DONNE

Femministe? Mituiste? Nonunadimenoiste? Odiareticostaiste? Luteroèmioemelogestiscoioiste? No: donne.

SARAH IDAN

L’abbiamo conosciuta per lo scandalo che ha creato in patria quando, come miss Iraq, si è fatta fotografare vicino a miss Israele. In conseguenza di questo crimine è stata costretta a lasciare per sempre l’Iraq, e anche all’estero è inseguita dalle minacce di morte. Ora è in Israele a far visita al kibbutz di Kfar Aza, per testimoniare la sua solidarietà e il suo amore per Israele (qui)

HODA JANNAT

È una blogger araba, che ha spiegato un paio di cose su twitter

1. Improvvisamente abbiamo scoperto che Gaza, abitata da 2 milioni di persone… ha 36 ospedali”, ha scritto Jannat. “Ci sono Paesi arabi con 30 milioni di cittadini e non hanno questo numero di ospedali.
2. Improvvisamente abbiamo scoperto che Gaza riceveva acqua, elettricità, gas e carburante gratuitamente da Israele. Naturalmente non c’è cittadino arabo che paghi le bollette dell’acqua, dell’elettricità e del carburante.
3. All’improvviso abbiamo scoperto che Gaza riceveva 30 milioni di dollari al mese solo dal Qatar, 120 milioni di dollari al mese dall’UNRWA, 50 milioni di dollari al mese dall’Unione Europea e 30 milioni di dollari al mese dall’America. Ci sono paesi arabi sommersi dai debiti e non riescono a trovare nessuno che li aiuti, nemmeno con un milione di dollari.
4. All’improvviso abbiamo scoperto che Gaza non era assediata e vi entravano tutte le merci, così come gli stranieri e le persone di nazionalità straniera. I suoi residenti viaggiavano verso l’Egitto e da lì verso il resto del mondo.
5. All’improvviso abbiamo scoperto che Gaza viveva meglio di molti paesi arabi… e la sua gente viveva meglio di molti popoli arabi.
6. All’improvviso… abbiamo scoperto che le nostre menti erano assediate da una menzogna programmata… dai media della Fratellanza (musulmana).”
7. All’improvviso abbiamo scoperto che i bambini a Gaza non sono bambini come siamo soliti pensare, ma figli di terroristi armati di mitragliatrici e cinture suicide che hanno ricevuto un addestramento speciale da Hamas.
8. All’improvviso abbiamo scoperto che le scuole, gli ospedali e le moschee di Gaza sono quartier generali organizzati del terrorismo e magazzini di munizioni con tunnel sotterranei di Hamas.
9. All’improvviso abbiamo scoperto che a Gaza esiste una “metropolitana” sotterranea di Hamas che si estende per 500 km, che Israele non può che invidiare.
10. All’improvviso abbiamo scoperto che i presunti medici e insegnanti di Gaza si sono rivelati attivi terroristi di Hamas.
11. All’improvviso abbiamo scoperto che razzi e mortai sono tenuti nelle stanze dei bambini nelle case di Gaza.
12. All’improvviso abbiamo scoperto che Hitler e il suo libro “Mein Kampf” erano molto popolari a Gaza, e la sua traduzione in arabo era in quasi ogni casa di Gaza, o un ritratto dell’autore.
13. All’improvviso abbiamo scoperto che gli abitanti di Gaza vivono una vita di lusso, con ville a più piani con piscine e auto tedesche premium.
14. All’improvviso abbiamo scoperto che non c’è alcun assedio israeliano su Gaza perché confina ancora con la sua sorella musulmana, l’Egitto.
15. All’improvviso abbiamo scoperto che la maggior parte dei “cittadini” di Gaza sostengono Hamas e altri gruppi terroristici, hanno eletto Hamas in elezioni democratiche e hanno celebrato il massacro del 7 ottobre.
16. All’improvviso abbiamo scoperto che quelli che vengono chiamati giornalisti a Gaza che lavorano per i media occidentali come CNN, AP, Reuters e altri si sono rivelati terroristi di Hamas che hanno partecipato al massacro del 7 ottobre.
17. All’improvviso abbiamo scoperto che quelli che vengono chiamati “attivisti per la pace” e “lavoratori delle organizzazioni internazionali per i diritti umani” delle Nazioni Unite, della Croce Rossa e dell’OMS, si sono rivelati terroristi e persone corrotte di Hamas.
18. All’improvviso abbiamo scoperto che ciascuno dei leader di Hamas è miliardario e più ricco del presidente Trump, con un patrimonio netto di 4-5 miliardi di dollari ciascuno. Jannat ha anche pubblicato un video di una gastronomia di Gaza piena di carne prima dell’attuale guerra e ha scritto che “Ci sono arabi nei paesi arabi che mangiano carne una volta all’anno, come il popolo algerino”. (Qui)

