UN VECCHIO RICORDO

scaturito da un episodio recente. L’episodio è l’oscena premiazione di questa foto,

il ricordo è quello di un video ispirato alle vicende della guerra in Jugoslavia. Quelli che compaiono nel video sono attori, i morti sono morti finti, il sangue è sangue finto, il cinismo è recitato, ma i fatti sono autenticissimi. Tranne, temo, l’ultima scena, nella quale non credo possano riconoscersi molti dei giornalisti attivi in quella guerra. E sicuramente non vi si riconoscerà nessuno dei giornalisti complici dei carnefici di Gaza.

barbara

E ANCHE SE LE TENEVANO COPERTE

con un grande e spesso tendone, alla fine si scoprì che tutte le pentole erano prive di coperchio, e fu dunque chiaro chi era il costruttore.

Vi ricordate quella storiella che il nemico era hamas e non i palestinesi? E che Israele doveva evitare a qualunque costo di colpire i civili palestinesi e limitarsi – non si sa bene come, ma non importa – a colpire unicamente i terroristi di hamas? Beh, contrordine compagni, quella cosa lì non vale più:

Biden to Netanyahu: ‘Ironclad Support’ for Israel, But No Support for Eliminating Hamas Leaders in Rafah

Non solo non si devono eliminare i cosiddetti civili, non importa se complici attivi di hamas, non importa se carcerieri e seviziatori e stupratori degli ostaggi deportati da Israele, non importa se partecipanti al massacro del 7 ottobre; non solo non si devono eliminare i generici appartenenti a hamas, non importa quanto grondanti di sangue siano le loro mani, no: non si devono eliminare neanche i leader di hamas. E perché non si devono eliminare? Semplice: perché se non ci sono più loro, chi organizzerà la prossima mattanza di ebrei, chi organizzerà la prossima strage di ebrei, chi organizzerà i prossimi stupri di donne ragazze bambine ebree, chi tenterà, per l’ennesima volta, di portare a termine il lavoro di Hitler?
Ha la vista lunga il vecchio Biden, eh?

barbara

AVEVO ALTRE COSE PRONTE DA PUBBLICARE

per oggi e domani e dopodomani. Ma poi ho visto questo, e ho deciso che questo ha la priorità assoluta. E non aggiungo commenti, che non ne ha bisogno.

Anzi no, aggiungo questo

E siano sempre rese grazie a lui, che su tutto il resto potremmo tranquillamente scannarci ma almeno su questo siamo praticamente gemelli siamesi.

barbara

A 13 ANNI E MEZZO DI DISTANZA

Corsi e ricorsi storici.

14/02/2024

Mario Sechi: c’è un errore su Gaza, il cessate il fuoco

Il Parlamento italiano ha deciso che nella guerra tra Israele e Hamas è giunto il momento di un “cessate il fuoco”. La sintesi politica è questa: il Partito democratico ha presentato una mozione che è passata con il voto di Dem, Cinque Stelle e l’astensione del centrodestra. Il passaggio politico è stato siglato con un’intesa tra Giorgia Meloni e Elly Schlein, preceduto dalle dichiarazioni da “colomba” del ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Il premier e il segretario del Pd hanno messo il sigillo su una posizione (che dovrebbe basarsi su dei principi non negoziabili, immagino) che ha come centro di gravità la salvaguardia dei civili a Gaza e Rafah. L’iniziativa va inserita nello scenario di un pressing diplomatico, guidato dall’amministrazione Biden, sul governo israeliano e il suo primo ministro, Benjamin Netanyahu. È una linea “onusiana” che tende automaticamente a rimuovere la strage del 7 ottobre (e non a caso l’Onu fatica a ricordarla nei documenti ufficiali, perché è l’elemento scatenante della guerra), mette le belve di Hamas tra parentesi e si avventura in pericolose teorie sul “genocidio” dei palestinesi, una tesi vergognosa sul piano storico e del diritto. A questo punto, bisogna chiedersi se sia davvero questa la via per “vincere la pace”, perché la storia è una foresta di pugnali, di nobili intenzioni che poi si rivelano tragici errori. E temo che il governo, la maggioranza, non abbiano pensato alle inattese conseguenze di una scelta che apre la porta come minimo del “giustificazionismo” ai nemici di Israele.
Il rischio è quello di una nuova sindrome di Monaco. Cercare un “accomodamento” con il nemico, l’Idra dalle molte teste che sibila morte all’Occidente. Con un nemico letale, che in maniera esplicita programma e attua il genocidio del popolo ebraico (questo è successo il 7 ottobre), non ci sono possibilità di negoziato, Hamas deve essere eliminato. Questo è lo scopo della guerra.
Voltarsi indietro aiuta a capire. Non c’è peggior errore di una guerra non finita. O conclusa (male) con le premesse per innescarne un’altra ancora più grande.
Non andrò indietro fino alle lezioni della rivalità tra Atene e Sparta, il Novecento e questi primi vent’anni del Duemila sono un memento. Un libro di ricordi prezioso e inquietante. La storia è un pendolo di conflitti irrisolti: negli anni Novanta George Herbert Walker Bush non finì la guerra in Iraq contro Saddam (1990-1991), il conto con Baghdad rimase in sospeso e George Walker Bush (il figlio) dopo l’attacco alle Torri Gemelle (2001) invase l’Afghanistan (2001) tentando di porre le basi per un avamposto dell’Occidente in Medio Oriente con l’invasione dell’Iraq (2003). È una storia che arriva fino a oggi, con la tragica decisione di Joe Biden di ritirarsi dall’Afghanistan (2021, una ritirata che ha incoraggiato la Russia e la Cina), fino alla richiesta di questi giorni del governo iracheno di far partire le ultime truppe americane rimaste. E poi? Il vuoto, l’incognita dell’Iran che muove i fili delle milizie sciite in Iraq e muove i fili contro Israele. Ieri e oggi, un altro capitolo del romanzo su cui gli Stati Uniti non hanno messo il punto. A Washington furono colti di sorpresa dalla rivoluzione khomeinista (1978-1979), Jimmy Carter rovinò la presidenza con la crisi degli ostaggi (1979-1981), gli Stati Uniti provarono a piegare Teheran con le sanzioni, mentre Ronald Reagan era impegnato a far cadere il Muro di Berlino (1989) e domare l’Unione Sovietica fino alla sua dissoluzione (1991). Risultato, l’Iran oggi è l’officina di tutte le guerre: produce droni per la Russia nella guerra in Ucraina, muove Hezbollah, protegge Hamas, supporta i guerriglieri dello Yemen, alimenta la crisi del Mar Rosso.
Il bersaglio siamo noi. La storia è maestra inascoltata, le guerre vanno combattute fino in fondo. La Prima guerra mondiale fu il detonatore della Seconda, ne vide il bagliore in lontananza John Maynard Keynes che con profetica lucidità spiegò ne Le conseguenze economiche della pace perché la Germania avrebbe ricostruito e mosso di nuovo il suo esercito contro i vincitori dell’epoca. E fu lo sterminio, fu la Shoah, fu una guerra che non ha più testimoni in grado di risvegliare le coscienze. Stiamo scivolando al “se questo è un uomo” pensando che sia fiction e altro da noi. E non è “colpa degli ebrei”, frase che schiude la pianta carnivora dell’antisemitismo. È colpa nostra, perché non abbiamo chiuso bene le guerre, come avevano fatto Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt e Josif Stalin. Berlino non cadde con il negoziato, ma con la guerra degli Alleati. Il Giappone fu piegato dalle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. I conflitti sono orribili, in un mondo che si è illuso di poter cancellare il sacrificio e la morte, è tornato il Novecento di ferro e fuoco. E non sarà un voto in un Parlamento che cerca una pace in guanti bianchi a cancellare la realtà.

