L’UNICO VIRUS È IL GOVERNO

Che non è poi molto lontano dallo slogan iniziale secondo cui “l’unico virus è il razzismo”: lì il presunto obiettivo del razzismo era il popolo cinese, qui l’obiettivo reale è il popolo italiano. Con la differenza però che lì si trattava di chi – non necessariamente cinese – arrivava dalla Cina e lo strumento proposto era una quarantena di un paio di settimane, con la finalità di verificare se erano contagiosi, mentre oggi l’obiettivo siamo tutti noi italiani al gran completo, lo strumento è la cancellazione dei nostri diritti, della nostra libertà, della nostra socialità, e la finalità è il nostro annientamento. Qualche dubbio? Basta guardare un solo provvedimento. Qual è la cosa da evitare nel modo più assoluto in caso di epidemia? Gli assembramenti, lo sanno tutti – e non a caso il governo approfitta dei morti di fine ottobre per lanciare anatemi sui giovani che sono andati in discoteca (col benevolo permesso del governo, non dimentichiamolo) a luglio: si sono assembrati, si sono ammucchiati, si sono strusciati, e hanno assassinato i loro nonni. Ma lasciamo stare. Gli assembramenti. Da evitare come la peste perché ci fanno ammalare. E dunque che cosa fa il nostro conticino bello? Accorcia gli orari. Lo aveva già fatto la primavera scorsa: orari dei supermercati accorciati e chiusura domenicale, provvedimento di cui sembrerebbe prospettarsi la reintroduzione. Adesso qualche presidente di regione ha istituito, e qualcuno auspica di estenderlo a tutto il territorio nazionale, il coprifuoco (mai applicato se non durante la guerra, e solo nel periodo più drammatico dell’occupazione – la prova più lampante, se mai ne servisse una, che quei signori non sono i nostri governanti, bensì una POTENZA OCCUPANTE). Conseguenze: nei negozi, avendo meno tempo a disposizione e lo stesso numero di persone con la necessità di approvvigionarsi, un maggiore assembramento. Poi pensiamo a quante persone posso incontrare in un’ora di passeggiata, anche in pieno centro, alle due di notte e quante alle quattro del pomeriggio, e il quadro diventa perfettamente chiaro: il governo sta prendendo tutte le misure possibile per farci ammalare. Possibilmente, vista l’età media della popolazione con annesse patologie legate all’età, farci morire. E mettiamoci anche questo

Ma veramente lasciare mezzi posti a sedere vuoti e tenere la gente in piedi tutta appiccicata è più salutare che far occupare tutti i sedili e sfoltire i corridoi?

Se poi aggiungiamo il ventilato progetto di far partire il coprifuoco alle sei di sera, ciò significa che dovranno chiudere, e quindi morire anche se giovani – di fame questa volta – i titolari di bar ristoranti pizzerie e ogni altro genere di locali. E i dipendenti che saranno costretti a licenziare. E i fornitori che non avranno più nessuno da rifornire. E tecnici manutentori e riparatori che non avranno più niente da controllare o riparare. Insomma, per come l’hanno organizzata – soprattutto lavorandoci duro per tutta l’estate –

il dubbio che l’obiettivo sia proprio quello di farci ammalare e possibilmente morire, a me sembra legittimo. E quando tanti tanti tanti di noi saranno morti, di cervelli capaci di rifiutare di farsi friggere dalla narrativa del terrore ne resteranno così pochi da non rappresentare più una minaccia.

E poi parliamo dell’annientamento della dimensione sociale – ossia umana – in atto, con sempre maggiore successo da ormai otto mesi.

IL PARADIGMA TOTALITARIO DEL “DISTANZIAMENTO SOCIALE”. Sul libro di Giorgio Agamben “A che punto siamo? L’epidemia come politica”

