E GLI EBREI, NEL FRATTEMPO

Quando Gregor Samsa si risvegliò una mattina si ritrovò trasformato in un ostaggio a Gaza

È molto lungo, portate pazienza, ma ci sono storie che non possono essere raccontate in quattro righe. E neanche in quattro pagine. Magari leggetelo a rate, ma leggetelo.

Otto mesi senza luce del sole, acqua corrente, cibo e aria, abusati, torturati, costretti a leggere il Corano. Ma per l’Occidente marcio a cui tireranno il collo, gli ebrei rapiti meritano l’inferno

GIULIO MEOTTI, GIU 15, 2024

“Quando Gregor Samsa si risvegliò una mattina da sogni tormentosi si ritrovò nel suo letto trasformato in un insetto gigantesco’. Così inizia ‘La Metamorfosi’ di Franz Kafka, morto questa settimana un secolo fa. La storia sconvolse il mondo civilizzato. Ebbene, 109 anni dopo, sembra che una cosa del genere sia del tutto possibile, dopo tutto. Una mattina, il 7 ottobre 2023, decine di uomini, donne e bambini si sono svegliati nelle loro stanze, nei loro morbidi letti, per scoprire di essere ostaggi, esiliati in una minacciosa zona crepuscolare senza speranza di salvezza all’orizzonte”.
Così una delle più famose scrittrici israeliane, Nitza Ben Dov. “Ma a differenza di Gregor Samsa, non furono trasformati in parassiti giganti, ma trascinati via da questi. Kafka è spietato nella rappresentazione grafica del deterioramento del suo antieroe verso la sua tragica fine. Non conosciamo i dettagli del calvario subito dagli ostaggi. Non abbiamo nessuno scrittore che ce lo descriva con agghiaccianti dettagli kafkiani. La cronaca del loro declino fisico ed emotivo ci è nota solo dalle testimonianze degli ostaggi ritornati e da ciò che la nostra immaginazione è disposta e capace di contemplare”.
Milano, appena un mese dopo il 7 ottobre, a una manifestazione filo palestinese prese la parola un’attivista: “Oggi sono molto contenta, perché pensavano di poter prendere gli ostaggi con la forza. E invece hanno fatto quello volevano i palestinesi. Hanno dovuto fermare i bombardamenti per avere i loro prigionieri di guerra”.
Prigionieri di guerra? Donne, vecchi, bambini.
Delle 251 persone che sono state rapite il 7 ottobre, 7 sono state salvate. Più di 100 sono state rilasciate a novembre in cambio di terroristi palestinesi detenuti in Israele. Almeno un terzo dei 120 prigionieri rimasti a Gaza non sarebbero più vivi.

Una gabbia per ostaggi

Strano destino, quello degli ostaggi israeliani, venticinque dei quali in possesso di un passaporto straniero.
Questa settimana il ministro degli Affari esteri dell’Unione europea, Josep Borrell, ha condannato Israele per il blitz a Nuseirat, nel centro di Gaza, grazie al quale sono stati liberati quattro ostaggi israeliani (Noa Argamani, Almog Meir Jan, Shlomi Ziv e Andrey Kozlov) dopo che per mesi Israele aveva trovato soltanto corpi di ostaggi (morti). Borrell ha attaccato Israele per “un altro massacro di civili”. Il vice ministro degli Esteri norvegese, Andreas Motzfeldt Kravik, ha condannato Israele per quello che ha definito “un altro massacro di civili a Gaza”. E Francesca Albanese, l’inviata dell’Onu per i palestinesi, si è felicitata per gli ostaggi “released”: rilasciati.
Auto bruciate, bagni crivellati di proiettili e oggetti personali abbandonati. A New York una mostra ha portato i resti del massacro del Nova Festival, in cui 360 israeliani sono stati uccisi da Hamas il 7 ottobre e a decine presi in ostaggio. La mostra è stata attaccata dai manifestanti filopalestinesi. Nerdeen Kiswani, un attivista che ha organizzato la protesta, ha scritto che “il festival musicale Nova era un rave vicino a un campo di concentramento”. Quindi i 360 ebrei assassinati erano dei nazisti che meritavano la morte. I filopalestinesi non hanno ucciso nessuno, almeno non ancora. “Lunga vita all’Intifada”, ha esultato la folla fuori dalla mostra, che sorge in un luogo simbolo per New York, dove si ergeva il World Trade Center. I manifestanti hanno cantato “I sionisti non sono ebrei né umani”, uno striscione diceva “Lunga vita al 7 ottobre”. Giovani americani sventolavano le bandiere di Hamas e Hezbollah. Il New York Post ha pubblicato il video di un manifestante mentre urlava che avrebbe voluto che “Hitler fosse ancora qui”. Perché il leader nazista vi avrebbe “spazzato via tutti”. “Vi avrebbe spazzato via tutti”, ripete due volte, a scanso di equivoci. Bravo il sindaco democratico di New York, Eric Adams, che ha pubblicato sui social i volti delle vittime del festival Nova e che ha reso omaggio al memoriale. Potrebbero ispirarsi a lui i sindaci dem in Italia, come quello di Bologna, che invece garriscono con le bandiere palestinesi i loro palazzi comunali.