Mario Sechi, Direttore di Libero, capo ufficio stampa del Governo

20/08/2010

Qualche riflessione sugli ennesimi “colloqui di pace”

Dato che si sa ma nessuno osa dirlo, qualcuno dovrà pure decidersi a farlo…

La settimana prossima si riuniranno negli USA israeliani e palestinesi, finalmente di nuovo gli uni di fronte agli altri. Ma con quali speranze? Di mettere fine a un conflitto che dura da un secolo? Certamente no. L’unico obiettivo immediato che si può ravvisare è quello che sta a cuore al presidente americano: porre un freno al suo drammatico calo di consensi. Nell’impossibilità di modificare in fretta i parametri dell’economia, nell’incapacità di trovare una onorevole via di uscita ai conflitti che vedono schierati tanti soldati americani, Obama sembra aver pensato che una correzione (reale? duratura?) del suo atteggiamento verso Israele e verso il conflitto che l’oppone ai palestinesi sia l’unica speranza per salvare le oramai vicine elezioni di midterm.
Abu Mazen sa bene di non avere alcun margine di trattativa di fronte alle offerte molto generose a suo tempo rifiutate da Arafat. Potrebbe egli accettare quanto Arafat ha rifiutato? Ed è immaginabile che un qualsiasi leader israeliano possa oggi offrire ancora di più?
Anche a causa di questa realtà non è mai stato possibile trovare una base da cui partire per la riapertura dei colloqui diretti. Ma esaminiamo meglio i termini della questione.
Innanzitutto guardiamo ai negoziatori palestinesi: Abu Mazen non ha titolo alcuno per firmare alcunché, dato che i termini della sua presidenza sono scaduti da lungo tempo; inoltre la sua leadership è contestata da larga parte della sua gente e, soprattutto, non ha mai goduto dell’autorità e del prestigio indispensabili per poter condurre qualsivoglia trattativa. E il suo primo ministro, pur abile nella gestione del governo, non gode di alcuna popolarità tra i palestinesi. Qualunque documento da loro sottoscritto sarebbe contestato dai capi arabi. Se si pensa al rifiuto opposto dalla Lega araba agli accordi firmati dal Presidente Sadat, lui sì titolato a firmare quegli accordi, è difficile immaginare che un trattamento migliore potrebbe essere riservato ad un Abu Mazen che eventualmente firmasse un accordo di pace. Vale inoltre la pena di ricordare che anche l’Onu approvò ben due risoluzioni di condanna, il 6 e il 12 dicembre 1979, contro l’Egitto che aveva concluso con Israele una pace separata – cosa, allora come oggi, inevitabile dal momento che la quasi totalità degli stati belligeranti continuano a rifiutare qualunque ipotesi di negoziato e di accordo con Israele – e, addirittura, dichiarò nullo tale accordo (qui e qui i testi delle due risoluzioni). Nel 1994 anche la Giordania concluse una pace separata con Israele, e se non vi furono conseguenze negative, viene da pensare con un pizzico (forse) di cinismo, fu solo perché a togliere di mezzo re Hussein arrivò prima il cancro. Ricordiamo, per inciso, che nel frattempo, nell’ambito degli accordi di Oslo, era nata l’ANP, Autorità Nazionale Palestinese, teoricamente svincolata dall’obbligo statutario dell’OLP di perseguire la distruzione di Israele (qui la Costituzione di al-Fatah, sua principale componente), in realtà, in quanto emanazione dell’OLP, legata agli stessi vincoli.
Alle considerazioni di carattere politico va poi aggiunto il fatto che l’islam vieta ai musulmani di stipulare veri e propri accordi di pace con i non musulmani (Dal Corano 5:51: “O voi che credete, non sceglietevi per alleati i giudei e i nazareni, sono alleati gli uni degli altri. E chi li sceglie come alleati è uno di loro. In verità Allah non guida un popolo di ingiusti” e 5:57: “O voi che credete, non sceglietevi alleati tra quelli ai quali fu data la Scrittura prima di voi, quelli che volgono in gioco e derisione la vostra religione e [neppure] tra i miscredenti. Temete Allah se siete credenti.” “La fine dei giorni sopraggiungerà solo quando  i musulmani uccideranno tutti gli ebrei. Verrà l’ora in cui il musulmano muoverà guerra all’ebreo e lo ucciderà, e finché vi sarà un ebreo nascosto dietro una roccia o un albero, la roccia e l’albero diranno: musulmano, servo di Dio, c’è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo” (Muslim, 2921; al-Bukhaari, 2926). E, sempre per al-Bukhaari: “per Allah, e se Allah vuole, se faccio un giuramento e successivamente trovo qualcosa migliore di quello, allora faccio ciò che è meglio e faccio ammenda per il giuramento.”), divieto che, soprattutto in questi tempi, difficilmente i dirigenti palestinesi potranno permettersi di trasgredire.
In queste ultime settimane ci sono state dure discussioni sull’opportunità di aprire le trattative con o senza precondizioni, ma gli americani sembrano non preoccuparsi di questi aspetti fondamentali, tutti tesi come sono a raggiungere il loro obiettivo, cioè superare le elezioni, e non certo preoccupati di raggiungere un accordo che anche loro sanno impossibile. Se Netanyahu riprendesse, alla scadenza dei 10 mesi di interruzione, le costruzioni sospese nei territori di Giudea e Samaria (e tralasciamo, in questo contesto, di occuparci di quelle di Gerusalemme, problema ancor più complesso e intricato), i palestinesi, hanno preavvertito, interromperebbero subito i negoziati. Ci si dovrebbe a questo punto domandare perché abbiano aspettato tanto a lungo prima di acconsentire a sedere allo stesso tavolo degli israeliani: la sospensione non era stata concessa proprio in risposta alle richieste palestinesi, come condizione preliminare per iniziare una trattativa? Di chi dunque la responsabilità se durante questi dieci mesi di sospensione le trattative non sono iniziate? Concediamoci tuttavia una botta di ottimismo e immaginiamo che i palestinesi non interrompano immediatamente le trattative e che queste partano regolarmente. Immaginiamo, giusto come ipotesi, che Netanyahu, ufficialmente o ufficiosamente, tenga ancora bloccate le nuove costruzioni. E immaginiamo anche che si arrivino a delimitare i territori che gli arabi, sconfitti nelle varie guerre che si sono succedute dal ‘48 in avanti, concederanno agli israeliani vincitori di quelle guerre (e già questo è un ben anomalo modo di procedere, quando da che mondo è mondo sono sempre state le potenze vincitrici a imporre le proprie condizioni). Ed infine immaginiamo ancora che Netanyahu non pretenda l’accettazione da parte palestinese di uno Stato di Israele che si definisca “stato ebraico” (cosa che Abu Mazen non potrebbe mai accettare, in quanto per l’islam qualunque terra che sia stata in passato islamica, fosse anche per un solo giorno, dovrà restare islamica per sempre).
A questo punto, se anche si fossero risolti gli altri problemi, ci si scontrerebbe sul problema dei profughi che il mondo, e l’ONU per prima, sta ignominiosamente tenendo aperto da 62 anni, concedendo quanto non ha permesso altrove, e quanto nessuna logica può giustificare. Quella stessa ONU ha avallato il trasferimento, nei medesimi anni del dopoguerra, di oltre 10 milioni di profughi tedeschi (non necessariamente colpevoli per i crimini del nazismo), di milioni di induisti cacciati dal Pakistan e di altri milioni di musulmani cacciati dall’India, e via via, seguendo la stessa logica, nelle varie aree di conflitto fino ai più recenti trasferimenti di popolazioni greche dalla Cipro occupata militarmente dalla Turchia, e delle varie etnie all’interno della ex Yugoslavia; tutti trasferimenti dettati dalla corretta logica di cercare, nelle varie nazioni, una omogeneità etnica e religiosa necessaria per creare condizioni di stabilità (qui un ricco e documentato articolo di Ben Dror Yemini sul tema). Israele non potrà mai accogliere quei milioni di uomini, donne e bambini che nessuno stato arabo vuole, che non sono mai vissuti in quelle terre, e che non potranno mai integrarsi nella civiltà israeliana anche a causa degli insegnamenti che, da sempre, sono stati loro impartiti dagli arabi e dagli occidentali (questi ultimi, non dimentichiamolo, per via degli enormi interessi in gioco). Se addirittura si applicassero le proposte fatte nel 2004 dall’allora segretario dell’ONU Kofi Annan per risolvere il problema dei profughi ciprioti, Israele, lungi dal doverne accettare di nuovi, dovrebbe espellere molti musulmani residenti nello Stato. Non vi è oggi spazio per trovare una soluzione a questo problema, dato il modo in cui è stato, fin dall’inizio, impostato e gestito, così come non ha potuto trovarlo il negoziatore Mitchell.
E poi rimane ancora il problema di Gerusalemme, per la quale gli arabi rifiutano perfino di ammettere i legami storici che gli ebrei hanno con la città, atteggiamento che toglie ogni spazio residuo alla possibilità di una trattativa.
Qual è allora la strada da perseguire? È triste dirlo, ma non è l’apertura di questi negoziati.
Uno dei mantra più gettonati fra le anime belle, da decenni ormai, è che “le guerre non hanno mai risolto niente”. Ebbene, chi lo afferma o ignora la storia, o mente in malafede, perché un semplice sguardo a tutta la storia passata permette di constatare che, al contrario, spesso le guerre hanno risolto i problemi per i quali erano state scatenate, fossero essi di natura religiosa, o politica, o territoriale o di qualunque altro genere. Non si vuole certo, con questo, affermare che la guerra sia bella, o buona, o giusta – e meno che mai santa – ma solo fare un po’ di chiarezza: che le guerre non risolvano i problemi è falso. Le guerre possono risolvere, e spesso di fatto risolvono, i problemi (e magari capita anche che, dopo una pesante sconfitta, riescano ad aprire la porta alla democrazia, vedi Germania, vedi Italia, vedi Giappone). A condizione che vengano lasciate combattere. A condizione che fra i contendenti non si intromettano entità estranee e interessi estranei. A condizione che alle guerre venga consentito di giungere alla loro naturale conclusione: la vittoria del più forte. Ed è questo che non è MAI stato fatto nelle guerre combattute da Israele: ogni volta che Israele, aggredito allo scopo di annientarlo, stava per prendere il sopravvento, ogni volta che Israele stava per avere ragione degli eserciti nemici o delle organizzazioni terroristiche, ogni volta che Israele è stato in procinto di concludere finalmente, in modo definitivo, questa che si avvia ormai a diventare una delle guerre più lunghe della storia dell’umanità, l’intero consesso internazionale si è massicciamente mobilitato per impedire che ciò avvenisse. Ed è per questo che, per fare un solo esempio, quando l’Onu e il mondo intero hanno imposto a Israele di interrompere la guerra del 1967 prima di giungere a una vera, definitiva sconfitta dei suoi nemici, tutti gli stati arabi si sono potuti permettere di respingere in blocco tutte le richieste contenute nella risoluzione 242 (no al riconoscimento, no al negoziato, no alla pace) e continuare lo stato di belligeranza. Qualcuno immagina forse che si sarebbe potuto fermare Hitler con qualche bel discorso? O lanciando palloncini colorati? O con qualche pressione internazionale? O magari con la “politica della mano tesa” e generose concessioni? Qualcuno si è illuso di poterlo fare, e si è puntualmente realizzata la profezia lanciata già nel 1938 da Churchill: “Potevate scegliere tra la guerra e il disonore. Avete scelto il disonore. Avrete la guerra“. E le parole di Churchill rimangono sempre di scottante attualità: negoziare con chi ti vuole distruggere senza averlo prima sconfitto non porterà non solo l’onore, ma neanche la pace.
Discorso cinico? No, semplicemente realistico. Che spiacerà soprattutto agli israeliani, talmente desiderosi di pace da essere disposti, in nome di essa, quasi a tutto, ma sessant’anni di guerra preceduti da quasi trent’anni di terrorismo sono lì a dimostrare che ogni altra via è destinata al fallimento. E di un altro mantra occorrerà sbarazzarsi al più presto: quello della “proporzione”. Quando ci si avventura in una contesa, sia essa una guerra di offesa, una guerra di difesa, un incontro di calcio o una partita a briscola, non lo si fa per essere proporzionati: si fa per vincere. Altrimenti la contesa continuerà all’infinito in una situazione di sostanziale stallo, con un interminabile stillicidio di morti, da una parte come dall’altra. Perché non solo in medicina, ma anche in politica e in guerra il medico pietoso fa la piaga purulenta: ricordarlo farebbe un gran bene a tutti. E soprattutto alla pace.

