IERI È STATO YOM HAZICHARON

il giorno del ricordo dei soldati caduti per difendere Israele. Come Jonathan Elazari

Negli ultimi sette mesi il numero è aumentato in maniera spaventosa; vale tuttavia la pena di ricordare che

E se è triste vedere tanto odio scatenato contro Israele, è però di notevole conforto sapere che sono solo antisionisti, non certo volgari antisemiti.

Così come siamo sicuri è che è solo per distrazione, non certo per cattiveria o, diocenescampieliberi, malafede che l’UNRWA è stata beccata a rubare e vendere gli aiuti umanitari.
Concediamoci ancora qualche secondo per riflettere su una domanda retorica,

e poi filate tutti di corsa a leggere o, per gli amici di più vecchia data, rileggere qui (anche i commenti. E guai a voi se vi azzardate a non guardare il power point).

Forza Israele, resisti e distruggi tutti i tuoi nemici (e sbrigati a finire, che quando arrivo preferirei evitare di beccarmi un missile in testa).

barbara

UN VECCHIO RICORDO

scaturito da un episodio recente. L’episodio è l’oscena premiazione di questa foto,

il ricordo è quello di un video ispirato alle vicende della guerra in Jugoslavia. Quelli che compaiono nel video sono attori, i morti sono morti finti, il sangue è sangue finto, il cinismo è recitato, ma i fatti sono autenticissimi. Tranne, temo, l’ultima scena, nella quale non credo possano riconoscersi molti dei giornalisti attivi in quella guerra. E sicuramente non vi si riconoscerà nessuno dei giornalisti complici dei carnefici di Gaza.

barbara

LO “STATO DI PALESTINA”

Quello che l’Onu (che è, tra le innumerevoli cose dello stesso calibro, anche questa cosa qui: ONU ovvero TE LA DO IO LA PACE ) ha “riconosciuto” – e di virgolette ne occorrerebbero almeno una dozzina – lo “stato di Palestina” (a proposito del quale può essere il caso di rileggere qui e qui) e magari anche questa breve considerazione che non posso linkare per cessata esistenza della piattaforma sulla quale l’avevo pubblicata

TRE PAROLE

“Si tratta con chi c’è”. “Non sempre gli interlocutori si possono scegliere”. “Se abbiamo di fronte Hamas bisogna trattare con Hamas. Dopotutto è il governo democraticamente scelto dai palestinesi in democratiche elezioni”. Già sentite – vero? – queste belle frasi. Miliardi di volte. Ecco, ora io vorrei chiedere ai sostenitori della trattativa: voi avete letto lo statuto di Hamas? Letto tutto? Letto bene? Io l’ho fatto, e vorrei scambiare con voi due chiacchiere su questa faccenda. Probabilmente avete intenzione di dirmi che non mi dovrei impuntare sulla questione pregiudiziale della distruzione di Israele, perché su quella magari si potrebbe anche indurre Hamas a venire a patti. Se è questo che volete dirmi, risparmiatevi la fatica: non intendo parlare di questo. La questione della distruzione di Israele non mi interessa. Non in questo momento. Non in questo contesto. Non intendo occuparmi neanche del rifiuto pregiudiziale da parte di Hamas di qualunque trattativa nei confronti di Israele: anche questo, dopotutto, è secondario. Ciò di cui voglio parlare è altro. Ciò di cui mi voglio occupare sono tre parole. Tre parole che nello statuto di Hamas non ci sono. Tre parole che rappresentano il mantra di tutti i fautori del dialogo ad oltranza: “Stato di Palestina”. Non ci sono. Lo statuto di Hamas non parla di stato di Palestina. Non c’è un articolo, non c’è un comma, non c’è un paragrafo, non c’è una frase in cui compaiano le parole “Stato di Palestina”. Lo stato di Palestina non fa parte dei programmi di Hamas. Lo stato di Palestina non è nei progetti di Hamas. Lo stato di Palestina non rientra negli obiettivi di Hamas. Se Hamas vincerà la guerra e distruggerà Israele, dalle ceneri di Israele non nascerà lo stato di Palestina. La domanda, alla quale i dialoghisti senza se e senza ma sicuramente avranno una miriade di risposte da proporre, è: su che cosa trattiamo, con Hamas? [E l’ineffabile Gabrielita ha risposto: “Si tratta sui confini”. E no, non era una battuta, era proprio una risposta seria]

