anche con ragazzine e bambine in giro per tutta l’Africa. Eccetera eccetera. Lei, signora Onu, è meglio che le sia legata al collo una macina d’asino e la si getti nel mare.
Subito dopo terminata questa causa, entrò nella sala una donna che teneva afferrato strettamente un uomo vestito da campagnolo benestante, e gridava a squarciagola:
– Giustizia, signor governatore, giustizia! Se non la trovo in terra, anderò a cercarla in cielo. Signor governatore dell’anima mia, quest’uomo mi ha sorpresa in mezzo alla campagna, e ha fatto il suo comodo col mio corpo, peggio che se fosse stato un cencio sudicio. Oh povera me! Mi ha tolto un tesoro che avevo serbato per più di ventitré anni, difendendolo da Mori e Cristiani, da compatriotti e da stranieri! Sempre dura come una quercia, m’ero conservata intatta come la salamandra nel fuoco, o come la lana tra gli spini, perché ora questo bel signore dovesse venire a brancicarmi con le sue manine pulite.
– Anche codesto sarà messo in chiaro: se ha, sì o no, le mani pulite questo damerino – disse Sancio, e rivoltosi all’uomo gli domandò: – Che cosa avete da rispondere alle lagnanze di questa donna?
– Signore – rispose quello tutto turbato – io sono un povero allevatore di porci, con rispetto parlando; e stamattina me n’andavo da questo paese dopo averne venduti quattro, che tra dazio, spese e altre birbonate mi son costati più di quel che ho preso, e me ne tornavo a casa, quando via facendo mi sono imbattuto in questa brava donna, e il diavolo che dappertutto ficca la coda, ci ha fatto fare una vogata insieme. Io le ho dato il giusto, ma lei non è rimasta contenta. Mi ha preso per un braccio e non me l’ha lasciato più, finché non m’ha trascinato qui. Lei dice che io l’ho presa a forza, ma dice una bugia e son pronto a giurarlo: e questa è la pura verità, senza che ve ne manchi un briciolo.
Allora il governatore gli domandò se aveva qualche moneta d’argento. Egli rispose che aveva in seno una borsa di cuoio con circa venti ducati dentro. Il governatore gli ordinò di tirarla fuori e di consegnarla senz’altro alla querelante. Il povero uomo obbedì con la tremarella; ma la donna la prese e facendo a tutti mille salamelecchi e pregando Dio per la vita e la salvezza del signor governatore, che prendeva così bene le difese delle abbandonate e necessitose donzelle, uscì dalla sala di udienza, tenendo stretta la borsa con tutte e due le mani, ma prima guardò se le monete che v’eran dentro eran proprio d’argento.
Appena fu uscita, Sancio disse all’allevatore, che aveva di già le lacrime in pelle in pelle e con gli occhi e col cuore se n’andava dietro alla sua borsa:
– Buon uomo, andate dietro a quella donna, e riprendetele la borsa, anche se non vuol rendervela; poi tornate qui con lei.
L’uomo non intese a sordo, perché partì come un lampo per fare quel che gli era stato ordinato. Tutti i presenti stavano in gran curiosità per sapere come sarebbe andata a finire quella lite. Di lì a poco tornarono l’uomo e la donna più stretti e più avvinghiati che la prima volta; lei con la sottana rimboccata e la borsa in grembo, e lui che faceva grandi sforzi per levargliela, ma non vi riusciva, tanto lei la teneva stretta urlando:
– Giustizia divina! Lo vede, signor governatore, questo temerario! questo sfacciato! In mezzo alla gente e in mezzo alla strada ha cercato di prendermi la borsa che la Signoria Vostra gli ha ordinato di darmi.
– Ve l’ha presa? – domandò il governatore.
– Pigliarmela? – rispose la donna. – Mi lascerei prima prendere la vita che la borsa. Eh, sì, son garbata io! Ci vuol altri merli che questo miserabile sudicione per farmela in barba a me! Tenaglie e martelli, mazzuoli e scalpelli non basteranno a levarmela dalle unghie, e nemmeno le grinfie d’un leone! Sarebbe più facile strapparmi l’anima di corpo.