Barbara Mella, Emanuel Segre Amar

Ma il mondo non vuole capire, e i presidenti dem coi consensi in calo a causa dei disastri che hanno combinato devono vincere le elezioni, e l’Onu ha la sua agenda nella quale la sopravvivenza di Israele non trova spazio, e gli emissari di hamas sono in mezzo a noi e non fanno passare giorno senza farci sentire il loro fetido fiato sul collo – fiato che in troppi respirano assorbendo tutto il suo veleno – e la corsa a un micidiale cessate il fuoco che significa ecatombe di ebrei e fine di Israele si fa sempre più frenetica.

Dal 1948 Israele si è sempre lasciato fermare quando stava per vincere, e ogni volta ciò ha regalato a coloro che vivono all’unico scopo di portare a termine la soluzione finale la possibilità di riprendere subito la lotta, con la conseguenza di morte e distruzione da entrambe le parti. Auguriamoci tutti, noi amanti della pace – quella vera – che stavolta Israele riesca a non farsi fermare e a poter mettere finalmente il sigillo definitivo al proprio diritto a esistere.

barbara

DETTAGLI

Gli ostaggi liberati erano tenuti in un’abitazione civile di Rafah, la città più a sud della striscia di Gaza, quella che il mondo sta dicendo a Israele di “non attaccare perché ciò metterebbe a rischio la popolazione di Gaza”. Esattamente come ospedali scuole asili edifici di culto e magari – ma sì, esageriamo – gli edifici sacri dell’UNRWA.

