È in questa terra straordinaria e insieme tormentata che vide la luce, una decina di anni fa, una bambina chiamata Nojoud.
Alta come un soldo di cacio, Nojoud non è né una regina, né una principessa. È una ragazzina normale, con due genitori e una quantità di fratelli e sorelle. Come tutti i bambini della sua età, adora giocare a nascondino e va matta per il cioccolato. Le piace disegnare e colorare e sogna di somigliare a una tartaruga d’acqua, perché non ha mai visto il mare. Quando sorride, sulla sua guancia destra spunta una piccola fossetta.
Ma in una buia e fredda sera del febbraio 2008, quel grazioso sorriso birichino scomparve all’improvviso dietro un velo di lacrimoni, quando suo padre le annunciò che stava per sposare un uomo tre volte più vecchio di lei. Era come se tutto il peso della Terra si fosse abbattuto sulle sue spalle. Costretta a sposarsi in fretta e furia pochi giorni dopo, la ragazzina decise di raccogliere le sue ultime forze, per tentare di cambiare il suo destino così miserevole…

«Non ha il diritto di farmi questo!»
«Nojoud, sei mia moglie!»
«Aiuto, vi prego, aiutatemi!»
Si mise a sghignazzare.
«Stammi bene a sentire, che non te lo ripeto. Sei mia moglie, capito? Perciò devi fare quello che voglio io. Mi sono spiegato?»
Di colpo mi sentii come inghiottita da un uragano, sballottata da un vento tumultuoso. Un fulmine si era abbattuto su di me e io non avevo più la forza di resistergli. Un rombo di tuono. Un altro, poi un altro ancora. Il cielo mi crollava sulla testa…
Fu in quel momento che sentii un bruciore invadermi nel più profondo del corpo. Un bruciore che non avevo mai sentito prima. Urlai fino a sgolarmi, ma inutilmente. Nessuno venne in mio aiuto. Sentivo male, tanto male, ed ero sola, completamente sola di fronte a tutto quel dolore.
Gridai, ancora una volta, un gemito, un sospiro di sofferenza…
Probabilmente fu in quel momento che persi conoscenza…
Ha cominciato a picchiarmi dal terzo giorno. Lui non sopportava il fatto che cercassi di resistergli. Quando tentavo di impedirgli di coricarsi accanto a me sulla stuoia, non appena spenta la luce, lui cominciava a picchiarmi. Dapprima solo con le mani. Poi con un bastone. Il tuono e la folgore, ancora e ancora e poi ancora. E sua madre, dietro di lui, che lo incoraggiava.
«Picchiala di più, picchiala più forte! È tua moglie e deve imparare a darti ascolto!» continuava a ripetergli, con voce rauca, quando lui si lamentava di me.
Ce l’ha fatta alla fine, la piccola Nojoud: la sua incrollabile certezza di avere diritto a un destino migliore, la sua granitica determinazione a uscire dall’inferno, la fortuna di incontrare persone, uomini e donne, che hanno preso a cuore la sua tragedia, le hanno permesso di vincere la sua battaglia. Ma quante altre bambine scaraventate su un letto a nove anni (l’età giusta per un matrimonio felice, come ha insegnato il Profeta) o anche prima, si sono perse per sempre? Quante non hanno e non avranno mai la ventura di incontrare una Shada Nasser, avvocatessa coraggiosa e determinata? Quante non hanno neppure la capacità di immaginare che essere stuprate a otto anni non sia il destino ineluttabile assegnato alle donne? Quante muoiono di parto a undici anni, nel silenzio complice delle mura domestiche?

E no, non sono disposta ad accettare l’argomento, proposto anche dalla curatrice del libro, che le violenze contro le donne ci sono anche da noi, che anche le nostre nonne si sposavano giovanissime, che una volta anche da noi c’era il delitto d’onore. Le mie nonne, classe 1904 e 1889, una proveniente dalla campagna e l’altra dal sottoproletariato urbano, si sono sposate entrambe incinte, rispettivamente a venti e ventitre anni, per avere fatto l’amore, per scelta, con l’uomo che avevano scelto. E le famiglie avranno sicuramente storto il naso, ma non le hanno condannate a morte. Quanto alle violenze domestiche, chi non ha mai sentito, perfino nelle barzellette, il fatidico “Basta, torno da mia madre”? Quando Nojoud, nove anni di età, dice ai genitori che vuole lasciare il marito che la picchia e la stupra tutte le notti, si sente rispondere “Non puoi lasciarlo: è tuo marito!” E il delitto d’onore da noi c’era, appunto: ed è esattamente questo a fare tutta la differenza.
Non stanchiamoci, dunque, non stanchiamoci mai di denunciare la drammatica condizione di queste nostre sfortunate sorelle, non nascondiamoci dietro la colossale minchiata del rispetto per tutte le culture, che non è rispetto, ma unicamente vigliaccheria a danno dei più deboli, unicamente una pugnalata in più alla schiena di donne e bambine condannate all’inferno. Se altro non possiamo fare, alziamo almeno la nostra voce.
(PS: i diritti d’autore di questo libro servono a finanziare gli studi di Nojoud, che vuole diventare avvocato per aiutare, come Shada ha fatto con lei, tutte le donne e bambine che ancora si trovano all’inferno)

Nojoud Ali – Io, Nojoud, dieci anni, divorziata – Piemme

barbara