E può valere la pena di ricordare che quando nel 1939 con il famigerato Libro Bianco fu proposta la creazione di un stato arabo su tutta l’area (tutta quella, per la precisione, rimasta dopo che la Gran Bretagna ne aveva sottratto il 78% per regalarla all’amico emiro Abdallah detronizzato dall’Arabia ad opera dei predoni Ibn Saud), cancellando ogni ipotesi di stato ebraico

anche questa proposta fu rifiutata dal Gran Muftì e dal «Consiglio Palestinese (Carlo Panella, Il libro nero dei regimi islamici, pag. 109)

Quanto sopra l’ho messo affinché sia chiaro di che cosa stiamo parlando. E dunque ecco, il “riconoscimento” di un bello stato di Palestina è la trovata che l’Organizzazione Neurolesi Ubriachi ha escogitato per portare la pace in quella martoriata regione. E ora lascio i commenti a chi ha provveduto a elaborarli prima di me.

Giovanni Bernardini

PALESTINA ?

Sento stamattina in TV che l’ONU dovrebbe riconoscere la “Palestina” quale stato suo membro a pieno titolo.
Benissimo, però… val la pena di farsi alcune domande.
Quali sono i confini di questo nuovo stato? Quale la capitale? Quale il suo governo?
Questo nuovo stato ha una sua moneta? Una sua Banca centrale, sue forze di polizia, un suo esercito regolare, con tanto di gradi e divise che rendano i suoi soldati riconoscibili e distinguibili da masse di civili fanatici e armati sino ai denti?
Questo stato ha una sua economia? Che tipo di beni e servizi questa produce, a parte le gallerie sotterranee cariche di armi acquistate coi fondi degli “aiuti umanitari”?
Questo stato ha una sua storia? Sue tradizioni, una sua lingua?
Soprattutto, chi governa o governerà questo stato ne accetta i confini? Accetta di vivere accanto e non al posto di Israele? Chi lo governa intende operare per il benessere della sua popolazione o trasformarlo in base militare da cui lanciare continui attacchi allo stato ebraico?
Hamas NON vuole uno stato palestinese, meno che mai lo vuole accanto ad Israele, vuole un grande califfato islamico. Cosa vuole la ANP nessuno lo sa, di certo non vuole convivere con Israele. E allora? Chi governerà la fantomatica “Palestina”?
Se non si risponde a queste domande ogni discorso sulla “Palestina” altro non è che una infame manovra propagandistica ai danni delle stato di Israele.
Del resto, lo sa chi conosce anche molto superficialmente la storia, uno stato arabo palestinese esisterebbe dal 1948 se gli arabi avessero accettato la risoluzione ONU sulla divisione della Palestina.
Sappiamo tutti (quasi tutti) come sono andate le cose.

Per contro, vale la pena di ricordare che quando è stato rifondato lo stato di Israele in base alla risoluzione 181, lo stato esisteva già di fatto, con le sue leggi, la sua università (la cui prima facoltà era stata quella di giurisprudenza, perché non è concepibile un consorzio umano senza leggi) e tutte le strutture e infrastrutture su cui uno stato si basa. E che, appena diventato ufficialmente uno stato riconosciuto, ha saputo incorporare nel proprio esercito le bande armate che avevano precedentemente combattuto per la liberazione dalla Gran Bretagna e per la difesa dalle aggressioni arabe, e disarmare e rendere illegali quelle non disposte a essere integrate e a rispettare le norme statali. Quanto alla delirante decisione dell’Assemblea Generale dell’Onu, è forse il caso di ricordare che il riconoscimento di uno stato spetta al Consiglio di Sicurezza, non all’Assemblea Generale, che su questo tema non ha maggiore voce in capitolo di quanta ne avrebbe il mio consiglio di condominio che dichiarasse stato sovrano la vicina frazione dell’entroterra.

Meravigliosa la reazione dell’ambasciatore israeliano all’Onu a questa grottesca iniziativa.