La casa della direttrice del Museo di Brooklyn, Anne Pasternak

Dunque nelle piazze occidentali si celebra il massacro e il rapimento.
Pochi giorni fa, duecento dipendenti delle istituzioni dell’UE a Bruxelles hanno protestato contro Israele come “Funzionari contro il genocidio”. Nessuno di loro ha chiesto il rilascio degli ostaggi nelle mani di Hamas.
Marcel Fontaine, Marcel Carton, Jean-Paul Kaufmann e Michel Seurat. I giornalisti scandivano, in una litania che finì per imprimersi nella memoria di tutti, il conto alla rovescia dei loro giorni trascorsi in prigionia. Erano “gli ostaggi francesi del Libano”, sociologi, giornalisti, diplomatici, rapiti da Hezbollah, le stesse milizie sciite, ausiliarie dell’Iran dei mullah, contro cui combatte Israele. Il fatto che non siano stati abbandonati al loro destino, né condannati al baratro dell’oblio, ha molto a che fare con l’esito positivo di quella vicenda. La situazione degli ostaggi francesi assurse a una causa europea e l’informazione instillava nell’opinione pubblica la sensazione della prova che stavano sopportando. La campagna mediatica fu impeccabile ed è durata più di due anni consecutivi, giorno dopo giorno, fino alla loro liberazione nel maggio 1988, a eccezione di Seurat, che morì in cattività. Ben diversa la sorte degli ostaggi israeliani.
L’inferno dei 120 ostaggi rimasti in mano a Hamas è scomparso dai nostri media.
Agam Goldstein-Almog è una ragazza israeliana che è stata per due mesi nelle mani di Hamas. A Gaza è stata costretta a indossare un velo completo e un abito lungo, le è stato imposto di guardare sempre a terra, è stata costretta a recitare le preghiere islamiche e i terroristi le hanno dato un nome tratto dal Corano: “Salsabil”. Anche gli ostaggi salvati nell’operazione al Nuseirat di Gaza hanno riferito di essere stati sottoposti a quello che hanno descritto come “lavaggio del cervello”, con i terroristi che li hanno costretti a leggere il Corano e studiare le norme islamiche.
Ad Amit Soussana è andata peggio. Una volta liberata, Amit ha raccontato di essere stata tenuta in ostaggio nella camera da letto di un bambino a Gaza con una catena alla caviglia. Il terrorista di Hamas incaricato di sorvegliarla, “Muhammad”, di tanto in tanto si sedeva accanto a lei sul letto, le sollevava la maglietta e la palpeggiava. Muhammad le chiedeva costantemente del ciclo mestruale, se si era lavata e quando sarebbe finito. Una mattina, Muhammad le slacciò la catena alla caviglia in modo che potesse lavarsi nella vasca da bagno. Poi è tornato con una pistola. “Mi ha puntato la pistola alla fronte”. L’ha trascinata nella stanza del bambino, ricoperta di immagini di SpongeBob. “Poi, con la pistola puntata, mi ha costretto a commettere un atto sessuale”.
Alcuni sono stati rapiti in condizioni di estrema violenza, altri sono stati testimoni del massacro, i bambini sono stati spesso separati dai genitori o hanno assistito alla loro uccisione. Anche la loro alimentazione varia e dipende dalle guardie e dalla loro capacità di procurarsi il cibo, nonché dalla loro volontà di fornirlo ai rapiti. Le donne che erano trattenute con i loro figli davano il loro cibo ai bambini. Le donne anziane detenute per lo più da sole hanno mostrato resilienza quando hanno affrontato i loro rapitori chiedendo loro più cibo. Una di queste donne ha chiesto di ricevere qualcosa di più del semplice riso, due volte al giorno, ed è riuscita a ricevere anche una pita. Non c’è mai stato accesso all’acqua pulita, secondo le testimonianze degli ostaggi rilasciati. Ad alcuni è stata data da bere acqua di pozzo inquinata, causando problemi gastrointestinali, diarrea e vomito. Le condizioni igienico-sanitarie erano pessime, con gruppi di ostaggi costretti a condividere un bagno senza acqua.
