ancora armi, sempre più armi, sempre più potenti: non vorremo mica lasciar vivi tutti quei civili! Non vorremo mica lasciargli le case intere! Le biblioteche! I negozi! Le chiese! Le palestre!
19 febbraio 2023
23 febbraio 2023
Una passeggiata per Lugansk
E poi ci sono le famose Convenzioni di Ginevra e dell’Aja sul trattamento dei prigionieri di guerra
(e a quanto pare devono anche avergli fatto saltare qualche dente
Aggiungo due piccole note amene
DIFFERENZE – Nel suo discorso a Varsavia, ieri, Joe Biden ha nominato 10 volte Vladimir Putin. Nel suo discorso a Mosca, invece Putin non ha nominato Biden nemmeno una volta. (Qui)
Radio Svoboda dice che Portogallo, Belgio, Paesi Bassi e Francia chiedono il ritiro delle sanzioni UE sui fertilizzanti prodotti dalla Bielorussia. E pare che a chiedere di non mettere troppa pressione sulla Bielorussia sia… l’Ucraina.(Qui)
E poi una considerazione, che ritengo condivisibile, di Marco Travaglio, sulle ultime vicende che riguardano anche casa nostra.
A sovranismo limitato Il Fatto Quotidiano23 Feb 2023» Marco Travaglio Il nostro grado di simpatia per B. è noto da qualche annetto. Quindi spersonalizziamo. Immaginiamo che il presidente dell’ucraina, uno dei Paesi più corrotti e più poveri d’europa (due fattori tutt’altro che scollegati) da ben prima che fosse attaccato dalla Russia, inviti a casa sua la premier di un governo che contribuisce, con aiuti finanziari e militari, a mantenerlo artificialmente in vita. E poi, violando ogni dovere di ospitalità e ogni regola di buona creanza, approfitti della conferenza stampa congiunta per insolentire un alleato della premier che ha il grave torto di non pensarla come lui. Qualunque altro premier interromperebbe la conferenza stampa, la visita e forse le relazioni diplomatiche, non prima di avere spiegato all’insolente collega come vanno le cose in una vera democrazia: ogni leader politico, come ogni cittadino, è libero di esprimere il proprio pensiero su guerra, pace, negoziati e ogni altro argomento a sua scelta anche se nessuno gli ha bombardato la casa, e nessun governo estero, alleato e non (e l’ucraina è fra i non, visto che fortunatamente non fa ancora parte né dell’ue né della Nato), ha il diritto di ficcare il naso. La cosa potrà apparire bizzarra a Zelensky, che mette fuorilegge gli undici partiti di opposizione, arresta il leader di quello principale, unifica le tv in un solo canale di propaganda (la sua), impedisce a otto reporter italiani di raccontare la guerra senza il suo permesso. Ma, per fortuna, l’italia non è l’ucraina, anche se da un anno sta violando la sua Costituzione per inviare armi al suo Paese raccontando che vuole favorire il negoziato Kiev-mosca, che però Zelensky il 4 ottobre ha proibito per decreto. Non che l’ingerenza zelenskiana negli affari interni italiani sia un caso isolato: le cancellerie Ue, Nato e Usa non fanno altro da tempo immemorabile. Ma almeno quelle ce le siamo scelte come alleate e ci tocca sopportarle. L’ucraina no. Ed è a Kiev che servono i soldi e le armi di Roma, non viceversa. Quindi l’idea che Zelensky distribuisca pagelle e patenti di affidabilità a questo o quel Paese che si svena per Kiev è già ridicola. Ma ancor più ridicolo è che in Italia la cosiddetta informazione accusi quel leader che non nominiamo di screditare l’italia nel mondo per aver espresso il suo pensiero, giusto o sbagliato non importa. In un Paese serio, a rimettere in riga l’ucraino, sarebbe già intervenuto il presidente della Repubblica, con le stesse parole con cui tappò la bocca alla ministra francese Boone che ci insegnava come votare il 25 settembre e minacciava di “vigilare” su di noi: “L’italia sa badare a se stessa”. Invece purtroppo Mattarella tace. E tace anche la Meloni, mostrando vieppiù com’è il suo “sovranismo”: a sovranità limitata.
Concludo con una riflessione mia: da tutte le parti si sente dire che non si crede che Putin abbia davvero intenzione di sganciare l’atomica, che è tutto solo un bluff per tentare di intimidire gli avversari (? Gli avversari? Ma non ci avete raccontato fino ad asfissiarci che non è vero niente che l’America sta combattendo una guerra per procura? Non ci avete ripetuto fino alla nausea che la Russia ha aggredito l’Ucraina e l’Ucraina si sta difendendo e noi le mandiamo armi difensive per poter resistere ma con tutta la faccenda non c’entriamo niente? Boh). Ora, non sarà che mentre ci e si raccontano questa favoletta continuano a spingersi sempre più avanti con le provocazioni e gli attacchi “perché tanto lui non la sgancia mica sul serio” fino al punto in cui per salvare la Russia non gli resterà più altra possibilità di lanciare una raffica di missili nucleari? E arrivato a questo punto non farà come quello che sa che per salvarsi deve sparare per primo, e sapendo che anche l’altro è armato e pronto a sparare, per minimizzare il rischio per se stesso gli scarica addosso tutto il caricatore? Ho l’impressione che tutti noi ci troviamo nei panni di Margherita che assiste al ballo infernale durante la festa di Satana
Il primo minuto abbondante è di preparazione, potete tranquillamente saltarlo
È un post parecchio lungo, ma non ci posso fare niente: detesto i santini, come già più di una volta ho avuto occasione di dire, e per smontare le leggende e tirare giù gli idoli dal piedistallo serve un po’ di documentazione, e la cosa richiede il suo tempo, portate pazienza. Sono tre articoli, che si completano a vicenda, e quindi ho scelto di postarli tutti e tre.
Il patetico coro “grazie Gorbaciov” della stampa italiana
Un grande storico ricorda che fu solo un’altra cariatide sovietica che cercò di salvare la nomenklatura. “Sotto di lui più dissidenti morti in galera” (Solzenitsyn lo definì campione di ipocrisia)
“L’8 dicembre 1986 Anatoli Marchenko muore nel carcere di Chistopol dopo quattro mesi di sciopero della fame per il rispetto dei diritti umani in URSS, l’abbandono della tortura, l’applicazione degli accordi internazionali a cui l’URSS aveva sottoscritto, l’amnistia per i prigionieri politici. Gli osservatori dell’epoca ritenevano che i prigionieri politici sovietici morissero più nelle prigioni e nei campi sovietici nel 1986 che sotto Breznev”. Lo ha scritto due giorni fa su Le Figaro Jean-Louis Panné, un grande storico ex direttore della casa editrice Gallimard, collaboratore del Libro nero del comunismo. Un articolo in totale controtendenza rispetto ai panegirici di Mikhail Gorbaciov apparsi in tutta la stampa italiana. Alla vedova di Marchenko non fu permesso neanche di portare il corpo di suo marito per la sepoltura a Mosca.
“Tutti i gruppi di monitoraggio degli accordi di Helsinki sui diritti umani all’epoca subirono una feroce repressione e furono smantellati” scrive Panné. “Molti di loro hanno pagato con la vita la lotta alla dittatura, di cui Gorbaciov non ha mai messo in discussione gli elementi essenziali, consentendo una straordinaria continuità alla polizia politica del regime. Nelle sue ‘Memorie’, Andrei Sacharov cita una serie di vittime sotto Gorbaciov. Sakharov, famoso in tutto il mondo, può tornare a Mosca, senza smettere di essere osservato. Simbolo di questa politica anti-dissenso è il momento in cui Gorbaciov gli prende il microfono per impedirgli di parlare davanti al Congresso dei Deputati del Popolo, le cui sessioni sono trasmesse dalla televisione nazionale, mentre il fisico chiede l’abrogazione dell’articolo 6 del Costituzione dell’URSS, che stabilisce il sistema del partito unico”. Nella sua opera Gulag, la storica Anne Applebaum ricorda che un gruppo di deputati americani nel 1990 fece visita a Perm, il campo di concentramento sovietico: “La situazione rimaneva immutata. I prigionieri si lamentavano ancora per il freddo che dovevano patire e venivano rinchiusi nelle celle di rigore per ‘reati’ come il rifiuto di allacciare l’ultimo bottone dell’uniforme”. Almeno quattro dissidenti morirono nei Gulag nei primi quattro anni di potere di Gorbaciov. Anatolji Marcenko (una vittima di Gorbaciov) ne Le mie testimonianze descrive il gulag dell’epoca gorbacioviana. “Sono stato sottoposto a umiliazioni e angherie. Molte volte mi hanno rinchiuso nella cella d’isolamento, dove danno il cibo un giorno ogni due, in cui la temperatura non supera i 14 gradi, mentre ti tolgono gli indumenti caldi”. Pavel Protsenko, bibliotecario e ortodosso, fu chiuso in un manicomio e sottoposto a perizia psichiatrica. Nikolaj Serebrjannlkov venne sottoposto a trattamenti a base di psicofarmaci, colpevole di avere scritto lettere a Gorbaciov denunciando le persecuzioni cui erano ancora sottoposti i credenti. Come il cristiano ortodosso Alekzandr Ogorodnikov, arrestato (tre volte) a causa della sua partecipazione al movimento di rinascita religiosa, condannato per “parassitismo”. Ci fu il caso di Lev Timofeev, economista e giornalista, autore di due lucidissimi pamphlet pubblicati in Occidente ed editi in Italia da Il Mulino e SugarCo. Timofeev denunciò, con passione e amarezza, la resistenza popolare al malgoverno dell’economia, primo intellettuale a essere arrestato e condannato dopo la nomina di Gorbaciov a segretario generale del Pcus. E Anatolij Korjagin, un medico che aveva denunciato gli abusi della psichiatria a fini politici. Un famoso poeta, Vasyl Stus, morì in un campo di lavoro sovietico sotto Gorbaciov. Nel 1988, tre anni dopo l’ascesa al potere di Gorbaciov, il dissidente Mikhail Kukobaka, dopo 16 anni trascorsi in campi di prigionia, ospedali psichiatrici e celle di isolamento per le sue proteste contro il sistema sovietico, lasciò finalmente il gulag di Perm, sugli Urali. Un gesto di buona volontà di Gorbaciov. Ma Kukobaka disse: “Nelle carceri, nei campi, non c’è glasnost, non c’è perestrojka. Glasnost è destinata all’esportazione come mezzo di controllo sull’opinione pubblica occidentale”. “C’erano molte vie d’uscita dal comunismo, ma Gorbaciov non aveva tale obiettivo” dirà anche Alexander Solzenitsyn al New York Times. “Gorbaciov lanciava slogan sulla perestrojka, ma stava pensando a come trasferire la nomenklatura in comode sedi commerciali. La sua perestrojka era solo ipocrisia”. La Gorbymania (come la Castromania) in Occidente è sopravvissuta alla dipartita dei loro fondatori. Giulio Meotti
Per non parlare della Cheguevaromania, e adesso anche la Zelenskymania: tutte le peggiori fecce diventano oggetto di culto.
Gorbaciov, ecco perché in patria lo ricordano così male
È abbastanza evidente che, al tono celebrativo con cui si commemora Gorbaciov in Occidente, si contrappone un cattivo ricordo da parte dei suoi ex cittadini. Non solo quelli delle repubbliche ex sovietiche, che subirono la sua repressione armata. Ma anche quelli dei russi stessi, che patirono la crisi economica finale.
Gli articoli e gli editoriali sulla morte di Gorbaciov, in questi due giorni dopo la sua morte, sono tutti più o meno celebrativi. L’ultimo presidente sovietico fu l’uomo che pose fine alla guerra fredda, dunque viene ricordato soprattutto per il suo ruolo di pace. Ma non si comprende come mai in patria, sia in Russia che nelle altre repubbliche ex sovietiche, sia ricordato con estrema ostilità. Benché rispettato dal nuovo regime, Putin stesso gli ha reso omaggio, non ha ottenuto funerali di Stato. È una figura, ormai storica, divisiva e impopolare. Perché?
Si fa presto ad affermare che Gorbaciovsia odiato dai nostalgici dell’Urss, che con Putin sono tornati in auge. Certamente, questa fu l’opposizione più visibile ed anche più violenta. Nel periodo dal 1985 al 1989, il Kgb era ben consapevole dei limiti economici, militari e strutturali dell’Unione Sovietica. Fu il Kgb a incoraggiare la promozione di Gorbaciov a Segretario Generale, dopo la morte di Chernenko, approvata poi dal Comitato Centrale con voto unanime. Gorbaciov era già uomo di fiducia di Andropov, storico direttore del Kgb e poi segretario generale dell’Urss dal 1982 al 1984. Gorbaciov venne selezionato perché relativamente “giovane” (54 anni nel 1985) e aperto di mente, ma fedele al sistema comunista. Il Kgb stesso promosse e in un certo senso incoraggiò l’abbandono dei regimi dell’Est europeo, con quella che venne informalmente chiamata la “dottrina Sinatra”: ciascuno per la sua strada. Tuttavia, l’atmosfera cambiò repentinamente quando nei regimi ex comunisti le elezioni vennero vinte da partiti non comunisti, a partire dalla Polonia.
Esercito e Kgbsi coalizzarono per impedire che la disgregazione del blocco orientale divenisse disgregazione anche della stessa Urss. E pretesero che Gorbaciov imponesse l’ordine alle repubbliche secessioniste, anche proclamando lo stato d’emergenza. Il segretario generale usò la forza (contro Kazakistan, Georgia, Azerbaigian, Lituania e Lettonia), ma rifiutò il cambio di passo preteso da militari e servizi. Fu questo rifiuto che portò al tentativo di golpe contro di lui, nell’agosto del 1991. Il resto è noto: il golpe fallì, Gorbaciov ottenne una vittoria apparente, ma di fatto aveva già perso il potere. Eltsin, il presidente della Repubblica Socialista Federativa Russa, si oppose in prima persona ai militari e divenne lui il leader politico carismatico della nuova stagione russa che portò alla disgregazione dell’Urss. Dopo il collasso sovietico, esercito, ex servizi segreti, burocrazia statale, non perdonarono mai a Gorbaciov di aver causato il “crollo” dell’impero, di essersi lasciato sfuggire di mano il processo di riforme e decentramento che loro stessi avevano avviato.
Nelle repubbliche ex sovietiche, al contrario, non perdonano a Gorbaciov quelle ultime repressioni della stagione di sangue del 1986-91, volte a tenere assieme un’Urss in piena frammentazione. In Kazakistan ricordano gli oltre 200 morti civili del massacro di Alma Ata del dicembre 1986. Quando Gorbaciov sostituì il segretario generale locale Dinmukhamed Kunaev con il russo Gennadij Kolbin, i kazaki inscenarono proteste che vennero schiacciate con la forza delle armi. Gli armeni non perdonano a Gorbaciov di aver permesso (o non ostacolato abbastanza) i primi massacri compiuti dagli azeri nel Nagorno Karabakh nel 1988 e 1989. Gli azeri, al contrario, non dimenticheranno mai il massacro di Baku, il “gennaio nero” del 1990, quando le forze regolare e le truppe speciali del KGB entrarono nella capitale azera per stroncare sul nascere il locale Fronte Popolare (indipendentista e anti-armeno), uccidendo da 130 a 170 persone, in gran parte civili, fra il 19 e il 20 gennaio. I lituani non dimenticano la “domenica di sangue”, culmine di tre giorni di intervento militare sovietico (11-13 gennaio 1991) contro la repubblica baltica, dopo la sua proclamazione di indipendenza. Mentre il mondo era distratto dalla Guerra del Golfo, che sta appena iniziando, i sovietici nella notte fra il sabato 12 e la domenica 13 gennaio 1991, tentarono di occupare la capitale lituana, a partire dalla conquista della sede della televisione. La folla inerme oppose resistenza, vi furono meno morti rispetto ai precedenti massacri (14 le vittime), ma fu comunque traumatico, il tutto ripreso quasi in diretta dai media locali e internazionali. Contemporaneamente, e per lo stesso motivo, i carri sovietici entravano anche a Riga, ma dopo dieci giorni di confronto fra manifestanti (protetti da numerose barricate in cemento) ed esercito, l’Armata si ritirò. Non prima di aver fatto altri 6 morti, fra cui due poliziotti lettoni.