Fabrizio Piola

SHREDDING TIME

L’Ambasciatore di Israele all'”ONU” prende atto che pur di approvare in un lampo e a tradimento – per puro supporto ad Hamas e contro Israele – lo status di “stato riconosciuto” alla sedicente Palestina, senza l’intervento del Consiglio di Sicurezza COME IMPONE IL REGOLAMENTO DELLA CARTA COSTITUTIVA DELLE NAZIONI UNITE, che è stata ieri clamorosamente violata, una volta salito al podio, davanti a tutti, ha preso la carta dell’Onu e l’ha distrutta dentro ad un mini shredder per documenti.
Forse per noi è venuto il tempo di uscire da questa cloMark Levin,Joeaca putrescente e di unirci alla Svizzera, finora unico paese fuori dall’ONU.
E quindi, rivoltosi all’Assemblea il nostro ambasciatore ha detto: “Questo è quello che avete fatto voi oggi”.
Kol ha Kavod, Ambasciatore.

Poi c’è questo signor Mark Levin che ha due parole da dire al signor Biden

Poi c’è questo signore, col quale mi trovo in perfetta sintonia

E poi c’è la famiglia Kedem-Siman di Nir Oz. No, mi correggo, e poi c’era una volta la famiglia Kedem-Siman di Nir Oz (e anche Nir Oz c’era una volta)

barbara

NOI L’ABBIAMO SEMPRE SAPUTO

Noi che sapevamo come stavano le cose.

APRILE 2005 

Intervista con una colona [non sarebbe meglio residente?] di Gush Katif

Il mensile in lingua tedesca edito a Gerusalemme, “Israel Heute”, nel suo numero di aprile pubblica un’intervista con Rachel Saberstein (64 anni, madre di 3 figli e nonna di 9 nipoti), una residente nel blocco di insediamenti di Gush Katif, nella striscia di Gaza.

– Shalom, signora Saberstein! Lei vive qui con suo marito, Moshe, a Neve Dekalim, nel blocco di insediamenti di Gush Katif. Da quando vive qui? E come si sente in questi giorni, sapendo dell’imminente sgombero della striscia di Gaza?
Siamo arrivati a Gush Katif nel 1997, dopo essere immigrati dagli USA in Israele nel 1968. Siamo venuti qui per motivi ideologici e per di più con il pieno sostegno del governo israeliano. Ma dal 2000 qui si vive sotto il fuoco continuo dei terroristi palestinesi. Nonostante questo, abbiamo tenuto duro. E adesso chi ci caccia è proprio il governo israeliano, cosa che ai terroristi finora non è riuscita…

– Che cosa pensa del piano di ritiro di Ariel Sharon?
Nessuno ci ha chiesto niente! Ed era stato proprio Ariel Sharon ad assicurarci che noi siamo la spina dorsale della nazione, eroi che combattiamo al fronte più avanzato, e che Gush Katif e Tel Aviv sono una stessa cosa. Fino a che, nell’ottobre scorso, alla radio sentiamo dire il contrario: che mettiamo in pericolo il paese. Personalmente, sono sconvolta nel vedere con quanta facilità si possano cacciare degli ebrei dalla loro terra ebraica, in spregio ad ogni convinzione che Israele sia la patria degli ebrei. C’è ancora qualche speranza per gli ebrei nel mondo?

– Crede ancora che qualcosa possa arrestare il ritiro in luglio?
Qui abbiamo vissuto ogni giorno con molti miracoli. Nei quattro anni e mezzo di intifada sono morti in tutto tre lavoratori esterni, due soldati e un colono, e questo sotto la continua grandine dei razzi. Avrebbero potuto essere centinaia! Se Dio avesse voluto cacciarci via di qui, avrebbe avuto abbastanza possibilità. Io continuo a credere che Dio troverà una via per farci uscire da questa situazione.

– Come reagirà allo sgombero? Con la violenza?
Noi dimostreremo, ma la violenza verrà dalle unità dell’esercito e della polizia. Hanno ricevuto per questo la necessaria autorizzazione. Zippi Livni ha perfino emanato una legge a questo scopo, con la quale sarà facilitato l’arresto dei dimostranti e i bambini potranno essere strappati ai loro genitori senza che ci si possa opporre. La fine di ogni democrazia!

– Distruggeranno la sua casa, come è avvenuto nel 1978 a Yamit, nel Sinai?
No, le nostre case saranno messe a disposizione dei leader di Hamas e delle autorità palestinesi come residenze invernali. I profughi palestinesi continueranno ad essere tenuti nei lager come capri espiatori. Le nostre sinagoghe saranno riciclate in moschee e le scuole in luoghi di addestramento per aspiranti terroristi [in realtà sono state immediatamente incendiate e distrutte non appena l’ultimo ebreo è uscito da Gaza]. Quanto ai cimiteri, i parenti dovranno prelevare le ossa dei loro morti e riseppellirli, cosa che secondo le leggi ebraiche halacha richiederà altri sette giorni di cordoglio Shiva. Dove e quando questo avverrà, fino ad ora non lo sa nessuno.