– È proprio vero – disse l’uomo – e io mi arrendo e mi dò per vinto. Confesso che le mie forze non sono bastanti per levargliela.
E la lasciò andare. Allora il governatore disse alla donna:
– Fatemi vedere quella borsa, onesta e valorosa signora.
Subito essa gliela dette, e il governatore la restituì all’uomo: poi disse alla violenta e non violentata:
– Amica mia, se la metà e anche meno del coraggio e del vigore che avete spiegato per difender questa borsa, lo aveste spiegato per difendere il vostro onore, neanche le forze d’Ercole sarebbero bastate a farvi violenza. Andatevene dunque alla malora, e non comparite mai più in tutta quest’isola, né per sei leghe all’intorno, sotto pena di duecento frustate: andate via subito, vi dico, chiacchierona, spudorata e imbrogliona. (Don Chisciotte, ed. Oscar Mondadori, pp. 970-72)
Perché, come ha detto qualcuno, darla per interesse e poi frignare atteggiandosi a violentata delegittima le violentate vere. E, come ha detto qualcun altro, è questione di puro e semplice buon senso: se uno ti invita a discutere d’affari nella sua camera da letto, non puoi ragionevolmente aspettarti che voglia discutere d’affari (peccato che poi lei di buon senso ne abbia avuto così poco nei confronti della propria faccia). E poi, ovviamente, il discorso dei vent’anni passati – dopo i quali, dice, ancora non ha finito di elaborare la violenza subita: capisco la bambina molestata in famiglia quando ancora non ha la più pallida idea di sesso e affini, che non è neppure in grado di capire che cosa le si stia facendo e ci mette anni, magari anche decenni prima di rendersi conto di che cosa esattamente le sia stato fatto (stupendamente esemplificato in questo meraviglioso racconto, scritto da un Uomo), ma una persona adulta? E che dire del definirsi “una ragazzina di ventun anni” da parte di una che è nel mondo del cinema da quando ne aveva nove? E ha il coraggio di lamentarsi della mancata solidarietà da parte delle donne, ma va’ un po’ a nasconderti, va’, campionessa di finezza in sottoveste. barbara
Gli uomini che a Colonia si sono avventati come animali sulle donne in festa per il Capodanno volevano punire la libertà delle loro vittime. Hanno palpeggiato, molestato, umiliato, violentato, picchiato le donne che osavano andare da sole, che giravano libere di notte, che si abbigliavano senza rispetto per le ingiunzioni e i divieti consacrati dai padroni maschi. Consideravano prede da disprezzare e da percuotere le donne che facevano pubblicamente uso di una libertà che gli stupratori e gli energumeni di Colonia considerano inconcepibile, peccaminosa, simbolo di perversione, donne che studiano e lavorano. Che sposano chi desiderano e non il marito oppressore che la famiglia, la tradizione, il clan assegnano loro. Che non sono costrette a uscire solo in compagnia dell’uomo prevaricatore. Che bevono e mangiano in libertà, entrano nei locali, fanno l’amore quando scelgono di farlo, brindano a mezzanotte, indossano jeans e magliette, flirtano, fanno sport e si scoprono per praticarlo, hanno la sfrontatezza di festeggiare il Capodanno con i loro amici maschi.