Un nutrizionista dello Sheba che li ha in cura ha detto che soffrono di grave malnutrizione e li attende una lunga riabilitazione. “Hanno mangiato un decimo di quello che dovrebbero mangiare”. Mittal Binyamin, nutrizionista clinico dello Sheba Hospital di Tel Hashomer che li ha in cura, ha spiegato in un’intervista a Walla: “Ciò che accade al corpo in una situazione del genere è che deve abbattere le riserve disponibili, i muscoli. Quando sono tornati, erano molto impoveriti in termini di muscoli. Nel corpo non erano rimasti muscoli, solo pelle flaccida; tutto era andato. Le conseguenze di ciò potrebbero essere danni agli organi interni; è probabile che se fossero stati più a lungo ostaggio, avremmo visto più lesioni, ad esempio, al muscolo cardiaco e, dal punto di vista neurologico”.
“Siamo tornati ai tempi delle liste degli ebrei” scrive sul Point Alain Jakubowicz. “Alla fine, chi decide? Chi stila le liste? Chi dà il pollice in su o il pollice giù, chi rilascia salvacondotti e permessi di soggiorno? Coloro che hanno seminato morte”.
L’esercito ha trovato i disegni realizzati da Emilia Aloni, di sei anni, liberata nel primo scambio. E cinque celle a forma di gabbia dove sono stati tenuti fino a venti ostaggi per volta, con mancanza di ossigeno e terribile umidità. Noa Argamani era tenuta in ostaggio da un giornalista, da suo padre medico e dal resto della famiglia (tutti uccisi durante l’operazione di salvataggio). Abdullah Al Jamal pubblicava articoli quotidiani in inglese su Palestine Chronicle e Al Jazeera. I quattro ostaggi salvati da Gaza si trovano in condizioni fisiche e psicologiche peggiori di quanto inizialmente creduto. Il Wall Street Journal ha riferito che tre dei quattro ostaggi salvati dall’esercito israeliano erano stati chiusi in bagno e avvolti in coperte quando faceva caldo durante la loro prigionia a Gaza. La Cnn ha riportato la valutazione di uno dei medici che avevano in cura i quattro, il dottor Itai Pessah dello Sheba Medical Center, secondo cui erano stati picchiati e soffrivano di malnutrizione. “Non avevano proteine, quindi i loro muscoli sono estremamente deperibili. A causa di ciò ci sono danni ad alcuni altri sistemi”, ha detto Pessah, aggiungendo che “ci sono stati periodi in cui non ricevevano quasi alcun cibo”. Shlomi Ziv ha detto che i suoi rapitori gli hanno fatto leggere il Corano e pregare ogni giorno. Il padre di Almog Meir Jan, uno dei quattro ostaggi liberati nel blitz, è stato intanto trovato morto nella sua casa poche ore prima che potesse riabbracciare il figlio liberato nel blitz. Il suo cuore non ha retto.
Pessah, direttore dell’ospedale pediatrico Edmond e Lily Safra presso lo Sheba Medical Center, fuori Tel Aviv, il cui team ha esaminato molti ostaggi liberati, racconta: “Abbiamo sentito e visto prove di abusi sessuali in una parte significativa delle persone che abbiamo trattato. Abbiamo sentito prove – e quella è stata una delle parti più difficili – di abusi contro coloro che sono ancora lì, sia fisico che sessuale”. Pessah ha anche affermato che gli ostaggi sono stati sottoposti a torture psicologiche (come sentirsi dire che Israele non esiste più). “Quello che mi ha veramente colpito è quanto fossero preparati i terroristi di Hamas riguardo al loro tormento psicologico. Era strutturato e pianificato in anticipo. Dicono costantemente: ‘Nessuno si preoccupa per te. Sei qui da solo. Senti le bombe cadere? A loro non importa di te. Siamo qui per proteggerti’. E questo ha davvero giocato con le loro menti. Ci sono stati alcuni episodi in cui hanno separato due membri della famiglia, e poi li hanno rimessi insieme, poi li hanno separati, poi li hanno rimessi insieme”. La Croce Rossa internazionale in otto mesi non è mai riuscita a fare loro visita [non è mai riuscita o non ha mai voluto?]. “Sono stati tutti maltrattati, puniti e torturati fisicamente e psicologicamente in molti modi” ha detto Pessah al New York Times.