– Lei ritiene che la striscia di Gaza sia parte della Terra promessa?
E’ una striscia di terra promessa da Dio alla tribù di Giuda. Questo è stato sempre un luogo di presenza ebraica. La storia di Sansone si è svolta qui, le zimrot per lo Shabbat di Israele Najjora sono state redatte qui. Dopo la distruzione del secondo Tempio molti ebrei sono venuti nella striscia di Gaza, e nel 1492, sotto l’inquisizione spagnola, è stata il punto di ritrovo di molti ebrei in fuga. [A parte questo, Gaza è stata “occupata” in una guerra di difesa, sottraendola all’Egitto che l’aveva illegalmente occupata nel ’48; diversi residenti, poi, si erano trasferiti qui dopo lo sgombero forzato dal Sinai regalato all’Egitto nel ’79 in cambio del trattato di pace. Fra questi c’era la famiglia Fogel, strappata dal Sinai, risistematasi a Gush Katif, strappata da Gush Katif e risistematasi in Giudea, e qui sterminata da un eroico resistente palestinese, compresa Hadas, di 3 mesi, sgozzata nella culla]

– Lei sa già come andrà a finire?
No, qui nessuno lo sa. Non abbiamo un’altra residenza, non abbiamo case né posti di lavoro. Gli agricoltori del posto hanno fatto contratti per anni con l’Unione Europea, con importi anche di milioni di euro, e adesso non potranno mantenerli, cosa che alla fine danneggerà anche l’economia israeliana. Posso aggiungere anche un’altra cosa? I bambini di Gush Katif si incontrano una volta alla settimana con un Rabbi su un grande spiazzo erboso e pregano i salmi. Se qualcuno gli chiede perché lo fanno, rispondono: “Preghiamo Dio che il signor Sharon non ci cacci dalle nostre case.” Preghi anche lei per noi, che sia ebreo o no, affinché a nessun ebreo sia fatta una cosa simile!”

Molte grazie per questa intervista, signora Saberstein.

(Israel Heute, aprile 2005)

Prima il traditore Rabin, odiato, più che da ogni altro, dai palestinesi onesti, che lui ha fatto invadere dai “terroristi di Tunisi”, come li chiamavano loro, ossia tutta la cricca di Arafat: se agli israeliani gli accordi di Oslo hanno portato lo scatenamento di un terrorismo di dimensioni mai viste prima, ai palestinesi onesti hanno distrutto la vita, annientato il futuro, disintegrato ogni speranza di coesistenza pacifica con Israele. E dopo il traditore Rabin è arrivato il traditore Sharon, con la sua deportazione di ottomila ebrei da Gush Katif, la cui conseguenza, prima una sorta di guerra civile a Gaza e poi guerra terrorismo morte e distruzione in Israele, era prevedibile e prevista, dopo che il ritiro unilaterale dal Libano aveva fatto moltiplicare a dismisura il terrorismo sulla Galilea e la consegna dell’intero Libano nelle mani prima della Siria, poi dell’Iran tramite hezbollah (Clic, qualche ulteriore informazione nei commenti). E che il prezzo da pagare per questa criminale follia sarebbe stato altissimo, lo sapevano anche loro, i lavoratori palestinesi di Gush Katif.

GIUGNO 2005

Palestinesi contro il ritiro da Gaza

Un redattore di “Israel Heute” ha parlato con alcuni lavoratori palestinesi in Gush Katif sul piano di sgombero israeliano