Speriamo che sia prudente e che la fortuna l’assista.

ROYA HESHMATI

Donne, appunto (e al primo che si azzarda a dire donne con le palle disintegro le sue a forza di calci).

barbara

UNA VITA DI MERDA È MEGLIO DI NESSUNA VITA

No, non è una di quelle perline di saggezza alla Gramellini che qualcuno ogni tanto ama citare per sentirsi filosofo: è unaffermazione di uno – abbastanza giovane da poter essere mio figlio – a cui la vita di merda è capitata addosso. Piombata addosso, per meglio dire. Ed è proprio di merda tanto, ma essendo l’unica che ha, ha trovato il modo di farsela bastare. E di goderne tutti i frutti che ancora gli può dare. E di tenersela stretta, fin che può, il più possibile, perché sì, una vita di merda, dopotutto, è pur sempre meglio di nessuna vita.

«Una vita di merda è meglio di nessuna vita»

2 giugno 2023/in Colloqui

Era il John Belushi della Laguna. È un astronauta, il Neil Armstrong della parola. Fatte le debite proporzioni. Qui, di sproporzionato c’è innanzitutto la Sindrome laterale amiotrofica (Sla) che l’ha colpito dieci anni fa. E ci sono gli strumenti di cui, a volte, disponiamo per raccontare i fatti. In questo caso, la storia di Dario Meneghetti, classe 1970, ex tenore del Teatro La Fenice, poeta, ora immobile nel letto ma mobilissimo di pensiero. Tanto da fargli scrivere, con l’aiuto di Bruna Graziani, editor e direttrice del Festival «CartaCarbone» di Treviso, Una pinta di nuvole (Ronzani), autobiografia di oltre 500 pagine, struggente ed esilarante ad un tempo perché toccata da una prosa magmatica, contaminata da influssi dialettali, personalissima. Nell’attrezzatissima camera di una semplice abitazione di San Donà di Piave, entroterra veneziano, la tastiera del computer attivata dal puntatore ottico con cui legge, scrive e chatta è la consolle della navicella spaziale. Una postazione sul confine dell’esistenza. Tra una parete stipata di farmaci, un’altra occupata dal megatelevisore, la terza dalle finestre sulla strada e la quarta dal disegno di una nuvola sulla quale è adagiato un giovane sognatore, si muovono rapide ma senza sdolcinature la madre Mara, la sorella Giulia, il badante Javed e la stessa Bruna. Qui, per rendere il suo stato d’attesa di un badante in una notte in cui anche il pc si era spento, Meneghetti scrive: «Non c’è altro da fare che sperare e aspettare cercando di non esistere… Sono il profumo dei fiori secchi…».

Questa è la sua prima intervista. Dopo qualche minuto di conoscenza, abbozzo le prime domande. Le risposte, lette da Bruna, arrivano lente, essenziali.