Moran Stella Yanay ha raccontato: “Mi sono immaginata come la donna ebrea che gioca con i tedeschi per procurarsi il cibo. Giocavo a carte con loro e parlavo, cercando di farli ridere, così ottenevamo il più possibile e soffrivamo il meno possibile. Ma a un certo punto è subentrata un’amara realtà. Una volta eravamo tutti seduti nella stessa stanza a giocare a carte e tutti ridevano. Probabilmente ho detto qualcosa, qualunque cosa fosse, ho fatto qualcosa che non era accettabile per loro, l’ho fatto per scherzo, il terrorista non ha capito, quindi è uscito dalla stanza, tutti hanno smesso di ridere. È tornato con una pistola e me l’ha puntata alla testa. Ha detto che se lo avessi fatto di nuovo, mi avrebbe sparato alla testa”. Sei mesi dopo il suo rilascio, Moran ha condiviso la sua esperienza di prigionia di Hamas con il Washington Post, raccontando il terrore del rapimento, la crudeltà dei rapitori e il prezzo di questo calvario sulla sua mente e sul suo corpo. “Benvenuta a Gaza”, le ha detto il leader del gruppo che l’aveva rapitaa. Le sue guardie hanno detto che la sua famiglia si era dimenticata di lei, che non c’era nessun paese in cui potesse tornare e che i vicini l’avrebbero uccisa se avesse fatto troppo rumore. Quando è stata rilasciata aveva perso 17 chili.
Il padre di Emily Hand, che ha il doppio passaporto irlandese e israeliano, ha raccontato che sua figlia parla solo a bassa voce dopo che le è stato ordinato di rimanere in silenzio durante la prigionia. Emily ha solo nove anni. Era stata rapita mentre dormiva nel kibbutz Be’eri insieme alla sua amica Hila. Erano chiuse in una stanza con altri ostaggi. A terra c’erano dei materassi. Potevano andare solo in bagno. Mancava l’acqua, per cui tutti i bisogni fisici rimanevano lì. Ogni quattro, cinque giorni portavano un secchio colmo e lo versavano nel water e, a turno, a uno degli ostaggi toccava pulire. Per lavarsi usavano asciugamani bagnati in un pentolino riscaldato con una stufetta a gas. “La maggior parte degli ostaggi israeliani che sono stati rilasciati a novembre ha subito abusi fisici e mentali molto gravi”, ha denunciato la responsabile del reparto di psichiatria del centro medico Ichilov di Tel Aviv, Renana Eitan. I più piccoli sono stati drogati dai loro rapitori, ketamina e benzodiazepine. Una donna è stata tenuta sottoterra, durante il periodo nelle mani di Hamas, nella più completa oscurità. “È diventata psicotica, ha iniziato ad avere allucinazioni, che di solito si verificano quando si privano le persone di tutti i sensi normali. Altre due donne sono state tenute in una gabbia di un metro per un metro e mezzo”.
Aviva Siegel, la madre di Shir, che è stata tenuta prigioniera a Gaza dal 7 ottobre alla fine di novembre e il cui marito Keith è ancora in ostaggio, ha raccontato: “I terroristi hanno portato loro abiti per bambole e le hanno trasformate nelle loro bambole.  Fantocci con i quali si poteva fare quanto si voleva, quando si voleva”.
Quante di loro torneranno incinte? La raccapricciante testimonianza è stata confermata da Chen Goldstein Almog: “Ci sono molte ragazze che non hanno avuto il ciclo. Forse per questo dovremmo pregare, perché il corpo in qualche modo le protegga in modo che, Dio non voglia, non rimangano incinte”. Hamas di tanto in tanto ha diffuso video degli ostaggi, compreso uno del 23enne israelo-americano Hersh Goldberg-Polin, mutilato della mano sinistra.
Un veterinario di Gaza ha eseguito un intervento chirurgico su un ostaggio francese-israeliana mentre era tenuta prigioniera da Hamas, ha rivelato la zia. Vivian Hadar dopo il rilascio della nipote Mia Shem ha raccontato: “Un veterinario le ha operato il braccio”. Mia era apparsa in un video di propaganda di Hamas in cui diceva: “Si prendono cura di me, mi danno medicine, va tutto bene”.
Il primo rapimento di Hamas risale al 1994. All’epoca il movimento riuscì a rapire un soldato israeliano, Nachson Wachsman, in un villaggio nel centro di Israele. Venne ucciso dai suoi rapitori pochi giorni dopo, durante il raid effettuato dall’esercito per cercare di liberarlo. All’epoca Israele applicava la cosiddetta “dottrina di Annibale”, dal nome del generale cartaginese che preferì prendere il veleno piuttosto che arrendersi ai romani. Si intendeva evitare “a tutti i costi” che un soldato cadesse nelle mani del nemico, anche se ciò significa compiere operazioni che potrebbero ferirlo o metterlo in pericolo. La morte di Nachson Wachsman sconvolse l’opinione pubblica israeliana. Esattamente l’effetto ricercato da Hamas.