Per chi considera la libertà delle donne un peccato da estirpare, le donne libere sono delle poco di buono da umiliare, da riempire di lividi sul seno e sulle cosce aspettandole all’uscita della metropolitana e con la polizia impotente e immobilizzata. Come si fa con gli esseri considerati inferiori. Come è accaduto a Colonia in una tragica e sconvolgente prima volta nella storia dell’Europa contemporanea in tempo di pace. È stato un rito di umiliazione organizzato, coordinato, diretto a colpire quello che oramai comunemente viene definito uno «stile di vita». Nonostante i retaggi del passato, nonostante le tenebre oscurantiste che ancora avvolgono come fumo di un passato ostinato le città e persino le famiglie dell’Europa figlia dell’Illuminismo, malgrado i branchi di lupi che infestano i nostri Paesi e fanno morire di paura le donne che si avventurano sole, le ragazze indifese di fronte al bullismo e al teppismo, malgrado tutto questo, la libertà della donna resta pur sempre un principio e una pratica di vita inimmaginabile in altri contesti culturali, in altri sistemi di valori. Ed è l’incompatibilità valoriale con questo spirito di libertà che le bande di Capodanno hanno voluto manifestare contro le donne che andavano a ballare, a bere, a baciare anche.
Non capire il senso di «prima volta» che gli agguati di Colonia portano con sé è un modo per restare ciechi, per non capire, per farsi imprigionare dalla paura e dall’afasia. Così come non abbiamo voluto vedere, abbiamo fatto finta di niente, siamo restati volontariamente ciechi quando al Cairo, nella leggendaria piazza Tahrir, la «primavera araba» diventò cupa e le donne a decine cominciarono in nome dell’Islam ad essere aggredite, molestate, violentate dai super-fanatici del fondamentalismo misogino. Ora dovremmo cercare di capire che nelle gesta di prevaricazione degli uomini che odiano le donne libere si riflette un gesto di aggressività valoriale di stampo irriducibilmente sessista e non lo sfogo barbarico di un primitivismo pulsionale. Un atto di sopraffazione culturale, non di ferocia animalesca e irriflessa.
Con tutte le cautele e il senso di responsabilità che si deve in questo genere di problemi, Colonia ha lo stesso significato di aggressione simbolica dell’irruzione fanatica nella redazione di Charlie Hebdo: lì veniva scatenata un’offensiva mortale contro la libertà d’espressione, considerata un peccato scaturito nel cuore del mondo infedele; qui contro la libertà della donna, la sua emancipazione impossibile e temuta in contesti culturali che danno legittimazione ideale e persino religiosa al predominio e alla sopraffazione del maschio. Certo, è diverso lo sterminio dei vignettisti dalle botte umilianti di Colonia. Ma c’è un comune sostrato punitivo, l’identificazione di un simbolo culturalmente indigeribile che stabilisce una distanza abissale tra uno «stile di vita» libero e una mentalità che bolla la libertà delle persone, uomini e donne allo stesso modo, come una turpitudine, un’offesa, un peccato, un oltraggio. Rubricare invece le violenze di Colonia come una delle tante, tristissime manifestazioni di aggressione contro le donne che infestano la vita delle città europee significa smarrirne la specificità, la novità, il senso stesso della sua dinamica. Significa non capire cosa ha mosso gli aggressori, il fatto che fossero centinaia e centinaia in un abuso di massa del corpo e della libertà delle donne come non si era mai visto. Loro, gli aggressori, possono dire che le donne colpite e umiliate «se la sono cercata» semplicemente perché hanno scelto un modo di vivere inammissibile e peccaminoso. A noi il compito di difenderlo, questo modo di vivere, e di considerare inviolabili le donne, e la loro libertà. [P.S.: visto che bei ragazzotti palestrati, questi poveri migranti in fuga da guerre fame e ogni sorta di orrori?]
Non solo Colonia in realtà, a quanto sta emergendo (chi non sa il francese lo metta in traduttore automatico, ma cercate di leggerlo; se proprio non volete leggerlo, andate almeno a vedere le foto in fondo all’articolo).
Una cosa, comunque, contesto a Battista: il titolo. Quelle donne non sono state aggredite e umiliate e violentate dal fanatismo: sono state aggredite e umiliate e violentate DAI FANATICI, persone con nome e cognome. Se perfino chi denuncia chiaramente ciò che sta accadendo mistifica le parole, non andremo molto lontano.