L’articolo che apre questa raccolta di Giorgio Agamben fu pubblicato il 26 febbraio su “Il Manifesto”. Era ancora il periodo – ma sarebbe finito prestissimo – in cui la sinistra declamava che “l’unico contagio è il razzismo”, correva ad abbracciare cinesi e a prendere aperitivi. Ben più seria e addirittura profetica era però la posizione espressa da Agamben, isolata sul quotidiano “comunista”. Agamben notava la sproporzione fra la realtà, in quel momento, del Covid 19 in Italia e i provvedimenti eccezionali che venivano presi e denunciava la restrizione delle fondamentali libertà costituzionali, paventando e prevedendo che il decreto adottato per le regioni del Nord potesse essere esteso a tutto il territorio nazionale. Lamentava, infine, che una gigantesca, irrazionale onda di paura stesse percorrendo l’umanità e denunciava la sua strumentalizzazione da parte dei potenti: «Così, in un perverso circolo vizioso, la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo».
Passati non molti giorni, Agamben venne investito da reazioni furibonde e da veri insulti. Quell’articolo fu l’ultimo da lui scritto sul “Manifesto”. Anzi, fu l’ultimo scritto su un qualsiasi giornale. Circa un mese dopo, il Corriere della Sera, gli chiese un intervento, ma quando Agamben lo inviò, benché la sua denuncia fosse piuttosto “edulcorata” rispetto agli altri articoli, il quotidiano milanese glielo rifiutò (Agamben lo ha comunque inserito nella raccolta). E così tutti gli articoli che compongono il libro, a parte il primo, hanno trovato ospitalità solo sul sito di “Quodlibet” (“Quodlibet è la casa editrice fondata da alcuni allievi dello stesso Agamben, dopo la sua rottura con Einaudi). La raccolta è poi completata da alcune interviste, tutte a media esteri: a “Le Monde”, alla radio svedese, alla rivista greca “Babylonia”.
Dopo gli insulti, quindi, il silenzio, la rimozione, la censura.
Ma cosa dice di così scandaloso e forse “pericoloso per il sistema” – come si sarebbe detto una volta – quello che fino a pochi mesi fa era uno dei più prestigiosi e celebrati filosofi italiani?
I poteri del mondo, scrive Agamben, hanno colto il pretesto di una pandemia – vera, simulata o ingigantita è ora questione secondaria – per trasformare radicalmente, attraverso lo strumento dello “stato di eccezione” (volgarmente: emergenza) il paradigma politico dominante, abbandonando definitivamente la democrazia borghese, liberale e parlamentare, costituzionale che era già in crisi. Lo stato di eccezione ha infatti comportato “la pura e semplice sospensione delle garanzie costituzionali”. Si è innanzitutto instaurato un “regime di terrore sanitario”, fondato su una sorta di “religione della salute”. «Quello che nelle democrazie borghesi era il diritto del cittadino alla salute si rovescia, senza che la gente sembri accorgersene, in un’obbligazione giuridico-religiosa che deve adempiersi a qualunque prezzo». E il prezzo, come ora vedremo, è altissimo, pressoché inestimabile.
L’incrocio fra questa religione della salute e il potere statale fondato sullo stato di eccezione ha portato così a un nuovo paradigma di governo che Agamben definisce “biosicurezza”. Si tratta probabilmente del paradigma di potere più efficace di tutta la storia dell’Occidente. Mettendo in questione una minaccia alla salute, ma in realtà in nome di una “sicurezza sanitaria” del tutto astratta e largamente fittizia, gli uomini si sono infatti mostrati pronti ad accettare limitazioni della loro libertà che mai erano stati disposti a tollerare, neanche durante le due guerre mondiali e sotto le dittature totalitarie. I cittadini sono stati disposti a sacrificare praticamente tutto: non solo le fondamentali libertà personali, ma le condizioni normali di vita, le relazioni sociali, il lavoro, le convinzioni religiose e politiche, perfino l’amicizia, gli affetti, l’amore. Ciò che più sconcerta è che il sacrificio della libertà e di tutto ciò che caratterizza una vita degna, umana e normale viene spacciato e viene accettato come massimo esempio di civismo, di responsabilità e di altruismo. Con l’acquiescenza delle chiese, è stato finanche abolito il “prossimo”, ridotto a una possibile fonte di contagio, ad un potenziale ammalato da non visitare. La chiesa – e quella cattolica è guidata da un papa che porta il nome di uno che i lebbrosi li baciava – ha così completamente rinnegato e tradito i propri valori, inchinandosi al Baal della religione della scienza.