Com’è la sua giornata tipo?
È un continuo adeguarsi a quello che mi lascia la malattia. Poi, risolto il gioco a perdere, evado nei pianeti, trascendendo la quotidianità.
La scrittura è il pianeta più accogliente?
È un rifugio extra-dimensionale in cui accamparmi fuori dalla portata della malattia.
Quando scrive? Ci sono momenti più favorevoli?
Scrivo in qualsiasi momento. A mente libera. Almeno due libri li ho costruiti in cesso, restandoci almeno tre ore… Facevo colazione e pranzo al bagno perché gli spostamenti avanti e indietro erano troppo faticosi. Ma ne uscivo con un paio di poesie.
Zero romanticismi sui posti dell’ispirazione.
A volte la creatività si giova delle costrizioni.
In questa sua scrittura è rimasta la tempra da ragazzo alla John Belushi?
(Ride) Sì, assolutamente. È una parte fondamentale della mia esistenza.
L’irriverenza?
Mi è congenita. [Confermo: lo seguo da quasi vent’anni, fin dai tempi eroici del Cannocchiale]
Quando ha scoperto di avere anche il dono della scrittura oltre a quello della voce?
Con la voce è stato facile, con la scrittura è stato un percorso intermittente e sempre legato allo stile «imbranauta» (da Limbranauta, fanzine creata negli anni Novanta ndr), termine coniato da me e dalla conventicola dei miei amici, quand’eravamo ragazzi. Con i quali passavamo intere giornate a scrivere su qualsiasi pezzo di carta ci capitasse tra le mani, poesie, frasi, disegni, battute… È il gusto di scrivere scoccando frecce per scardinare i consueti punti di vista e mettere il naso fuori dalla nostra prigione.
Nasce dal suo temperamento, dalle esperienze giovanili, da un certo spirito indomito?
Nasce dal gusto per l’assurdo e dall’ossessione per la parola adatta. Il contrappunto stilistico è un canone, uno slogaritmo linguistico dettato dal mio temperamento e dalle mie esperienze, tutte. Solo che adesso scrivo da sobrio, e questa è sicuramente la svolta più clamorosa.
Ascolta ancora molta musica?
Sì, dalla classica al rap, quello degli anni Novanta. Invece il rock no.
Come mai?
Un po’ mi annoia.
L’interprete preferita?
Édith Piaf.
È citata anche nel libro, a proposito dei finali calanti.
Nei finali è sempre in sotto tonalità e sotto sforzo. Però ci sta.
Nella poesia Deserto scrive: «Insegnami tu a pregare/… Insegnami ad amare/ Imparerò a pregare». Chi è questo tu? Non pensa che rivolgersi a un tu sia già in qualche modo pregare?
È un tu ipotetico. Semanticamente è una preghiera. Chi è questo tu lo decide chi legge.
È un’entità trascendente o una persona in carne e ossa?.
Non è una persona in carne e ossa. È un’invocazione, un richiamo.
Ha pubblicato cinque libri di poesie senza cedere agli «smottamenti autocommiserevoli», mentre «altri poeti e scrittori hanno fatto bandiera della loro condizione». Perché non vuole una critica compassionevole?
Non m’interessa. Io non sono la mia malattia. Inoltre, l’autoironia non me lo permette. Mi fa miseria e non è onesto.
Cedere al vittimismo?
Sì. Ci sono troppe sfumature da vivere oltre l’oltraggio.
L’oltraggio della malattia?
Sì.
Quando ha avuto la prima percezione che qualcosa non andava?
Il dubbio l’ho avuto varie volte. Una delle prime è stato quando non potevo accendermi una sigaretta perché non riuscivo a far girare la ruotina del Bic. Poi feci una sorta di autodiagnosi dopo una prova di coro e dissi a un collega che c’era qualcosa di neurologico… Ero preoccupato, ma non pensavo a un male tanto terribile. La davo come una grave seccatura, però risolvibile.
Qual è stato il primo pensiero quando le hanno detto di cosa si trattava?
È successo all’ospedale di Portogruaro. È stato come un incidente, dopo il quale non ti rendi conto di quello che ti è successo e continui a vagare senza sapere dove andare. L’unica cosa che sono riuscito a chiedere alla dottoressa è quanto mi rimaneva da vivere. «Due anni», mi disse. Ed eccomi ancora qua.