Se nelle repubbliche ex sovietiche vedono in Gorbaciov l’ultimo dei dittatori occupanti, non meno repressivo dei suoi predecessori, anche i dissidenti russi tendono a considerarlo come uno storico bluff. Significativa la reazione di Kasparov, campione di scacchi e poi dissidente: al momento della morte dell’ultimo leader sovietico ha twittato “Come giovane campione del mondo sovietico e beneficiario della perestrojka e della glasnost, ho spinto ogni muro della repressione per testare i limiti improvvisamente mutevoli. Era un periodo di confusione e di opportunità. Il tentativo di Gorbaciov di creare un ‘socialismo dal volto umano’ fallì, e grazie a Dio”. Le pagine più drammatiche di denuncia, le scrisse un altro dissidente, Vladimir Bukovskij, nel suo Gli Archivi Segreti di Mosca: “Per quanto ci affannassimo a spiegare che il sistema sovietico non era una monarchia e che il segretario generale non era uno zar, chi in quel momento non avrebbe comunque augurato il successo al nuovo zar-riformatore? Delle centinaia di migliaia di politici, giornalisti e accademici, solo un minuscolo gruppetto conservò una sufficiente lucidità per non cedere alla seduzione, e un gruppo ancor più sparuto di esprimere apertamente i suoi dubbi”.
La repressione del dissenso interno non finì affatto con l’ascesa al potere di Gorbaciov. Come documenta Bukovskij, dai files presi negli archivi del Cremlino, ancora nel 1987, il KGB organizzava campagne per arrestare i dissidenti, far fallire le iniziative a favore dei diritti umani, impedire l’ingresso di intellettuali e attivisti stranieri. Il tutto era ordinato da Chebrikov, direttore dei servizi segreti, con il pieno appoggio di Gorbaciov. Nella sua monumentale opera Gulag, la storica Anne Applebaum, ci ricorda come gli ultimi campi di concentramento vennero chiusi nel 1992, l’anno dopo la fine dell’Urss. “Tipica di quel periodo è la vicenda di Bohdan Klimchak – scrive la Applebaum – un tecnico ucraino arrestato per aver tentato di lasciare l’Unione Sovietica. Nel 1978, temendo di essere arrestato con l’accusa di nazionalismo ucraino, aveva varcato la frontiera sovietica con l’Iran e chiesto asilo politico, ma gli iraniani lo avevano rimandato indietro. Nell’aprile 1990 era ancora detenuto nella prigione di Perm. Un gruppo di congressisti americani riuscì a fargli visita e scoprì che, in pratica, a Perm la situazione rimaneva immutata. I prigionieri si lamentavano ancora per il freddo che dovevano patire e venivano rinchiusi nelle celle di rigore per ‘reati’ come il rifiuto di allacciare l’ultimo bottone dell’uniforme”.
Tuttavia fu un altro prigioniero politico ucraino, Anatolij Marchenko, che determinò un primo grande cambiamento nel sistema concentrazionario sovietico. Per protesta contro le orribili condizioni degli internati nei campi, intraprese lo sciopero della fame e fu lasciato morire l’8 dicembre 1986. La vicenda fece scalpore anche all’estero e Gorbaciov si decise ad approvare un’amnistia generale. Non fu, appunto, la fine del sistema dei campi in quanto tale (che come abbiamo visto chiuse solo nel 1992), ma la fine del Gulag come metodo statale repressivo. Il Kgb accettò, sia secondo la Applebaum, che secondo voci dissidenti come quella di Bukovskij, perché l’amnistia ormai “costava” poco al regime. Non si doveva fare alcuna retromarcia ideologica: i prigionieri, graziati, dovevano comunque firmare delle dichiarazioni di pentimento. E giunti alla fine degli anni Ottanta, la dissidenza, ridotta allo stremo, non era considerata più un pericolo per il regime, come si legge dai documenti di allora.
I dissidenti sono, appunto, una minoranza. La maggioranza dei russi ha pessimi ricordi di Gorbaciov per le sue maldestre riforme economiche. “Mi trovai ben presto — ricorda l’allora ambasciatore Sergio Romano al Corriere — ad osservare criticamente gli avvenimenti. Rimproveravo a Mikhail Sergeevic (Gorbaciov, ndr) di non avere un vero programma economico. Va bene concedere più libertà: tutti erano giustamente contenti. Ma cosa fare del sistema di produzione collettivo? Lui parlò della creazione di una ‘industria sociale’: ma non spiegò mai in cosa consistesse”.
Gli anni di Gorbaciov furono anni di ristrettezze. E anche di proibizionismo dell’alcool, che aggiunse ulteriore disperazione ad uno scenario lugubre di suo, con code per il pane e razionamenti. Particolarmente catastrofica fu la “riforma monetaria” del 22 gennaio 1991. A sorpresa, nottetempo, per stroncare i proventi del lavoro nero e del contrabbando, vennero confiscate tutte le banconote da 50 e 100 rubli. La procedura di sequestro permise di ritirare dalla circolazione 14 miliardi di rubli in contanti, ma bruciò i risparmi di decine di milioni di sovietici, soprattutto quelli più benestanti. Nell’aprile successivo, nel tentativo di riallineare il prezzo di Stato a quello di mercato, tutti i prezzi triplicarono di colpo. Furono gli ultimi fuochi prima del collasso.
Alla fine, il cambiamento venne da quel che Gorbaciov non fece: non impose più la censura sulla storia e sulla letteratura, con la sua politica di Glasnost (trasparenza). Per i sovietici non russi fu il momento di parlare nella propria lingua nazionale. E di raccontare ancora la loro storia nazionale, compresi i capitoli più oscuri, come il patto del 23 agosto 1939 (declassificato solo nel 1989) con cui Stalin e Hitler si erano spartiti l’Europa orientale. I russi stessi poterono leggere gli orrori che avevano subito e di cui non avevano potuto raccontare nulla fino ad allora. Fu la verità, alla fine, che ebbe il sopravvento e determinò il crollo del sistema che Gorbaciov voleva riformare. Stefano Magni, qui.
Qui, in realtà, è completamente sbagliato il titolo: in patria, a differenza che qui, lo ricordano benissimo, per questo lo odiavano a morte e tuttora lo odiano. Un piccolo ricordo personale che può dare un’idea di quanto fosse artificiale l’economia: al cambio ufficiale un dollaro valeva mezzo rublo, al cambio nero, ossia quello reale, quello del valore reale del rublo, un dollaro ne valeva cinque.
Gorbachev: non un democratico ma l’ultimo dittatore sovietico
Non pose fine alla Guerra Fredda, la perse. Il suo programma non era la libertà dei popoli dell’Est, ma salvare il comunismo. Involontariamente ne dimostrò la irriformabilità
Premetto che ignorerò volutamente i coccodrilli della stampa italiana sulla vita e opere dell’ultimo segretario del PCUS, Michail Gorbachev, morto martedì sera all’età di 91 anni. Per non dire dei comunicati agiografici dei politici o della diplomazia internazionale, che ricordano il “padre della perestroika” secondo la vulgata preconfezionata che l’Occidente ha comprato, impacchettato e diffuso in questi decenni. Così come le celebrazioni dei vetero-comunisti che si rallegrano della dipartita del “becchino dell’URSS”.
Il paradosso di Gorbachev La vicenda politica di Gorbachev è prigioniera di un paradosso che ne stravolge completamente il senso storico: osannato da una parte come un cavaliere alato che libera l’Europa dal giogo comunista, disprezzato dall’altra come un traditore che consegna l’esperienza sovietica alle grinfie del nemico capitalista. Non è stato né l’uno né l’altro. Il settimo segretario andrebbe semplicemente ricordato, a modesto parere di chi scrive, come l’uomo che pensava di salvare il comunismo da se stesso, il meno impresentabile dei successori di Lenin, la cui eredità affermava esplicitamente di voler recuperare, non un democratico ma l’ultimo dei dittatori. E, soprattutto, il grande sconfitto della Guerra Fredda.
Un caso di eterogenesi dei fini Più che aggettivi, conviene utilizzare due avverbi per descriverne personalità e azione: involontariamente e inconsapevolmente. Un eroe o un villano suo malgrado, uno statista che – spostando alcuni mattoncini di un kafkiano castello di sabbia [? Fatto di sabbia o fatto di mattoni? Quello di Kafka, in ogni caso, è fatto di solidissima pietra] – se l’è visto cadere addosso [la sabbia o i mattoni?], la rappresentazione plastica del concetto di eterogenesi dei fini. Il programma di Gorbachev non era affatto la libertà per i popoli del socialismo reale, che se la sono presa da soli quando hanno visto che il re era nudo, né tantomeno per le genti del moloch sovietico, ma piuttosto salvare a tutti i costi l’URSS e il comunismo da una morte certa. Nel suo tentativo di cambiare tutto affinché nulla cambiasse, non si intravede la lungimiranza di chi riconosce i risultati disastrosi di un esperimento sbagliato ma l’ostinazione conservatrice di salvare la decrepita carcassa del marxismo-leninismo, adattandola a una realtà immaginaria che sarebbe stata spazzata via al primo contatto con quella tangibile. Con la perestroika e la glasnost, due concetti che hanno assunto vita propria nel corso degli anni, Gorbachev ha involontariamente attivato il meccanismo di demolizione controllata del comunismo in Europa Orientale e inconsapevolmente provocato la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Un fallimento politico dall’esito felice per chiunque consideri il totalitarismo come il male assoluto.
Interlocutore affidabile Non è mia intenzione ripercorrere qui le tappe del mandato gorbacheviano, soprattutto in politica estera. Sulla sua biografia troverete in questi giorni decine di articoli, quasi tutti uguali. Sarebbe assurdo peraltro negare una certa soluzione di continuità rispetto ai suoi predecessori nella gestione delle dinamiche più critiche della Guerra Fredda, a partire dagli accordi sulla riduzione delle testate nucleari firmati con il presidente Reagan. Gorbachev lesse correttamente lo spirito del tempo e l’opportunità di una distensione effettiva con l’Occidente democratico e capitalista. Al di là della retorica della “casa comune europea”, un concetto da pubbliche relazioni purtroppo carente di significato politico concreto, va riconosciuto all’ultimo segretario del PCUS il tentativo di proporsi come un interlocutore affidabile, dopo decenni di conflitto ideologico tra due schieramenti ideologicamente contrapposti. Ma l’insanabile contraddizione di questa prospettiva, che la maggior parte delle analisi pre e post-mortem tende sospettosamente a tacere, è che non si trattava in nessun caso di un confronto tra blocchi equiparabili: da una parte si trovava un sistema imperfetto ma generalmente rispettoso della dignità umana, dall’altra uno che ambiva alla perfezione dell’uomo nuovo facendo scempio da decenni delle più elementari norme di civiltà e diritto.
Una contraddizione insanabile Gorbachev cercò probabilmente di colmare almeno in parte questo gap, che ancora oggi risulta decisivo nell’ambito delle relazioni internazionali, nonostante il parere contrario del fondamentalismo realista. Ma rimase a metà del guado, volendo salvare l’insalvabile ed esponendosi così alle critiche sia della nomenklatura, che vedeva traballare i suoi privilegi, sia dei veri riformatori che gli imputavano l’eccessiva lentezza delle sbandierate riforme economiche e politiche. Da qui discende il secondo insuperabile paradosso della sua traiettoria: l’azione del grande riformatore sarà ricordata per aver dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio l’irriformabilità del comunismo.
La continuità Scrive Michel Heller nella sua biografia politica di Gorbachev che “la storia dei sette segretari (del PCUS) indica che la loro preoccupazione essenziale era la conquista del potere” e che avevano sempre giustificato la “volontà di potere” con la “necessità di disporre di uno strumento che permettesse la realizzazione di riforme”. È chiaro che non si tratta di comparare la tragedia della collettivizzazione staliniana con la perestroika ma di comprendere la linea di continuità che unisce il primo dittatore totalitario della storia europea (Lenin) con l’ultimo dittatore riformista dell’Unione Sovietica. Una continuità, vale la pena ribadirlo, rivendicata a più riprese dallo stesso Gorbachev. “Assistiamo”, continua Heller, “all’elaborazione di una struttura finita: il potere è necessario per la realizzazione delle riforme, le riforme sono indispensabili per la realizzazione del potere”. Il sistema sovietico si è perpetuato per 74 anni attraverso questo meccanismo endogeno, una sorta di rivoluzione permanente chiusa su se stessa, strumentale al consolidamento di un potere assoluto che nessuno avrebbe dovuto sfidare. Gorbachev, l’ultimo dei dittatori sovietici, non fa eccezione. Il cadavere agonizzante dell’URSS andava tenuto in vita a tutti i costi, e con esso il gorbachevismo. Anche con le cattive, se necessario. Come a Riga e a Vilnius, nel gennaio 1991, a Tbilisi, due anni prima, a Baku, nel 1990, ad Almaty, nel 1986. Se non ne avevate sentito parlare, non sorprendetevi, non rientrano nella narrazione mainstream sul campione di democrazia, sul Nobel per la Pace e sull’artefice della fine della Guerra Fredda. Così come non vi rientra l’appoggio convinto che un Gorbachev già senile diede all’annessione della Crimea nel 2014, supporto che gli è valso il divieto di ingresso da parte delle autorità ucraine [sarebbe più corretto ricordare che la Crimea, storicamente russa e popolata da russofoni da sempre, era stata proditoriamente regalata all’Ucraina da Krusciov sessant’anni prima. Quello del 2014, seguito a regolare referendum, è stato un puro e semplice atto di giustizia]. D’altra parte gli ucraini avevano già sperimentato di prima mano gli effetti della glasnost del segretario generale, quando sull’incidente nucleare di Chernobyl era calato per giorni il silenzio tombale del Politburo, con tanto di sfilate del primo maggio nelle zone contaminate dalle radiazioni.
L’errore decisivo Quando vede che il Paese gli sta sfuggendo di mano, incalzato dai liberali che premono per l’instaurazione di un’economia di mercato senza palliativi, Gorbachev compie l’errore decisivo del suo mandato. I politologi l’hanno curiosamente chiamata “svolta a destra”, in realtà è un riavvicinamento alla sinistra comunista più ortodossa: negli stessi giorni in cui invia le truppe a reprimere l’indipendentismo dei Paesi Baltici, nomina uno dopo l’altro ai posti di comando gli oltranzisti che pochi mesi dopo tenteranno di esautorarlo nel golpe di agosto. La vecchia guardia torna di fatto al potere, con Pugo agli Interni, Kravchenko alla guida della televisione di Stato, Janaev alla vicepresidenza. Sarà Boris Eltsin, da un mese presidente eletto della Russia, a salvarlo dall’arresto in Crimea e a riportarlo al Cremlino ormai delegittimato dai costanti tentennamenti, fughe in avanti e penose retromarce.
La fine Mentre le repubbliche sovietiche si preparano a dichiarare la loro autonomia da Mosca, il 23 agosto Gorbachev si presenta davanti al Soviet Supremo russo in un atto di gratitudine e contrizione allo stesso tempo. Non ha capito però che il suo tempo è finito, e con lui quello dell’URSS. Eltsin interrompe il suo discorso chiedendogli di leggere i nomi dei golpisti, uno ad uno, per poi costringerlo di fatto ad accettare la sospensione delle attività del Partito Comunista russo. È una scena drammatica per un leader ormai superato dagli eventi, trasmessa in mondovisione. Da quel momento è un susseguirsi di reazioni a catena, fino alla firma del trattato di Belavezha che a dicembre decreta la fine ingloriosa del primo Stato comunista della storia. Il resto è cronaca. I primi anni di Eltsin, unica vera parentesi democratica nella millenaria tragedia russa [beh, ecco, sulla “vera democrazia” dell’alcolizzato costantemente ubriaco Eltsin io stenderei un grosso grosso grosso velo pietoso], la crisi economica e sociale degli anni della transizione [la crisi economica, giusto per polemizzare appena appena un pelino, è iniziata immediatamente dopo la gloriosa Rivoluzione d’Ottobre, e anche se è vero che anche in questo campo Gorbaciov è riuscito a combinare disastri, non sono molto sicura che la situazione fosse peggiore di quella al tempo della collettivizzazione forzata e della grande carestia fabbricata a tavolino da Stalin], il passaggio di consegne ad un ex funzionario del KGB [beh, no, non è esattamente così che stanno le cose: quando nel 1999 Eltsin lo ha nominato primo ministro, Putin non era solo un ex colonnello del KGB ma anche un politico che da tre anni lavorava nell’amministrazione Eltsin; poi dopo le dimissioni di Eltsin è stato eletto presidente della repubblica: nessun “passaggio di consegne”, dunque, bensì un semplice, normale avvicendamento secondo le regole della democrazia. Sminuire le persone antipatiche tagliandone le competenze non è mai una buona politica, come stiamo vedendo anche in Italia] per cui il crollo di quell’immensa prigione di genti chiamata Unione Sovietica rappresenta ancora oggi “la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”[quell’immensa prigione di genti (e di che altro dovrebbe essere una prigione?) era anche uno stato potente, temuto e rispettato: attribuire il rimpianto alla prigione anziché alla potenza io lo chiamerei malafede preconcetta, oltre a un mai nascosto odio personale contro Putin]. Per capire la Russia putiniana, che molti si accontentano di definire semplicemente fascista, non si può non partire dal treno di Lenin finanziato dai tedeschi [io credo che per capire la Russia putiniana sarebbe meglio partire dall’impero zarista, e magari leggere qui] e da lì ripercorrere le tappe della sua successione al vertice del Cremlino, dalla prima all’ultima. RIP, Mr. Gorbachev. Enzo Reale, qui con tutti i link, che non mi è stato possibile riprodurre, in particolare quelli relativi alle feroci repressioni delle rivolte delle repubbliche baltiche, Georgia ecc..