E qui un video relativo ai momenti che precedono l’assalto alle donne.
Martedì, 12.2.13 (copiato dalla voce delle donne egiziane)
Alla più vicina Ambasciata Egiziana del nostro luogo di residenza, in tutto il mondo, alle 6 pomeridiane (ora locale).
Noi, cittadini di tutto il mondo e di ogni nazionalità, non resteremo a guardare in silenzio il diffondersi dell’epidemia del terrorismo sessuale. Vogliamo dimostrare il nostro appoggio, la nostra solidarietà e la nostra ammirazione alle persone aggredite che hanno pagato il prezzo della rivoluzione egiziana in corso nella loro carne, e agli eroici volontari che stanno rischiando le loro vite per una Tahrir sicura.
Perciò martedì 12 febbraio 2013, alle 6 del pomeriggio ora locale, ci riuniremo davanti alla più vicina Ambasciata Egiziana nella nostra città/ Paese, e altre persone in tutto il mondo faranno lo stesso.
FACCIAMO SENTIRE LE NOSTRE VOCI, PERCHÉ:
– Accusiamo il partito al governo di non prendere severe misure per prevenire gli attacchi di delinquenti organizzati che spogliano, violentano, feriscono e uccidono pacifiche manifestanti;
– Consideriamo responsabili la polizia egiziana e le istituzioni governative di non offrire le necessarie protezione e sicurezza ai cittadini egiziani di sesso femminile. Non solo, ma la stessa polizia commette il crimine di molestia / aggressione sessuale;
– Rimproveriamo ai governi egiziani presente e passati di condonare il crimine di molestia / aggressione sessuale col non emanare alcuna severa legge che disponga chiaramente conseguenze giuridiche per i molestatori sessuali o per chi indulge alla violenza sessuale. Chiediamo l’approvazione di leggi severe contro la molestia sessuale in tutte le sue forme.
– Condanniamo l’accettazione sociale della molestia sessuale, della violenza e dello stupro da parte della società egiziana, che addossa il biasimo alla vittima invece che all’aggressore.
– Riteniamo che i mass media debbano rendere conto per la loro irresponsabilità nel focalizzare l’attenzione sui dettagli personali, intimi e sensazionalistici della vittima, invece di riportare l’atto criminale in modo professionale ed etico;
– Sollecitiamo tutti i gruppi rivoluzionari, partiti politici o individui a parlare apertamente e intraprendere IMMEDIATE iniziative sia contro le aggressioni sessuali ordinate da bande criminali organizzate che mirano a svilire l’immagine di Tahrir e terrorizzare i manifestanti, sia contro la quotidiana molestia sessuale ai danni delle donne e ragazze egiziane nelle strade del loro stesso Paese. Combattere l’umiliazione sessuale e l’aggressione dovrebbe essere una PRIORITA’ ASSOLUTA nella nobile lotta per la libertà e la dignità del popolo egiziano.
– Salutiamo ogni eroe ed eroina della rivoluzione egiziana in corso! Voi ci insegnate coraggio, perseveranza e determinazione.
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Il terrorismo sessuale è una tecnica recentemente usata in modo estensivo in Egitto da bande criminali organizzate, miranti a ferire, destabilizzare, umiliare e terrorizzare le donne che protestano in piazza Tahrir, durante la rivoluzione egiziana in corso.
Descriviamo uno scenario, una storia vera raccontata da una delle donne aggredite: si trova improvvisamente separata dai suoi amici e circondata da 100, 200, 300 uomini. Le strappano i vestiti con coltelli che le feriscono il corpo, le torcono il collo e le tirano i capelli per baciarla a forza, centinaia di mani la toccano e viene collettivamente e manualmente stuprata infilandole le dita nei genitali. La donna viene trascinata qua e là per terra dalla folla, tra fango e scoli di fognature. Anche chi cerca di aiutarla viene attaccato: gli uomini vengono soffocati coi vestiti, le donne vengono circondate per sottostare allo stesso orrore.