Non sono soltanto i coloni ebrei di Gush Katif a temere il ritiro israeliano dalla striscia di Gaza, ma anche i loro lavoratori palestinesi. Più di 3.000 palestinesi che lavorano ogni giorno nelle piantagioni israeliane pregano Allah di impedire a tutti i costi il piano di ritiro di Ariel Sharon. «Se gli ebrei lasciano la striscia di Gaza, io perdo il mio posto di lavoro», dice a “Israel Heute” Dscherbil (34 anni) di Chan Yunis, nel sud della striscia di Gaza. «Da più di 12 anni lavoro nelle piantagioni israeliane, dirigo più di 30 operai. Dal mio datore di lavoro israeliano ricevo 20 euro al giorno, tre volte di più di quello che riceverei da un datore di lavoro palestinese in Gaza.» Dschebril e i suoi colleghi di lavoro ci comunicano quanto è depresso lo stato d’animo tra i lavoratori palestinesi alla vigilia dello sgombero.
Molti di loro lavorano già da molti anni negli insediamenti ebraici che dovranno essere evacuati nei prossimi due mesi. «Quando i coloni ebraici perderanno le loro case, noi perderemo il nostro posto di lavoro», ci confida Mohammed (30 anni), che abita non lontano dal suo amico e collega di lavoro Dschebril. «Sono cresciuto in queste piantagioni e non posso immaginarmi una vita senza il mio lavoro. In Gaza non c’è lavoro e se veramente le case e le piantagioni non verranno distrutte dopo il ritiro, è garantito che noi non riceveremo niente. [Facile profeta: un miliardario ebreo americano le aveva acquistate dagli israeliani, per un miliardo di dollari se ricordo bene, per regalarle ai palestinesi, in modo che potessero conservare il lavoro e magari, i più esperti, diventare imprenditori al posto degli israeliani. Immediatamente dopo il ritiro-deportazione degli israeliani, sono state completamente distrutte] Andrà a finire tutto sotto le grinfie della direzione dell’OLP», spiega Mohammed.
Mohammed, Dschebril, Adel e altri palestinesi che da anni possono testimoniare di una pacifica collaborazione con i coloni ebrei, hanno perso fiducia nella direzione palestinese e israeliana. Contro il fatto che la direzione palestinese è corrotta, non possono farci niente. Della situazione di crisi in cui si trova oggi la popolazione palestinese, attribuiscono tutti la responsabilità a Israele. «Se Israele non avesse fatto accordi con il defunto Rais, Führer Yasser Arafat, la nostra sofferenza non sarebbe stata così grande», dichiara Adel, che ha lavorato quasi 20 anni nell’agricoltura ebraica in Gush Katif. «Ebrei e arabi possono vivere insieme; ci ricordiamo tutti degli anni ’70 e ’80, fino allo scoppio della prima intifada nel 1987. La direzione OLP di Tunisi ci succhia il sangue e la popolazione è delusa di lei.»
Poiché la direzione dell’OLP è così corrotta, il popolo cerca un rifugio alternativo e per la frustrazione cade nelle spire di Hamas. «Invece di parlare con il popolo, avete trattato con un uomo di nome Arafat che ha mandato tutto in rovina», dice Dschebril. «Oggi l’OLP paga fino a 200 euro se si vota lui e non Hamas. Ma adesso nessuno si fida più dell’OLP. Dove sono tutti i soldi che la direzione dell’OLP ha ricevuto negli ultimi 10 anni da USA, Europa, Giappone e Cina per lo sviluppo dell’Autonomia? E’ sparito tutto nelle casse dell’OLP a Tel Aviv.»
Per i lavoratori agricoli palestinesi nella enklave ebraica Gush Katif soltanto un miracolo può impedire l’evacuazione degli insediamenti ebraici. «Non appena i miei datori di lavoro ebrei saranno evacuati, i miei figli ed io mangeremo la polvere», dice Mohammed, che incolpa Ariel Sharon per il furto del suo lavoro e del suo stipendio mensile. Di una cosa sono sicuri tutti e tre i palestinesi: il piano di ritiro di Sharon non cambierà in meglio la vita dalla parte israeliana e da quella palestinese. Adesso i coloni e i palestinesi sperano in un miracolo, perché tutti dipendono dal successo dell’agricoltura in Gush Katif, nella striscia di Gaza. «Ci completiamo a vicenda, il mio datore di lavoro ebreo ha bisogno di me nella sua piantagione e io ho bisogno di lui nella striscia di Gaza», ci dichiara Adel sorridendo, ma con voce triste. A.S.