Di fronte – non alla malattia o alla morte – ma al semplice “rischio” di ammalarsi – un rischio peraltro del tutto imprecisato, perché basato su dati scientificamente inconsistenti e su una colossale operazione di falsificazione della verità portata avanti dal coro unanime dei media –  tutti o quasi si sono aggrappati soltanto a ciò che Agamben chiama la “nuda vita”, una entità puramente biologica, spogliata di ogni componente affettiva e culturale, ossia di tutto ciò che rende l’esistenza umana
Di questa “Grande trasformazione”, l’Italia è stata il laboratorio, mostrandosi pronta ad adattare il modello cinese a un paese occidentale formalmente democratico (è stato questo il vero “modello italiano”). Quando gli storici del futuro avranno chiaro che cosa era in gioco in questa pandemia, scrive Agamben, questo sembrerà loro uno dei momenti più vergognosi della storia italiana e coloro che lo hanno guidato e governato saranno giudicati degli irresponsabili privi di ogni scrupolo etico.
Non vale per Agamben, la confortante obiezione secondo cui tutto ciò sarebbe temporaneo, perché governo ed esperti dichiarano esplicitamente che ciò a cui dovremo abituarci, anche finita la fase acuta della cosiddetta emergenza, è il “distanziamento sociale”, ossia proprio il nucleo essenziale e fondante del nuovo paradigma di potere, il nuovo principio di organizzazione della società. Del resto, lo stesso termine adottato tradisce l’intenzione di trasformare il distanziamento in qualcosa di permanente e in un nuovo paradigma di società: non è stata scelta infatti l’espressione che sarebbe stata più ragionevole, se si fosse trattato di un semplice dispositivo medico, non si è parlato di distanziamento “fisico” , ma si è subito parlato di “distanziamento sociale”, forse per far comprendere che si trattava di una nuova forma di vita in società a cui dovevamo abituarci
Il paradigma del  “distanziamento sociale” comporta “nulla di meno che la pura e semplice abolizione di ogni spazio pubblico” e questa assoluta cessazione di ogni attività politica e di ogni rapporto sociale viene poi presentata ed accettata, ironicamente, come la massima forma di partecipazione civile.
Ancora una volta la pandemia viene usata per portare alle estreme conseguenze processi in atto che senza di essa sarebbero rimasti limitati: si approfitterà del distanziamento per sostituire i dispositivi tecnologici ai rapporti umani nella loro fisicità, per vietare ogni tipo di riunione e comunione umana “in presenza”. In pagine molto efficaci, Agamben scrive, tra l’altro, che ciò costituisce un vero requiem per l’università.
Ci sono prospettive di resistenza? Certamente ci sono, per Agamben, a patto che si raggiunga una coscienza del problema che al momento sembra completamente assente. Ma dovranno essere nuove forme di resistenza e pensare a nuovi paradigmi politici, che sfuggano all’alternativa fra una democrazia che degenera in dispotismo – come aveva già rilevato Tocqueville – e un totalitarismo che assume forme apparentemente democratiche, e che prendano atto della crisi probabilmente irreversibile delle tradizionali democrazie liberali.
Vale la pena infine di citare la splendida citazione di Montaigne, con la quale Agamben risponde alla giornalista straniera che gli chiede se, data la sua età (Agamben è del 1942), non sia preoccupato per un possibile contagio:
«Noi non sappiamo dove la morte ci aspetta, aspettiamola ovunque. La meditazione della morte è meditazione della libertà. Chi ha imparato a morire, ha disimparato a servire. Saper morire ci libera di ogni soggezione e di ogni costrizione»
Angelo Michele Imbriani, qui.