Dodici anni dopo, nel 2006, il movimento terroristico regnava sulla Striscia di Gaza, evacuata dagli israeliani, quando riuscì a sequestrare il caporale Gilad Shalit. Seguirono cinque anni di negoziati durante i quali Hamas alzò la posta. Essendo tutte fallite le operazioni militari per liberare il soldato, Israele fu costretto a negoziare attraverso Egitto e Turchia. E si ricorda un film di animazione di Hamas in cui Noam Shalit – il padre del soldato per cinque anni nelle mani di Hamas – invecchia nella vana speranza di rivedere il figlio. Nel filmato si succedono i primi ministri in Israele, ma la posizione di Hamas resta invariata e il vecchio padre, ormai ricurvo e canuto, perde ormai ogni speranza. Hamas fece anche sapere che Shalit “ora osserva il digiuno del Ramadan”. Come i due giornalisti americani della Fox News rapiti da Hamas a Gaza, Steve Centanni e Olaf Wii, rilasciati dopo che i terroristi hanno diffuso un video in cui Centanni e Wiig si sono mostrati abbigliati secondo la tradizione islamica e hanno rivelato di aver abbracciato la fede di Allah. Centanni ha detto: “Adesso mi chiamo Khaled. Ora credo nell’Islam e dico la parola: Allah”. Wiig ha attaccato quei dirigenti occidentali che vedono nei musulmani radicali dei “terroristi”. Quei dirigenti occidentali “dovrebbero ricredersi, per il bene della pace”. Un portavoce di Hamas ha detto alla stampa che la loro conversione è stata spontanea. “E’ stata un vero dono di Dio”, ha esclamato con una punta di commozione.
In diversi casi, le famiglie palestinesi hanno tenuto degli ostaggi nelle loro case. Mia Schem ha detto di essere trattenuta da una famiglia a Gaza. “Intere famiglie sono al servizio di Hamas”, ha detto a Canale 13. Anche Avigail Idan, la bambina israeliana americana di quattro anni i cui genitori sono stati assassinati, è stata trattenuta nelle case di diverse famiglie palestinesi. Quando il russo-israeliano Roni Krivoi è riuscito a sfuggire ai suoi rapitori durante un raid aereo israeliano, si nascose da solo per diversi giorni prima di essere scoperto dai civili di Gaza, che lo restituirono a Hamas.
“Grazie alla Repubblica federale tedesca…”. Il cadavere di Shani Louk – la ragazza simbolo del 7 ottobre – è stato trovato in un tunnel, all’apparenza normale, uno dei tanti di Hamas. Se non fosse che è all’interno di un palazzo dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu. E costruito con i soldi dei contribuenti tedeschi ed europei. La nostra dhimmitudine l’hanno pagata (cara) 1.200 ebrei israeliani.
Un ex funzionario dell’esercito americano ha avanzato l’ipotesi che il leader di Hamas Yahya Sinwar sia circondato da un gruppo di ostaggi, usandoli come scudi umani per salvaguardare se stesso e la sua famiglia. Il generale Jack Keane, ex vice capo di stato maggiore dell’esercito americano, ha citato fonti interne secondo cui Sinwar ha 15-20 ostaggi che circondano lui e la sua famiglia nei tunnel di Gaza.
A Londra e ad Amsterdam intanto società pubblicitarie hanno rimosso i cartelloni pubblicitari che mostravano gli ostaggi israeliani presi dai terroristi di Hamas il 7 ottobre, dopo proteste e minacce. La società inglese London Lites aveva firmato un accordo per far sì che i cartelloni pubblicitari fossero esposti in tutta la capitale inglese. Ma i cartelloni sono stati rimossi dopo sei giorni a causa di “un volume insolito di denunce da parte del pubblico”, nonché di minacce personali rivolte al personale dell’azienda.
E i volti degli ostaggi sono stati strappati dalle città occidentali, dai campus, dalle metropolitane. Dal 7 ottobre sono stati pubblicati migliaia di video di studenti, semplici passanti, attivisti, che rimuovevano i manifesti coi volti degli ostaggi. Nessun attore si è fatto carico della loro prigionia. Soltanto a Londra, metà dei poster strappati in 48 ore.