Certo che se quest’uomo riuscisse a scrivere i suoi articoli in maniera un po’ meno prolissa sarebbe un gran bene per tutti – oltre a varie pecche qua e là che non ho potuto non segnalare, per non parlare di quella chiusa appiccicata con lo sputo. Restano comunque valide le informazioni. Io le violente repressioni degli stati baltici e di tutti gli altri che hanno provato a sollevarsi le ricordo bene, ma da quello che si legge in giro sono in parecchi ad averle dimenticate, o mai conosciuto perché troppo giovani. Aggiungo ancora un piccolo ricordo personale: nel corso di una visita a un museo, noto che ha una pessima illuminazione, che penalizza i quadri, e la guida, immediatamente: “Era così già al tempo degli zar”. Cioè, voi in sessant’anni di potere non siete stati capaci di cambiare due lampadine, ma la colpa è degli zar.
Da quando è iniziata la guerra russa (giusto chiarire, perché la guerra ucraina è iniziata otto anni e mezzo fa, nel silenzio quasi generale del mondo), sentiamo parlare di Aleksandr Dugin come dell’ideologo di Putin: ecco, se qualcuno si immagina che Putin possa avere un ideologo che gli suggerisca cosa e come fare e soprattutto lo suggestioni con le proprie idee, non ha capito un cazzo di Putin, né di nessun’altra cosa al mondo. E passo ad alcuni articoli che rappresentano piuttosto bene il mio pensiero.
L’assassinio, probabilmente, da parte dei servizi segreti ucraini della giovane giornalista figlia del filosofo russo Aleksandr Dugin segna per sempre una macchia indelebile sul conflitto ucraino, questo orribile delitto ci obbliga ad una profonda riflessione. Questo vero e proprio atto di terrorismo ci ripropone fatti di cronaca vissuti nel periodo fascista e nazista dove i sicari del governo venivano incaricati di eliminare personaggi scomodi anche se residenti all’estero. Il clima antirusso scatenato da tutti i governanti europei, fatta eccezioni degli ungheresi e da pochi altri, sta alimentando questo terribile clima razzista. La popolazione russa residente fuori dai propri confini sta subendo forti discriminazioni, sono stati congelati conti correnti, sequestrati beni, case, navi, si è impedito di viaggiare bloccando visti, sono avvenute espulsioni a pacifici e innocui turisti e viaggiatori. Il governo italiano è responsabile di aver contribuito con queste nuove “leggi razziali” alla vergogna, al clima di odio, che ci riporta indietro nel tempo a rivivere incredibili momenti bui, che violano la carta costituzionale fondamento dei principi repubblicani. I rifugiati ucraini in Italia sono circa 100 mila, è urgentissimo scoprire se fra di loro ci siano infiltrati dei servizi segreti del loro paese che potrebbero compiere crimini, dobbiamo assolutamente proteggere i cittadini russi che vivono in Italia. Mi dissocio totalmente dal governo italiano per aver creato queste vergognose leggi e rinnovo la mia grande amicizia e fratellanza al popolo russo, per le sue tradizioni, per la sua cultura, per le opere d’arte che i suoi grandi artisti hanno donato all’intera umanità. Vigliacchi! Ignobili! Governanti. Vergogna! Vergogna! Vergogna! Il popolo italiano si è sempre distinto per la solidarietà, l’accoglienza, per la fratellanza e fraternità fra i popoli, questi politici non ci rappresentano, cacciamoli via, chi voterà i vecchi partiti sarà responsabile di questo razzismo strisciante, non potrà più essere denominato “un italiano” ma un servo della macchina diabolica della guerra che semina paura, sdogana comportamenti di rancore che poi viene trasmesso alle nuove generazioni. Non un solo politico italiano questa mattina ha espresso cordoglio e ha condannato questo grave atto criminale, viscidi luridi burocrati italiani non siete degni di occupare i banchi del parlamento dove erano seduti i padri fondatori della nostra Repubblica.
“Fintanto che ciascun uomo non sarà diventato veramente fratello del suo prossimo, la fratellanza non avrà inizio. Nessuna scienza e nessun interesse comune potrà indurre gli uomini a dividere equamente proprietà e diritti. Qualunque cosa sarà sempre troppo poco per ognuno e tutti si lamenteranno, si invidieranno e si ammazzeranno l’un l’altro.” (Fëdor Dostoevskij)
“I russi hanno l’ennesima conferma che non hanno scelta, devono vincere e annientare l’élite occidentale. Altrimenti saranno a loro volta annientati. Leggo di possibili rappresaglie russe al terribile attentato terroristico avvenuto ieri a Mosca nel quale ha perso la vita la figlia di Alexandr Dugin che (erroneamente) viene definito “l’ideologo di Putin”. Non ci sarà nessuna rappresaglia da parte russa, ci sarà solo l’aumento delle misure di sicurezza su tutta l’élite russa sia politica che militare che intellettuale e ovviamente sui loro familiari. Questo ovviamente non significa che non cambierà nulla: i russi hanno l’ennesima conferma che non hanno scelta, devono vincere e annientare l’élite occidentale. Altrimenti saranno a loro volta annientati. E allora cosa faranno? Continueranno a fare quello che stanno facendo, una lentissima guerra di conquista del Donbass palmo a palmo. Continueranno a piccarsi di rispettare i contratti per le forniture del gas sin nel minimo dettaglio e quindi il 30 Agosto staccheranno l’ultima turbina che alimenta il gasdotto NorthStream1 e faranno la loro manutenzione: se troveranno anche la più piccola imperfezione (come da protocollo Siemens) non riattaccheranno la turbina e la Germania rimarrà del tutto senza gas. Poi attenderanno che i gasdotti passanti per l’Ucraina siano spillati dagli ucraini che hanno la necessità di riscaldarsi; a quel punto denunceranno “i furti di gas” e chiuderanno anche questi gasdotti (che alimentano anche l’Italia). Il gas, già a prezzi impossibili, a quel punto schizzerà ancora di più alle stelle facendo collassare il nostro sistema produttivo. A cosa serve ai russi bombardare il distretto delle ceramiche di Sassuolo, dell’acciaio di Brescia, l’acciaieria di Taranto e via discorrendo…se sono tutti siti produttivi già ampiamente fuori mercato e al limite della chiusura? A niente…sono già siti dismessi, come si sta dismettendo tutto il nostro tessuto produttivo, basta vedere le migliaia di bollette che dall’esercente del bar al piccolo industriale stanno postando sui social. I russi per questo vile attentato di stampo mafio-nato saranno ancora più risoluti a lasciare che il loro più grande alleato – il Generale Inverno – faccia la sua parte.”
In Ucraina esiste un sito governativo nel quale sono schedati i “nemici della nazione”, personalità di tutto il mondo -militanti, giornalisti, politici, artisti- che hanno osato mettere in discussione l’operato del governo ucraino, da Maidan in poi. ANDREA ROCCHELLI, reporter italiano, era su Myrotvorets. DARJA DUGIN, filosofa e giornalista, era su Myrotvorets. GIORGIO BIANCHI, giornalista italiano, è su Myrotvorets. 《LIQUIDATI》, è la dicitura apparsa sul sito quando Andrea Rocchelli e Darja Dugin sono stati ammazzati. Il governo di un Paese europeo che riceve finanziamenti e considerazione dalla UE addita cittadini italiani come personalità da colpire e quando vengono uccisi li “liquida” come problema risolto e i governi italiano e della UE tacciono? Nella lista nomi, cognomi e dettagli personali di professionisti che non si sono macchiati di alcun reato, dalle vite irreprensibili, esposti al rischio di essere ammazzati per istigazione dei nazionalisti ucraini.
E mettiamoci anche il papa.
Ucraina – Pochi dicono la verità (e anche il Papa viene censurato)
Papa Francesco ha definito la morte della figlia Daria del “filosofo eurasiatico” Alexander Dugin “un esempio della follia della guerra”, riferisce RIA Novosti . Il Papa ha chiesto misure concrete per porre fine al conflitto e scongiurare la minaccia di una catastrofe nucleare a Zaporozhye. “Conservo nel mio cuore i prigionieri, soprattutto quelli che si trovano in condizioni difficili, e chiedo alle autorità responsabili di adoperarsi per la loro liberazione”, ha aggiunto Francesco. L’ambasciatore ucraino in Vaticano Andriy Yurash ha espresso il suo disappunto per i commenti di papa Francesco sulla morte di Daria Dugina. “Penso alla povera ragazza che è stata fatta saltare in aria da una bomba sotto un sedile di un’auto a Mosca. Gli innocenti pagano per la guerra. E quelli che fanno soldi con la guerra e con il commercio di armi sono criminali”, ha detto il Papa durante l’udienza. Questo è un esempio plastico di come ormai oggi l’Ucraina possa dare giudizi su ogni cosa e verso chiunque. La sua versione dei fatti sarà avvallata anche quando palesemente falsa e giustifica il puro banditismo. Infatti, il Papa dicendo che Daria Dugina è una innocente che ha pagato ingiustamente, ha detto la sacrosanta verità. Mentre la reazione dell’ambasciatore ucraino dimostra una connivenza, almeno morale, con il crimine. È chiaro che non si tratta solo di Daria Dugina. Possiamo notare che nell’intero corso della guerra, qualsiasi azione della parte ucraina è giustificata, anche se lontana dagli ‘standard occidentali’. È altrettanto chiaro che finché sarà SOLO il Papa a dire la verità sulla guerra in corso (seppure in maniera saltuaria ma non per questo meno incisiva), non cambierà granché nella deriva in corso che non è solo dal lato militare ma anche antropologico e spirituale. Sarebbe interessante sapere:
Cosa pensano i giornalisti occidentali dell’uso mirato delle loro armi contro i civili, come i colpi di Himars su obiettivi non militari o la disseminazione di mine antiuomo nelle città di Donetsk in Donbass e Belgorod in Russia??
Perché le organizzazioni occidentali per i diritti umani tacciono e non se ne accorgono?
Perché si giustificano azioni ingiustificabili e sanzionate dalle leggi internazionali?
È come se la leadership ucraina conoscesse solo la storia del 24 febbraio, quella dell’invasione. Mentre nel silenzio colpevole dell’occidente, finge di non sapere che nelle guerre ci sono regole anche per la parte aggredita, regole che Kiev calpesta abbondantemente (vedi ad esempio qui). In altri termini, il fatto che l’ONU abbia riconosciuto che l’Ucraina è stata aggredita dalla Russia, non solleva affatto Kiev dai suoi obblighi militari ed umanitari. Il riconoscimento internazionale non cancella le proprie responsabilità odierne e passate, che sono tante e gravissime. Questo il Papa ha detto ed il frastuono della risposta dell’ambasciatore ucraino alla Santa Sede, non trasformerà una menzogna in verità. Patrizio Ricci, VPNews, qui.
E ora guardiamo e ascoltiamo lei in persona. Eccola
(E non parlerò di quelli che “lei comunque la pensava come suo padre” per cui bisogna festeggiare il fatto che l’abbiano fatta fuori, perché mi viene troppo da vomitare) Nel frattempo le armi americane continuano a distruggere e uccidere
e Liz Truss, probabile futuro primo ministro inglese, si dichiara pronta a usare le armi nucleari:
chissà se le hanno detto che di quei giocattolini Putin ne ha 37,7 volte più di lei e che la Russia è grande 81,68 volte l’Inghilterra, vale a dire che ha uno svantaggio di 3079,336 volte. Brutta cosa non saper fare i conti e in più essere una testa di cazzo. E restando in tema di confronti
Per non parlare di quello che c’è adesso. E un’altra cosa interessante da guardare:
Stavolta comincio con questo imperativo categorico
Proseguo con una considerazione che per me – ma fortunatamente non solo per me – è sempre stata chiara come il sole, ma per qualche bizzarra ragione che non riesco a comprendere c’è ancora un sacco di gente, anche se sempre meno, che non solo non se ne rende conto, ma la vede addirittura al contrario, al punto da non capacitarsi che uno di Casa Pound vada a combattere per l’Ucraina.
Leggiamo schematicamente la situazione mediorientale inserendola nel più vasto contesto della Geopolitica globale. Mutatis mutandis, l’equazione è questa: l’Ucraina ha fatto ai russi per molti anni quello che i palestinesi hanno fatto ad Israele, e la Russia ha risposto colpendo l’Ucraina e liberandola dai covi dei terroristi neonazisti esattamente come Israele ha sempre fatto colpendo a Gaza e negli altri territori palestinesi i covi dei terroristi jihadisti. I media conducono a loro volta da molti anni una propaganda molto rigida in cui gli attacchi palestinesi ed ucraini vengono taciuti, mentre la risposta israeliana e russa è sempre descritta come attacco guerrafondaio imperialista immotivato e sproporzionato, alimentando deliberatamente in questo modo odio anti ebraico e antirusso. Continuando nell’equazione, come i pupari dei terroristi palestinesi sono gli iraniani, così i pupari che conducono la guerra per procura dei neonazi ucraini contro la Russia sono gli americani, quindi USA e Iran si configurano entrambi come stati canaglia esattamente sullo stesso piano sotto il profilo della loro spregiudicata politica internazionale, gli uni ispirati da Maometto, gli altri da breshinskij. Non è Infatti corretto risalire ancora più su dall’iran ai suoi alleati Russia e Cina, perché queste potenze vendono sì armamenti e tecnologie agli Ayatollah in cambio di petrolio e accesso all’oceano Indiano ma non hanno alcuna voce in capitolo sulla jihad: mai e poi mai una teocrazia si lascerebbe dettare la conduzione della jihad da degli stranieri infedeli. Cercate di capire questo schema e la realtà si rivelerà chiaramente sotto ai vostri occhi.
E tanto sono immersi, i moralmente superiori, nelle loro leggende, da insorgere indignati quando Amnesty International riesce finalmente a vedere quello che in tanti stiamo documentando e denunciando da cinque mesi, sulla base delle testimonianze delle vittime (quelle sopravvissute) e di inconfutabili prove. Mi chiedo solo come mai non abbiano ancora cominciato a erudirci su come gli ebrei gassavano i poveri nazisti. E ora una bella cronistoria del conflitto.