Ma nonostante tutto questo – così come tante altre cose di cui si è già abbondantemente parlato – sia sotto gli occhi di tutti, vedo crescere ovunque l’isteria collettiva, il terrore della morte nera in agguato, l’invocazione di nuove ulteriori misure restrittivi, la chiusura di tutto prima di Natale, divieto di circolare in qualunque condizione fino a quando non arriverà il vaccino, anche se probabilmente dovremo aspettare ancora un anno o forse più – perché tanto hanno il cervello fritto e fulminato, da immaginare che dopo altri sei o dodici mesi di chiusura ci possa ancora essere qualcuno di vivo qua intorno.

barbara

MI CHIEDO 2

Hanno distrutto, annientato, cancellato con un tratto di penna la nostra vita sociale, hanno stabilito chi ci viene graziosamente concesso di incontrare e chi no, hanno decretato che cosa possano fare  due fidanzati quando finalmente dopo due mesi è stato graziosamente concesso loro di incontrarsi (per la precisione: non possono toccarsi), ci hanno vietato di avvicinarci, abbracciarci, toccarci, stringerci la mano – ma veramente esiste qualcuno che creda che ci si ammala abbracciando un amico o stringendogli la mano? E hanno cancellato i nostri volti. Ci hanno trasformati in monadi senza finestre. Ma veramente dopo che tutti questi superesperti non ne hanno azzeccata una che sia una c’è ancora qualcuno disposto a dare loro credito? E, soprattutto, a decidere, sulla base delle fantasie di questi signori, della nostra vita? E io

Mi chiedo

Quousque tandem abutere governo patientia nostra?

Vedo questo grafico
chiusura
in cui leggiamo che dopo la chiusura (fermiamoci per due settimane – tempo massimo di incubazione del virus – così quello non circola più e possiamo riprendere senza rischi) nelle cinque settimane e mezzo successive il numero dei malati è aumentato di 11 volte (1100%, per chi preferisce i dati in termini percentuali); poi dopo che era sceso, tra l’altro in maniera lenta e discontinua, di poco più del 5%, si è deciso di riaprire e lì, indovina un po’, con la riapertura e gli sconsiderati incoscienti che ne approfittavano e si ammucchiavano dappertutto e la criminale movida che tanto ha fatto piangere il povero sindaco Giuseppe Sgabuzzino eccetera eccetera, in venti giorni il numero dei malati si è dimezzato. Ma il governo continua a minacciare una nuova chiusura, una nuova messa agli arresti di 60 milioni di cittadini, pardon, di sudditi, avvertendo che se non obbediamo alla lettera arriva la seconda ondata.  E io

Mi chiedo

Quousque tandem abutere governo patientia nostra?

E a proposito di seconda ondata:

Stefano Burbi

LA SECONDA ONDATA DEL COVID? MA SE NON VEDEVANO NEMMENO LA PRIMA…
piazza deserta
Un anziano seduto su una panchina per riposarsi prima di andare al supermercato in pieno lockdown: multato. Un disoccupato a cena dai genitori percorre 400 metri e sconfina nel Comune vicino: multato. Un operaio, prima di recarsi al lavoro si abbassa la mascherina per fumare una sigaretta all’aperto: multato. Non continuo la lista delle amenità che mettono in dubbio l’intelligenza dell’uomo, ma vi dico che in un altro paese sarebbe scoppiata una rivolta per molto meno e ve lo dice, credetemi, un uomo mite e non violento per principio.
Visto che si sono resi conto dei danni che ha provocato questa chiusura selvaggia e prolungata (fermi lì, non tirate ancora in ballo i morti per covid, perché nessuno li discute), adesso, comprendendo che il gettito fiscale sarà molto povero, le amministrazioni (tutte, nessuna esclusa) vedono nelle multe assassine e vigliacche l’unico sistema per fare cassa. Chi lo nega è in malafede o non si rende conto della realtà (uso degli eufemismi, i termini corretti sarebbero altri).
Non lo fanno certo per il nostro bene o per la nostra salute, e se qualcuno pensa davvero che queste regole siano la panacea di tutti i mali, beh, allora abbiamo un problema grossissimo.
Sarebbe più facile, in realtà, riportare tutto alla quasi normalità, e far ripristinare il flusso degli introiti nell’economia reale, ma prima di rivedere i turisti qui, ben poco vogliosi di venire in un lager a cielo aperto, fatto di regole assurde ed oppressive, credo che passi un bel po’ di tempo, per cui ormai le entrate in Italia, per il 2020, saranno limitatissime, e con esse le tanto amate tasse. (A Firenze il 99% delle prenotazioni alberghiere è stato cancellato, dato ufficiale riportato stamattina da “La Nazione”). Cercare di ripristinare il buon senso, però, sconfesserebbe l’operato di questo governo, che qualcuno addirittura ringrazia (sic!) per quello che ha fatto. Nessuno ammetterà i propri marchiani errori, per cui, non illudiamoci, il regime di terrore che il gregge sta accettando, quasi ringraziando i suoi carnefici, non finirà così presto. Troppo comodo gridare alla “seconda ondata del virus” per tenere tutti sul chi vive (fermi lì, di nuovo, non ho detto che non ci vuole prudenza, ma, appunto, prudenza, mica ossessione), quando gli stessi che allarmano e terrorizzano, non avevano visto nemmeno la prima ondata, che era già vicino a loro. Per quanto mi riguarda, certi personaggi hanno per me credibilità zero. Sto finendo in questi giorni il mio musical sulla “Fattoria degli Animali” di Orwell, in cui la cricca dei maiali si impossessa del potere togliendolo al fattore, il signor Jones, che viene cacciato, ed instaura un vero regime, che ogni tanto le bestiole osano mettere timidamente in discussione, ma che Piffero (o Clarinetto, secondo altre versioni) riesce a difendere sempre così: “Volete discutere quello che facciamo? Volete davvero che torni il signor Jones?”