«Una vita di merda è sempre meglio di nessuna vita»: lo scrive a pagina 403, ne è sempre convinto?
(Sorride) Sì. Si può fare di tutto stando fermi. Come Churchill col sigaro e il brandy sul divano.
Astraendosi dalla propria condizione?
La capacità di astrarsi diventa un automatismo. È qualcosa di salvifico.
Che cosa diamo per scontato tutti i giorni quando siamo in salute, stiamo bene, non abbiamo limitazioni pesanti?
Dimentichiamo di essere in salute, di stare bene, di non avere limitazioni pesanti. L’uomo in gran parte  riconosce cosa gli manca solo quando la perde o gli viene tolta. È una banalità, ma è vera per la maggior parte degli uomini, purtroppo.
La dedizione del badante pakistano Javed ben oltre le sue mansioni che cosa la fa pensare?
Che al mondo esistono generosità e gratuità, al di là della cultura, dell’erudizione, della ragione, della prigione del proprio ego. Javed non è solo il mio badante, è un pianeta dove rifugiarsi in tempo di guerra. Lavora con il piacere di fare bene il suo lavoro e già questo è straordinario. Eccede gratuitamente i suoi doveri salvandomi premurosamente da tutte le inconvenienze fisiche e psichiche. Da due amici siamo diventati una terza forza chiaramente dimostrabile.
Prova ancora a convertirla all’Islam?
No, ha capito che per me non c’è niente da fare con l’Islam. Sono un filo d’aria agnostico e ateo alla mercé del vento.
Le ha chiesto che cos’è l’amore, ma lei ha un po’ tergiversato…
Quella dell’amore non è facile spiegarla. Uno non pensa che qualcuno non lo conosca. È come dover spiegare la Nona sinfonia a una mucca.
In un altro punto scrive: «Ormai sono tre anni che non sono ancora morto». La diagnosi per la Sla prevede un tempo di vita dai tre ai cinque anni. Lei è un veterano in attesa di nuovi farmaci?
Sì, certo. È un’attesa concreta. Nei primi mesi del 2024 l’Aifa dovrebbe approvare un farmaco che potrà essere utilizzato anche per la mia forma di Sla.
Che cosa si aspetta da questo libro?
È un miraggio felice andato oltre ogni mia previsione. Che sia uscito è già un traguardo. Gigantesco. È cominciato per caso, ero concentrato sulle poesie quando mi sono trovato a produrre pensieri organizzati allo scopo di divertirmi con le assurdità della mia vita.
Quanta volontà serve per fare un libro così?
Una volontà enorme. Come il divertimento di scriverlo.
Qual è la parte che l’ha più divertita?
Non so. È stato un continuo crescendo, terminato con l’incontro della mia editor che mi ha guidato alla fine e me lo ha pubblicato con un lavoro pazzesco.
È lei la «Bruna» della dedica?
Sì.
C’è un’altra persona che vorrebbe lo leggesse?
Non ci ho mai pensato. Magari dei comici che lo portassero in scena.
E qualcuno di legato alla sua vita?
Mio padre, che non c’è più. Anche se lì dentro non gli risparmio niente.
Nella sua condizione come cambiano i rapporti con le persone?
Cambia il rapporto con chi vede solo la malattia. Cioè, in primis l’altro deve capire che la Sla non compromette il cervello.
In positivo, la malattia può essere anche un acceleratore nella direzione delle cose che contano?
Sì, ti costringe a scavare nel tuo profondo. Fino ad arrivare al di là del buco che stai scavando.
Ha dovuto fare il testamento biologico?
(Sembra rattristarsi) Sì. E anche la Dat, le Disposizioni anticipate di trattamento per la cura  definitiva.
«Assetato di cielo», scrive nella poesia finale, cioè d’infinito. Se tutto non avesse un senso, la vita sarebbe uno scherzo crudele, tanto più una come la sua. Ma lei vuole berla fino all’ultima goccia. Che cosa vorrebbe dire a chi fa una scelta diversa e preferisce interromperla?
Di persistere nella furiosa voglia di vivere. 