Da Francesco Fares: RUSSIA UCRAINA USA NATO ITALIA
– Bidon, appena eletto dà dell’assassino a Putin, in seguito aggiunge che è un “criminale”. Lo fa per inasprire i rapporti tra Usa (Nato) e Federazione Russa. –
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Pochi giorni dopo la notte tra il 24 e il 25 febbraio, le voci che girano sul mainstream sono che la Russia (per l’occidente un grande paese ma morto di fame) avrebbe perso la guerra in pochi giorni per mancanza di armi e sostentamento ai militari. Passati quei pochi giorni il mainstream segue con le notizie sulla salute di Putin, si dice sia gravemente malato di ogni patologia possibile e immaginabile, addirittura un feroce cancro gli ha già eroso il braccio destro ragione per cui camminando lo muove in maniera impercettibile. Gli USA (Nato) e l’Europa, affinché l’ucraina vinca prima e possa continuare l’eliminazione dei russofoni del Donbass, iniziano ad “aiutare” l’ucraina con armi e denaro a strafottere. Draghi Mario afferma che Putin è un criminale mentre Di Maio Giggino dice che Putin è un animale “atroce”. Si allargano le sanzioni contro la Russia, anche di metalli nobili e utili. La guerra va avanti e il mondo (maggiormente l’Europa) incomincia ad accorgersi che la Russia è il più grande produttore di gas e uno dei più grandi di petrolio. Gli ucraini invadono l’Europa quali profughi di guerra, hotel, ristoranti ed ogni ben di Dio a loro viene dato, anche soldi. La polonia, dimenticando il passato, “accoglie” qualche milione di ucraini, ma sottoscrive un accordo con zelesko di piena libertà d’agire in ucraina. Facendo le pulci a zelesko si scopre che il priso-dente ucraino ha su oscuri conti offshore grosse cifre, probabili “regalie” o commissioni per la vendita a tre imprese americane di 17 milioni di ettari di terre fertili ucraine. In ucraina, malgrado la fame, nessuno protesta. Putin sta sempre più male, ormai è agli sgoccioli, quindi Usa (Nato) e Europa (Italia draghiana in primis) forniscono sempre più armi e denaro all’ucraina. Prima si risolve e meglio è. La Federazione Russa pretende il pagamento in rubli per gas, petrolio ed ogni altra esportazione, Draghi, appellandosi ad un fantomatico articolo del codice, disapprova questa decisione accusando Mosca di “scorrettezza” commerciale. Mosca ancora il rublo all’oro che diventa l’unica moneta al mondo garantita e non emessa sulla parola. La Russia di fronte alla débâcle annunziata dal mainstream rilascia centinaia di migliaia di passaporti ai russofoni scampati allo sterminio ucraino. Per ragioni tuttora sconosciute la Russia resiste alla potenza ucrainomericanaeuropeoitaliana, quindi continua a combattere. Inspiegabilmente gli Azov, alle dirette dipendenze del priso-dente zelesko, manifestano le prime difficoltà. Qualcosa non sta andando come avrebbe dovuto. Le cronache danno Putin sempre peggio, ormai, se pur di pelle dura e combattivo, l’orso sta crollando, avrà si e no pochi giorni di vita. Bidon (in accordo con il biondino britico Gionson) realizza che è questo il momento di fornire l’ucraina di armi sofisticate. La crisi europea e mondiale si manifesta in tutta la sua tragicità, il mercato delle energie va alle stelle, molte aziende chiudono, milioni di famiglie non possono pagare le bollette decuplicate. Gli unici paesi al mondo che non soffrono della crisi (al massimo leggeri aumenti) sono gli amici e vicini di casa della Russia, dove gli aumenti registrati ad inizio crisi vengono seguiti da un calo quotazioni, la popolazione pur stando perdendo la guerra può vivere serena e tranquilla. Gas, elettricità e riscaldamento quasi gratis, la benzina a 40 rubli [63 centesimi di euro] La guerra continua e la Russia, invece di perdere immediatamente e deporre le armi, guadagna terreno e libera la quasi totalità del Donbass, qualcosa non ha funzionato. Gli Azov commettono stragi di concittadini ucraini per accusare i russi, ma saltano dei video che mostrano inequivocabilmente la messa in scena. Gli Azov, per proteggere centinaia di semplici cittadini ucraini “occupano” il maxi bunker anti atomico sotto la acciaieria Azovstal. Ramzan Kadyrov e gli Specnaz non riescono a convincere gli Azov (e loro cittadini ospiti) ad uscire dal bunker, a questo punto, visto che secondo i media mondiali avevano l’alito del nemico sulle spalle e la guerra era ormai persa, giocano il tutto per tutto ideando di attaccare il bunker bloccandone le condotte di ricambio dell’aria. Il sempre più morente Putin, con grande rammarico di Kadyrov e degli Specnaz, ordina che a nessuno degli occupanti del bunker venga torto un capello, devono essere liberati tutti vivi ed i feriti curati e assistiti. Putin si aggrava sempre di più. I Ceceni e gli Specnaz liberano gli occupanti del bunker e trasferiscono tutti presso residenze assistite e vigilate. Zelesko vuole vendere il grano ma i suoi militari hanno minato gran parte delle coste del mar Nero. Putin versa in condizioni sempre più gravi, ma miracolosamente è ancora in vita. Bidon non capisce cosa stia succedendo e decide di rivolgersi agli spiriti invisibili salutandoli e stringendone le mani. Il mainstream annuncia che Kiril ha pregato per Putin e affidato la sua anima a Dio, ma il Presidente resiste e non cede a sorella morte. Svezia e Finlandia intendono entrare nella Nato, forse la serenità finora vissuta non sta loro più bene. La crisi delle energie diventa sempre più grave, Draghi e Giggino a bordo di un Falcon 900EX vanno a mendicare in giro per il mondo (anche in Mozambico) qualche bomboletta di gas. Putin non muore e Bidon è molto incazzato con gli spiriti che non lo hanno aiutato. Bidon è tanto adirato che in segno di protesta lancia una fragorosa flatulenza in presenza di Carlo di Inghilterra e sua consorte. La guerra va avanti e la Russia misteriosamente non cede all’armatissima ucraina, anzi, la respinge al punto che molti soldati ucraini si arrendono. Cosa stia succedendo è un mistero. Per il mainstream Putin (forse) si salverà, ma resta un criminale di guerra. La crisi del gas raggiunge livelli estremi, paesi come l’Italia e la Germania rischiano il salto totale, ma non mollano, la Russia è il diavolo e va combattuta, come non è chiaro. Aumentano le sanzioni contro la Russia e in Federazione succede nulla, la gente vive serenamente come se nulla fosse, il mondo si rende conto che l’ucraina ha svuotato gli arsenali e necessita di nuove armi, ma le stesse non possono essere prodotte perché per farlo sono necessari titanio e antimonio ed altri metalli che una volta importavano dalla Russia, cosa oggi impossibile perché tipologie di merci soggette a sanzioni. Né tantomeno la Russia intende esportare tali prodotti. Insomma impossibile fabbricare armi e munizioni. Putin guarisce a vista d’occhio Il mondo è allo stremo in Uk inflazione al 13%, in Usa quasi uguale anche se certi generi sono aumentati anche del 300%, in Europa la situazione è rovente, Italia e Germania a settembre rischiano qualcosa peggio della recessione. Iniziano a saltare le prime teste, il primo è Gionson il biondino, seguito da Draghi. Ma di Draghi si sospetta una messa in scena. Ormai l’ucraina e zelesko sono una palla al piede se ne sono resi conto tutti, ma nessuno sa come liberarsene. Bidon è assillato dalle tre multinazionali che hanno acquistato i terreni in ucraina, non vogliono perderli. Putin ormai pare ristabilito del tutto, in più ha ripreso a viaggiare. Bidon pare abbia il Covid ancora una volta e sono giorni che non lo si vede. Trump attende le elezioni di medio termine a novembre e, nell’attesa, scalpita e affila le armi. Venderà cara la pelle. La Russia tra poco avrà occupato tutta l’ucraina, nel frattempo si è scoperto che ha arsenali pieni tanto da poter fare 50 anni di guerra. Malgrado le sanzioni il rublo si apprezza sulla piazza mondiale. In Italia la gente non ha la possibilità di pagare le bollette di gas e corrente, ma coloro che anelano ad andare al governo giurano piena fedeltà alla Nato e all’ucraina e guerra alla Russia. O non hanno capito una mazza oppure si tratta di agenti di potenze straniere.
L’ottimo estensore di questo brillante resoconto ha dimenticato solo un dettaglio: mentre era in coma quasi profondo sull’orlo dell’irreversibilità, praticamente con un piede nella fossa, con un tumore al cervello, un tumore al pancreas, la leucemia, sei mesi di vita, no cinque settimane di vita, no quattro giorni di vita, sembra che Putin abbia messo incinta la sua amante per la quinta volta e, hanno detto quelli che sanno tutto, voleva obbligarla ad abortire (se cercate trovate anche le parole esatte che le ha detto: le hanno sentite con le loro orecchie).
Nel frattempo in Ucraina, non avendo niente di meglio da fare in questo momento, si raccolgono le firme per la legalizzazione del porno, giusto per non rischiare di annoiarsi troppo tra il bombardamento di un ospedale e quello di una centrale nucleare, e mentre bombardano la centrale nucleare, come al solito (ed esattamente come i palestinesi) affermano che a bombardare sarebbe la Russia, che ha il controllo dell’area, cioè bombarderebbe la roba propria, e mezzo mondo, così come per le più strampalate dichiarazioni palestinesi, gli crede ciecamente, e gli Stati Uniti chiedono alla Russia di restituire la zona all’Ucraina, in modo che possano bombardarsela meglio. C’è da dire, tuttavia, che se da quelle parti se la passano male, non se la passano troppo bene neanche a Roma, come ci spiega una ben informata signora:
Orribile quanto accade in questa assurda guerra!. Ma sappiate che gli amici di Putin e dei turchi, qui a Roma usano un sistema di “torture di scosse” contro varie persone tra cui la sottoscritta. Ho misurato oltre i 259 mT per strada, con cui colpiscono i maledetti e le maledette e sono a volte come spilli dolorosissimi con cui mi hanno colpito anche alla testa. Io sono stata per così dire *agganciata’ perché “colpita” nei punti dove avevo avuto fratture, lastre sparite in svaligiamenti! Non sono una terrorista o altro, ma ho avuto la sventura di sposarmi con un bigamo con un figlio mezzo turco, oggi politico a Ravenna credo implicato a qualche titolo in questa guerra e nel tentativo di un rivolgimento cattolico ortodosso sulla scia di una vagheggiata Internazionale comunista Queste saette provocano tumori .
Quindi chi stesse programmando di recarsi a Roma, farà meglio a cambiare programma, non sia mai che vi becchiate anche voi gli spilli in testa o sulle fratture e poi non potete più venirmi a leggere. E a questo punto l’unica cosa adeguata è un Requiem
(Ma faranno poco senso quei due stecchini di gambe? Mamma mia che roba)
Finalmente gli audio esclusivi di Biden, Kerry e Poroshenko: una linea diretta criminale tra Kiev e Washington
Visto che nessuno si aspettava che Hillary Clinton perdesse le elezioni presidenziali del 2016, nessuno si era mai premurato di mettere a posto gli affarucci sporchi che erano al momento del voto in essere tra il Vice Presidente USA Joe Biden e l’Ucraina di Poroshenko, quando Barack Obama, ormai al suo secondo mandato, lasciò il posto alla Casa Bianca e cedette il potere a Donald Trump. Oggi, dopo anni, quei legami mal(celati) e bollati come complottismo o propaganda russa da quattro soldi dai democratici, dai globalisti e da tutti i media della comunità internazionale, tornano prepotentemente protagonisti con ore di registrazioni audio di telefonate intercorse tra Biden e l’allora presidente ucraino Poroshenko, quello stesso presidente messo in carica proprio all’indomani della rivoluzione colorata del 2014 dal peggiore deep state americano. Gli audio incriminati sono stati messi in onda dal canale Tv americano OAN in uno special in due puntate, e mostrano inequivocabilmente la lunga ed intricata storiache legava l’Ucraina alla famiglia Biden. OAN dedica il primo dei due episodi al legame di corruzione esistente tra l’ex Vice Presidente Joe Biden, John Kerry e le istituzioni ucraine, esponendo con audio, documenti e video la quantità folli di denaro dei contribuenti americani che lasciavano gli Stati Uniti per essere trasferite sui conti (e nella villa) di Poroshenko & Co. Nessuno poteva o doveva opporsi a questo tipo di schema. Chi lo faceva, doveva essere immediatamente allontanato e rimpiazzato con un pari grado compiacente. Quando ad esempio un pubblico ministero, tale Shokin, volle far luce su Burisma e sul fatto che la compagnia pagava Hunter Biden migliaia di dollari al mese per non far assolutamente niente se non esserne il presidente, John Kerry su mandato di Joe Biden pagò Poroshenko 1 miliardo di dollari per ottenere un cambio di magistrato che si mostrasse compiacente nei confronti dell’establishment statunitense, del figlio e dei suoi amici, e ripristinasse lo status quo pre-Shokin. Poroshenko dichiarò di essere consapevole che Shokin aveva solo fatto il suo dovere e che non aveva commesso alcun reato, tuttavia, confermò di voler onorare l’accordo e proseguì con lo schema. I soldi che vennero girati a Poroshenko non erano ovviamente il frutto di un sudato lavoro di diplomazia volto ad aiutare la propria patria a crescere e prosperare, ma come disse Rudy Giuliani: “(…)Poroshenko era milionario. Voleva divenire miliardario. Ecco perché era così corrotto. Era sempre geloso di chi aveva più soldi di lui” (…) “una conoscente mi disse che non si era mai mosso denaro in Ucraina di cui Poroshenko non avesse preso almeno una parte(…)”. Hunter Biden non aveva esperienza,non aveva diplomi o lauree nel campo, perché mai Burisma lo avrebbe dovuto pagare per mantenerlo in quella così ambita e ben pagata posizione? Così come altri che come Hunter condividevano il lauto stipendio con mansioni assolutamente similari. Cosa dovevano coprire? Erano queste le domande che giustamente il magistrato Shokin si fece quando aprì le investigazioni, prima che le stesse furono chiuse e allo stesso tempo gli fu chiesto di allontanarsi volontariamente presentando con una lettera di dimissioni. Shokin, dunque, il pubblico ministero che aveva temporaneamente (ed incautamente) bloccato gli asset della Burisma venne sostituito, e al contempo dipinto, in special modo al pubblico statunitense, come un magistrato terribilmente corrotto che non poteva continuare a lavorare su un caso in cui poteva essere coinvolto il Vice Presidente degli Stati Uniti e quindi che richiedeva assoluta onestà, rettitudine e soprattutto serietà. E mentre quindi Poroshenko si impegnava a scegliere dal catalogo un nuovo burattino da mettere al posto di Shokin, non importa se capace, non importa se con esperienza, ma l’importante era che fosse abbastanza obbediente da fare quel che gli viene richiesto, Biden, che si definisce letteralmente “uomo di parola“, promette a Poroshenko che il miliardo di dollari accordato potrà raggiungere le sue tasche. Ecco che quindi l’intero teorema dem che narrava dell’assoluta estraneità ai fatti di Biden e famiglia, sorretto da nulla se non dal silenzio obbligato dei media indipendenti censurati ed intimiditi, si smonta miseramente e si mostra in tutte le sue contraddizioni attraverso le inequivocabili parole di Joe Biden e degli altri che compaiono nell’audio. E quindi proprio come è crollata la narrativa secondo cui nessuno della famiglia Biden ha mai avuto niente a che fare con l’Ucraina, non è mai esistito alcun laptop di proprietà del figlio di Joe, ora cade anche quella secondo cui lo stesso Biden padre non era coinvolto direttamente ed attivamente nei (mal)affari di famiglia. Tutti erano coinvolti, tutti sapevano, tutti fremevano per non essere scoperti nei loro giri di affari all’arrivo di un presidente che non faceva parte del loro stesso giro Questi legami così profondi, come profondo è lo stato che li ha negli anni creati, traspaiono anche dall’attuale conflitto perché non si può negare che una delle ragioni per cui gli Stati Uniti e in particolare Biden, nella doppia veste di Presidente USA e di figura di riferimento del patto atlantista, spinga tanto per allontanare gli occhi russi dagli interessi maturati nell’area in anni di politica marcia e compromessa, è per non essere personalmente e direttamente compromesso. La giornalista di OAN contatta Joe Biden tramite il suo staff al fine di avere un confronto diretto con il Presidente o almeno una sua dichiarazione in merito alle ore di audio in possesso della testata. Invece di ricevere una risposta dalla Casa Bianca o comunque da altra istituzione, la donna viene contattata da un giornalista del The Atlantic,una testata assimilabile alle voci più globaliste e liberal, un fact checker a tutti gli effetti, la quale afferma che tutto ciò di cui OAN è in possesso è sicuramente da riferirsi a manipolazione russa e propaganda del Cremlino. In risposta al contatto mail, The Atlantic pubblica un articolo non sugli audio di Biden, bensì su OAN e sul fatto che l’emittente sarebbe niente meno che una pedina di Mosca il cui ruolo sarebbe quello di diffondere la disinformazione e la propaganda russa. Da quando The Atlantic lavorerebbe per il governo degli Stati Uniti? Nel secondo episodio viene infine semplicemente mostrato il tragitto del miliardo di dollari dei contribuenti statunitensi, da Washington a Kiev fino alle tasche di Poroshenko, raccontando anche di chi era fattivamente coinvolto. L’incredibile avidità di Poroshenko fa sì che tutto il denaro ricevuto dagli Stati Uniti venga pompato all’interno delle proprie compagnie, in maniera tale da farlo fruttare al meglio, costruendo e rinforzando un vero e proprio impero nei cui punti chiave posizionare amici e parenti per evitare tradimenti e problemi con la giustizia ed il sistema in generale. Immaginate, dicevamo all’inizio, la compiacentissima Hillary Clinton che perde le elezioni e un ignaro Donald Trump che si siede alla Casa Bianca al posto di Barack Obama. Letteralmente un incubo divenuto realtà per Joe che deve coprire non solo i suoi affari ma anche quelli del figlio per il quale ha rubato soldi pubblici e per il quale ha interferito in maniera pesante nel governo ucraino . Poroshenko viene avvisato da Biden di tenere la bocca chiusa e mai, nemmeno per sbaglio, chiedere soldi direttamente a Trump. Avrebbero provveduto in maniera diversa, destinando sempre e comunque fondi pubblici all’Ucraina. Chanel Rion, la giornalista di OAN, ammette che le ore di registrazione di cui l’emittente è in possesso, circa 10, sono così tante e aprono la strada a verità così intricate che sarebbe necessaria una investigazione che proseguisse oltre l’estate affinché le informazioni contenute nel resto dei nastri siano verificate e dettagliatamente contestualizzate. Cosa che OAN si impegna a fare per andare oltre ciò che la Rion ritiene essere solo il coperchio di un vero e proprio vaso di Pandora. I crimini che si prefigurano dal materiale per ora visionati sono diversi, non uno meno grave dell’altro. Alto tradimento, corruzione, frode, interferenza in governo straniero, etc. Ve n’è per ogni gusto. Seguiremo l’investigazione ed il dossier di OAN con un augurio: che vi sia almeno un magistrato tra Kiev e Washington disposto a fare il suo dovere e far chiarezza una volta per tutte sulla faccenda. Al contempo dovrà togliere di mezzo una volta per tutte lo spauracchio della propaganda russa, senza il quale, diciamolo pure, il castello di carte dei dem è destinato a vita molto breve. MARTINA GIUNTOLI, qui.