Non solo, ma quando la vittima finalmente riesce a scappare, molti posti rifiutano di darle riparo… perché tuttora, agli occhi della società, È LEI che è considerata responsabile del delitto subito, e non l’aggressore. Agli occhi della società, LEI è considerata simbolo di vergogna, non quelli che cercano di farla tacere. La molestia / aggressione / violenza sessuale è diventata sempre più socialmente accettabile nella società egiziane nel corso degli ultimi 10-15 anni, tanto che oggi siamo testimoni del loro aspetto più atroce, la loro pratica come strumento di oppressione politica.
In effetti, questa non è la prima volta che l’aggressione sessuale è stata usata come strumento per far tacere donne manifestanti: già all’epoca del “mercoledì nero” nel maggio 2005, le autorità usarono la molestia sessuale durante una protesta per disperdere le donne che protestavano contro le modifiche costituzionali che avrebbero garantito all’ex presidente Mubarak più ampi poteri presidenziali, mentre i servizi d’ordine e la polizia favorivano in gran parte le molestie, e restavano passivi a guardare.
A fronte delle ultime atrocità in piazza Tahrir, è stato creato un gruppo di iniziative quali Operazioni Anti – Molestia/Violenza Sessuale, uno sforzo collaborativo tra numerose iniziative che lavorano sulla violenza sessuale in Egitto, come pure volontari indipendenti, e le Guardie del Corpo di Tahrir, in cui giovani egiziani si sono organizzati e addestrati a combattere sul campo le aggressioni sessuali. Assicurano anche assistenza alle donne e ragazze che hanno subito le aggressioni. Questi gruppi sono riusciti a salvare molte donne da quando hanno iniziato a funzionare, anche se essi stessi vengono aggrediti durante le operazioni. Il numero dei loro volontari sta crescendo e i loro sforzi sono incessanti.
Il 25 gennaio 2013, secondo anniversario della rivoluzione egiziana, il numero di casi riferito dal gruppo Operazioni Anti – Molestia/Violenza Sessuale (OpAntiSH) è stato di 19 episodi in 1 giorno, a parte quelli non riportati.
Ma bisogna di nuovo riaffermare, benché piazza Tahrir stia vedendo forme estreme ed inimmaginabili di violenza contro le donne, che la molestia sessuale è diventata in Egitto un’epidemia che infetta la vita quotidiana delle donne egiziane.
L’83% delle donne intervistate nel 2008 dal Centro Egiziano per i Diritti delle Donne ha ammesso di essere sessualmente molestata, il 50% di loro con frequenza giornaliera. La Mappa delle Molestie ha ricevuto una quantità di sconvolgenti racconti da giovani vittime – sia come reportages che come racconti di singoli volontari. Ragazze e ragazzi a scuola incontrano insegnanti molestatori, compagni di scuola, medici, taxisti ed anche familiari che fanno loro avances sessuali, li toccano, si masturbano davanti a loro, fino ad aggredirli sessualmente. Peggio ancora, il passante medio che si trova ad essere testimone di una molestia sessuale non necessariamente interviene per fermarla, come farebbe nel caso di un furto o di una rissa. In realtà, può anche dare la colpa alla persona aggredita/molestata per essere causa di una molestia sessuale, e perfino simpatizzare con l’aggressore. Tuttavia, nessuno sforzo reale è stato fatto né dai precedenti governi né da quello attuale per imporre serie conseguenze legali sui molestatori, tali da mettere fine a quest’epidemia, sicché la missione della Mappa delle Molestie è quella di far cessare l’accettazione sociale della molestia sessuale come mezzo per affrontarla.
Ma, come OpAntiSH afferma in un recente video:
“NON RESTEREMO IN SILENZIO. NON CI SPEZZERANNO. NON CEDEREMO ALLA VERGOGNA. (grazie alla sua segnalazione)
Aggressione alla giornalista francese Caroline Sinz