Sono ritagli di dettagli… Dettagli così piccoli che tu non vuoi capire… (E tuttavia, per quanto piccoli…)

E sempre a proposito di dettagli

Dettagli così piccoli…

E un altro dettaglio ancora

23:12 , Monday 12th February, 2024

The two hostages, Louis Herr, 70 and Fernando Marman, 60, rescued this morning in the remarkable IDF special operation have told their families and special investigators that they were not given their medication during their time in Hamas captivity.
This is important as is proves that the deal made by the French government along with the United Nations to allow medication into Gaza under the pretense that it was also going to be given to the hostages, was not honored.

che tu non vuoi capire

E ancora uno piccolo

ritagli di dettagli…

E ancora uno

che tu non vuoi capire…

Ah, e poi ci sono i perfidi giudei e i loro crimini di guerra e crimini contro l’umanità, e i poveri bambini di Gaza

dettagli…

Una cosa però ho qualche difficoltà a capire: Gaza è in macerie, ok, ma c’è proprio tutta questa gran differenza rispetto a ieri, dal momento che fino al 7 ottobre era una prigione a cielo aperto, anzi no, un campo di concentramento, anzi no, un campo di sterminio (Dacia Valent, pace all’anima sua, aveva raccontato anche che Israele ci aveva installato le camere a gas)?

In passato avevo postato diversi altri video su questo tema, ma

sono ritagli di dettagli

E poi la fame, la fame mostruosa, la terribile emergenza umanitaria a cui l’infame occupante sionista condanna l’innocente e inerme popolazione civile di Gaza sotto il suo spietato tallone di ferro

(questo lo abbiamo fatto noi) ma anche questi sono

dettagli così piccoli

Poi c’è quest’altra quisquilia

Sotto il quartier generale dell’UNRWA nella Striscia di Gaza, Esercito di Difesa Israeliano ha scoperto uno dei tunnel più importanti e top secret di Hamas: un data center sotterraneo utilizzato dal gruppo terroristico per l’intelligence e le comunicazioni.

che tu non vuoi capire

E pensare che è così bello quando qualcuno riesce a capire…

Anche nel suo piccolo…

barbara

LA COSA VERAMENTE IMPOSSIBILE DA CAPIRE

è che una roba che accetta una denuncia per genocidio da parte di un stato razzista contro una democrazia che si sta difendendo da un tentativo di genocidio si chiami Corte di Giustizia. Questo va davvero al di là di ogni capacità di comprensione. E non solo la Corte: guardate questo

E speriamo che riesca a resistere almeno questo

E che gli imputati abbiano qualche buon argomento per rimediare almeno un’assoluzione per insufficienza di prove

E queste, come si può vedere dalle scritte in arabo, non sono palestinesi in ostaggio ai perfidi sionisti bensì israeliane in ostaggio ai civili innocenti palestinesi

It’s been 94 days
Agam Berger (19)
Liri Elbag (18)
Daniela Gilboa (19)
Karina Ariev (19)
These girls are held captive for 3 months by the monsters of Hamas.  Look at them.

Nel frattempo in Israele

Gaetano Evangelista

«Il New York Times s’è messo al lavoro: due mesi d’inchiesta approfondita a otto mani guidata da un premio Pulitzer, Jeffrey Gettleman, 150 interviste, racconti che lasciano senza fiato. Ne esce una galleria degli orrori, vestiti strappati, gambe divaricate, genitali mutilati. E non casi sporadici, ma un sistema organizzato di violenza su chi era ebrea e per di più donna».

GERUSALEMME – Le parole per dirlo, chi le trova? In una casetta bianca di Haifa che guarda il mare, al Centro per le vittime di violenza sessuale, l’altro giorno è squillato il telefono. «Shalom. Vorrei sapere che tipo d’aiuto potete offrire…». L’aspettavano, quella voce. Di una ragazza. Che non ha lasciato il nome, ma ha detto che richiamerà: «Ci sono voluti quasi tre mesi — racconta Mali Orgad, che dirige il servizio per il trattamento del trauma —, ma stiamo ricevendo le prime richieste. Sono soprattutto ragazze. Il 7 ottobre, erano al rave nel deserto». Stuprate, spezzate, spazzate via. «Per uscire allo scoperto hanno bisogno di tempo», spiega Naama Tamari-Lapid, della squadra di psicoterapeuti: «Lo choc è stato enorme. So già che le seguiremo per anni, e non è detto che basti. Io mi occupo di violenza sessuale da sempre: quel che è successo quel giorno, non ha precedenti».
Quel che è successo, appunto. Hamas nega tutto. Molto femminismo militante solidarizza poco. La stessa Onu, all’inizio, minimizzò gli orrori compiuti sulle donne israeliane. «Non ci sono prove», la scusa ufficiale. In parte vera: nel caos di quelle ore, nell’ansia di respingere l’attacco da Gaza e d’identificare i 1.200 cadaveri spesso mutilati o bruciati e infine di seppellirli subito — perché così si fa, per i funerali ebraici —, nessuno in quei momenti pensò a raccogliere pure le prove degli stupri. Niente autopsie, di fronte all’evidenza dell’orrore. Nessuna prova conservata in laboratorio. Niente da dimostrare, si pensò in quell’ottobre nero.
E invece no. Le vittime sopravvissute, i poliziotti, i medici, i necrofori dell’organizzazione Zaka, i testimoni oculari: adesso il governo Netanyahu ha lanciato un appello a tutti, chi sa parli. C’è un’inchiesta dell’unità d’élite Lahav 433. C’è un numero da contattare, il 118, per avere assistenza. Anche il New York Times s’è messo al lavoro: due mesi d’inchiesta approfondita a otto mani guidata da un premio Pulitzer, Jeffrey Gettleman, 150 interviste, racconti che lasciano senza fiato. Ne esce una galleria degli orrori, vestiti strappati, gambe divaricate, genitali mutilati. E non casi sporadici, ma un sistema organizzato di violenza su chi era ebrea e per di più donna. Analizzando video, foto, dati gps, telefonate, il giornale americano ha scoperto almeno trenta episodi.
In sette luoghi diversi fra i kibbutz Be’eri e Kfar Aza, lungo la strada 232, nella base militare Shura, al rave party. Sapir, 24 anni, che era ferita e s’era nascosta in un cespuglio, vedendo tutto quel che facevano alle altre: cento uomini di Hamas in divisa, a spartirsi il bottino femminile, in particolare una ragazza coi capelli color rame che veniva pugnalata quando sussultava per la violenza. «Ho visto cinque in abiti civili, tutti con i coltelli e uno con un martello, mentre trascinavano sul terreno una donna», racconta Raz Cohen, parlando come se fosse tutto ancora lì davanti ai suoi occhi: «Ricordo ancora la sua voce: urla senza parole. Poi uno alza un coltello, e semplicemente la massacra».
Agnelli al macello. La storia simbolica è quella di Gal Abdush, una mamma di due bambini di 10 e 7 anni, che era andata al rave col marito. L’ultima ripresa della telecamera di casa, ore 14,30, la riprende sorridente con una t-shirt nera e un paio di jeans. L’ultimo audio, ore 7,44, la fa sentire disperata: «Pensate ai miei bambini». Di lei, è rimasto un video che la mostra buttata in mezzo alla 232, seminuda, il volto bruciato. Qui, dice la polizia, le prove ci sono: è stata violentata. Ma sono servite settimane d’indagini e di racconti incrociati, per accertarlo. Per molte altre, non esistono immagini che dimostrino, testi che confermino. Nemmeno i becchini di Zaka hanno fatto foto, quando sono intervenuti, perché questa è la regola. Troppe vittime mute. «Tre donne e un uomo sono sopravvissuti agli stupri — spiega al New York Times un portavoce del ministero per il Welfare —, ma non se la sentono ancora di parlare». In una tragedia di Shakespeare, il Tito Andronico, c’è Filomela che subisce una doppia violenza: dopo averla violentata, le tagliano la lingua perché taccia. La verità verrà a galla lo stesso.