Non che in linea di massima non si sapesse, ma saperlo anche nei dettagli è sicuramente interessante, e rende ancora più chiaro il motivo per cui nessun broglio era di troppo per impedire a Trump di essere eletto. E ora diamo un’altra sbirciata dietro altre quinte.
“Andiamo a salvare bimbi ucraini”. Ma sono un gruppo di pedofili
Sono partiti dal Regno Unito in nome del volontariato e dell’aiuto umanitario per tutti quei bambini rifugiati in Polonia dopo l’attacco russo in Ucraina ma, erano – e sono tutt’ora – pregiudicati inglesi mascherati da benefattori. Si scopre, infatti, come titolano tutti i principali giornali britannici, che i protagonisti sono 10 uomini – già noti alle forze dell’ordine per reati sessuali – che, con la scusa dei bambini sfollati dalla guerra sono arrivati al confine polacco per altri scopi, decisamente tremendi. “I pedofili britannici si sono recati in Polonia sostenendo di fornire assistenza umanitaria ai rifugiati in fuga dall’Ucraina” si legge in una nota de La National Crime Agency. Il grande esodo dopo l’invasione russa in Ucraina ha infatti riguardato per la maggior parte donne e bambini, in quanto i padri e mariti sono dovuti rimanere in patria a combattere, e fin dall’inizio gli enti di beneficenza per i rifugiati avevano avvertito che questi potevano essere presi di mira da uomini predatori. Si apprende dal The Guardian che “5000 bambini non accompagnati sono stati sfollati dall’Ucraina e assicurarsi che siano al sicuro è assolutamente fondamentale”. Come sarebbe fondamentale – aggiungiamo noi – capire come questi pregiudicati abbiano avuto la possibilità di uscire dal Regno Unito senza nessun controllo e recarsi in Polonia. “Gli autori di reato avrebbero dovuto informare la polizia britannica della loro intenzione di viaggiare – si legge ancora sul quotidiano inglese – e dichiarare eventuali condanne all’arrivo”. “Scopriamo, ovviamente, che non l’hanno fatto” riporta un portavoce a Reuters. Già a marzo l’Onu aveva affrontato il problema dei bambini senza genitori scappati dal conflitto, esprimendo la preoccupazione per lo sfruttamento di essi da parte di sospetti protettori e trafficanti di sesso. A seguito del richiamo nelle Nazioni Unite, il Ministro degli Esteri inglese, Liz Truss, ad aprile aveva annunciato che avrebbe inviato investigatori in Ucraina proprio per raccogliere le prove di eventuali crimini di guerra, compresa la violenza sessuale. Curioso come, i dieci uomini che si sono intrufolati nelle aree umanitarie, con il pretesto del volontariato, nelle prime sei settimane di guerra – quindi prima delle dichiarazioni e presunte azioni istituzionali inglesi – vengano scoperti solo in questi giorni. Al momento non si sa dove siano queste persone. Il The Guardian racconta infatti che, dopo svariato tempo, durante un colloquio con l’immigrazione polacca, le forze dell’ordine polacche hanno chiesto agli autori dei reati di andarsene. I malviventi, come molti altri – probabilmente – si trovano quindi a piede libero nonostante le presunte indagini della Corte internazionale de L’Aja che, non ci è dato sapere, a che punto siano. Bianca Leonardi, 23 luglio 2022, qui.
E ancora una sbirciatina dietro le quinte della salute di Putin, che come tutti sappiamo ha praticamente un piede nella fossa
Ancora una dietro le quinte del missile russo sul porto di Odessa che secondo i nazisti avrebbe centrato un deposito di grano; le immagini dell’incendio sembrerebbero invece suggerire che abbiano ragione i russi, secondo cui sarebbero invece state colpite delle imbarcazioni militari
l’unica speranza di sopravvivenza della specie umana sul pianeta Terra è che Putin cominci a giocare duro sul serio, e sbaragli in una botta sola Ucraina, NATO e UE: dopodiché vivremo sicuramente in un mondo migliore.
Il sostegno incondizionato all’Ucraina semina dubbi
La Nato mostra i muscoli e al vertice di Madrid ridisegna la sua strategia volta al confronto con la Russia, mentre gli Stati Uniti inviano più forze in Europa. L’Ucraina “sarà sostenuta per tutto il tempo necessario“, è lo slogan che rimbalza sui giornali, che se, da una parte, appare una nuova dichiarazione di supporto senza limiti, dall’altra interpella.
Necessario a cosa? A raggiungere gli obiettivi della Nato, ovviamente, cioè degli Stati Uniti che ne sono i dominus, obiettivi che potrebbero essere diversi da quelli di Kiev, anche in maniera drammatica, come si sta vedendo sui campo di battaglia, dove gli ucraini sono mandati al macello – mille soldati spazzati via dal campo di battaglia al giorno – per erodere le forze della Russia. Tale impegno “necessario” è stato deciso dai governi d’Occidente, meglio: dall’apparato militar-industriale americano e dai suoi attaché nell’amministrazione e nel Congresso Usa, contro le necessità dei popoli che essi governano e delle moltitudini del mondo, costrette a sopportare le sempre più gravi conseguenze economiche del conflitto e delle sanzioni annesse. Così Jordan Schachtel in un articolo di The Dossier rilanciato dal Ron Paul Institute: “Le prospettive della guerra in Ucraina, finanziata dagli Stati Uniti e dalla UE, sono del tutto insostenibili, e il sostegno dato a una fazione di questa guerra tra popoli slavi sta bruciando denaro a una velocità tale da far sembrare l’avventura in Afghanistan una cosa di bassa lega”. “L’amministrazione guidata da Volodymr Zelensky – prosegue Schachtel – ha chiesto adesso oltre 5 miliardi di dollari al mese solo per coprire i costi del suo governo, nel quale lavorano molti burocrati, e gli stipendi dei dipendenti del governo. Si tratta di oltre 60 miliardi di dollari all’anno solo per finanziare i costi operativi del governo di Kiev, che è stato classificato negli anni passati come il più corrotto di tutta Europa” (lo scriveva anche Thomas Friedman sul New York Times del 6 maggio scorso: “L’Ucraina era, ed è ancora, un paese affondato nella corruzione”). “Quest’ultima richiesta si aggiunge ai 100 miliardi di dollari […] già stanziati per sostenere il suo esercito al collasso”. Tutto ciò, continua Schachtel , va considerato nell’ottica fotografata da una stupenda osservazione di Ron Paul, “gli aiuti esteri si concretizzano nel prendere soldi dai poveri del nostro paese per darli ai ricchi dei paesi poveri” (vale non solo per l’America). “L’Ucraina sta diventando l’Afghanistan 2.0 e il suo governo dovrà affrontare la stessa sorte del governo appoggiato dagli Stati Uniti a Kabul se continuerà su questa strada costellata di spese irrecuperabili. Tutti i soldi e le forniture di armi non sembra che possano compensare gli squilibri di un esercito scarsamente addestrato e di un paese mal governato che, ogni giorno che passa, vede approssimarsi la prospettiva di una resa incondizionata invero umiliante”. Forse tale conclusione è troppo tranchant, ma iniziano a essere tanti a reputare che il conflitto non riservi prospettive rosee per l’Ucraina, vittima sacrificale di questa guerra per procura della Nato contro la Russia. Tra questi, David Ignatius, che ha dato questo titolo a un articolo pubblicato sul Washington Post di oggi: “La NATO è unita sull’Ucraina. Bene, ma tante cose potrebbero ancora andare storte”. Nella nota riprende temi consueti, cioè come il mondo stia subendo la stretta delle conseguenze economiche della guerra e come tale situazione potrebbe incrinare l’unità della Nato (peraltro garantita dalla coercizione di Washington e non da una sincera adesione a tale linea, che per l’Europa è semplicemente suicida… a proposito dello slogan in voga sulla lotta tra Paesi liberi contro Paesi autoritari). E spiega come la Nato difetti in strategia, tanto che tutto questo sforzo potrebbe non avere un esito positivo. Infatti, “gli alleati dell’Ucraina potrebbero concludere di aver sperperato i loro attuali vantaggi e finire per perdere questo conflitto”. Nella nota, in ogni caso consegnata alla necessità di fare di questo conflitto una guerra infinita, dettaglia problemi logistici e strategici da risolvere per evitare la disfatta. Ma non è detto che possano essere risolti. Ancora più importante quanto scrive sulla recente crisi di Kaliningrad: “Un modo per perdere le guerre è quello di prodursi in provocazioni poco sagge. La recente decisione della Lituania di bloccare il transito verso la vicina enclave russa di Kaliningrad aveva lo scopo di far rispettare le sanzioni dell’UE, ma era ragionevole? Diversi funzionari europei e statunitensi mi hanno confidato dubbi al riguardo, dal momento che la mossa potrebbe provocare un contrattacco russo e poi un’invocazione della Lituania del patto di mutua difesa proprio dell’articolo 5 della NATO” (sul punto vedi anche American Conservative: “La Lituania Vuole Iniziare Una Guerra Con La Russia?”). Più che probabile, se non certo, che la Lituania ha agito su suggerimento altrui, ché da sola non poteva neanche immaginare una simile boutade. Ma al di là dello specifico, resta che il blocco di Kaliningrad non è la prima né sarà l’ultima provocazione “poco saggia” di questa guerra, che offre agli ambiti consegnati alla follia delle guerre infinite – che stanno gestendo quasi tutto il potere d’Occidente – grandi spazi di manovra, a tutti i livelli e a tutto campo. Anche per questo urge chiudere questa pazzia intraprendendo quanto prima la via del negoziato, come chiesto più volte da Kissinger. (Qui)
Tenendo però presente che Kissinger, come ha precisato il giorno successivo a quell’intervento, intende che il completo ritiro della Russia sia condizione preliminare al negoziato. Quanto al merito della questione, è chiaro che non ci sono alternative alla resa incondizionata dell’Ucraina. E, conseguentemente di NATO e UE, che dopo la disfatta e la totale sconfessione dei loro infami progetti, dovrebbero ragionevolmente scomparire. A proposito di Lituania e Kaliningrad, propongo un altro pezzo lucido e interessante.
Lituania e Zelensky decidono tutto? Anche no
Nel frenetico scambio di lettere tra la Commissione Europea e il Governo della Lituania, l’ultima proposta pare sia questa: la Ue farebbe un’eccezione alle sanzioni e permetterebbe alla Russia di continuare a rifornire l’exclave di Kaliningrad attraverso i 90 chilometri di territorio lituano tra la Bielorussia e, appunto, Kaliningrad, a patto che la Russia non aumenti il volume delle merci attualmente trasportate verso l’exclave. L’idea è di evitare, in questo modo, che il porto di Kaliningrad diventi lo strumento del Cremlino per importare ed esportare e alleviare il peso della guerra economica decretata da Usa e Ue. Il timore è invece che la Russia a un certo punto si stufi e, d’accordo con la Bielorussia, occupi il cosiddetto “corridoio di Suwalki”, interrompendo il confine di terra dei Paesi Baltici con il resto d’Europa e mettendo la Nato, nell’ipotesi più estrema, nella condizione di scegliere (per dirla brutalmente) se affrontare una guerra mondiale per difendere la Lituania (6 milioni di abitanti). Al di là delle soluzioni ipotizzate di quelle che verranno eventualmente adottate per risolvere questa crisi, una cosa è chiara: piaccia o no ai saputelli dei neo-atlantismo estremo, è chiaro che l’iniziativa della Lituania di bloccare il 50% delle merci dirette verso Kaliningrad NON era stata concordata con i vertici Ue. Josep Borrell, alto rappresentante Ue per la politica estera e di difesa dell’Unione, la “coprì” subito, com’era politicamente giusto fare dal punto di vista della Ue (soprattutto di questa Ue sempre più succursale della Nato). Ma le trattative e le lettere tra Ue e Lituania (per non parlare dei borbottii della Germania, che ha registrato il suo primo deficit commerciale trimestrale degli ultimi trent’anni) dimostrano che a Bruxelles non hanno gradito, e sono preoccupati. La domanda quindi è: la Lituania ha deciso da sola? Se così fosse, dovremmo davvero cominciare a tremare: vorrebbe dire che una minuscola porzione umana e politica dell’Unione Europea si sente in diritto di intervenire a piedi uniti (e per me in maniera sconsiderata) in una crisi che già minaccia di far saltare in aria l’Europa. Se non è così, invece, cioè se la Lituania ha agito in base a qualche “suggerimento” (per esempio degli Usa, che sono in crisi per ragioni interne, non certo perché quanto avviene in Europa li preoccupi più di tanto, o del Regno Unito, che accarezza l’idea di minare la Ue e sostituirla con altre alleanze), peggio ancora: vuol dire che nella Ue ci sono Paesi che rispondono a politiche e influenze che non sono quelle di Bruxelles. Per la verità lo sapevamo già, ma quando si gioca alla terza guerra mondiale le cose cambiano un po’. Tutto questo sta dentro una retorica di finta umanità ma di vera dismissione delle responsabilità che nella Ue impera, anche a proposito dell’invasione russa e della guerra in Ucraina. Ogni giorno ci sentiamo dire che l’Ucraina è Europa e che questa guerra maledetta si svolge in Europa. Giusto. Ma allora perché per otto anni (dal Maidan al Donbass, dal 2014 al 2022) l’Europa non ha saputo far nulla per disinnescare un problema che col tempo poteva solo incancrenire? Perché Francia e Germania, allora spina dorsale della Ue e garanti degli Accordi di Minsk, hanno concluso così poco? Davvero ci raccontiamo che in tutto questo c’entrano solo la cattiva volontà e la perfidia di Vladimir Putin? Ma non basta. Da mesi, di nuovo con cadenza quotidiana, sentiamo dire che devono essere gli ucraini a decidere se e quando dire basta, che dev’essere il presidente Zelensky a stabilire la condizioni della pace. Vien da chiedersi se i vari leader politici parlino sul serio. Ci diciamo che la guerra in Ucraina sta provocando una crisi mondiale, che rischia di mandare in tilt i Paesi sviluppati e ridurre alla fame quelli in via di sviluppo, parliamo spessissimo di allargamento possibile del conflitto e di bombe atomiche, e davvero pensiamo di affidare le sorti del pianeta a Zelensky e i suoi? L’Ucraina è vittima, d’accordo, ma stiamo pur sempre parlando di un Presidente che, nel caso qualcuno l’avesse dimenticato, prima della guerra aveva in patria un indice di gradimento del 20%? Se noi europei non siamo capaci di prendere in mano il nostro destino, almeno cerchiamo di smetterla con una retorica che sta diventando uno dei più insidiosi fattori di rischio di questo dramma epocale. Fulvio Scaglione, 4 luglio 2022, qui.