Panorama, 31 maggio 2023

Qui: https://limbranauta.wordpress.com/2023/06/28/sul-nostro-amato-d

Questa intervista è un cazzotto allo stomaco, di quelli tosti, però anche salutari. Io comunque, dopo questo libro che oggi andrò a comprare, resto in attesa del prossimo. E che non si azzardi a farmi lo scherzo di andarsene prima. Se poi per caso avesse anche voglia di tornare a fare qualcuna delle cose che faceva prima e che ho sempre seguito da quasi vent’anni, beh, sarebbe davvero un grandissimo regalo all’umanità.

FORZA DARIO!!!!

barbara

IL CORAGGIO DI DIRE NO

Parlo di Anna Muzychuk, la campionessa del mondo di scacchi che ha scelto di rinunciare ai suoi titoli e al ricchissimo premio in caso – estremamente probabile – di vittoria, pur di non sottostare alle oppressive regole saudite.

Scacchi, la campionessa in carica boicotta i mondiali in Arabia Saudita

“Tra pochi giorni perderò i miei due titoli mondiali, uno ad uno. Solo perché ho deciso di non andare in Arabia Saudita, di non giocare con le regole di altri, di non mettermi l’abaya (lungo vestito scuro indossato dalle donne della Penisola arabica, ndr),
abaya
di non dover andare per strada accompagnata con qualcuno, per, in sintesi, non sentirmi una creatura secondaria”. Così Anna Muzychuk, campionessa del mondo di scacchi in due categorie di velocità, ha annunciato la propria decisione di non partecipare ai campionati mondiali in Arabia Saudita.

Il post – “Proprio un anno fa – continua la campionessa ucraina – vinsi questi due titoli ed ero all’incirca la persona più felice nel mondo degli scacchi, ma questa volta mi sento davvero male. Io sono pronta a battermi per i miei principi e a rinunciare al torneo dove in cinque giorni avrei potuto guadagnare più di quanto faccio in dozzine di eventi messi insieme. Tutto questo è seccante, ma la cosa più traumatizzante è che non importa quasi a nessuno [a noi sì! ndb]. Questa è una sensazione molto amara, ma non cambia la mia opinione e i miei principi. Lo stesso vale per mia sorella Mariya – e sono molto felice che condividiamo lo stesso punto di vista. E sì, per coloro a cui interessa – torneremo!“.

Il precedente – Nell’ottobre del 2016, la scacchista georgiana-statunitense Nazí Paikidze boicottò i mondiali in Iran: “Non indosserò un hijab per non supportare l’oppressione femminile. Anche se questo significa perdere le competizioni più importanti della mia carriera.

No ai giocatori israeliani – Anna Muzychuk non è la sola a non partecipare ai mondiali. Sette giocatori della federazione israeliana che avrebbero voluto prendervi parte, all’ultimo momento si sono visti negare l’ingresso in Arabia Saudita.

Una partita sullo scacchiere internazionale – L’Arabia Saudita si era aggiudicata questi mondiali per tentare di accreditare un’immagine di apertura e modernità. Per fare questo, ha messo sul piatto un primo premio di due milioni di dollari, circa quattro volte tanto quelli abitualmente conferiti nel circuito internazionale. In più negli ultimi mesi il principe ereditario Mohammed bin Salman sta cercando di portare avanti delle riforme che diano l’idea di progresso, come consentire la guida alle donne o permettere loro di assistere ad eventi sportivi. (qui)

Una persona meno decisa, meno coerente, meno onesta, avrebbe potuto accettare le regole, godere della gloria di una nuova vittoria, incassare due milioni di dollari e poi, come Oriana Fallaci, raccontare che in un momento in cui disgraziatamente non c’erano né un fotografo, né un cameraman a poter documentare la straordinaria impresa, si era orgogliosamente scoperta. Ma fortunatamente non c’è solo chi si accontenta di raccontare di avere fatto, ma anche chi veramente fa.
E quelli, i sauditi, non sanno che cosa si perdono:
Anna Muzychuk
barbara

LA CONTROEROINA

Fra le varie cose che ho qui “in attesa” di un momento opportuno per essere pubblicate, stasera mi è caduto l’occhio su questa, e direi che è proprio la cosa giusta da pubblicare, dopo i post precedenti. Magari, chissà, non è neanche del tutto un caso che mi ci sia caduto l’occhio sopra proprio in questo momento.