Dolorose concessioni in nome della pace

La pace, obiettivo fondamentale della tradizione ebraica, è da sempre l’obiettivo politico esplicito dello Stato di Israele. Israele ha cercato a lungo di arrivare alla pace con i suoi vicini arabi e in particolare con i palestinesi. La grande sfida nel fare la pace risiede nel fatto che si tratta di un processo che si auspica non si concluda semplicemente con la cessazione delle ostilità tra ex nemici, bensì con l’inizio di un nuovo rapporto di coesistenza. L’obiettivo ultimo di Israele è stabilire relazioni di buon vicinato con il futuro stato palestinese.
Sullo sfondo di più di quattro anni di stragi terroristiche, Israele ha avviato il suo piano di disimpegno dalla striscia di Gaza e parte della Cisgiordania settentrionale allo scopo sia di migliorare la propria sicurezza [e abbiamo visto quanto sia migliorata], sia di rimettere in moto [RImettere? Perché, quand’è che era stato in moto?] il processo di pace con i palestinesi. Affinché abbia la possibilità di funzionare, il piano richiede un considerevole sacrificio da parte di circa 1.700 famiglie, per un totale di circa 8.000 persone, che dovranno lasciare le case e le attività che si erano costruite nell’arco di vari decenni [e questo è stato il criminale errore di tanti governi israeliani: la pace si dà in cambio di pace, non di terra, perché se sei pronto a cedermi terra, io ne chiederò sempre di più – considerando oltretutto che TUTTA la tua terra è esattamente il mio obiettivo. In secondo luogo si fa con chi la vuole, non con chi la usa come strumento di ricatto, perché chi cede una volta al ricatto, ne resterà schiavo per sempre. In terzo luogo si fa con chi ha in mano la situazione ed è in grado di far funzionare gli accordi stipulati. Con l’Egitto, anche se sempre di pace freddissima si è trattato, ha funzionato perché Sadat comandava, e comandava solo lui. Quando hai a che fare con un’accozzaglia di tribù e capitribù, nessuno ha il diritto di essere così stupido da illudersi che funzionerà. E meno ancora quando hai a che fare con una cultura in cui la pace col nemico non esiste e i contratti che stipulo valgono fintanto che mi fa comodo e non un minuto di più].
Nell’immediato, sono questi israeliani delle colonie che dovranno pagare gran parte del prezzo per la pace. Erano stati incoraggiati dai precedenti governi israeliani ad insediarsi su terre aride e trascurate per trasformarle in case, giardini e fattorie con lo stesso spirito pionieristico che a suo tempo contribuì a creare le basi dello Stato di Israele. Ora viene chiesto loro di abbandonare queste realizzazioni in nome di un bene più grande.
Molti di loro, arrivati nella striscia di Gaza come giovani coppie, devono ora affrontare il trauma di lasciare le proprie case insieme a figli e nipoti per i quali la striscia di Gaza è stata terra natale e unico luogo di residenza in tutta la loro vita.
Ecco a che cosa gli israeliani stanno rinunciando in nome della pace [in nome della favola della pace, a cui nessuno di loro, nessuno dei deportati ha creduto, perché l’età delle favole e della befana e della fata dei dentini è passato da un pezzo]. Complessivamente lo sgombero dei 25 villaggi ebraici israeliani dalla striscia di Gaza e di parte della Cisgiordania settentrionale significa che:

  • devono essere chiusi 42 centri assistenziali day-care, 36 asili, sette scuole elementari e tre scuole superiori;
  • 5.000 scolari devono inserirsi in altre scuole;
  • devono essere smantellate 38 sinagoghe;
  • 166 aziende agricole israeliane devono essere chiuse, con la perdita di posti di lavoro anche per 5.000 palestinesi;
  • 48 sepolture del cimitero ebraico di Gush Katif devono essere riesumate e trasferite in Israele, comprese quelle di sei abitanti uccisi da terroristi.

“Come si può vedere – conclude il ministero degli esteri israeliano – Israele sostiene con i fatti i propri impegni verbali ed è pronto a pagare un prezzo doloroso in nome della pace” [sulla pelle dei propri cittadini. Vaffanculo].

(MFA, 28 luglio 2005)

barbara

E ANCHE SE LE TENEVANO COPERTE

con un grande e spesso tendone, alla fine si scoprì che tutte le pentole erano prive di coperchio, e fu dunque chiaro chi era il costruttore.