E noi continueremo a gridarla, anche se siamo sempre più minoranza.

Questo invece è un video che un regista di talento ha creato con una mobilitazione incredibile di altri professionisti

Mentre il governo si è deciso a pubblicare gli orrori – non che questo possa impedire ai negazionisti di continuare a tenere gli occhi chiusi. Anzi, c’è in giro di molto peggio del tenere gli occhi chiusi: Galatea fa un post in cui spiega che non scrive di Israele e Palestina perché non ne sa abbastanza. E si è scatenato il finimondo, dal quale estraggo un unico commento esemplificativo:

Chiara Boracchi

Ciao Galatea, da amica, posso porti una domanda molto seria? Allora, sui punti 2 e 3 direi che non c’è molto da dire. La domanda è sul punto 1. Il punto non è non aver parlato negli anni di qualcosa che non si è studiato. Come dici tu, è serietà. Al netto del fatto che in molti negli ultimi tre mesi si sono documenti su libri di storici che spiegano e approfondiscono la questione, il punto è scegliere di non dire nulla nel momento in cui la questione diventa talmente tanto gigantesca da non poter essere ignorata.
Facciamo finta di essere nel 1940, ma con i social. Qualcuno finalmente documenta coi cellulari praticamente minuto per minuto quello che accade dentro i campi di concentramento. Che fai? Non ne parli perché non conosci i rapporti tra la Germania e la comunità ebraica? Perché sono complicati? Perché in fondo la Germania è un alleato dell’Italia e non sai come affrontare l’argomento perché non lo hai mai affrontato?
Non serve, anzi non si deve essere tuttologi per prendere una posizione su quello che sta accadendo. Ci sono i video dei giornalisti in loco, ma anche i numeri delle agenzie internazionali. Circa 23mila morti accertati, di cui circa 11mila bambini. 85per cento della popolazione sfollata da casa propria. Circa 100 giornalisti uccisi. Aiuti umanitari bloccati. Permessi internazionali negati.
Questo davvero non credi sia sufficiente per esprimere una opinione personale? O per offrire ogni tanto – non sempre, ogni tanto – il proprio spazio social ai post di chi, in loco, denuncia quello che accade? Non è sufficiente per decidere da quale parte stare? Se avessimo avuto la stessa opportunità durante la seconda guerra mondiale, ovvero vedere i campi di sterminio, sarebbe stato difficile decidere in breve tempo da che parte stare?
Ecco, secondo me il cuore della questione degli ultimi tre mesi e del senso di abbandono che in molti abbiamo provato sta lì.

Ebbene sì, la solita vecchia retorica c’è proprio tutta: Israele come la Germania nazista, Gaza come Auschwitz, i morti “accertati”, l’85% della popolazione sfollata (un milione e sette! E chissà come faranno poi a far fuori tutti quei civili se i civili sono tutti sfollati, boh) e via delirando. Comunque tranquilli, che adesso ci penserà la Corte di “Giustizia” a strigliare per bene quei fetenti di sionisti.

barbara

CHI VUOLE LA MORTE DI ISRAELE

Hamas, certo. I palestinesi in generale, certo. Sostanzialmente l’intero mondo islamico, certo. Sono nemici ferocissimi, forti e determinati. Ma nessuno di loro è in grado, da solo, di sopraffare Israele. Godono tuttavia, per loro fortuna e per la sciagura di Israele, di un’agguerritissima quinta colonna: i sinistri all’interno di Israele. Quelli che per un anno intero, con la congenita incapacità della sinistra non dico di rispettare, ma neppure di concepire l’idea di democrazia, hanno devastato lo stato, lo hanno praticamente bloccato, tenendo oltretutto impegnate le forze dell’ordine che venivano così sottratte al loro compito primario, ossia la difesa dello stato, per combattere contro il governo democraticamente eletto. Sono riusciti nel criminale intento di spaccare la società, complici attivi di hamas che non aspettava altro che un indebolimento dello stato per poter attaccare. E dopo un anno di questo andazzo ha deciso che il momento era arrivato. Le mani di questi criminali sono sporche del sangue di tutti gli israeliani assassinati.
E ora, nel mezzo di una guerra di sopravvivenza che, stante il pericolo in cui si trova lo stato, era riuscita a ricucire le spaccature e ridare unità all’intero popolo di Israele, ecco arrivare quell’autentica associazione per delinquere di stampo mafioso – o, per meglio dire, di stampo terroristico – che è la corte suprema, a gettare i semi di una nuova possibile guerra civile, una corte suprema che da sempre fra un qualsiasi minimo disagio per un contadino palestinese e la sicurezza di Israele ha scelto senza esitazione di buttare la sicurezza di Israele nel cesso e che ora si autoproclama superiore al Parlamento e al Governo abrogandone le leggi e cancellando così la separazione dei poteri, che è la prima cosa che fanno tutte le dittature.
Lascio la parola a chi è in grado di chiarire i dettagli meglio di me.

Avvelenare il pozzo mentre il paese è in guerra

DiRedazione

Postato il 1 Gennaio 2024

C’è una sola democrazia in cui i giudici hanno un potere pressoché assoluto, è questa è Israele. Oggi, con la decisione di bocciare la legge sul principio di ragionevolezza, il criterio altamente soggettivo in base al quale i giudici hanno il diritto di cassare le leggi dell’esecutivo, e che la Knesset aveva emendato a luglio per limitarne l’estensione, i giudici si pongono al di sopra del Parlamento e delle Leggi Base.
Le Leggi Base che compongono in assenza di una Costituzione scritta l’architettura costituzionale del paese, con questa decisione, di fatto diventano subordinate alla magistratura mentre il governo si trasforma in uno sterile luogo di discussione, sul quale i magistrati vigilano e legiferano.
A commento della sentenza, il giudice della Corte Suprema David Mintz, facente parte della minoranza, ha affermato quanto di più evidente, che essa “mina i principi democratici fondamentali inclusa la separazione dei poteri”.
Si consuma così la lunga battaglia che per nove mesi consecutivi ha portato migliaia di persone in piazza contro il governo in carica accusato di volere imbavagliare la magistratura con la sua riforma della giustizia e di condurre il paese verso una dittatura.
Otto giudici sui quindici componenti della Corte Suprema hanno bocciato la legge evidenziando una netta spaccatura. La gravità della decisione non sta solo nel fatto che il Parlamento ne esce umiliato, ma che essa avvenga mentre Israele si trova a combattere una guerra esistenziale.
Si tratta di una decisione squisitamente politica il cui obiettivo è quello di colpire Netanyahu e l’esecutivo da lui guidato con il rischio cinico e calcolato di spaccare il paese di nuovo in due, incendiando le piazze. Ma l’ex presidente della Corte, Esther Hayut, tra le più veementi avversatrici della riforma della Giustizia non poteva aspettare oltre, in quanto, da metà gennaio, entrata in pensione, non avrà più la facoltà di potere esprimere il suo voto su istanze poste alla sua attenzione quando era ancora in carica e insieme a lei la sua collega Anat Baron. http://www.linformale.eu/colpo-di-mano/
Se avesse atteso, inevitabilmente l’equilibrio della Corte non avrebbe più pesato a favore della bocciatura della legge, bisognava quindi fare in fretta, avvelenare il pozzo, e così è stato.
Non si poteva scegliere momento più nefasto, ma laddove prevalgono unicamente logiche di potere e accecamento ideologico, nessuna altra considerazione tiene. (Qui)

 Neanche la sopravvivenza dello stato.
E non è ancora tutto. E come se non bastasse, ecco arrivare ancora, sempre dalla stessa associazione criminale, le minacce alla libertà di parola e di stampa.
Ancora una “chicca”: in Israele – ma credo anche in Italia e ovunque nel mondo – una legge impone che tutti gli edifici pubblici espongano la bandiera nazionale, e infatti tutti gli edifici pubblici la espongono. Tutti tranne uno

D’altra parte come potrebbe la corte suprema di hamas esibire la bandiera del nemico?

barbara

CONFRONTI

Questo è un bambino israeliano, si chiama Eitan Yahalomi.