Nel Covid hanno trovato un perfetto signor Jones.

P.S. Non ho alcun interesse personale ad esprimermi in questo modo, se non quello di essere di aiuto a far vedere le cose sotto un’altra luce. Ah, dimenticavo, non sono e non sono mai stato un negazionista del virus, ma a tutto c’è un limite.

Nella foto: le piazze come qualcuno le vorrebbe. Ma il cielo è sempre più blu… Auguri.

E io

Mi chiedo

Ma perché siamo sempre i soliti quattro gatti ad accorgerci di ciò che è chiaro come il sole?

E poi ci sono tutte queste orde di paranoici isterici nevrotici ossessionati fanatici che chiedono la chiusura sine die o giù di lì di scuole uffici negozi bar ristoranti pizzerie discoteche cinema teatri palestre piscine eccetera fino a quando non si raggiungerà il rischio zero, e io

Mi chiedo

ma perché allora, se l’obiettivo è il rischio zero, non pretendono l’abolizione di qualunque mezzo di trasporto, dall’aereo al monopattino, di qualunque macchinario artigianale o industriale che possa essere causa di incidenti, di tutti gli elettrodomestici o meglio, per andare ancor più sul sicuro, della corrente elettrica, del fuoco, delle posate (o almeno di forchette e coltelli), il divieto di nuotare, scalare montagne, intraprendere spedizioni speleologiche, distruzione di tutti i farmaci (c’è sempre qualcuno che è allergico a questo o a quello), divieto di avere rapporti sessuali, che potrebbero trasmettere malattie… L’unica sarebbe di riunirsi in qualche caverna isolata, e vivere lì tranquilli al riparo di ogni pericolo. Loro, beninteso: così almeno la finiscono di scassare il biatomico e ci lasciano finalmente vivere in pace.

E poi vedo questo video allucinante

in cui la signora Botteri considera altamente positivo, sia pure con qualche, peraltro abbastanza trascurabile, effetto collaterale, l’enorme campo di concentramento, perfino peggio che ai tempi di Mao, in cui è stata trasformata la Cina, e ci racconta che con questo sistema la Cina ha completamente domato il virus (maavaaa?). E, leggo altrove, l’inviata Rai del Tg1, signora Giovanna Botteri, ha definito i manifestanti di Hong Kong “terroristi secessionisti”. Ricordo anche, la sera del 12 ottobre 2000, a poche ore dal linciaggio di Ramallah – i due riservisti israeliani che avevano sbagliato strada portati in una caserma dell’autorità palestinese, scaraventati giù dalla finestra e fatti letteralmente a brandelli dalla folla sottostante – la signora Botteri parlare in tono esaltato di questi nostri magnifici ragazzi, eroi che resistono al potere sionista… E io

Mi chiedo

Fino a che punto può arrivare l’abiezione umana? Fino a che punto un essere appartenente purtroppo alla specie umana può arrivare a prostituirsi al padrone, senza neppure l’attenuante della fame?

E passando a uno scempio diverso ma dopotutto non molto minore, vedo questa specie di incrocio fra una medusa gigante e un calamaro altrettanto gigante
Leonardo
installato nella piazza del municipio di Pavia e

Mi chiedo

quanta perversione ci vuole per oltraggiare fino a questo punto una delle massime glorie della specie umana? (Ma anche se fosse un anonimo contadino analfabeta, guarda)

E infine, dopo tante schifezze,

Mi chiedo

Quanta passione, quanto impegno, quanta dedizione, oltre a uno straordinario talento naturale, ci vogliono per raggiungere, a undici anni, un risultato come questo?

barbara