Leggo che gli stati baltici sono convinti che se l’Ucraina dovesse cadere, il prossimo obiettivo saranno loro, dato che hanno anch’essi minoranze russofone; a questo rispondo con una domanda: anche loro stanno da anni opprimendo massacrando bombardando affamando e assetando le minoranze russofone? Se la risposta è sì, hanno sicuramente ragione di temere un’invasione russa, e Putin avrà dieci volte ragione a farla; se la risposta è no, evidentemente si nutrono di seghe mentali, che quasi sempre sono molto ma molto più pericolose di quelle carnali (e accecano almeno altrettanto). In ogni caso c’è da ricordare che ucraini e lituani sono sempre stati in prima fila nel fare per i tedeschi la maggior parte del lavoro sporco con gli ebrei: non stupisce che anche in quest’altra guerra si sentano così uniti. Aggiungo questa riflessione, che mi sento di condividere in toto.
Quando l’Ucraina sarà un deserto di rovine, smembrato tra Russia e Polonia, con milioni di profughi, mentre la recessione distruggerà quel che resta del welfare europeo e la nuova cortina di ferro sul mar Baltico ci costringerà a tempo indefinito a spendere le ultime risorse in armamenti, quel giorno e in tutti gli anni a venire, per piacere, ricordatevi di tutta la compagine di politici, opinionisti e giornalisti che nel febbraio scorso vi spiegavano come fosse un affronto inaccettabile per l’Ucraina sovrana rinunciare all’adesione alla Nato e accettare gli accordi di Minsk, che aveva sottoscritto. Ricordatevi di quelli che hanno lavorato indefessamente giorno dopo giorno per rendere ogni trattativa impossibile, che hanno nutrito ad arte un’ondata russofobica, che vi hanno descritto con tinte lugubri la pazzia / malattia di Putin, che vi hanno spiegato come l’Europa ne sarebbe uscita più forte di prima, che vi hanno raccontato che la via della pace passava attraverso la consegna di tutte le armi disponibili, che hanno incensato un servo di scena costruito in studio come un prode condottiero del suo popolo. Se 5 mesi fa non avessero avuto la meglio queste voci miserabili, se l’Ucraina non fosse stata incoraggiata in ogni modo a “tenere il punto” con la Russia (che tanto garantivamo noi, l’Occidente democratico), l’Ucraina oggi sarebbe un paese cuscinetto, neutrale, tra Nato e Russia – con tutti i vantaggi dei paesi neutrali che sono contesi commercialmente da tutte le direzioni – un paese pacifico dove si starebbe raccogliendo il grano, e che non piangerebbe decine di migliaia di morti (né piangerebbero i loro morti le madri russe). Ma, mosso dal consueto amore per un bene superiore, dai propri celebri principi non negoziabili e incorruttibili, il blocco politico-mediatico occidentale ha condotto la popolazione ucraina al macello e i popoli europei all’immiserimento e ad una subordinazione terminale. Non si pretende che reagiate, figuriamoci, ma almeno, per piacere, non dimenticate.
Assolutamente da leggere, e meditare, e magari imparare a memoria, questo articolo.
Io non ho certezze e non esprimo giudizi morali che inevitabilmente sarebbero moralistici. Sottopongo però questa analisi a tutti coloro che vogliono cercare di capire e non avere la verità in tasca, senza nulla concedere a chi la pensa diversamente o ha comunque dubbi!
Putin: “l’inizio della transizione verso un mondo multipolare”
L’ex comandante della NATO Philip Breedlove ha esortato l’Ucraina a far saltare in aria il ponte di Crimea. Secondo il generale, il ponte sarebbe un obiettivo legittimo per l’Ucraina. E forse non è un caso che il periodico tedesco Stern dia notizia che due soldati tedeschi avrebbero rubato armi ed equipaggiamento da alcune caserme per pianificare di far saltare in aria proprio il ponte di Crimea. Nel frattempo le ostilità nei confronti di Mosca proseguono anche in ambito diplomatico. A Bali i ministri degli Esteri dei paesi del G20 non avrebbero scattato la tradizionale foto congiunta a causa del rifiuto di alcuni diplomatici, tra cui lo statunitense Blinken, di ritrarsi con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov che dal canto suo ha fatto sapere di non essere interessato a correre dietro agli Stati Uniti per chiedere incontri: “Se non vogliono parlare, sono affari loro e se l’Occidente non vuole negoziati, ma la vittoria dell’Ucraina sulla Russia sul campo di battaglia, allora non c’è nulla di cui parlare”, ha detto secco Lavrov affermando invece che la Russia sarebbe pronta per i negoziati con Kiev e Ankara sulla questione del grano. “Se l’Occidente desidera davvero fare uscire dall’Ucraina il grano, tutto ciò che serve è costringere gli ucraini a liberare i porti del Mar Nero dalle mine e consentire alle navi di attraversare le acque territoriali dell’Ucraina. Nelle acque internazionali la Russia, con l’aiuto della Turchia, è pronta a garantire la sicurezza di tali convogli verso il Bosforo”. Il capo della diplomazia russa ha poi abbandonato la sezione del G20 senza attendere il discorso del ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock. Nel frattempo l’Euro per la prima volta in 20 anni scende al di sotto di $ 1,01 [nel 2008 era arrivato a 1,6038, ndb]. Il che significa che se anche le materie prime perdono valore sul mercato, con il crollo dell’euro il prezzo pagato per gli europei continua ad essere alto e l’Unione rischia di importare inflazione in una possibile situazione di recessione globale. Per Putin anche questo è l’inizio della transizione verso un mondo multipolare. Queste le parole del capo del Cremlino: ”Se l’Occidente voleva provocare il conflitto per passare a una nuova tappa della guerra contro la Russia, allora si può dire che c’è riuscito, la guerra è stata scatenata e le sanzioni sono state introdotte. In condizioni normali sarebbe stato difficile farlo. Ma ciò su cui vorrei porre l’attenzione è che l’Occidente doveva capire che avrebbe perso sin dall’inizio della nostra operazione militare speciale, perché l’inizio dell’operazione significa anche l’inizio della rottura cardinale dell’ordine mondiale impostato all’americana. Questo è l’inizio del passaggio dall’egocentrismo liberale globalista americano al mondo davvero multipolare, un mondo fondato non sulle regole egoistiche, inventate da qualcuno per se stesso e dietro le quali non c’è niente, tranne l’aspirazione all’egemonia, un mondo fondato non sugli ipocriti doppi standard, ma sul diritto internazionale, sulla vera sovranità dei popoli e delle civiltà, sulla loro volontà di vivere secondo i propri valori e tradizioni, di costruire una collaborazione sulla base della democrazia, sulla giustizia e sull’uguaglianza. A causa della politica occidentale è avvenuta la demolizione dell’ordine mondiale e bisogna capire che fermare adesso questo processo non è più possibile. Il corso della storia è spietato e i tentativi dell’Occidente collettivo di imporre al mondo il suo nuovo ordine mondiale sono tentativi condannati al fallimento. Perciò voglio dire e sottolineare: noi abbiamo tanti sostenitori, negli stessi Stati Uniti, in Europa e a maggior ragione in altri continenti e paesi, e ce ne saranno sempre di più, su questo non c’è alcun dubbio. Ripeto, anche nei paesi che sono ancora satelliti degli Stati Uniti, cresce la comprensione del fatto che la cieca obbedienza delle élite governanti al “signore supremo” non corrisponde agli interessi nazionali, anzi, molto spesso li contraddice radicalmente. Alla fine tutti dovranno fare i conti con la crescita di questi umori nella società di questi paesi satelliti degli USA. L’Occidente, che un tempo proclamava i principi di democrazia, quali la libertà di parola, il pluralismo, il rispetto delle altre opinioni, oggi sta degenerando nell’esatto opposto: nel totalitarismo. Ha messo in moto la censura, ha chiuso i mezzi di informazione di massa, usa il sopruso e la prepotenza verso i giornalisti, i personaggi pubblici. Nonostante tutto ciò, noi non rifiutiamo le trattative pacifiche, ma coloro che le rifiutano devono sapere che più avanti si va, più difficile sarà mettersi d’accordo con noi”.
Che non posso commentare che con un convinto: Grande Putin! E, connesso con le considerazioni di questo articolo, vorrei riproporre un brano che avevo già postato tre mesi e mezzo fa, e che mi sembra diventare sempre più attuale.
VIETNAM di Max Hastings. È un malloppone di oltre 1000 pagine ma vale la pena di leggerlo, e comunque scorre via bene. E vale anche la pena di ricordare un paio di cose. La prima è che in quella che è passata alla storia come la sporca guerra del Vietnam di Nixon boia, l’escalation è stata iniziata da John Kennedy, democratico, e portata poi avanti dal suo vice, diventato poi presidente, Lyndon Johnson, democratico. Richard Nixon, repubblicano, quello rozzo, quello antipatico, quello col mascellone da duro, quello da cui nessuno avrebbe comprato un’auto usata, è stato quello che la guerra l’ha fatta finire. Il bilancio finale è stato di oltre 58.000 soldati statunitensi uccisi e più di 153.000 feriti. Il calcolo dei morti vietnamiti va da almeno mezzo milione fino a 4 milioni. La guerra è costata quasi 150 miliardi di dollari. I termini del trattato che ha posto fine a dieci anni di guerra sanguinosissima e alla carneficina da entrambe le parti sono gli stessi abbozzati da La Pira e Ho Chi Minh già otto anni prima. La seconda è che tutto è cominciato con l’invio di soldi, tanti tanti soldi, per sostenere governi amici, non importa quanto corrotti, poi anche armi, poi colpi di stato, anche cruenti, per sostituire i governi quando non erano più utili (il burattino Zelensky, socio e complice di Hunter Biden nei suoi sporchissimi affari e a conoscenza di tanti segreti che potrebbero renderlo scomodo, farebbe bene a ricordarsene. Sempre che lo abbia mai saputo. E sicuramente a ricordarglielo non sarà che gli scrive quei bellissimi e tanto commoventi copioni da recitare di fronte ai parlamenti mondiali). Meditate gente, meditate.
Qui, in realtà, quattro mesi e mezzo fa sarebbe potuta finire allo stesso modo, ma oggi no: prima che tutto questo cominciasse, la Russia si sarebbe accontentata del rispetto degli accordi di Minsk, che l’Ucraina ha firmato e mai rispettato; alla vigilia della guerra o a guerra appena iniziata si sarebbe potuta accontentare del riconoscimento della Crimea come appartenente alla Russia e dell’autonomia del Donbass: ma oggi? Dopo che NATO e Ucraina l’hanno costretta a mesi di guerra? A migliaia di morti? A enormi spese? Dopo che a questo prezzo ha conquistato il 20% dell’Ucraina dovrebbe accontentarsi dello stesso pezzo di pane che prima sarebbe stato gratis? Oltre a raccontarvi che è pazzo, adesso pretendete che sia anche scemo? E a proposito di chi è scemo, guardate un po’ questa:
E dopo tanto nerume, risolleviamoci un po’ lo spirito con un po’ di biancore (e con una piccola magia)
Perché tu puoi anche farti mentalmente condizionare al punto da vedere realmente quei vestiti, ma prima o poi arriva che a forza di girare nudo sotto il temporale quel povero pirla di imperatore di becca la polmonite, e allora riuscirai almeno a sentire la tosse e il respiro affannoso?
Voci dagli Usa: “L’Ucraina sta per perdere”
[Veramente l’Ucraina ha già perso. Dalla fine di febbraio, per la precisione, ma sempre meglio svegliarsi tardi che non svegliarsi affatto, comunque]
L’esercito di Zelensky si è immobilizzato in posizioni difensive statiche. La nuova strategia di Putin sta funzionando
“Diogene portava a volte una lanterna accesa per le strade di Atene alla luce del giorno. Se gli chiedevano perché, diceva che stava cercando un politico onesto [beh, no: lui diceva che cercava “l’uomo”: non sarebbe meglio cercarsi qualche citazione adatta piuttosto che storpiare la prima che capita a tiro?]. Trovare politici onesti oggi a Washington è molto difficile. Diogene avrebbe bisogno per trovarli portare con sé un proiettore allo xenon”. Così Douglas Macgregor, sull’American Conservative, un ex advisor del Secretary of Defense di Trump e autore di diversi libri di strategia militare. Per le considerazioni di tipo militare citeremo da questo articolo di Macgregor.
Ucraina, il crollo militare
Ogni tanto però ci sono brevi momenti all’interno dell’establishment di Washington ed europeo in cui si è costretti ad ammettere la verità. Dopo aver mentito sistematicamente per mesi al pubblico sulle origini e sulla condotta della guerra in Ucraina, i grandi media di lingua inglese e alcuni loro “derivati” in Europa (non in Italia dove vige un governo privo di opposizione e una stampa in larga parte allineata) stanno ora preparando il pubblico occidentale al crollo militare dell’Ucraina che non è lontano. Si veda ad esempio qui un ottimo reportage di “Rolling Stone”. Qui, infatti, si può leggere di come i bravi soldati ucraini vivano trincerati sui confini del Donbass ricevendo notte e giorno missili e colpi di artiglieria “guidata” russa che arrivano anche da 10 o 20 km di distanza senza poter replicare. E ammettano alla fine coi reporter americani che “qui la gente aspetta l’arrivo dei russi, la polizia ucraina ne arresta di continuo, anche due soldati della nostra brigata”. Il comportamento dei politici europei delle ultime settimane sempre più nervoso, caotico e incoerente si spiega con le informazioni riservate che sicuramente hanno sul disastro militare ucraino e la conseguente vittoria militare di Putin. Sul lato economico, il fatto che il rublo sia salito al livello più alto degli ultimi sette anni e la Russia non abbia mai incassato tanto dall’export è ormai fatto riconosciuto. Le sanzioni alla Russia sono arrivate ora alla quinta “dose”, come i vaccini, perché anche loro come i vaccini non funzionano e anzi hanno effetti collaterali pesanti che non erano stati previsti. Così il fatto che l’inflazione, non creata perché c’era già, ma certamente esacerbata dalle sanzioni ha già spinto le Banche Centrali a cominciare ad alzare i tassi creando un crac sui mercati da circa 16 mila miliardi di perdite di titoli e azioni. Come ammontare di ricchezza finanziaria persa supera già ora di molto quella del 2008. Perché appunto si alzano i tassi a fronte di inflazione come negli anni ‘70 e si anticipa una probabile recessione. Ma sul lato militare i nostri media mantengono ancora l’illusione delle difficoltà della Russia, mentre in realtà sta preparandosi il crollo militare ucraino. E questa disfatta, come è già avvenuto tante volte nella storia, in Italia nel 1943, in Urss con l’Afganistan, in Argentina con le Falkland e così via, inevitabilmente porterà al crollo di Zelensky in Ucraina. È solo una questione di tempo. La combinazione di alta inflazione, crollo dei mercati finanziari, disfatta militare del governo sostenuto dalla Nato e vittoria di Putin metteranno in crisi anche Draghi, Biden e compagnia. Ma andiamo ora alla situazione militare seguendo il testo di Macgregor.