Mentre era prigioniero a Gaza i suoi aguzzini lo hanno obbligato, puntandogli una pistola, a guardare per un’ora intera i video dei massacri del 7 ottobre, stupri sgozzamenti smembramenti mutilazioni decapitazioni, gente bruciata viva. Quelle stesse immagini di cui alla stampa internazionale sono stati mostrati 40 minuti e parecchi sono usciti a metà perché non ce la facevano più. E più di qualcuno di quelli usciti è andato a vomitare.

Questo è un bambino palestinese, di Gaza per la precisione, in un ospedale israeliano dove ha subito un intervento chirurgico salvavita.

(NOTA: avevo visto su Eretz Israel la notizia, con relativa immagine, di un bambino palestinese che proprio in questi giorni di guerra è stato sottoposto a un intervento salvavita in Israele. Purtroppo non ho provveduto subito a salvarla e quando sono tornata a cercarla per inserirla in questo post non sono riuscita a trovarla. Così sono andata in google immagini e ho digitato “palestinian kid operated in an israeli hospital”. Ho trovato questa immagine e quella di un bambini siriano, relative peraltro allo stesso articolo; tutto il resto un’autentica orgia di massacri genocidi stermini perpetrati dall’esercito israeliano sui civili innocenti di Gaza, miliardi di bambini massacrati, accesso agli ospedali vietato e chi più ne ha più ne metta).

Questi sono bambini israeliani

Qui

E questi sono bambini palestinesi

Questi sono civili innocenti israeliani

E questi sono civili innocenti palestinesi

Yosef Manachem 

Brevi aggiornamenti sui civili innocenti di Gaza, civili islamici non coinvolti in terrorismo islamico: 2 dei bambini israeliani rapiti il 7/10, tenuti ostaggi a Gaza hanno rivelato che sono stati tenuti in case private,affamati e torturati, il primo da un insegnante dell’UNRWA, l’altro da un medico pediatra che continuava a lavorare in ospedale. Giusto per sapere chi sono i civili non coinvolti.

E sappiamo inoltre che al massacro e al saccheggio del 7 ottobre hanno attivamente partecipato numerosi civili innocenti, compresi donne e bambini anche di dieci anni precipitatisi dentro una volta sfondati i recinti di confine, oltre ai frenetici festeggiamenti per la mattanza e a tutto il resto che abbiamo avuto occasione di vedere.

Questo è Ido Avigal, bambino israeliano di cinque anni rimasto ucciso nel 2021 a Sderot durante un intenso lancio di razzi.

Oggi lo ritroviamo a Gaza come bambino palestinese assassinato dagli israeliani.

Questa è Maya Shem prima della vacanza all’hotel Gaza

Questa è Maya Shem al ritorno dalla vacanza all’hotel Gaza

Questo è Mohammed Nazar all’uscita dalla prigione di Ofer, dove era detenuto per reati di terrorismo, rilasciato in cambio di un bambino israeliano. Qui è ripreso nel momento in cui sta mettendo una mano in tasca, come si vede dal gomito piegato.

Questo è Mohammed Nazar poco dopo il rilascio dal carcere con le due braccia che gli israeliani gli hanno fatto a pezzi a martellate durante la detenzione, rifiutandosi poi di curarlo per ben otto giorni.

I confronti sono sempre utili per raggiungere una diagnosi corretta della patologia.

Abbiamo poi avuto la prova di quanto sia concreta la relatività

mentre molto minore concretezza hanno i numeri

E d’altra parte non possiamo dimenticare che

Già: a terra dei miracoli. E degli eroi

barbara

CONSIGLI DI LETTURA E ALTRE STORIE

I consigli di lettura li ho trovati in rete.

6 libri da leggere per capire il conflitto israelo-palestinese

Gerusalemme. Nota come la Città Tre Volte Santa, vive una condizione di incompiutezza. Qui non esistono piazze aperte, ma muri, come racconta molto bene in Gerusalemme senza Dio: Ritratto di una città crudele Paola Caridi.*
Per un’analisi storica rigorosa di cosa significhi vivere nella Striscia di Gaza, vi consigliamo La prigione più grande del mondo. Storia dei territori occupati di Ilan Pappé [e hai detto tutto]
Resta ancora tanto da dire. L’ultima lezione di Amos Oz [e anche qui hai detto tutto]
Per risalire alle origini dello storico conflitto, dalla guerra del 1948 alla creazione dello Stato d’Israele, dalla resistenza palestinese alla creazione dell’OLP, fino alla pace di Oslo, merita una lettura Israele, Palestina di Alain Gresh, che affronta la questione medio-orientale rifiutando la solidarietà astratta con uno dei contendenti [non sia mai che capiti per sbaglio di mostrare mezza briciola di solidarietà a Israele].
Passando dai saggi ai romanzi, Ogni mattina a Janin di Susan Abulhawa racconta con sensibilità e pacatezza la storia di quattro generazioni di palestinesi costretti a lasciare la propria terra dopo la nascita dello stato di Israele e a vivere la triste condizione di apolidi.**
Sharon e mia suocera di Suad Amiry è una lettura schierata [ah ecco, questa è schierata…] ma decisamente particolare, che affronta il dramma del conflitto da un punto di vista inedito.. Una donna palestinese, colta, intelligente e spiritosa, tiene un “diario di guerra”. Gli israeliani sparano ma, nella forzata reclusione fra le pareti domestiche, “spara” anche la madre del marito, una suocera proverbiale.

PAOLA CARIDI

** Immagine presa da Il libro nero dei regimi islamici di Carlo Panella che mostra la proposta di stato palestinese contenuta nel Libro Bianco del 1939, che riserva allo stato arabo tutta l’area (tutta quella rimasta dopo che il 78% era stato dalla Gran Bretagna sottratto agli ebrei per regalarlo all’emiro Abdallah detronizzato dall’Arabia ad opera degli Ibn Saud), con cancellazione di ogni ipotesi di stato ebraico

Io invece vi consiglio due foto

Hamas Child Soldiers

  • Hamas’s Ministry of Interior posted a photo of a child soldier, a boy of about five years old, dressed in full military attire and holding an actual automatic rifle.
  • The accompanying text in the post reads: “These are our lion cubs. We have brought them up in the love of Jihad and Shahada (martyrdom-death).”
  • This revelation highlights the indoctrination of children into extremist ideologies, similar to practices seen in other groups like ISIS and some factions within the Palestinian Authority.