“Ho detto a Sinwar: ‘Dimmi, vale la pena che diecimila persone innocenti muoiano per liberare cento prigionieri?’. La risposta è stata: ‘Ne vale la pena anche se fossero centomila’”. Questa conversazione fra il capo di Hamas a Gaza Yahya Sinwar e Yuval Bitton, a lungo capo dell’intelligence israeliana nelle carceri, risale al 2011. Ora il Wall Street Journal rivela i messaggi che Sinwar ha mandato ai capi di Hamas all’estero durante la guerra a Gaza. Ed emerge una diabolica strategia del sacrificio umano. Per mesi, Sinwar ha resistito alle pressioni per un accordo di cessate il fuoco e di rilascio degli ostaggi. Dietro la sua decisione, come mostrano i messaggi che Sinwar ha inviato ai mediatori, c’è il calcolo che più morti civili palestinesi ci sono, più la causa ha da guadagnarci. “Abbiamo gli israeliani proprio dove li vogliamo”, ha detto Sinwar in un messaggio ai funzionari di Hamas. Sinwar ha citato le perdite civili in Algeria, dove centinaia di migliaia di persone sono morte combattendo per l’indipendenza dalla Francia, dicendo: “Questi sono sacrifici necessari”. In una lettera dell’11 aprile al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, dopo che tre figli di Haniyeh erano stati uccisi in un attacco israeliano, Sinwar ha scritto che la loro morte e quella di altri palestinesi avrebbero “infuso la vita nelle vene di questa nazione, spingendola a risorgere”. “Abbiamo bisogno del sangue di donne, bambini e anziani palestinesi, per la nostra lotta” disse già subito dopo il 7 ottobre il leader di Hamas a Doha, Ismail Haniyeh. Hamas potrebbe anche perdere la guerra con Israele, ma al costo di un’occupazione israeliana di oltre due milioni di palestinesi. “Per Netanyahu, una vittoria sarebbe anche peggio di una sconfitta”, ha detto Sinwar. “Facciamo notizia solo con il sangue. Niente sangue, nessuna notizia”.
Mercanti di sangue. E così il popolo che scavava tunnel per sfuggire agli squadroni della morte nazisti oggi si ritrova con oltre cento dei suoi nei tunnel islamisti.
“I terroristi palestinesi di Hamas hanno commesso un massacro inimmaginabile. Si sono filmati come eroi e celebrato il loro bagno di sangue. I festeggiamenti per la vittoria sono proseguiti a Gaza, dove i terroristi hanno trascinato ostaggi gravemente maltrattati e li hanno presentati come bottino di guerra alla popolazione palestinese esultante. Questa macabra esultanza si è estesa fino a Berlino, dove si ballava per le strade e distribuivano dolci. Internet era pieno di commenti felici”.
Il premio Nobel per la letteratura Herta Müller ha scritto il più sensazionale atto d’accusa contro il 7 ottobre sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Scrittrice, poetessa e saggista nota per la descrizione della vita sotto il regime comunista di Ceausescu, da cui nel 1987 fuggì insieme al marito dopo essere stata licenziata perché si era rifiutata di collaborare con la Securitate, la famigerata polizia segreta del regime, Müller parla del massacro di Hamas come di “un totale deragliamento dalla civiltà”. “C’è un orrore arcaico in questa sete di sangue che non credevo più possibile ai giorni nostri” avverte Müller. “Questo massacro ha lo schema dello sterminio attraverso i pogrom, schema che gli ebrei conoscono da secoli. Lo sterminio degli ebrei e la distruzione di Israele continuano a essere l’obiettivo e il desiderio di Hamas. Anche nella Repubblica islamica dell’Iran, lo sterminio degli ebrei è una dottrina di stato sin dalla sua fondazione nel 1979”. Non infinge, Müller. “Islam politico significa disprezzo per l’umanità, fustigazione pubblica, condanne a morte ed esecuzioni in nome di Dio. L’Iran è ossessionato dalla guerra, ma allo stesso tempo finge di non costruire armi nucleari. Il fondatore della teocrazia, l’ayatollah Khomeini, ha emesso un decreto religioso, una fatwa, secondo cui le armi nucleari non sono islamiche”. La scrittrice attacca i capi di Hamas. “La popolazione di Gaza è deliberatamente tenuta in povertà, mentre le ricchezze dei dirigenti di Hamas aumentano a dismisura (in Qatar, Ismail Haniye si dice abbia miliardi). E il disprezzo per l’umanità è senza limiti. Alla popolazione non resta nulla se non il martirio. A Gaza non c’è letteralmente un centimetro di spazio per le opinioni