La strategia russa
“I media occidentali avevano fatto tutto il possibile per creare l’apparenza di una forza militare che l’Ucraina non aveva e non ha. Gli stessi videoclip di carri armati russi colpiti sono stati mostrati di continuo anche se erano sempre gli stessi. Alcuni contrattacchi locali degli ucraini sono stati segnalati come se fossero manovre operative. Gli errori russi sono stati esagerati in modo sproporzionato e così le perdite russe, mentre la reale portata delle perdite dell’Ucraina sono state semplicemente censurate, non leggevi mai niente su quello che succedeva a loro. Ma le condizioni sul campo di battaglia sono che le forze ucraine si sono immobilizzate in posizioni difensive statiche all’interno delle aree urbane e del Donbass centrale. Gli esperti militari indipendenti (pochi) hanno però spiegato da mesi che in questo modo la posizione ucraina era senza speranza. Questa situazione degli ucraini sempre fermi trincerati, specialmente in Donbass è stato descritto dai media come un fallimento dai russi che non raggiungevano gli obiettivi. Ma in realtà un esercito che immobilizza i soldati nelle difese trincerate come se fossimo ancora nella I Guerra Mondiale, nel XXI secolo le fa identificare, prendere di mira e distruggere da artiglieria, missili e aviazione che le martellano da molti chilometri di distanza. Nella guerra moderna ci sono risorse di intelligence, sorveglianza e ricognizione, anche con droni, collegate ad armi ad attacco guidato di precisione o moderni sistemi di artiglieria informati da dati di puntamento accurati”.
Gli errori di Zelensky
La strategia di Zelensky di tenere da mesi trincerati nel Donbass il grosso dell’esercito ucraino è suicida per qualsiasi esercito che si trovi a combattere contro una armata sofisticata come quella russa. Ciò è tanto più vero in Ucraina, perché era evidente che Mosca si sarebbe concentrata sulla distruzione delle forze militari ucraine, non sull’occupazione di città o sulla occupazione del territorio ucraino a ovest o nel centro del paese. La strategia russa di “demilitarizzare” l’Ucraina demolendone l’esercito sta funzionando. Ai russi non è mai interessato occupare Kiev o tutto il territorio dell’Ucraina, ma occupare alcune zone di lingua russa, rendere l’esercito ucraino inoffensivo e rovesciare il regime ultranazionalista ucraino. Il primo obiettivo è quasi raggiunto, il secondo viene gradualmente raggiunto giorno per giorno e il terzo arriverà di colpo quando la disfatta militare, come sempre succede, farà crollare anche il governo. Il risultato della strategia di Zelensky, dettata da esigenze mediatiche di immagine e da Usa e Uk che lo armano e istigano, è stato finora l’annientamento graduale e sistematico delle forze militari ucraine. Sempre da Macgregor: “L’invio continuo di armi statunitensi e Nato ha mantenuto le povere legioni di soldati di Kiev sul campo, ma dall’inizio continuano ad essere sacrificati in gran numero grazie alla guerra per procura di Washington. La guerra di Zelensky e della Nato è una causa persa. Le forze ucraine ferme e trincerate vengono dissanguate dall’artiglieria, missili e aviazione russa e ormai non trovano rimpiazzi addestrati. La situazione diventa più disperata di ora in ora. Nessuna quantità di aiuti o assistenza militari statunitensi e alleati, a parte un intervento militare diretto delle forze di terra statunitensi e Nato, può cambiare la realtà. Il problema oggi non è negoziare di cedere territorio e popolazione nell’Ucraina orientale che Mosca già controlla. Il futuro delle regioni di Kherson e Zaporozhye insieme al Donbass è già deciso. È probabile che Mosca ora arrivi anche Kharkov e Odessa, due città storicamente russe e di lingua russa, nonché il territorio che le confina. Queste operazioni estenderanno il conflitto per tutta l’estate”. I combattimenti non si fermeranno se il governo Zelensky seguirà ancora il piano angloamericano per un conflitto che perduri nel tempo. In pratica, questo significa il suicidio di Kiev, esponendo il cuore dell’Ucraina a ovest del fiume Dnepr a massicci e devastanti attacchi delle forze missilistiche e missilistiche a lungo raggio russe. Questo disastro sarebbe evitabile se in Europa non si seguisse ciecamente l’esempio di Washington e Londra. Ma l’incapacità della Ue con la politica di sanzioni e invio di armi è evidente.
L’incubo recessione economica
Intanto la popolazione europea, come la maggior parte degli americani, sta vedendo l’arrivo di una recessione economica che le politiche di deficit e liquidità hanno rinviato per anni, ma che ora pare inevitabile. A differenza degli americani, che devono subire le conseguenze delle politiche di Biden, i governi europei potrebbero distanziarsi dal piano di guerra permanente angloamericano per l’Ucraina, non molto diverso da quelli di guerra permanente in Medio Oriente o Libia degli ultimi 20 anni, ma non lo faranno e saranno guai seri, soprattutto per le economie strutturalmente più deboli come la nostra. Negli Usa, intanto, si sono stanziati 60 miliardi di dollari cioè i 18 miliardi di dollari al mese in trasferimenti diretti o indiretti ad uno Stato ucraino corrotto che ora sta crollando (senza contare che molti dei soldi vanno a Lockheed, Raytheon e altri contractor militari americani). Poi cosa succederà ai milioni di ucraini nel resto del paese che sono fuggiti in giro per l’Europa? E da dove verranno i fondi per ricostruire l’economia in frantumi di ciò che resterà dell’Ucraina? L’inflazione costa alla famiglia americana media intorno al 10% rispetto all’anno scorso (anche perché in Usa non conteggia il costo degli affitti per cui è più alta del dato ufficiale dell’8,6 %) e in più hai un crollo di borsa e titoli di stato. Per cui ora per l’elettorato americano il destino del Donbass o di Odessa diventa poco rilevante. Con i problemi finanziari ed economici che stanno manifestandosi, un’ammissione di sconfitta in Ucraina potrebbe peraltro avere una ulteriore influenza negativa su Biden che è comunque già crollato nei sondaggi intorno al 38% e a novembre gli americani infliggeranno una disfatta ai Democratici, che ora, non a caso, sono molto preoccupati. Ogni settimana che passa l’inflazione e la crisi dei mercati e anche la prospettiva di recessione paralizzano l’attenzione dei politici Usa. I quali politici, nel frattempo, sono informati ormai della sicura disfatta militare ucraina descritta sopra. Nell’ultimo mese, infatti, i loro stessi grandi media hanno tacitamente cambiato tono e parlano spesso delle terribili perdite che i poveri soldati ucraini (arruolati ora spesso a forza) subiscono chiusi nelle loro trincee intorno al Donbass. Si tratta di migliaia di morti.
Il racconto distorto dei media
Tanto per fare un esempio clamoroso, in tutte le guerre quando un contingente è circondato, come è successo a Mariupol al battaglione Azov, si tenta di aiutarlo. Ma Zelensky non ha inviato un solo soldato a Mariupol, limitandosi ai suoi brillanti collegamenti video con la Ue, Hollywood e mezzo mondo e girare per Kiev con politici e attori americani ed europei. I nostri media hanno finto che fosse normale che l’esercito ucraino non fosse in grado di muoversi e non si muova praticamente mai. Sembra normale che si lasci in questo modo gradualmente distruggere giorno per giorno dalla superiorità in missili, artiglieria e aerei dei russi. I quali pensavano all’inizio che i militari ucraini, vedendoli arrivare spingessero il governo a trattare per non essere poi distrutti. Ma gli Usa, lo Uk, la Ue e la Nato hanno montato una incredibile campagna mediatica sull’eroico Zelensky e gli eroici ucraini che battevano i Russi e la sconfitta certa di Putin. In più tutti i partiti e opposizione sui media sono stati messi al bando o arrestati dal governo Zelensky per cui nessuno può obiettare ora. Generali che non erano d’accordo sono stati arrestati e migliaia di persone sono sparite nelle prigioni della SBU (polizia militare). Migliaia di soldati ucraini sono già scomparsi sotto le bombe e missili russi che li colpiscono da 10 o 20 km di distanza senza che loro possano fare altrettanto. Quando i russi avanzavano con carri armati stile II guerra mondiale gli ucraini li mettevano in difficoltà con le armi Nato, ma da mesi i russi hanno cambiato tattica e avanzano solo dopo aver spianato tutto con artiglieria e missili. Si assiste quindi alla sistematica distruzione delle forze militari ucraine a cui è vietato di ritirarsi e che devono stare sempre ferme e trincerate sotto il bombardamento continuo. Questa tragedia sta però per avere una fine, quando, come a Mariupol, le forze ucraine trincerate intorno al Donbass e ormai indebolite saranno circondate. Come è già successo nella storia però, gli eserciti massacrati e circondati, crollano di colpo ad un certo punto, non obbediscono più agli ordini e si arrendono. Persino i sovietici prima e i tedeschi dopo (ad esempio Stalingrado) tra il 1941 e il 1945 si arrendevano. Quando non lo facevano era perché sapevano di essere poi massacrati come prigionieri da Stalin, ma i russi martellano l’Ucraina di propaganda mostrando che arrendendosi avranno assistenza medica e poi torneranno a casa. In una guerra “normale”, in cui non massacri tutti i prigionieri, è umano ad un certo punto arrendersi e smettere di combattere quando la causa è senza senso e persa. Ci sono ora dozzine di reportage, anche americani, che è questo che succederà nei prossimi mesi. Al momento la strategia di Putin, sia economica che militare, sta funzionando e la sua vittoria probabile sarà un colpo molto duro per le nostre élite. La cosa potrebbe rilanciare in Europa movimenti populisti e sovranisti. Basti pensare ai recenti risultati delle elezioni in Francia. Paolo Becchi e Giovanni Zibordi, qui.
Qui c’è un altro articolo interessante che vale la pena di leggere, e qui un po’ di precisazioni a proposito di quel famoso grano che “Putin sta rubando” ai Paesi poveri. Invito infine caldamente a leggere questo eccellente articolo, una delle migliori analisi lette dall’inizio della guerra. Insomma, il gigante russo si muove lento, e compie così la sua opera d’arte.
Raid missilistico su Kiev. Cosa c’è dietro la mossa di Putin
Era un avvertimento? Oppure un cambio di strategia? La dimostrazione che Putin è alle corte o la conferma che l’Armata russa ha ritrovato rinnovato vigore? [Non è fantastico questo incipit da film giallo? Sarà il maggiordomo l’assassino? O la governante? O la cuoca? O il giardiniere beccato dal padrone a scoparsi la padrona giocando con le violette?] Difficile interpretare le tre esplosioni avvertite oggi a Kiev [eh sì, tanto tanto tanto difficile. Troppo tanto difficilissimo]. Ma sono un punto importante in questa guerra, che doveva essere “rapida” [i famosi lettori del pensiero, che sanno esattamente che cosa aveva in mente Putin quando ha iniziato la guerra, che cosa voleva, come lo voleva, di che colore forma peso e misure lo voleva] e che invece si sta trasformando in un conflitto lungo e doloroso. Con tutto il carico di morte e distruzioni che comporta. [Perché noi siamo buoni, e ci preoccupiamo delle sofferenze del mondo e ne soffriamo quanto le vittime. Forse anche di più] Dopo il fallimentare assalto iniziale di fine febbraio [fallimentare in che senso? Ah già, che stupida: fallimentare rispetto a quello che aveva programmato Putin, che io non so cosa fosse, ma loro sì], quando alcuni reparti speciali russi approdarono all’aeroporto di Hostomel e cercarono di far cadere il governo ucraino [cercarono come, esattamente? Con quali azioni? Con quali strumenti? Hanno messo anche loro dei cecchini a sparare sulla folla per provocare il colpo di stato come hanno fatto gli americani otto anni fa al costo di cinque miliardi di dollari? A proposito, lo sapete che youtube ha fatto sparire il video con tutte le ammissioni della Nuland?], ne è passata di acqua sotto i ponti. Prima Mosca ha cercato di conquistare la città con i carri armati fatti partire dalla Bielorussia. Poi ha dovuto rivedere i suoi piani, lasciare la zona Nord-Ovest dell’Ucraina per concentrarsi sul Sud e sul Donbass [idea, quella di occupare il sud e il Donbass, che mai mai mai aveva sfiorato “Mosca” prima di “fallire” la conquista di Kiev. Ma vaffanculo, va’]. Adesso la Russia controlla circa il 20% del territorio di Kiev [del territorio di Kiev? Ma se hai appena detto che hanno dovuto abbandonarla dopo il fallimento del tentativo di occuparla?], Odessa resta assediata dalle navi di Putin e l’esercito russo avanza negli Oblast rivendicati dai separatisti. Gli scontri ora si concentrano a Severodonetsk, dove fino a ieri i russi controllavano il 70% del territorio ma una controffensiva ucraina pare averne liberato la metà [pare…].Da diverse settimane, comunque, Kiev viveva una sorta di tranquillità irreale. Niente più soldati russi alle porte [? Non ne occupano il 20% del territorio?! L’hai detto tu!]. Meno bombardamenti [come “meno” bombardamenti? Se hai appena detto che da settimane era tutto tranquillo? Non soffrirai mica di schizofrenia per caso?]. Niente sirene che suonano ogni cinque minuti.Poi stamattina la capitale si è svegliata sotto attacco [notare le parole scelte: LA CAPITALE – SOTTO ATTACCO: la città sotto attacco, le strutture della città sotto attacco, gli abitanti sotto attacco]. La missione missilistica russa è partita da un aereo Tu-95 che sorvolava il Mar Caspio, almeno secondo quanto riporta l’Aviazione Ucraina. La tipologia di caccia utilizzato non è un dettaglio secondario: quadrimotore di fabbricazione sovietica, il Tu-95 è in grado di portare a termine anche attacchi nucleari. E nella sua versione moderna può anche lanciare missili da crociera a lungo raggio [ma quello usato è la versione moderna in grado di lanciare eccetera? Perché se lo è, la precisazione (“nella sua versione moderna”) è del tutto inutile, se non lo è la precisazione è solo pretestuosa e serve unicamente a fare scena e terrorismo mediatico]. Sembra quasi che Putin volesse mandare un messaggio. Del tipo: abbiamo ancora grosse capacità belliche [Chissà, forse Putin legge i giornali occidentali che dal primo giorno di guerra lo danno per spacciato, in ginocchio, finito, e sta provando a svegliarvi dai vostri deliri onirici]. Stando al portavoce del ministero della Difesa di Mosca, il raid avrebbe permesso di distruggere blindati inviati dalla Nato e dall’Occidente all’Ucraina [aaaahhhhh…]. “Missili ad alta precisione a lungo raggio lanciati dalle forze aerospaziali russe contro la periferia di Kiev hanno distrutto i carri armati T-72 forniti dai paesi dell’Europa e altri veicoli corazzati che erano negli hangar”, ha detto Igor Konashenkov. Anche questo, dettaglio non indifferente [cioè stai dicendo che lo sai che è così? Che lo sai che è vero quello che dice? Che lo sai che il raid non è stato un avvertimento, né un cambio di strategia, né la dimostrazione che Putin è alle corte, né la conferma che l’Armata russa ha ritrovato rinnovato vigore, ma semplicemente la distruzione delle armi finalizzate a uccidere i russi? E quindi il senso di tutte quelle domande retoriche con cui hai iniziato l’articolo quale sarebbe?]. Perché dopo la promessa da parte di Biden di inviare missili in grado teoricamente di colpire il territorio russo, sembra quasi che Mosca volesse confermare quanto annunciato ieri da Putin [sembra quasi…]. Ovvero che la Russia è in grado di “schiacciare come noci” le armi inviate dalla Nato [cioè la distruzione delle armi non aveva lo scopo di eliminare un pericolo mortale per i soldati russi – e magari anche per i civili russi in territorio russo – bensì una banale esibizione di muscoli, da bulletto di periferia, per la quale le armi non erano che un mero pretesto?]. Non è un mistero che i sistemi Himars preoccupino il Cremlino. Ed è forse per questo che il raid odierno ha voluto mandare un messaggio. Questo: siamo in grado di distruggerli [ecco, ribadiamolo: lo scopo del raid non era quello di distruggere le armi, ma unicamente di mandare un messaggio, un ammiccamento, un inarcare di sopracciglio. E chissà come avrebbe fatto a mandare quel messaggio se non ci fossero state, provvidenzialmente, tutte quelle armi]. Per Putin, infatti, qualora i missili verranno [qualora verranno?!?!] consegnati, allora la Russia ne trarrà “le conseguenze appropriate” e utilizzerà le “armi distruttive, e ne abbiamo in quantità sufficienti, per colpire obiettivi che non stiamo ancora colpendo [ehm… proviamo a rileggere con calma la frase:” Per Putin – – qualora i missili verranno consegnati – – allora la Russia ne trarrà le conseguenze – – e utilizzerà le armi – – e ne abbiamo in quantità sufficienti”: ma si può costruire una frase tanto sgangherata?]. Il raid odierno sembra quasi una asserita “prova” a sostegno della minaccia. A cui va aggiunto anche l’annuncio di aver abbattuto vicino ad Odessa un aereo da trasporto ucraino Antonov An-26 carico di armi [mi concedete una standing ovation per l’aeronautica russa?].L’altra ipotesi, invece, è che la mossa del Cremlino nasconda difficoltà. E che sia il tentativo disperato di evitare l’invio dei missili a lungo raggio da parte degli Usa [nel senso che se non fosse in difficoltà potrebbe tranquillamente permettere a Biden di mandare quei bellissimi missili con una gittata di 300 chilometri? E questo sì che è un genio, un maestro di strategia militare!] minacciando non solo l’escalation militare con la Nato, ma anche una ripresa dei bombardamenti su Kiev. (Qui)
Cioè, oltre al titolo totalmente fuorviante, anche una montagna di letame sparso a piene mani per tutto l’articolo. Caro Porro, e se te ne andassi a fare una bella cagata? Qui, se avete ancora due minuti, un articolo che guarda molto più realisticamente alla situazione e alle questioni in gioco. Ancora più realistico questo video, col numero di testate nucleari Paese per Paese. I nomi sono scritti in cirillico, ma ci sono le bandiere.