Due fratelli vivi

Due giornalisti

Purtroppo il video lungo con tutta la discussione originariamente postato sul sito di Porro – l’ambasciatore che continua a ripetere i video ci sono, deve solo andarli a guardare e lei che continua a ribadire che non ci sono prove, Molinari che dice che a tutti, anche ai migliori, può capitare di sbagliare, adesso è capitato a lei, deve solo ammetterlo e scusarsi che ci farà molto migliore figura che a ostinarsi a negare la realtà e lei che persiste a ripetere che non ha sbagliato niente, le prove non ci sono e lei non ha niente di cui scusarsi – è stato sostituito con un altro, sempre relativo allo stesso incontro, in cui si parla di tutt’altro, e sono riuscita a trovare solo questo ridottissimo. Interessante anche notare che se le vittime non fossero state decapitate, uccisioni stupri torture mutilazioni effettuati e immortalati dagli stessi perpetratori, sarebbero, a quanto pare, decisamente meno gravi. E pensare che passava per una giornalista in gamba.

Due discorsi pubblici

Una canzone

Un giretto in Germania (non che da noi sia diverso)

Il prossimo ferito palestinese massacrato dalle belve sioniste

E poi i Giusti, perché in ogni genocidio, da quello armeno a quello ebraico e a quello ruandese (mi sa che fa eccezione quello cambogiano: lì non c’era spazio neanche per questo)  c’è sempre qualcuno in cui una scintilla di umanità continua a risplendere

E infine un’altra canzone

barbara

DI ZEROCALCARE E DI ALTRE FOGNE

Zerocalcare lo ricordiamo per questa tenerissima striscia

Ora ci è arrivata addosso la terribilissima doccia fredda della sua rinuncia a partecipare al Lucca-Comics; motivo: l’evento ha, tra mille altri, anche il patrocinio dell’ambasciata di Israele, e la sua coscienza non gli permette di condividere qualcosa con un simile impero del male.

Alla Cloaca Maxima si aggiungono poi le cloache satelliti.

Così su instagram La Biblioteca di Daphne, alias Megi Bulla, la tiktoker più nota e influente tra i giovani appassionati di lettura, annuncia che boicotterà il Lucca Comics. «Al momento -scrive l’influencer 27enne- l’unica cosa a cui riesco a pensare che in una parte di mondo, che potrebbe essere la nostra, le persone stanno morendo.

Giusto qualche centinaio di metri più in là di quella parte del mondo, invece

Juli Koren

Un’intervista di questa mattina alla radio al direttore dell’Istituto di Medicina Forense, descrive la situazione del momento. Ci sono 400 parti del corpo (non ci sono più corpi interi) 400 parti umane appartenenti a 400 persone la cui difficoltà è identificare chi sono è impossibile da individuare. Ci sono centinaia che non sapranno mai chi sono, non avranno una degna sepoltura, non faranno andare i loro cari nella tomba per piangere e unirsi. Famiglie perfette che sono state bruciate vive e quindi non c’è nessuno da cui produrre il DNA per identificarle. Corpi di coppie, genitori e bambini legati con delle corde e poi bruciati vivi.
Di quale umanità per Gaza stai parlando?
Umanità e Gaza sono due parole che non coesistono nello stesso lessico. Una nazione assassina che santifica solo l’uccisione e l’uccisione degli ebrei nella loro terra. Di che tipo di umanesimo stai parlando?

Se poi aggiungiamo che è stato appurato che molti dei partecipanti alla mattanza non erano affiliati di hamas ma “semplici cittadini” che hanno colto l’occasione per sbudellare un po’ di ebrei e si sono aggregati…

E poi e poi e poi indovina chi viene a boicottare? Ma lei! L’immarcescibile Bagascia Regina: vi pare che potesse mancare?

Anche Amnesty Italia rinuncia

«Il patrocinio dell’ambasciata israeliana al LuccaComics ci spinge a rinunciare alla nostra presenza». Lo comunica Amnesty Italia sul suo profilo X. «Comprendiamo sia prassi consolidata il patrocinio di ambasciate dei paesi di provenienza degli artisti che realizzano l’immagine del festival, ma non possiamo ignorare che le forze israeliane stiano incessantemente assediando e bombardando la Striscia di Gaza, con immani perdite di vite civili», spiega Amnesty.

Perché le vite dei civili – e non è certo necessario spiegarne il perché – vanno difese. Tranne il caso che si tratti di vite di ebrei.

E poi c’è quest’altro che invece ci va.

Lucca Comics, Leo Ortolani, il fumettista di Rat-Man, sul patrocinio di Israele: «Ci sarò, con me alcune cartoline per finanziare gli aiuti a Gaza»

29 OTTOBRE 2023 – 10:46

La presa di posizione dopo che Zerocalcare ha deciso di disertare la fiera e l’iniziativa in beneficenza

Continua incessante la polemica sul patrocinio dell’ambasciata italiana di Israele al Lucca Comics, la nota fiera internazionale che aprirà da mercoledì 1 a domenica 5 novembre. Dopo che Zerocalcare ha annunciato la sua assenza per motivi etici e politici, raccogliendo il plauso di numerosi volti del mondo del fumetto, spunta la presa di posizione di Leo Ortolani, il creatore del celebre Rat-Man. «Buona Lucca Comics, o Lucca Comics buona? Non mi interessa molto la risposta. Scusate, sono un geologo, siamo gente pratica, per cui, più che dare risposte, ci diamo da fare», è la premessa che fa dal suo account Instagram. «Se passate da me a farvi firmare i miei albi, i miei volumi, i miei tarocchi, mi vedrete con un mazzo di cartoline, a fianco. Non sono in vendita. Ma se ne volete una, vi chiedo di fare un’offerta minima di 5 euro», annuncia, precisando che il ricavato evoluto andrà a un’associazione di aiuti umanitari, che si occupa soprattutto dei bambini [ah bene! Questa è una cosa bellissima!]. «Vediamo immagini e filmati terrificanti, provenienti dalla Striscia di Gaza [ah no, come non detto], ma gli innocenti ci vanno di mezzo sempre e ovunque, nel mondo, perché non possono difendersi e fare sentire la loro voce. Comunque la pensiate, i bambini non hanno colpe. Hanno solo diritto di vivere e di crescere» [tranne il caso che siano bambini ebrei] , prosegue l’artista. Ortolani alla fine del post torna a precisare: «Un avviso: un firmacopie = un’offerta = una cartolina. Non sono in vendita. Non venite a comprarle. Non ragionate con il denaro». (Qui)

E infine arriva anche la cloachetta minima, diciamo una latrinetta.

Fedez interviene sul conflitto in corso tra Israele e Hamas. «Qui non si tratta neppure più di dichiarare da che parte si sta. Perché c’è una sola parte dove si può stare: ed è dalla parte dei bambini e dei civili, tutti innocenti [che gli sia capitato un momento di lucidità? Ma davvero davvero? Allora i miracoli esistono?], che a Gaza [no, aspè] hanno perso o stanno perdendo la vita» [ah ecco, mi pareva troppo bello per essere vero], scrive in una storia dal suo canale Instagram. «Perché se non muoiono sotto le bombe, muoiono per mancanza di acqua, cibo, elettricità [acqua che gli forniva Israele, elettricità che gli forniva Israele, cibo che gli forniva Israele, e che potrebbero riavere immediatamente, nonostante stiano continuando a bombardare Israele, con un unico semplice gesto: liberare gli ostaggi. Tutti civili: conosci questa parola? Molti bambini: conosci questa parola?]. Ve ne prego, restiamo umani, come diceva Vittorio Arrigoni» [quello che invocava i cani lupo da sguinzagliare contro gli ebrei], aggiunge il rapper, dopo le recenti notizie sui continui bombardamenti che non danno tregua alla Striscia di Gaza.