dissenzienti all’interno della politica palestinese”. Hamas ha costruito una rete di tunnel sotto i palestinesi. “Anche tra gli ospedali, le scuole, gli asili finanziati dalla comunità internazionale. Gaza è una caserma militare, uno deep state di odio ebraico. Senza soluzione di continuità, eppure invisibile. C’è un detto in Iran: Israele ha bisogno delle sue armi per proteggere il suo popolo. E Hamas ha bisogno del suo popolo per proteggere le sue armi”. Dal 7 ottobre, Müller ha pensato a un libro sull’era nazista, “Uomini comuni” di Christopher Browning [letto: impressionante e istruttivo. Lo consiglio a tutti]. Descrive lo sterminio dei villaggi ebraici in Polonia da parte del Battaglione 110, quando ancora non esistevano le grandi camere a gas e i crematori di Auschwitz. “Era come la sete di sangue dei terroristi di Hamas al festival della musica e nei kibbutzim” spiega Müller. “In un solo giorno del luglio 1942, i 1.500 residenti ebrei del villaggio di Józefów furono massacrati. I bambini e i neonati furono fucilati davanti alle case, gli anziani e i malati uccisi nei loro letti. Tutti gli altri furono condotti nella foresta, dovettero spogliarsi e strisciare nudi per terra. Furono derisi e torturati, fucilati e lasciati a terra in una foresta insanguinato”. “Uomini comuni” si intitola così perché il battaglione non era composto da uomini delle SS o da soldati della Wehrmacht, ma da civili che non erano più considerati soldati perché troppo vecchi [e parecchi di loro non erano neppure iscritti al partito]. “Quindi provenivano da lavori normali e si trasformarono in mostri. Solo nel 1962 iniziò un processo su questo crimine di guerra. Il sadismo si spinse a tal punto che un capitano appena sposato portò la moglie ai massacri per festeggiare la loro luna di miele. Perché la sete di sangue continuava in altri villaggi. E la donna, indossando l’abito da sposa bianco che aveva portato con sé, passeggiava tra gli ebrei che venivano radunati nella piazza del mercato. Non era l’unica moglie autorizzata a far loro visita. Possiamo pensare ai massacri del 7 ottobre? Io credo di sì. Perché Hamas ha voluto evocare la memoria della Shoah. E voleva dimostrare che lo stato di Israele non è più una garanzia per la sopravvivenza degli ebrei. Che il loro stato è un miraggio che non li salverà”. Un pudore vieta di abusare della parola Shoah. “Ma perché non dovremmo usarla quando si ritiene che sia impossibile evitare il parallelismo? E quello che mi viene in mente e mi ricorda di nuovo i nazisti: il triangolo rosso della bandiera palestinese. Nei campi di concentramento era il simbolo dei prigionieri comunisti. E oggi? Lo si può vedere nei video di Hamas e sulle facciate delle case a Berlino. Nei video è usato come un invito a uccidere. E segna gli obiettivi sulle facciate delle case che devono essere attaccate”. Müller attacca gli studenti che occupano le università per Gaza. “Sono inorridita dal fatto che giovani e studenti in occidente siano così confusi da non essere più consapevoli della loro libertà. Sembrano aver perso la capacità di distinguere tra democrazia e dittatura. È assurdo che omosessuali e queer manifestino per Hamas, come hanno fatto a Berlino. Non è un segreto che non solo Hamas, ma l’intera cultura palestinese disprezzi e punisca le persone Lgbt. Anche solo una bandiera arcobaleno a Gaza è inimmaginabile. L’elenco delle sanzioni previste da Hamas per i gay va da almeno cento frustate alla condanna a morte. Mi chiedo anche se gli studenti di molte università americane sappiano cosa stanno facendo quando manifestano al grido di: ‘Noi siamo Hamas’, o anche ‘L’amato Hamas bombarda Tel Aviv’, o ‘Torniamo al 1948’. Ed è infame quando il 7 ottobre viene addirittura interpretato come una messa in scena di Israele. O se non si chiede una parola per la liberazione degli ostaggi. Se invece la guerra di Israele a Gaza viene dipinta come una guerra arbitraria di conquista e annientamento da parte di una potenza coloniale. E mi chiedo perché non si preoccupino del fatto che Hamas non avrebbe permesso nemmeno la più piccola manifestazione per i diritti delle donne. E che il 7 ottobre le donne stuprate sono state fatte sfilare come bottino di guerra. Celebrano la propria stupidità senza limiti come un