Questi invece sono i dati di estrazione dell’oro per anno, sempre Paese per Paese, e anche questo può dare informazioni utili, soprattutto a chi si illude di mettere in ginocchio la Russia con le sanzioni e con i furti di proprietà private.
ha detto che si può andare al mare. Quindi, grazie alla signora Littizzetto, ora sappiamo che cosa è giusto fare. Poi Enrico letta:
E ora, grazie al signor Letta, sappiamo anche come è giusto votare. Poi c’è che, a quanto leggo in giro, i nostri mass media non sembrano molto interessati a dare informazioni in merito, quindi, per chi ancora non avesse le idee chiare, vi propongo questa tabella che mi sembra spieghi le cose in modo chiaro e conciso (cliccare sull’immagine per ingrandire).
E dato che è appena passata la festa della repubblica:
Poi, visto che ci siamo per un momento allontanati dal Grande Tema del momento, vi offro una bella lezione sull’alimentazione
e una di grammatica
E già che ci siamo, anche una di pronuncia:
A proposito di Israele, vi ricordate Shireen Abu Akleh, la giornalista di al Jazeera rimasta uccisa durante uno scontro fra Israele e palestinesi? Finalmente le indagini israeliane sono giunte al termine; indagini complicate dal rifiuto palestinese di consegnare il proiettile, che avrebbe immediatamente indicato la provenienza (o almeno fotografarlo), di fare un’autopsia, che avrebbe mostrato da quale parte era arrivato il proiettile, e anche di condurre un’indagine congiunta. Comunque i risultati sono arrivati, e sono questi
Poi, volendo, ci sarebbe anche questa cosa qui
Proseguo con un’esemplificazione di un modo di acquistare piuttosto in voga di questi tempi
per tornare poi alla guerra in corso, con la doverosa denuncia di un’altra terribile nefandezza commessa dai russi
Concludo riprendendo una riflessione fatta all’inizio della guerra: l’unica speranza che non vada a finire troppo male, la ripongo sui nervi saldi di Putin, che forse riuscirà a resistere a tutte le provocazioni, o a rispondervi in maniera sufficientemente moderata da non scatenare la catastrofe. Di avere nervi d’acciaio lo sta dimostrando da vent’anni, e una piccola prova del suo eccezionale autocontrollo l’abbiamo anche qui
C’è da dire, comunque, che gli egiziani sembrano avere un’attitudine particolare per gli inni nazionali:
Quella realtà che in troppi si rifiutano di guardare, o per interesse, o per ideologia malata.
GUERRA IN UCRAINA, REALTA’ E SOGNI
2 GIUGNO 2022
L’intera classe politica occidentale, da Joe Biden a Mario Draghi, dalla ministra tedesca della Difesa Baerbock (che a tratti pare essere il vero cancelliere) al premier polacco Morawiecki, è impegnata a ripetere ogni giorno, più volte al giorno, che la Russia deve essere sconfitta in Ucraina. Per la verità nelle ultime settimane c’è stato uno slittamento linguistico significativo: da “la Russia deve essere sconfitta” si è passati a “la Russia non deve vincere”, che forse è l’indice di una più cauta pretesa. Chissà. Però, anche quando ci fossimo ripetuti per l’ennesima volta ciò che tutti sappiamo ( ovvero che il cattivo, qui, è la Russia, l’invasore è il Cremlino, gli occupanti le truppe russe), ancora non potremmo sottrarci al confronto con la realtà dei fatti. Che in sintesi oggi dicono questo: dopo più di tre mesi di guerra la Russia non dà segni di volersi fermare; le sanzioni più massicce della storia (che come dice Draghi, si faranno sentire in estate…) non hanno ancora convinto la classe politica russa a cambiare linea; il territorio ucraino “occupato”, che era il 7% (tra Crimea e Repubbliche del Donbass) prima del 24 febbraio, ora è il 20%, e forse sarà di più nelle prossime settimane; e l’esercito ucraino, pur riorganizzato, rinforzato (nel 2021 Zelensky ha dedicato il 4,1% del Più alle forze armate), addestrato dagli ufficiali occidentali e armato (quasi) in ogni modo da mezzo mondo, in questa fase pare alle strette. Certo, dal punto di vista politico di Varsavia, Londra o Washington ingolosisce la prospettiva di tagliare le unghie alla Russia, tanto più che i sacrifici di guerra li fanno gli altri, cioè gli ucraini. E poi in questi mesi ci è piaciuto fare il tifo per il più debole contro l’orso russo. È stato comodo trasferire sui nostri giornali ogni sorta di notizie e di false notizie abilmente diffuse da un sistema mediatico come quello ucraino, controllato dagli oligarchi (ne ho scritto nel numero di Limes appena uscito), messo al servizio del potere politico e infatti classificato, già prima della guerra, al 108° posto su 180 nella graduatoria mondiale della libertà di stampa (Russia al 156° posto). Comprese le fake news elaborate da Lyudmila Denisova, commissaria per i Diritti Umani che lo stesso Parlamento ucraino ha dovuto licenziare per non vergognarsi troppo. È stato divertente descrivere i militari russi come dei fessacchiotti senz’arte né parte e raccontare la guerra come una serie infinita di vittorie ucraine. Tutto bene. Peccato che ora la realtà dica altre cose. E una delle cose che questa realtà dice è che sconfiggere la Russia o non farla vincere è possibile ma implica una conseguenza di cui troppo poco sia parla: assistere alla distruzione dell’Ucraina stessa. È un prezzo che siamo disposti a pagare? Anzi, per meglio dire, a far pagare agli ucraini? Sorprende la noncuranza con cui si parla di futuri piani per la ricostruzione dell’Ucraina, perché danno per scontato che sia inevitabile lasciarla radere al suolo da un’offensiva russa che, dai primi di aprile, cioè da quando il comando è stato affidato al generale Dvornikov, il “macellaio” che per la nostra informazione sarebbe già stato epurato, si è dedicata a demolire con cura l’intera infrastruttura del Paese, annientando fabbriche, ferrovie, stazioni, depositi, con gli effetti che ora vediamo sul campo. E tutto questo avviene nella parte decisiva per l’economia ucraina, quel “Donbass allargato” ricco di risorse naturali (per dire, è uno dei più grandi bacini al mondo di terre rare) che la Russia, con questa o quella formula, vuole annettere. Impediamo alla Russia di vincere in Ucraina e poi con un bel Piano Marshall tiriamo su tutto, è il ragionamento. Il bello, anzi il brutto, è che è più o meno lo stesso ragionamento che fanno i russi: tiriamo già Mariupol’ o Severodonetsk e poi distribuiamo aiuti umanitari e ricostruiamo, che problema c’è? Sarebbe quindi ora di smetterla con le frasi fatte e con il finto coraggio di chi non partecipa al dramma. Per evitare di vedere l’Ucraina distrutta e con ogni probabilità smembrata, se non riportata alla situazione del Seicento, con la parte a Ovest del Dnepr controllata dalla Polonia e quella a Est dalla Russia, bisogna cercare un compromesso. Ovvero, un accordo in cui sia la Russia sia l’Ucraina perdono qualcosa rispetto alle intenzioni e alle speranze. Chi invece, da un lato e dall’altro, vuole proseguire la guerra abbia almeno la dignità di ammettere che pur di sconfiggere Putin è pronto a sacrificare l’Ucraina e gli ucraini. Il resto sono solo parole. Fulvio Scaglione, qui.
Ucraina. L’ambiguità di Biden e le rivelazioni sul figlio
È inconsueto che il presidente americano parli al mondo attraverso un articolo di giornale invece che in un discorso, ma così è stato e ieri ha pubblicato sul New York Times un intervento in cui spiegava l’impegno Usa a sostegno dell’Ucraina, anche per rispondere alle domande, sempre più pressanti, di fare chiarezza sull’impegno Usa. Nell’articolo, a parte la solita retorica, due aspetti rilevanti. Il primo è il tono moderato dello scritto: nessun insulto a Putin e la riaffermazione che gli Usa non sostengono un regime change in Russia né cenni sui crimini di guerra attribuiti a Mosca [ovvio: quando parla, anche se i discorsi glieli preparano, finisce sempre che, essendo demente, gli scappa di mano – o per meglio dire SI scappa di mano – mentre un articolo viene pubblicato così come lo hanno scritto]. Un passo indietro, dunque, rispetto a certi interventi estremi del passato. Al di là delle solite accuse al nemico, non si rinviene neanche alcun cenno all’integrità territoriale dell’Ucraina o alla cacciata dell’esercito russo, solo la prospettiva di vedere la nazione preservata nella sua fisionomia “democratica, indipendente, sovrana e prospera” [tanto democratica da mettere fuorilegge tutti i partiti di opposizione e chiudere le televisioni non allineate; tanto indipendente da venire finanziata e armata e addestrata da anni da uno stato estero; tanto sovrana che un qualsiasi pincopallino straniero può far destituire un procuratore capo che indaga sui suoi loschi affari; tanto prospera da dover mandare le sue donne meno giovani in giro per il mondo a pulire il culo a vecchi invalidi e le più giovani a fabbricare figli per conto terzi – e, se sono vere le voci che corrono, ad assassinare bambini e neonati per venderne gli organi] e un rilancio della soluzione diplomatica, che deve essere il fine della difesa ucraina, come peraltro ha detto Zelensky. Insomma, una prospettiva che si può definire relativamente distensiva, come notato anche dai media russi. Connotazione che appare ribadita nella conclusione, nella quale spiega che l’America rimarrà a fianco dell’Ucraina “nei mesi a venire”… cenno significativo perché non resta nell’indefinito, ma ha una qualche scadenza: non una guerra infinita, quindi, ma di “mesi” (fino alle midterm di novembre?). La seconda cosa, in contrasto con quanto rilevato sopra, è la dichiarazione riguardo all’invio di missili all’Ucraina (oltre all’altro armamentario elencato nello scritto). Su tali missili si è svolto un braccio di ferro intenso quanto segreto nel cuore dell’Impero, con Biden che aveva fatto trapelare il suo niet all’invio di sistemi missilistici a lunga gittata, raccogliendo un accennato plauso dei russi per la “saggezza” dimostrata. E, però, sono tante le ombre sul sistema missilistico effettivamente inviato, che pare sia tarato per colpire a 80 Km di distanza, collocandolo nella sfera dei missili a medio raggio. In realtà, le informazioni in merito all’effettiva gittata sono contraddittorie e tali da non escludere sorprese. L’unica cosa che si sa per certo è che gli americani hanno dichiarato che le autorità ucraine hanno assicurato che non saranno usate contro il territorio russo [e le autorità ucraine sono un uomo d’onore]. I russi, ovviamente, non si fidano di tale rassicurazione e parlano di escalation, riguardo la quale hanno annunciato che prenderanno contromisure adeguate, sia sul campo di battaglia che altrove (in parallelo, hanno svolto esercitazioni con il loro arsenale atomico). L’ambiguità che permea la fornitura di tale armamento rende la decisione di Biden rischiosa. In realtà i missili non cambieranno molto sul campo di battaglia, al massimo infliggeranno più perdite ai russi, ai quali, però, resterà il controllo della situazione in Donbass. Ma cambierà molto se tali ordigni saranno lanciati contro la Russia, che potrebbe reagire (non con l’atomica: ha varie opzioni alternative). Tanta ambiguità a rischio contrasta con il precedente niet di Biden sui missili a lungo raggio, come se fosse stato costretto a piegarsi a pressioni indebite. A tale proposito, va registrato che proprio in questi giorni il segretario della Nato Jens Stoltenberg è volato in America. Il Superfalco avrà sicuramente unito la sua voce a quelle dei falchi made in Usa, vincendo il braccio di ferro [nel caso qualcuno ancora dubitasse del fatto che Biden è una marionetta messa lì unicamente per obbedire alla cricca che tira i fili, cosa mai riuscita con Trump]. Una vittoria che trapela anche dalle dichiarazioni che ha reso durante la ripartenza dagli Stati Uniti, quando ha avvertito il mondo di prepararsi a una lunga guerra di “logoramento“. Per inciso, altre volte abbiamo accennato a come nei momenti più cruciali riemerga il caso del portatile di Hunter Biden, coincidenze che fanno immaginare, magari a torto, che lo scandalo sia brandito per fare pressioni sulla presidenza. Puntuale, la vicenda è riemersa anche in questa occasione chiave, con il suo bagaglio di rivelazioni inquietanti, che stavolta contenevano anche riferimenti a un indefinito “papà”. A ritirare fuori la vicenda è stato il britannico Daily Mail, vicino ai conservatori del Regno Unito, l’ambito più ingaggiato nella guerra ucraina. Al di là delle coincidenze temporali, resta che all’interno dell’Occidente si assiste a una lotta tra quanti tentano di chiudere in qualche modo il conflitto (per impedire che travolga il mondo) e quanti vogliono trasformarlo nell’ennesima guerra infinita (o di logoramento che dir si voglia), nulla importando i rischi di escalation. Biden ci sta provando, appoggiandosi sembra al Pentagono, ma non ha la forza dalla sua, da qui la pericolosa ambiguità operativa che si dipana in parallelo all’altisonante retorica. Resta che il New York Times in calce all’articolo del presidente ha voluto richiamare il suo precedente editoriale, nel quale il giornale della Grande Mela chiedeva l’avvio di un negoziato permeato di realismo (ne abbiamo riferito in altra nota). E lo ha accompagnato pubblicando, nello stesso giorno, il j’accuse di Christopher Caldwell contro l’amministrazione Usa, colpevole più di altri del prolungarsi di questo conflitto. La dialettica è destinata a durare, come anche la guerra ucraina. 3 giugno 2022, qui.
E a proposito di armi, guardate come sono belle le nostre. Se ci fate attenzione, lo dice anche lui: “ocen krasiva”, molto bella:
Poi ci sarebbe questo signore
“L’ucrainizzazione dell’Europa ha avuto inizio. Chi come il Pd ha organizzato eventi con questo signore e riso per le sue simpatie neo-naziste ha le responsabilità maggiori. Noi non dimentichiamo.” (Qui)
Ora vediamo le navi tenute in ostaggio dall’Ucraina, con gli equipaggi nutriti dai russi
Concludo con due immagini molto recenti, che sembrano di un’altra era geologica: Putin che riceve Angela Merkel a Mosca
e Angela Merkel che riceve Putin a Berlino
A proposito: avete mai visto un capo di stato (in prima battuta avevo scritto “uno statista”, ma poi mi sono resa conto che nessuno dei miei lettori è abbastanza vecchio da averne mai visto uno), o un qualsiasi politico italiano, commuoversi tanto all’ascolto del proprio inno nazionale da dover fare un visibile sforzo per non piangere?