Credo che questo sia lo spazio più giusto per ricordare questa straordinaria

ARRINGA PER LA MIA TERRA

di Herbert Pagani

Di passaggio a Fiumicino sento due turisti dire, sfogliando un giornale: “Fra guerre e attentati non si parla che di ebrei, che scocciatori.” È vero, siamo dei rompiscatole, sono secoli che rompiamo le balle all’universo. Che volete. Fa parte della nostra natura. Ha cominciato Abramo col suo Dio unico, poi Mosè con le Tavole della Legge, poi Gesù con l’altra guancia sempre pronta per la seconda sberla, poi Freud, Marx, Einstein, tutti esseri imbarazzanti, rivoluzionari, nemici dell’ordine. Perché?
Perché l’ordine, quale che fosse il secolo, non poteva soddisfarli, visto che era un ordine dal quale erano regolarmente esclusi; rimettere in discussione, cambiare il mondo per cambiare destino, questo è stato il destino dei miei antenati; per questo sono sempre stati odiati da tutti i paladini dell’ordine prestabilito.
L’antisemita di destra rimprovera agli ebrei di aver fatto la rivoluzione bolscevica. È vero. C’erano molti ebrei nel 1917.
L’antisemita di sinistra rimprovera agli ebrei di essere i proprietari di Manhattan, i gestori del capitalismo. È vero ci sono molti capitalisti ebrei.
La ragione è semplice: la cultura, la religione, l’idea rivoluzionaria da una parte, i portafogli e le banche dall’altra sono stati gli unici valori mobili, le sole patrie possibili per quelli che non avevano una patria.
Ora che una patria esiste, l’antisemitismo rinasce dalle sue ceneri, o meglio, scusate, dalle nostre, e si chiama antisionismo. Prima si applicava agli individui, adesso viene applicato a una nazione. Israele è un ghetto, Gerusalemme è Varsavia.
Chi ci assedia non sono più i tedeschi ma gli arabi e se la loro mezzaluna si è talvolta mascherata da falce era per meglio fregare le sinistre del mondo intero.
Io, ebreo di sinistra, me ne sbatto di una sinistra che vuole liberare gli uomini a spese di una minoranza, perché io faccio parte di questa minoranza.
Se la sinistra ci tiene a contarmi fra i suoi non può eludere il mio problema. E il mio problema è che dopo le deportazioni in massa operate dai romani nel primo secolo dell’era volgare, noi siamo stati ovunque banditi, schiacciati, odiati, spogliati, inseguiti e convertiti a forza. Perché? Perché la nostra religione, cioè la nostra cultura erano pericolose.
Qualche esempio? Il giudaismo è stato il primo a creare il sabato, il giorno del Signore, giorno di riposo obbligatorio. Insomma il week-end. Immaginate la gioia dei faraoni, sempre in ritardo di una piramide. Il giudaismo proibisce la schiavitù. Immaginate la simpatia dei romani, i più grossi importatori di manodopera gratuita dell’antichità.
Nella Bibbia è scritto: “La terra non appartiene all’uomo, ma a Dio”; da questa frase scaturisce una legge, quella della estinzione automatica dei diritti di proprietà ogni 49 anni. Vi immaginate la reazione dei papi del medioevo e degli imperatori del Rinascimento?
Non bisognava che il popolo sapesse.
Si cominciò quindi col proibire la lettura della Bibbia, che venne svalutata come Vecchio Testamento. Poi ci fu la maldicenza: muri di calunnie che divennero muri di pietra: i ghetti. Poi ci furono l’indice, l’inquisizione e più tardi le stelle gialle.
Ma Auschwitz non è che un esempio industriale di genocidio. Di genocidi artigianali ce ne sono stati a migliaia. Mi ci vorrebbero dieci giorni solo per fare la lista di tutti i pogrom di Spagna, Russia, Polonia e Nord Africa. A forza di fuggire, di spostarsi, l’ebreo è andato dappertutto. Si estrapola il significato e eccoci giudicati gente di nessun posto. Noi siamo in mezzo ad altri popoli come gli orfani affidati al brefotrofio.
Io non voglio più essere adottato, non voglio più che la mia vita dipenda dall’umore dei miei padroni di casa, non voglio più affittare una cittadinanza, ne ho abbastanza di bussare alle porte della storia e di aspettare che mi dicano Avanti.
Stavolta entro e grido; mi sento a casa mia sulla terra e sulla terra ho la mia terra. Perché l’espressione terra promessa deve valere per tutti i popoli meno che per quello che l’ha inventata?
Che cos’è il sionismo? Si riduce a una sola frase: l’anno prossimo a Gerusalemme.
No, non è lo slogan di qualche club di vacanza; è scritto nella Bibbia, il libro più venduto e peggio letto del mondo.
E questa preghiera è divenuta un grido, un grido che ha più di duemila anni, e i padri di Cristoforo Colombo, di Kafka, di Proust, di Chagall, di Marx, di Einstein, di Modigliani, e di Woody Allen l’hanno ripetuta, questa frase, almeno una volta all’anno: il giorno della Pasqua.
Allora il sionismo è razzismo ?
Ma non fatemi ridere. Il sionismo è il nome di una lotta di liberazione e come ogni movimento democratico ha le sue destre e le sue sinistre.
Nel mondo ciascuno ha i suoi ebrei. I francesi hanno i còrsi, i lavoratori algerini; gli italiani hanno i terroni e i terremotati; gli americani hanno i negri, i portoricani; gli uomini hanno le donne; la Società ha i ladri, gli omosessuali, gli handicappati.
Noi siamo gli ebrei di tutti.
A quelli che mi chiedono: “e i palestinesi?” Rispondo “io sono un palestinese di duemila anni fa, sono l’oppresso più vecchio del mondo, sono pronto a discutere con loro ma non a cedergli la terra che ho lavorato. Tanto più che laggiù c’è posto per due popoli e due nazioni”
Le frontiere le dobbiamo disegnare insieme.
Tutta la sinistra sionista cerca da trent’anni degli interlocutori palestinesi, ma l’OLP, incoraggiata dal capitale arabo e dalle sinistre europee, si è chiusa in un irredentismo che sta costando la vita a tutto un popolo, un popolo che mi è fratello, ma che vuole forgiare la sua indipendenza sulle mie ceneri.
C’è scritto sulla carta dell’OLP: “verranno accettati nella Palestina riunificata solo gli ebrei venuti prima del 1917”. A questo punto devo essere solidale con la mia gente.
Quando gli arabi mi riconosceranno, mi batterò insieme a loro contro i nostri comuni oppressori.
Ma per oggi la famosa frase di Cartesio penso, dunque sono non ha nessun valore.
Noi ebrei sono cinquemila anni che pensiamo e ci negano ancora il diritto di esistere.
Oggi, anche se mi fa orrore, sono costretto a dire mi difendo, dunque sono.

Herbert Pagani (Herbert Avraham Haggiag Pagani): cantante, poeta, scrittore, pittore, scultore, disk-jockey, ecologista. Ed ebreo, nato a Tripoli nel 1944 e morto di leucemia ad appena 44 anni, il 17 agosto 1988. Scrisse questo pezzo nel novembre del 1975, all’indomani della vergognosa risoluzione Onu – promossa come infinite altre dai Paesi islamici e dai leccapiedi della lobby del petrolio – che equiparava il sionismo al razzismo, ossia che negava il diritto di Israele all’esistenza – e potrebbe essere stato scritto tre giorni fa, o un’ora fa. (Questa aggiunta al testo dell’arringa l’ho scritta 17 anni fa. E potrebbe essere stata scritta tre giorni fa, o un’ora fa)

barbara