collettivo con la coscienza pulita”. Ci si chiede cosa si insegnasse nelle università. “Mi sembra che dal 7 ottobre l’antisemitismo si sia diffuso come un grande schiocco di dita collettivo, come se Hamas fosse l’influencer e gli studenti i seguaci”. Hamas è sordo e cieco alle sofferenze del suo popolo. “Perché altrimenti bombarda il valico di frontiera di Kerem Shalom, da cui arriva la maggior parte degli aiuti? Non una sola parola di compassione per la popolazione di Gaza è stata udita dai signori Sinwar e Haniyeh. E invece di un desiderio di pace, solo richieste massime che sanno che Israele non può soddisfare. Hamas scommette sulla guerra permanente con Israele. Sarebbe la migliore garanzia per la loro esistenza. Hamas spera di isolare Israele a livello internazionale, a qualunque costo”. Nel romanzo “Doctor Faustus” di Thomas Mann si dice che il nazionalsocialismo “ha reso intollerabile tutto ciò che è tedesco nel mondo”. Ho l’impressione, scrive Müller, che la strategia di Hamas e dei suoi sostenitori sia quella di rendere tutto ciò che è israeliano, e quindi tutto ciò che è ebraico, intollerabile al mondo. “Hamas vuole mantenere l’antisemitismo come umore globale. Per questo vuole reinterpretare la Shoah. Anche la persecuzione nazista e la fuga salvifica in Palestina dovrebbero essere messe in discussione. E infine il diritto all’esistenza di Israele. Questa manipolazione si spinge fino a sostenere che la commemorazione tedesca dell’Olocausto serve solo come arma culturale per legittimare il ‘progetto di insediamento’ bianco-occidentale di Israele. Con tutti questi costrutti sovrapposti, Israele non dovrebbe più essere visto come l’unica democrazia del medio oriente, ma come uno stato modello colonialista. E come un eterno aggressore contro il quale è giustificato un odio cieco. E persino il desiderio della sua distruzione”. Quando il poeta (rumeno come Herta Müller) Paul Celan visitò Israele nel 1969, Yehuda Amichai tradusse le poesie di Celan e le lesse in ebraico. “Due sopravvissuti si sono incontrati in Israele dopo la Shoah” conclude Müller. “Amichai si chiamava Ludwig Pfeuffer quando i suoi genitori fuggirono da Würzburg. La visita in Israele scosse Celan. Incontrò i compagni di scuola di Czernowitz, in Romania, che, a differenza dei suoi genitori assassinati, erano riusciti a fuggire in Palestina. Dopo la visita e poco prima di morire nella Senna, Celan scrisse ad Amichai: ‘Caro Yehuda, permettimi di ripetere la parola che mi è venuta spontaneamente alle labbra conversando con te: non posso immaginare il mondo senza Israele; non voglio immaginare il mondo senza Israele’”.
Se solo la malattia impedì (o permise) al grandissimo scrittore praghese di non finire in una camera a gas, altrettanto non accadde alle sorelle di Franz Kafka: Ottla, la sorella più cara, fu gassata ad Auschwitz; Gabriela e Valerie furono deportate dai nazisti nel ghetto di Lodz e uccise nei camion a gas del campo di sterminio di Chelmno. Anche la scrittrice Milena, una delle donne amate da Kafka alla quale dedicò Le Lettere, è morta nel campo di concentramento di Ravensbrück. E Julie Wohryzek, l’altra sua fidanzata, è stata uccisa ad Auschwitz.
E pochi sanno che alla fine della sua vita, Kafka e Dora Diamant, una giovane insegnante polacca, ebrea chassidica, sognavano di trasferirsi in Israele e di aprire un ristorante a Tel Aviv, dove si era già trasferito il suo amico, Max Brod.
Oggi in uno di quei tunnel islamici avrebbe potuto esserci uno dei nipoti di Kafka se fosse riuscito a realizzare il suo sogno con Dora e una delle sorelle dello scrittore avrebbe potuto trovarsi tra i sopravvissuti alla Shoah sfollati a nord sotto i missili di Hezbollah.
La storia non finisce (davvero) mai. Spesso finisce in fondo a un tunnel che sbuca in una di quelle piazze dell’Occidente a cui tireranno il collo.

Poi nel blog di Porro leggi un’infinità di commenti che spiegano che Noa l’abbiamo vista in perfetta salute, florida, ingrassata di 5 chili – sì, l’hanno pesata prima e dopo, quindi hanno i dati precisi. Possano affogare tutti nel vomito che scaricano sugli ebrei – sì, gli israeliani sono troppo pochi per potersene accontentare, ora gli servono tutti gli ebrei.

barbara

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