Nella mia ultima nota ho parlato, prendendo spunto dalla leggenda di Skotzel e dalla storia di Karima di Fustat, delle antieroine, ossia di quelle donne che, pur non essendo passate alla storia per i loro meriti e le loro virtù, ed essendo anzi state, talvolta, oggetto di biasimo e riprovazione, meriterebbero comunque, forse, di essere ricordate e, nel caso, riabilitate. E ho fatto un paragone tra la virtuosa Susanna e la peccatrice Karima, ipotizzando per quest’ultima (che fu cacciata dalla sua comunità, come sarebbe accaduto in seguito, per esempio, a Spinoza) una possibile “riabilitazione”.
Credo che un’altra donna della Bibbia – quantunque non ebrea – possa suggerire considerazioni analoghe, trattandosi di una figura che è sempre rimasta nell’ombra, in quanto la sua funzione, sul piano letterario, pare esclusivamente quella di aprire la strada a colei che sarebbe invece diventata, meritatamente, una delle più celebri e venerate figlie di Israele, la grande Ester, che, come sposa del re Assuero, salvò l’intero popolo ebraico di Persia – con l’aiuto del saggio Mordechai – dallo sterminio ordito dal perfido Haman. (In quel bellissimo Paese, com’è noto, ci sono sempre stati dei grotteschi personaggi da circo equestre, anzi, da galleria degli orrori, truccati con barbe caprine, corna di montone e dentoni aguzzi, che un po’ fanno paura e un po’ fanno ridere: senza di loro, probabilmente, lo spettacolo sarebbe noioso). Tutti conoscono e ammirano l’intrepida Ester, ma pochi ricordano cosa è scritto all’inizio del libro biblico. Durante un banchetto, dopo avere mangiato e bevuto più del solito, il sovrano, allegro e avvinazzato, ordina ai suoi eunuchi di corte di portare al suo cospetto la regina Vasti, ornata di uno splendido diadema, in modo da potere esibire davanti a tutti i convitati la sua incantevole bellezza. Vasti, però, rifiuta di fare questa improvvisata “passerella”, mandando il re su tutte le furie. Interrogati i consiglieri del monarca, tutti si dicono d’accordo nel condannare l’inconcepibile rifiuto della regina, il cui operato ribelle avrebbe rappresentato un pessimo esempio per tutte le donne del regno, che, d’ora in poi, avrebbero potuto tutte avere l’impudenza di disobbedire ai loro mariti. Vasti viene così cacciata, e la sua sorte viene ufficialmente comunicata, come monito, fino ai più estremi confini del regno. Liberatosi della moglie indisponente, il re deve però trovare una nuova sposa, e manda emissari in tutto il regno, per cercare giovani vergini adatte al ruolo; colei che più piacerà al re, sarà la nuova regina. A prevalere sarà Ester, e il resto è storia nota.
Non oserei mai ridimensionare, in nessun modo, gli immensi meriti della regina Ester, alla cui storia, tra l’altro, si lega una delle più belle feste ebraiche, quella di Purim. Ma, mi chiedo, non sarebbe anche il caso di cominciare a onorare la memoria di Vasti? Non è forse stata una femminista “ante litteram”, una donna fiera, indipendente e orgogliosa, che rifiuta di sottostare ai capricci di uno stupido e vanesio ubriacone? Ha mancato, con un solo gesto – che, fra l’altro, non le sarebbe costato, apparentemente, un gran sacrificio -, a due autorità, disubbidendo a chi si riteneva suo padrone a doppio titolo, come marito e come re. È verissimo, e ha fatto benissimo, perché lo ha fatto per difendere la sua dignità di donna e, direi, la dignità di tutte le donne del mondo. Propongo di intitolare a suo nome un “contro-concorso di bellezza”, nel quale siano premiate tutte quelle donne che rifiutino di salire sulla passerella, riducendo la loro persona a un oggetto di libidinosa concupiscenza per gli occhi, avidi e lubrichi, dei maschi. Primo premio, a colei che saprà indirizzare agli organizzatori, e al pubblico, la più sonora pernacchia.

Francesco Lucrezi, storico (Moked, 30 agosto 2017)

Onore dunque, senza fanfare e senza riflettori, alle donne che hanno saputo dire no a un potente, preferendo la propria dignità alla gloria effimera delle passerelle. (Senza, beninteso, togliere onore a chi ha fatto scelte diverse e se ne è assunta la responsabilità, senza poi frignare e recitare – male, oltretutto – la parte della vittima – agnella innocente fra i lupi famelici)

barbara