Vi ricordate quella storiella che il nemico era hamas e non i palestinesi? E che Israele doveva evitare a qualunque costo di colpire i civili palestinesi e limitarsi – non si sa bene come, ma non importa – a colpire unicamente i terroristi di hamas? Beh, contrordine compagni, quella cosa lì non vale più:

Biden to Netanyahu: ‘Ironclad Support’ for Israel, But No Support for Eliminating Hamas Leaders in Rafah

Non solo non si devono eliminare i cosiddetti civili, non importa se complici attivi di hamas, non importa se carcerieri e seviziatori e stupratori degli ostaggi deportati da Israele, non importa se partecipanti al massacro del 7 ottobre; non solo non si devono eliminare i generici appartenenti a hamas, non importa quanto grondanti di sangue siano le loro mani, no: non si devono eliminare neanche i leader di hamas. E perché non si devono eliminare? Semplice: perché se non ci sono più loro, chi organizzerà la prossima mattanza di ebrei, chi organizzerà la prossima strage di ebrei, chi organizzerà i prossimi stupri di donne ragazze bambine ebree, chi tenterà, per l’ennesima volta, di portare a termine il lavoro di Hitler?
Ha la vista lunga il vecchio Biden, eh?

barbara

LE OSCURE TRAME DI GIORGIA

Che poi io vorrei sapere: una volta c’erano la destra, la sinistra e il centro. Poi un bel giorno sono spariti tutti e tre e al loro posto sono arrivati centro destra, centro sinistra, estrema destra ed estrema sinistra. Solo che la sinistra è quasi sempre normale mentre la destra è sempre estrema, che si chiami Meloni Orban Netanyahu o chi si vuole, tutto ciò che non è extrasupermegasinistrissima è automaticamente destra estrema, praticamente almeno una dozzina di passi più in là di Hitler. Laggente non stanno bbene.

PS: e un’altra cosa vorrei sapere: ma perché, la sinistra – quella sì davvero estrema – finora che cosa ha fatto?

barbara

UN PO’ DI ROBA CHE SUI MEDIA PASSA POCO

La miseria la fame la carestia l’emergenza umanitaria

Quelle centinaia di migliaia di studenti o sedicenti tali che in tutto il mondo manifestano a tempo pieno come mai prima si erano visti manifestare, per nessuna causa, e urlano apertamente, molto più che l’amore per la Palestina, l’odio per Israele, l’ebbra felicità per il massacro del 7 ottobre, la volontà di distruggere Israele e sterminare tutti gli ebrei: vi siete chiesti perché? Beh, sicuramente ricorderete il suggerimento di Giovanni Falcone per trovare il bandolo degli inghippi: ecco, la strada è quella. Non che non l’avessimo capito, ma adesso abbiamo anche le cifre.

E poi ci sono gli altri, da cui loro sono diversi. Molto diversi

Leggo poi su Repubblica:

I giovani che lottano per Gaza e il disagio degli universitari ebrei: le due facce della Columbia


Due domande: non è un tantino riduttivo parlare di “disagio” per dei ragazzi costretti a seguire le lezioni online perché se escono dalle loro stanze vengono pestati? Non è un tantino riduttivo parlare di disagio per dei docenti a cui viene materialmente impedito di fare lezione, anzi, di accedere all’università? Ma soprattutto: “lottano” in che senso? Ecco, qui possiamo averne un’idea – tenendo presente che questo video è di 5 mesi fa, ancora lontani dal raggiungere l’acme

Mi piace concludere con queste immagini dello scorso dicembre in cui un parlamentare turco proclama che Israele non riuscirà a sfuggire alla collera di Allah, e appena pronunciata l’ultima parola crolla a terra colpito da infarto

barbara

MA VOI LO SAPETE CHE COSA HA FATTO LA BRIGATA EBRAICA?

Eh? Lo sapete? No che non lo sapete, branco di ignoranti che non siete altro!

E quindi, se stabiliamo che la Brigata Ebraica non ha fatto nessuna carica, ne consegue logicamente che non c’è stata nessuna carica: perché a chi altro mai potrebbe venire in mente di caricare?

Ma a voi, dopo una simile figura di merda, non verrebbe voglia di spararvi?

PS: la domanda di sempre: ma perché, se si celebra la liberazione e si ricordano coloro che l’hanno resa possibile, non ci sono bandiere statunitensi, inglesi, canadesi, australiane, neozelandesi? E perché non ci sono quelle dei partigiani cattolici e dei partigiani monarchici – parecchi dei quali, per inciso, sono stati assassinati dai partigiani comunisti?

Poi, piccola nota a margine, ci sarebbe questa cosa qui

barbara